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Autore: Mariaantonietta    22/04/2011    4 recensioni
Storia insolita per i nostri eroi, ambientata in una lontana galassia e in un tempo fantascientifico e tecnologico, dove predominano le manipolazioni genetiche e i droidi. Vi prometto che l'amore tra Oscar e Andrè sarà sempre a predominare, l'uno pronto a sacrificarsi per l'altra incondizionatamente, come sempre. La storia è una one shot,l'ho scritta di getto in un pomeriggio domenicale di pioggia mentre mi annoiavo amorte. Aspetto tanti commenti positivi o negativi, sono pronta a ricevere pomodori e uova marce!
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Oscar François de Jarjayes
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Anno 10785, pianeta Stilla, centro della galassia YJH29.
Da due giorni sono prigioniero su questa astronave, diretta chissà dove, rinchiuso in una specie di cella bendato e legato ad un letto.
Mi dimeno, ma non mi posso muovere, non posso fuggire.
Devo riuscire ad evadere prima che avvenga l’ipersalto stellare, che  scaraventerà questa nave  anni luce da qui. Se non mi sbrigo sarà troppo tardi per tornare da lei, non la rivedrò mai più e questo mi sarà fatale.

Nei miei pensieri c’è solo Oscar: il suo volto angelico, i suoi meravigliosi occhi cristallini simili al turchese delle acque di Stilla, le sue splendide labbra, ahimè,  mi tormentano costantemente, essendo desideroso di appoggiarvi le mie per l’eternità. Mi sento un illuso, un disgraziato!
Da una vita sono innamorato di una donna con il nome da uomo: un colonnello dell’esercito delle legioni imperiali di Stilla.
 Il mio è un dramma che non augurerei nemmeno al  peggior nemico,  vivo come in una tragedia che giorno dopo giorno mi porta alla follia e alla frustrazione, questo sentimento tormentoso sgorga a senso unico, mi distruggo per un amore non corrisposto che è da sempre, e che sarà per l’eternità la mia ossessione!
Fino a due giorni fa ero stato un suo sottoposto, arruolatimi per proteggerla da una soldataglia aggressiva e irruente,  l’ho fatto per stare al suo fianco, giacchè senza di lei sono perduto.
Nel seguirla fui caparbio e ostinato perché avevo dei seri problemi di salute, ma non m’importava diventare cieco, sapevo che Oscar aveva bisogno di me.
Feci mente locale ricordando un particolare sconcertante:  la settimana scorsa il colonnello Oscar François de Jarjayes,  mi convocò con una scusa nel suo ufficio, comunicandomi con tono preoccupato che avesse scoperto lo stato attuale del mio occhio destro, era a conoscenza che vedevo con difficoltà, e che le persone mi apparivano come delle sagome informi.
Sapeva che presto la mia vista sarebbe stata compromessa irreversibilmente, a meno che non mi fossi sottoposto a un trapianto delle cornee.
Aggiunse che avesse inviato personalmente una lettera al generale Bullet, attestante il mio congedo temporaneo, poiché in quelle condizioni non potevo prestare correttamente servizio militare, se in seguito avessi voluto sarei ritornato dopo la completa guarigione.
Si sarebbe fatta carico di tutte le spese mediche, e del costosissimo viaggio interstellare per raggiungere l’ospedale, inoltre, seppi che esisteva già  un possibile donatore.
Fui commosso: non appena aveva saputo delle mie condizioni si era resa disponibile nei miei confronti. Mi voleva bene questo era certo, ma non sarebbe venuta con me sul pianeta Anthares, laddove avvenivano le manipolazioni genetiche per poter effettuare i trapianti d’organi senza rigetto. 
 
Litigammo di brutto, poiché rifiutai l’offerta protestando nel modo più risoluto.
Chi mi avrebbe assicurato che il biglietto per quel lontanissimo pianeta fosse di andata e ritorno?
Alla fine la donna parve arrendersi alle mie urla di disapprovazione, annuendo senza emettere alcun suono, come per dire: “Fa come vuoi, io ti avevo avvertito”.
  La conoscevo bene e per evitare di assistere al contraccolpo di una sua sfuriata, uscii di corsa   con l’amaro in bocca perché tremai per un eventuale provvedimento nei miei confronti.
Qualche giorno dopo fui tramortito da due loschi individui, dopo un paio d’ore mi sveglia nella stiva di un’astronave da carico.
 Ebbi l’impressione che  questo rapimento sia stato architettato da lei, per spedirmi il più lontano possibile, così non le sarò d’intralcio per realizzare la sua vita da “maschio cazzuto”.


L’ipersalto purtroppo avvenne presto, e io dovetti abbozzare alla decisione presa da Oscar.
