Questa
one-shot è dedicata
ad un personaggio Disney che forse si potrebbe dire "di serie B", ma
che secondo me riscuote più successo proprio per il suo
carattere che, nei film
di cui è stato protagonista, lo ha reso molto realistico. Sto
parlando di
Maximilian Goof, il figlio di Pippo (Goofy, per l'appunto). Quando ero
piccola
avevo una vera e propria adorazione per Max, e per il suo
lungometraggio
"In viaggio con Pippo" (“A Goofy Movie”, 1995).
Adorazione salita con
"Estremamente Pippo" (An Extremely Goofy Movie, 2000). Max è
stato
inoltre protagonista di una serie famosa negli anni '90 che guardavo
ogni
pomeriggio,e di un paio di special di Natale targati Disney.
Guardavo nostalgicamente video
su youtube inerenti al secondo film (se non l'avete visto vedetelo, ne
vale la
pena), e sotto ho letto un paio di commenti in merito al fatto che
Roxanne (la
ragazza per cui Max aveva fatto pazzie nel primo film, e dalla quale
alla fine
riesce a strappare un appuntamento) non esistesse nel sequel. Ecco la
risposta
di un utente: “Probabilmente hanno finito per prendere strade
diverse. Sai
com’è quando finisci il liceo ed inizi
l’università”.
Per tutto il mio periodo
di elementari ed anche dopo non facevo che disegnare
un’ipotetica famiglia
Goofy della quale Max e Roxanne erano i genitori, ma quando vidi il
sequel nel
2004 – era il 31 dicembre e avevo 16 anni – non
rimasi amareggiata della
rottura tra i due, piuttosto avvertii che le cose cambiano e che anche
il fatto
che non tutto dovesse necessariamente arrivare ad i “fiori
d’arancio” rendeva
in qualche modo Max più reale, e più vicino a me
(non a caso, da piccola mi
immedesimavo in lui totalmente). Ovviamente, anche Pippo è
caratterizzato in un
modo che personalmente mi piace molto, e assieme a Paperino sono i
personaggi classici
Disney che apprezzo di più perché molto meno
anacronistici degli altri e non
sempre vincitori. Il che non è necessariamente un lato
negativo.
Quindi, grazie mille
all’utente youtube MrCherryCola per l’ispirazione.
:-)
“Mi
dispiace”.
E’
tutto quello che mi sai dire?
La
luce pomeridiana tinteggiava l’isolato di arancione. Eravamo
l’uno di fronte
all’altra, distanti un metro. Distanti, come forse non lo
eravamo mai stati.
Volevo
dirti un sacco di cose, eppure non me ne usciva nemmeno una dalla
bocca. E
nemmeno tu dicevi una parola.
So
che era fuori luogo, ma in quel momento ti guardai per un attimo e
pensai che
eri splendida. I capelli castani tagliati un po’ al di sopra
delle spalle erano
rigonfi, non erano mai stati lisci per natura. E quella
luce… Dio, com’eri
bella con quella luce sulla faccia. Malinconica, ma bella.
“E’…
è…”
Perdio,
non mi usciva una sola parola. Cercai di usare le mani inguantate al
posto
della bocca, e le portai davanti a me nel tentativo malriuscito di
chiudere le
dita, che si mossero solo brevemente.
“…
E’ tutto?”
Non
riuscivo a crederci. Non poteva essere così semplice, non
poteva ridursi a un
“mi dispiace”.
Alzasti
la testa e mi guardasti. I tuoi occhi tristi mi colpirono al
cuore… forse
sarebbe stato meglio un cazzotto nello stomaco.
“…
Chi è?”
La
tua faccia mutò in un lampo, apristi la bocca dallo
sconcerto.
“Che
cosa?”
“Chi
è?!” strillai, e realizzai amaramente di aver
perso l’autocontrollo. Diamine,
non lo intendevo, non lo intendevo! Eppure mi era uscito… ma
non lo intendevo!
“Chi
è chi?” Aggrottasti le sopracciglia, offesa. Le
cose stavano prendendo una
brutta piega, lo so. E lo so, tesoro, è stata colpa mia.
“Non
ci credo, Roxanne!” strillai. “Devi avere un altro,
lo so che ce l’hai, almeno
dimmi chi è!”