Ogni sera qualcuno entrava nella cella per portarmi da mangiare, mi puliva le mani e il viso con tenerezza, poi restava accanto a me per ore, forse tutta la notte. Quella misteriosa persona alleviava le mie sofferenze, la sua presenza emanava un’aria così familiare che volli sperare che fosse Oscar, troppo orgogliosa da rivelarmi che mi avesse accompagnato ad affrontare quel viaggio verso la luce. La nave attraccò ad Anthares dopo un mese di viaggio interstellare, eravamo a trecento anni luce da Stilla. Era un pianeta roccioso, ricco di oceani e vegetazione, abitabile e simile al mio.
Non disperai, poiché avevo la netta sensazione che il mio amore fosse accanto a me, bensì in silenzio.
Lì ci saremmo sposati?
Avremmo abbattuto le differenze di rango che su stilla ci separavano?
Lei era di stirpe aristocratica, io ero un semplice plebeo.
In seguito alle indagini cliniche e alla preparazione di adattamento genetico per ricevere i nuovi occhi, subii il trapianto con successo. Dopo quindici giorni già vedevo bene, avevo riacquistato la vista meglio di prima.
Quando fui capace di vedere la mia immagine riflessa allo specchio, rimasi sorpreso  del colore dei miei nuovi occhi, erano di un azzurro così intenso, come prima sensazione ebbi un sussulto perché mi ricordarono quelli di Oscar.

Fui rammaricato, poiché non vidi mai il volto della persona che mi stette accanto in quel periodo, né sentii mai la sua vera voce, notai con amarezza che la sera prima dell’intervento scomparve dopo avermi salutato con un tenero bacio sulle labbra, questo scaturì dentro di me un vuoto inspiegabile. Le mie illusioni su Oscar stavano per svanire?
 Durante la degenza seppi da voci di corridoio che la  mia donatrice era stata un’anthariana, malata di tisi. 
Gli anthariani sono gli indigeni del pianeta Anthares, hanno 46 cromosomi, proprio come noi del pianeta Stilla, ma si differenziano per il volto e gli occhi molto allungati, quasi deformi,  il loro capo è glabro, il naso si riduce a soli due minuscoli fori e la bocca è priva di labbra.
Mentre caratteristica principale è che sulla fronte presentano delle appendici cornee.
La voce è metallica, alcuni  riescono a leggere nella mente.

A loro vantaggio possiedono un fisico statuario, definito e muscoloso, il colore della pelle è simile alla nostra.
Dovevo rimanere in ospedale ancora per un po’, ero all’oscuro del mio futuro, che ne sarebbe stato di me? Ero assolutamente certo che senza di Oscar, mi sarei sentito oppresso, privo di aria.
Un giorno mi fu recapitato un suo video messaggio:  mi salutava affettuosamente e mi spiegava le  ragioni di quel rapimento, lo aveva fatto esclusivamente per il mio bene spendendo una fortuna per le operazioni relative al ripristino della mia vista.
Era felice nell’apprendere che fosse andato tutto bene, mi incitava a non sentirmi in debito con lei, l’unica cosa per ringraziarla era che non dovevo più cercarla, al contrario era necessario che la dimenticassi e continuassi a vivere pienamente, poiché mi sarebbe stata accanto anche se io non me ne fossi reso conto.
Avevo ragione non sarei più tornato su Stilla non l’avrei mai più rivista, ero stato assegnato al distretto militare di Anthares, con il grado di capitano. Grazie a lei avevo riacquistato la vista, ed ero anche diventato un ufficiale.
Mentre ascoltavo passivamente quel video messaggio, già stavo organizzando una fuga clandestina interstellare per poterla raggiungere, non mi interessava in quanto tempo sarei arrivato a destinazione, a costo di impiegarci una o più vite ne valeva la pena pur di rivederla!
Ad un certo punto mi cadde il mondo addosso, poiché lei mi annunciò che avrebbe lasciato l’uniforme per sposare al più presto il conte Hans Axel Van Fersen, il suo grande amore di sempre,nonché  il mio rivale.
Era felice, al settimo cielo si riteneva fortunata, perché lui aveva capito d’amarla e aveva deciso di dichiararsi e di chiederla in sposa.
Ero perduto per sempre, decisi di porre fine alla mia inservibile vita.
Quella sera stessa, dopo la visita di controllo  dei medici di guardia, di soppiatto mi recai sul terrazzo del nosocomio con l’intenzione di farla finita, incurante che qualcuno mi stesse seguendo nell’ombra.
Scavalcai il muro del terrazzo e mi posizionai sul cornicione con lo sguardo nel vuoto.
Al decimo piano si percepiva una lieve brezza che carezzava il mio volto e scompigliava i capelli come se fosse il tocco di un’amante desiderosa.
Sentii un rumore di passi, mi voltai curioso di sapere chi fosse. Mi domandai chi avesse l’onore di assistere alla mia fine? Vidi dietro di me, una sagoma alta e slanciata, coperta da un mantello monastico. La misteriosa creatura barcollante non aveva un andatura precisa, si orientava con un bastone per ciechi, quindi, si avvicinò pericolosamente a me con il rischio di cadere di sotto.
Poi mi sussurrò in un orecchio: “Se lo fai tu, lo farò anch’io, anche se non ho niente da perdere, non vorresti avermi sulla coscienza?”.
 “Chi sei?” - gridai come un forsennato, poiché quella voce, nonostante fosse stata camuffata da un leggero suono metallico, mi era sembrata molto familiare.
“Sono Venus, l’ anthariana che ti ha donato gli occhi, non vorresti che il mio sacrificio fosse stato vano”- così dicendo si tolse il cappuccio  mostrandomi  il suo volto da aliena.
 La guardai deluso, poi risposi stizzito: “Perché l’hai fatto? Io non te l’ho chiesto, lasciami morire in pace, non hai nessun diritto di fermarmi, la vita è mia, quindi decido io cosa farne”.
“Sto per morire di tubercolosi,  gli occhi non mi serviranno più, ecco perché ….  ”.
“Non mi conosci! Io sono un estraneo per te, forse il comandante de Jarjayes ti ha offerto dei soldi per sfamare la tua famiglia che soffre di stenti? ”.
“Non è come credi tu, te lo giuro”.
“Aspetta un momento: tu non sei ancora morta, come possono accettare un donatore di organi in queste condizioni?”.
“Presto la malattia mi ucciderà, volevo accertarmi di persona che tutto fosse andato per il meglio!”.
Al sentire questa frase un brivido percorse la mia schiena.
Cosa voleva significare?
Detto questo mi tese la mano, a quel punto indietreggiammo istintivamente ritornando entrambi al sicuro sul terrazzo, lei mi abbracciò da dietro con molta intensità che mi fece tremare l’anima.

Mentre il suo fisico mozzafiato aderiva al mio, mi parlò con un filo di voce: “Andrè, ti supplico non sciupare la tua vita al vento, non ne vale la pene, sappi che ti amo più di qualsiasi cosa al mondo e desidero che tu stia bene. Mi devi garantire almeno la tua serenità, così morirò felice.” – nel dire ciò cominciò a piangere accoratamente. Mi amava? Conosceva il mio nome, come era possibile?
Quando mi voltai verso di lei, per porgerle una tenera carezza, notai il suo viso insanguinato: dai suoi occhi sgorgavano grosse lacrime di sangue, di conseguenza svenne cadendo inerme ai miei piedi. Sudai freddo sentendomi impotente di fronte a quella creatura così coraggiosa.  Soffrii  parecchio nel vederla in quelle condizioni, come se mi avessero tirato un pugno provocandomi un forte dolore allo stomaco.

La presi tra le braccia come per riflesso e la portai ansioso di sotto in infermeria del reparto di chirurgia oculistica. Un medico le prestò immediatamente soccorso. Rimasi scioccato quando appresi che  durante l’estirpazione delle cornee quella dolcissima creatura aveva avuto una complicazione organica tale che  non poteva più piangere, di conseguenza  a causa di una forte emorragia poteva morire prematuramente.
In quei momenti drammatici avevo dimenticato tutto: sia il mio suicidio, sia il motivo che mi aveva portato a tentarlo.  
Rimasi accanto a Venus  tutta la notte vegliandola con premura e pregando per lei.
L’indomani l’anthariana si era svegliata ormai fuori pericolo. Ebbe la forza di sorridermi, infondendomi coraggio.  Per quanto riguarda me, durante quella lunga notte avevo deciso di prendermi cura di lei fino a che la malattia non l’avesse stroncata definitivamente. Poi avrei provveduto a togliermi la vita,niente e nessuno mi avrebbe fermato. Quando glielo comunicai, dimostrò di essere molto grata nei miei confronti. Mi spiegò che non le interessavano le mie ragioni, l’importante che le sarei stato accanto.
Ero confuso: stare accanto a Venus mi faceva provare le stesse sensazioni  provate con Oscar. Eppure quest’ultima era anni luce distante da me, felicemente sposata con Fersen, mentre Venus non era nemmeno umana, aveva il viso alieno e un corpo da favola.
Mi affrettai a sposare  l’anthariana, desideravo renderla felice anche se per breve tempo. Non dimenticai il mio adorato colonnello Jarjayes,  mia moglie era stata messa a conoscenza di quei sentimenti passionali soffocati da una vita, ma a tale proposito non era infastidita, anzi mi incitava a chiamarla più spesso Oscar. Si comportava così per compiacermi, pensai, in ogni caso ero felice di vivere dei momenti così intensi con quell’aliena.