Non
mi ero accorto, no, mi non mi ero accorto che mi ero avvicinato a te,
invece mi
resi conto subito che indietreggiasti terrorizzata. Ed io mi arrestai,
inorridito.
Da
quando in qua ti eri mai allontanata?
“Come
fai ad essere così egocentrico?” ribattesti in un
sibilo, ed io sapevo bene che
era quello il tuo modo di reagire. Quando le cose non andavano bene, io
lo
sapevo. Tu eri silenziosa, non dicevi una parola. Io lo sapevo. Eri
silenziosa,
non urlavi.
Al
limite, sibilavi.
Ma
ormai la mia testa pensava in un modo ed io facevo in un altro:
“allora
dimmelo, perché?”
No,
non volevo sentire le tue ragioni – non mi importava che
cercavi di dire
qualcosa - piuttosto preferivo gridare per non starti a sentire,
“perché?
Spiegamelo! Perché? Cosa ho fatto, stavolta?”
“Non
hai fatto niente” ripetevi tu, scuotendo la testa.
“E
allora perché? Perché noi due non possiamo
risolvere la cosa?”
“Perché
non c’è più un noi due,
Max…”
“Allora
c’è un terzo!”
“No,
Max!”
“Io
ho fatto di tutto per te, di tutto! E tu mi hai tradito!”
“Non
ti ho tradito, Max!”
Avevi
alzato la voce… insolito per te - più che
gridato, avevi guaito.
Di
colpo facemmo silenzio. Ci fissammo negli occhi.
Quella
luce… non me la dimenticherò finché
campo. E tu che mi guardavi.
Io,
la verità la conoscevo già, bastava guardarti per
capirla. Ma in quel momento,
volevo vedere nei tuoi occhi solo il riflesso di quello che brillava
nei miei.
“Ma
certo…” sbuffai. “Ma certo. Fra poco si
va al college, no?” ad ogni parola diventavo
sempre più odiosamente sarcastico – mi odiavo
persino da solo! - e tu ad ogni
parola abbassavi sempre più lo sguardo verso il marciapiedi.
“Io resto qua
vicino casa mentre tu te ne vai in un altro Stato, ma certo, e allora
avere il
fidanzato diventa solo un inutile impiccio, no? E così ti
liberi di me, no?”
Feci un giro su me stesso, strofinandomi una mano tra i capelli.
“Già,
no?”
In
quella giravolta rivissi in un vortice due anni e mezzo, ben due anni e
mezzo
di appuntamenti, risate, tu a casa mia , io a casa tua, conosci i
genitori, sforzati
in tutti i modi per risultare il migliore per la loro figlia, due anni
e mezzo,
tra regali di compleanno, Natale e ricorrenze…
Ti
guardai, e forse ero ancora più disperato di quello che
sembravo essere ai miei
stessi occhi. Tu continuavi a fissare il marciapiedi senza dire una
parola.
“Di’
qualcosa per lo meno, Dio!”
“E’
inutile che continuiamo a prenderci in giro, Max” dicesti, e
quelle furono le
uniche cose che riuscisti a dire. E maledetto me, che volevo aprirti in
due per
cavarti fuori tutte le parole che volevo sentire, anche per puro
masochismo.
“Ro…Roxa…”
Tentai
di avanzare, ma non mi mossi nemmeno che già tu avevi
indietreggiato.
Ancora
silenzio. Per un secondo, mi
sentii te.
Immaginai come doveva essere difficile, farlo senza spezzarmi il cuore.
Stare
là in piedi, e affrontare tutta la tempesta invece che
alzare i tacchi ed
andartene.
Un
tarlo mi assilla adesso: che tu stessi aspettando una mia mossa? Una
mia
qualunque mossa?
No,
non era così. Lo vedevo dai tuoi occhi, quasi estranei alla
faccenda… quasi
provassero solo pena per me.
“Adesso
devo andare” annunciasti alla fine. Dopo un silenzio
interminabile.
Ma
non ti girasti subito.
Continuasti
a guardarmi, ancora con quella tristezza sulla faccia che non era per
te, ma
tutta per me.
“Aspetta”
dissi, quando stavi per voltarti.
Tu
ti fermasti, esausta.
Sarei
corso con tutte le mie forze… avrei superato quella barriera
di un metro e ti
avrei baciato, finalmente. Uno solo sarebbe bastato; uno tenero, un
po’
disperato - come me, del resto.