Dopo sei mesi successe un miracolo: dai controlli eseguiti la malattia che stava consumando lentamente Venus era completamente regredita, quando fu dichiarata clinicamente guarita festeggiammo l’evento caldamente. Lei sosteneva che fosse stato il mio amore a farla guarire, io ero completamente d’accordo. L’aliena vedeva con i miei occhi, e quando mi recavo in caserma si aiutava con un bastone munito da sensori acustici per evitare gli ostacoli. Ormai si era abituata a tutta quella oscurità, anzi il suo nuovo stato la faceva sentire completamente viva, anzitutto perché era mia. Affermava spesso una frase, molto significativa: ”Ero cieca prima dell’ intervento, perché non conoscevo il tuo amore, adesso con te sento di possedere una luce abbagliante dentro il mio essere”. L’amore di quella anthariana nei miei confronti era incredibilmente forte e solido, in confronto quello che io avevo provato per Oscar in tutto questo tempo non era nulla. In quel periodo avrei voluto restituirle gli occhi, anche se lei non era affatto d’accordo la convinsi a fare una consultazione da uno specialista, ma il primario responsabile mi sconsigliò vivamente, poichè la mutazione genetica era stata irreversibile per cui ci sarebbe stato un forte rigetto nel caso avessimo fatto un tentativo.
Mi rassegnai e accettai quel dono esasperando la mia devozione nei suoi confronti.
 La notizia che saremmo diventati genitori ci portò al settimo cielo.
In quel periodo avevo raggiunto la pace dei sensi, quando nacque il piccolo Oscar, mia nonna venne inaspettatamente su Anthares per stabilirsi a casa nostra. Quell’evento fu provvidenziale, poiché eravamo disperati, bisognosi al più presto una tata e lei era l’unica, la migliore. Per me fu un mistero, non mi disse mai chi l’avesse contattata e soprattutto chi le avesse pagato il biglietto dell’astronave. Ebbi il sospetto che Oscar mi controllasse a distanza e che in nome della nostra antica amicizia mi avesse ceduto Annie per curare mio figlio anziché i suoi pargoli avuti sicuramente dall’unione con il suo Fersen. Fu Venus ad andarla a prendere alla stazione interplanetaria, non seppi mai cosa si dissero al primo incontro, ero certo dagli atteggiamenti che mia nonna adorasse mia moglie e il piccolo ibrido, il quale non somigliava per niente alla madre.

Aprile 10788
Passarono tre anni, il nostro amore si consolidava sempre di più, ero così sicuro di amare Venus che se avessi rivisto Oscar, non so se avessi provato indifferenza. Mio figlio cresceva ogni giorno  forte e sano, era il mio ritratto di quando crescevo, era divenuto il mio orgoglio.  
Un bel giorno ottenni una promozione, divenni maggiore, per tutte le missioni mi fu affidato come partner un droide di nuova generazione.
La cosa raccapricciante fu che questo robot avesse innestato nella sua memoria il carattere dell’ex colonnello Jarjayes, il modo di combattere e la sua spiccata strategia bellica, assieme alla diplomazia di parlamentare con il nemico, ahimè aveva persino il suo timbro di voce.
Era come se fossi ritornato su Stilla al fianco della mia grande fiamma, che credevo spenta nel mio cuore. I miei superiori mi dissero che un’accoppiata simile fosse già stata collaudata in passato, infatti, io e l’ex comandante dai meravigliosi occhi colore del mare, riuscivamo a risolvere qualsiasi questione militare anche molto difficile, nonché pericolosa.
Purtroppo, subito mi resi conto che non fu così facile stare accanto  a quella “cosa metallica” che mi ricordava spaventosamente Oscar, ciò mi creò seri problemi intrinseci nel mio Io più profondo.
Era inverosimile, provavo attrazione per questa macchina!
Mi ero proprio rimbecillito o cosa?
Non è tutto mi sentivo anche appagato mentalmente come mi capitava assieme a Venus, come mi era capitato tanto tempo fa sull’astronave a  contatto con quella misteriosa creatura che si era presa cura di me per tutto il viaggio. Non volevo coinvolgere mia moglie, poiché sapevo che non poteva assolutamente piangere, avrei rischiato di perderla.
Un giorno ero di pattuglia, io e il droide stavamo in un bar malfamato seduti l’uno di fronte all’altro, quella scena mi ricordò antichi momenti vissuti con la mia Oscar. Ancora riuscivo a sentirla mia, mi disgustai di me stesso. Spensi l’alimentatore del robot, mi sfogai raccontando a quel pezzo di latta inanimato cose che non avevo osato neppure pensare per paura d’impazzire.
Nei miei sogni avevo desiderato che in qualche modo l’anthariana ed Oscar fossero la stessa persona, anche se era un evento del tutto impossibile, mi ero creato delle fantasie visionarie.  Nei momenti di lucidità ciò mi faceva sentire in colpa, ero simile a un mostro senza cuore, perché , pur di avere  la persona che affermavo di amare, le auguravo  le sofferenze di Venus.
Ero un egoista, quindi, preferivo torturarmi e guardare in faccia la realtà: Oscar era felicemente sposata con Fersen.
Il droide se ne stava, fermo immobile di fronte a me, sembrò che mi ascoltasse turbato. Dopo aver finito la confessione riaccesi l’interruttore tutto tornò come sempre.
Quell’anno nella mia caserma arrivò un plotone di soldati legionari, proprio dal pianeta Stilla:  erano stati inviati dall’impero assoluto per soffocare piccoli focolai ribelli su Anthares. Bisognava agire prima che la rivolta si fosse trasformata in un grosso incendio indomabile. Tra quegli uomini riconobbi il mio caro amico Alain, quest’ultimo rimase sorpreso nel vedermi, mi abbracciò a lungo piangendo come un bambino. Figuriamoci, mi aveva creduto morto suicida a causa della perdita di Oscar. Gli spiegai che avevo superato la cosa grazie a un angelo, poi annoiato risposi sgarbatamente: “Lei ha scelto di sposare il conte di Fersen, vivono da anni felici su Stilla, io ho cercato di dimenticarla unendomi in matrimonio con un anthariana, ci sono quasi riuscito, almeno credo”.
“Bene, è questo che ti ha detto il nostro ex comandante?”.
“Che cosa avrebbe dovuto dirmi di diverso?”- risposi incuriosito, quasi allarmato.
“Niente, confabulavo tra me e me. Vedo che adesso ci vedi, hai rimediato, anche un bel paio di occhi azzurri, sei diventato persino un ufficiale, non ti manca nulla”- controbatté Alain, ma lo conoscevo troppo bene nelle sue parole si notava un sottile  filo di sarcasmo.
“Questi sono gli occhi di mia moglie, vedi, lei era una malata terminale quando ha deciso di donarli a me, poi è successo un miracolo, è guarita completamente e adesso siamo felici”.
“Mio Dio!”
-  esclamò Alain con le lacrime agli occhi -
“Vuoi dire che sta bene? -
Che è guarita dalla tisi?”.
“ Chi ti ha parlato di tisi?”.
“Nessuno, sta calmo è stata un’intuizione, molta gente su Anthares muore di tisi”.
Quelle parole m’insospettirono, come faceva a sapere?
Feci finta di niente, non volevo rovinare quell’incontro.  
“Stasera sei mio ospite, ti voglio presentare Venus e il nostro bambino, c’è anche mia nonna, quindi hai una buona cena assicurata”.
“Contaci, voglio conoscere la donna che ti ha fatto dimenticare Oscar, soprattutto mi voglio congratulare con lei, è merito suo se adesso stai bene davvero”.  Mentre mi parlava notai che era diventato nervoso e inquieto.
La nostra conversazione fu interrotta dal mio droide, esso si avvicinò a noi comunicando che il mio superiore mi aveva convocato nel suo ufficio, gli affidai Alain per fargli visitare i vari reparti della caserma.

Al mio ritorno ritrovai il mio migliore amico distrutto, singhiozzante con gli occhi gonfi e arrossati. Fui preoccupato per il suo comportamento anomalo, lo conoscevo come un uomo forte incapace di soffrire. L’uomo capì il mio stato d’agitazione e mi rassicurò che non era successo niente, anche se non disse nulla a riguardo, accennò solo che una questione privata che le stava a cuore era emersa all’improvviso dopo anni di sofferenza, e che fosse felice che tutto si sia risolto per il verso giusto anche se ancora c’erano dei punti oscuri da risolvere.
Quella sera Alain venne a casa mia, m’incuriosì la reazione di Venus, poiché lo trattò come se lo conoscesse da molto tempo.
Una sera eravamo in missione sul satellite naturale di Anthares, dovevamo intercettare una cellula terroristica contro l’impero assolutistico: i ribelli chiedevano con la forza giustizia, uguaglianza, meno tasse, libertà e fratellanza. Tutto andò storto: scoppiò un ordigno e il droide per salvarmi la vita cadde  in una voragine, rimase appeso ad un appiglio di fortuna, rischiava di cadere di sotto e bruciare nel rogo che si era formato a causa dell’esplosione.
Tutto era precario, rischiavamo di saltare in aria come in una polveriera infatti, l’aria era satura di metano e altri gas altamente esplosivi. Feci la cosa più sensata: come male minore, ordinai ai miei uomini di lasciare il droide al suo destino e metterci in salvo.