Ma
non riuscivo a muovermi. La barriera era più forte di me.
Quei
due anni e mezzo mi giravano nella testa come se fossi stato in una
giostra. La
mia Roxanne, la mia ragazza, la mia fidanzata. La mia Valentina. La mia
Roxanne, la mia unica… la mia prima… La nostra
prima volta insieme… mi faceva
un male come se mi stessero strappando le viscere. La mia Roxanne. La
mia
Roxanne.
“Allora
è finita così? Ci…
la-la…”
Non
potevo crederci. Un groppo in gola, grosso come se fosse stato un
sasso, mi
impediva di dirlo. Il naso mi pizzicava, sentivo di avere gli occhi
fuori dalle
orbite.
Mi
guardasti, con un’aria colpevole. Quel neo proprio sopra la
guancia, lo
adoravo.
La
mia Roxanne.
“Sì”.
Gli
occhi bruciavano, ti vidi sfuocata, sbattei le palpebre un paio di
volte… e
quando potei vedere meglio, tu mi avevi già voltato le
spalle e stavi
camminando verso casa, la borsetta-zainetto sulla spalla destra, il top
a bretelle
larghe d’un rosa tenue indossato morbidamente.
E
quella luce del tramonto che rendeva ogni cosa, te compresa, ancora
più
lontana.
Forse
avevi ragione tu, Roxanne. Forse, eravamo tutti e due dei ragazzini, e
le cose
sono andate come dovevano andare. In cuor mio sapevo che sarebbe andata
così,
il tuo sguardo mi parlava oramai da mesi prima di allora. Solo che io
volevo
ignorarlo.
Penso
a tutte le volte che mi ero allenato sullo skate. Era stato per te,
Roxanne.
Volevo impressionarti. Volevo dimostrare al mondo, e anche a te, che
non avevi
uno smidollato, un goofy qualunque,
al tuo fianco. Che ero capace di salire fino al sole e di portartene un
raggio,
se necessario. Forse, anche in questa mia determinazione ci ho messo
troppo, può
darsi.
A
dire il vero ti penso ancora, Roxanne. Anche se sono passati molti
mesi. Anche
se tu ormai sei lontana miglia e miglia da me, e chissà che
starai facendo.
Sicuramente sarai la più brava del tuo corso, lo sei sempre
stata. Brava, bella,
modesta e volenterosa.
Io?
Bè, se mi vedessi adesso rideresti di me. Già, ho
ancora mio padre alle
calcagna. Sì, ancora, anche se ho diciotto anni –
quasi diciannove – e sono al
college, ho ancora il papà che mi cambia il pannolino. Dio,
che fallito, che
fallito!
Chissà
se riuscirò ad andare avanti. Dimenticarti no, quello mai.
Ora come ora penso
che non potrei dimenticarti nemmeno fra un milione di anni. Per ora non
mi va
nemmeno di vedere altre ragazze, qui ce ne sono eccome. Faccio tanto lo
scemo,
ma alla fine non ci combino niente. Che fallito, che perdente! E ho
anche la
faccia tosta di dare la colpa a mio padre… ma se sono io lo
sfigato in prima
linea.
La
differenza tra me e te era che io ti amavo ancora… mi
correggo, ti amo ancora.
Darei l’anima al diavolo per vederti piombare
nell’aula magna, radiosa come io
ti ricordo. Ma non accadrà mai, i tuoi occhi mi hanno detto
perché.
Né
tantomeno verrò a cercarti, te l’ho promesso.
“Bah,
ne posso trovare a centomila qui dentro…” sbuffo,
prendendo rabbiosamente il
casco di protezione dal letto e dirigendomi verso la porta mentre mi
sistemo le
ginocchiere.
“…
Anche con papà in giro…”
Detto
questo, mi scrollo di dosso i pensieri, e cerco di fare mente locale di
dove
devo incontrare P-J e Bobby.
Fine.
20
Aprile 2011
Ps.
Nello special di
Natale “Cristmas Maximus”, Max è
laureato, e fa conoscere a Pippo la sua nuova
ragazza, Mona. Sarà questa quella giusta? Forse
sì, ma non starò io a spiegarvi
il perché! ;-)
Spero
che vi sia piaciuta,
a presto!