Non sarebbe stata una gran perdita in confronto alle nostre vite, poiché non era umano ed era privo di coscienza, in più ogni sera avevo il compito di salvare su dischetto le sue registrazioni, quindi tutti i dati raccolti nella sua memoria artificiale erano già in salvo.
Alain a quel punto si rifiutò di eseguire l’ordine, decise di rimanere da solo in quell’inferno per salvare un pezzo di metallo animato da una batteria atomica. Capii l’atteggiamento del mio amico, poiché provavo anch’io la stessa cosa. Sconcertato lo ammonii, poi con le lacrime agli occhi gridai furibondo: “Non è Oscar, anche se le somiglia in ogni cosa, non farti ingannare dalle apparenze, sono solo file immagazzinati in un programma!”.
Egli non rispose, mi guardo rammaricato pieno di desolazione.
Esclusivamente per l’amicizia che ci legava lo aiutai nella sua assurda missione, a costo della mia vita.
Unimmo le nostre forze e per miracolo salvammo il robot, ormai privo di risposta a ogni stimolo elettrico, forse i suoi circuiti erano andati in corto.

Fu trasportato immediatamente in deposito per essere riparato, sarebbe tornato come nuovo.
Quella sera, arrivò una strana chiamata: mia moglie si trovava sul satellite per farmi una sorpresa, ma durante l’atterraggio la navetta aveva avuto un incidente. Mi precipitai all’ospedale come un forsennato. Stava bene anche se era un po’ acciaccata con qualche ustione sparsa qua e là sul suo splendido corpo. Si era presa un brutto spavento, in quei momenti aveva creduto di non farcela. Quella notte dormimmo assieme felici e appagati.
Tornati su Anthares, il droide era stato sistemato, tutto era tornato alla normalità.
 La monarchia assoluta, stava testando sugli esseri umani un arma da guerra efficace: delle maschere ad infrarossi direttamente collegati con il nervo ottico, capaci di offrire una visione anche nelle tenebre più oscure.
La tecnologia era simile a quella utilizzata per dare la vista ai robot. Il mio droide aveva il compito di istruire me e Alain ad usare quelle macchine infernali. Per usufruire di quell’aggeggio dovevi essere completamente cieco, se non lo eri necessitava bendarsi accuratamente in modo che la vista fosse totalmente oscurata .
Poi ti veniva montata quella maschera ingombrante e tramite un chip innestato su alcuni neuroni cerebrali,  grazie alle nano tecnologie si effettuava il collegamento.
Era un marchingegno complesso e difficile da utilizzare, anche perché la maschera si trasformava in un’arma sofisticata munita di raggi laser che potevano colpire il nemico e disintegrarlo in un batter d’occhio. Il marchingegno registrava immagini e le immagazzinava come file in un apposito disco. Mi venne l’idea di rubare la maschera del mio droide, l’avrei tenuta solo per un giorno,  volevo farla indossare a Venus, anche se in verità non conoscevo bene il suo funzionamento, ma per fare una sorpresa al mio amore rischiai.
Gliela mostrai con orgoglio, spiegandole le  strepitose capacità di quell’aggeggio infernale. L’episodio eclatante successe dopo aver fatto un picnic sulla spiaggia, l’aliena rimase inizialmente turbata alla visione della maschera poi per compiacermi stette al gioco. Inizialmente ridemmo a crepapelle per la mia imbranataggine nell’assemblare lo strumento. Venus mi ricordava ogni momento Oscar, soprattutto quando si prendeva gioco di me, ciò non mi dava fastidio, anzi mi faceva sentire vivo. Povero me, non riuscii nemmeno ad accendere il display! Ero davvero una frana.
Sfortunatamente un gruppo di ribelli mi aveva seguito per eliminarmi, ero disarmato, in quel momento temetti per  mia anthariana, ma miracolosamente fu lei a salvarmi la vita. Non so come spiegarlo, ma riuscì ad azionare ed usare la maschera visiva con estrema precisione, come se conoscesse tutti i suoi segreti, come se fosse una provetta tiratrice uccise ben cinque rivoltosi con fasci di raggi laser, facendo salti acrobatici come un guerriero ninja sembrava danzasse nel vuoto, nessuno l’avrebbe mai raggiunta per quanto fosse veloce. Alla fine colpì anche me con una luce verdastra. Quando mi sveglia ricordai frammentariamente qualcosa dell’accaduto.  Mi sentivo come tramortito e spossato, reduce di una sbronza. Qualcuno aveva ripulito lo scenario. Troppa normalità. Venus tranquillamente mi aveva rassicurato, raccontandomi che un probabile malore dovuto al caldo e allo stress, mi aveva provocato la perdita di coscienza, forse avevo anche sognato incubi. Ha affermato che mi sarei dimenato come un ossesso dopo essere svenuto.
Fu tutto reale, giuro.
Da quel giorno nutrii dei seri sospetti su mia moglie, chi era?
Una spia?
Per chi lavorava?
Mi aveva mentito?
Da quanto?
Raccontai tutto ad Alain, che mi prese per pazzo. Anzi mi rimproverò di aver utilizzato materiale bellico per scopi personali. Ebbi l’impressione che fossi vittima di una congiura, così m’impuntai a scoprire la verità.
 Ordinai di sequestrare l’apparato visivo del mio partner droide, con la scusa che poteva essere difettoso a causa del recente incidente avvenuto sul satellite. Gliene fu fornito momentaneamente un altro, meno sofisticato. Visionai personalmente tutte le registrazioni collegando la maschera al mio portatile. Trovai una cartella privata, ma per accedere necessitava una password. Le provai tutte, ma non mi arresi a costo di rimare tutta la notte di fronte al computer. Optai la possibilità che chiunque avesse inserito la “parolina magica” potesse pensare come Oscar, forse era lei stessa che mi controllava ad anni luce di distanza, quindi, ricordai qualche vecchia password utilizzata in passato.
Bingo! Dopo qualche tentativo, digitando la mia data di nascita ebbi l’accesso. In quel momento entrò Alain. Dentro la misteriosa cartella notai parecchi file in formato mp4, ogni icona era catalogata con delle date e dei luoghi. Ne aprii una a caso rimanendo scioccato. Non appena mi resi conto di cosa si trattasse, onde evitare che il mio amico vedesse il contenuto, chiusi il portatile in malo modo combinando un pandemonio. Alain aveva intuito il mio imbarazzo e con il suo solito sorrisetto sarcastico uscì togliendo il disturbo.
Il mistero s’infittiva: in quei video erano stati filmati alcuni rapporti sessuali tra me e mia moglie!
 Li visionai tutti per curiosità. C’era anche quella volta quando Venus portava alla gola il simulatore di voce di Oscar, in quell’occasione raggiungemmo entrambi un amplesso incredibilmente passionale, ed era  tutto spudoratamente documentato in quel video.
Come era possibile?
Chi era il pervertito che aveva fatto questo? La mia vita privata era stata violata, qualcuno si divertiva alle mie spalle.
Mi irritai parecchio, non sapevo con chi prendermela, forse con me stesso.
Mi sentii perseguitato, avvertii un senso di pericolo.
Decisi di spiare il mio droide, di controllare più dettagliatamente la vita di mia moglie. Sapevo di non poter contare su Alain, non mi fidavo più di lui, poiché avevo l’impressione che fosse coinvolto in primis in questa storia assurda. Presi una folle decisione: contattare Al più presto con un ponte radio interstellare il colonnello Oscar François de Jarjayes, a riguardo ero intenzionato persino a interrogare  il conte Hans Axel Van Fersen o il generale Jarjayes padre di Oscar. Qualcuno mi doveva dire cosa stava succedendo.
La sera stessa, io e la mia guarnigione partimmo per pattugliare un pianeta vicino a rischio rivolta. Ero di guardia sulla piccola astronave, annoiato misi sotto carica il mio robot, poi feci finta di uscire dalla stanza. Di soppiatto mi intrufolai dietro una lamina d’acciaio. Aspettai non so cosa. Stavo andando fuori di testa? Dopo un’ora di attesa successe qualcosa che mi lasciò senza fiato: un bellissimo corpo di donna simile a quello di Venus affiorò dall’armatura argentea del droide, era nuda! Aveva i capelli biondi e lunghissimi, camminò nella penombra come una sonnambula, si diresse verso un armadietto di  metallo, prese un asciugamano, del ghiaccio e una bottiglia d’acqua, bagnò il tessuto  rinfrescandolo con il ghiaccio, infine portò la spugna umida agli occhi.
La donna tirò un respiro di sollievo, immaginai il perché, la maschera visiva doveva dargli un gran fastidio, io l’avevo provata era come se il cervello andasse in fumo. Quella splendida dea si sdraiò per terra, cercando refrigerio da quel bendaggio fresco.
Dopo un po’, rimanendo sempre bendata trasse dal solito armadietto uno zainetto da cui estrasse una striscia al tornasole, poi urinò in un contenitore e fece un test, sicuramente di gravidanza. Infatti esclamò con la voce di Oscar: “Mio Dio stavolta sono due!”. Si vedeva lontano un miglio che sprigionava felicità da tutti i pori. Prese un cellulare e telefonò immediatamente a qualcuno dicendo euforica: “Telefona a mio marito fingiti me, devi dirgli con il simulatore di voce che sono incinta, aggiungi che  sono due gemelli, questa è una notizia bellissima non posso aspettare tre giorni, lo deve sapere adesso”.
Essendo bendata non poteva vedermi, quindi mi avvicinai in silenzio per scorgere meglio il suo viso. Fu come essere colpito da un fulmine a ciel sereno, come se il mio cuore uscisse improvvisamente dal petto perché mi resi conto che quella sensualissima divinità era Oscar.
Ero sconvolto, era così vicina a me, ma non ebbi il coraggio di affrontarla. Era forse in missione su Anthares? Non aveva abbandonato la divisa? Cosa aveva detto a Fersen se doveva appoggiarsi a un’altra persona con un simulatore di voce per darle sue notizie?
Riuscii ad uscire in silenzio, raggiunsi immediatamente  Alain stava giocando a carte con i suoi commilitoni lo colsi di sorpresa infliggendogli un violentissimo pugno su un occhio. Gridai impazzito: “Tu lo sapevi, eri a conoscenza dell’identità del droide, ecco perché hai insistito a salvarla sul satellite”.
Il mio amico rimase a terra tramortito, a causa del colpo al viso ricevuto di sorpresa. Mentre si alzava, mi guardò infelice poi rispose:
“Come lo hai saputo?”
“L’ho vista uscire dall’armatura del droide, non la voglio sulla mia astronave, è troppo pericoloso per lei. E’ una grossa responsabilità tenere una donna in quelle condizioni a bordo”.
“Che stai farneticando, quali condizioni?”.
“Lo so Io cosa ho visto e sentito, mettiti da parte per favore”.
“Ti prego non fare di testa tua, e soprattutto non trattarla male”-mi  ribatté Alain con tono di supplica.
“Magari la devo pure ringraziare per avermi rovinato la vita”.
“Non ci arrivi? Sei veramente ottuso? Se tu hai trovato la felicità è grazie a lei”.
“Lei mi ha dato un surrogato della felicità”.
Ad un certo punto squillò il mio telefonino, diedi un’occhiata era mia moglie.
Ignorai la chiamata, ma lei continuò a chiamare.
Esasperato, decisi di rispondere, ma molto passivamente: “Ti prego puoi chiamarmi più tardi è successo un imprevisto che devo assolutamente risolvere, comunque non ti preoccupare per me, sto bene”.
“Amore, ti conosco sei agitato, ma ho una cosa molto importante da dirti che ti calmerà e ti renderà felice, qualsiasi cosa sia successo, ti prego fammi parlare”.
“Va bene, di che si tratta? Fai presto però, in questo momento non ho proprio la testa per pensare o ragionare”.
“Andrè, io sono incinta di due gemelli! Te lo dovevo dire, ho appena fatto il test, sinceramente mancano tre giorni che tu possa tornare a casa, e non potevo aspettare”.

Mi cadde il mondo addosso, poichè cominciai a rendermi conto di cosa era realmente accaduto in tutti questi anni.
Alain si accorse che il mio viso era diventato all’improvviso simile ad un cadavere. Prese il cellulare dalle mie mani e parlò rassicurando qualcuno che aveva la voce di Venus, probabilmente mia nonna! Quando riattaccò cercò di calmarmi narrandomi una meravigliosa storia d’amore.
Mi raccontò che Oscar un paio di anni fa si era gravemente ammalata di tubercolosi, sarebbe morta entro tre mesi dal verdetto. Appresi che Alain a quel tempo era in buona fede, infatti, scoprì la verità dei fatti  il giorno in cui incontrò il droide, prima credeva che il nostro comandante fosse morto.

  "Oscar aveva capito di amarti proprio nel periodo in cui scoprì di essere malata, aveva scoperto anche che stavi per diventare cieco, decise che la sua misera vita sarebbe servita per regalarti una parte di sé.  Salì con te su quell’astronave, prendendosi cura in incognito.
Affrontò l’espianto degli occhi, poi il destino fu favorevole che vi sposaste, ricordi, quando tu la credevi un’aliena.
Per ingannarti le bastò un simulatore di voce, una maschera biodermica e un falso e crudele video messaggio.  Tutto filò liscio, anche perché si compì il miracolo della guarigione. Non ti rivelò mai la sua identità per paura di una tua reazione, per il timore di non sopportare le tue sofferenze, anche perché tu avresti fatto di tutto per restituirle gli occhi. Sapeva benissimo che avresti tentato il suicidio la sera che avresti visto il video messaggio, ecco perché ti seguì sulla terrazza dell’ospedale rischiando la vita per salvarti. Fu lei a chiamare tua nonna in previsione della nascita del piccolo Oscar. Soffriva da morire, soffocando il suo fatale pianto, quando tu  confidavi  i tuoi patemi d’animo con il tuo droide, perché come avrai capito lei si è travestita da robot per stare vicino a te come da una vita".
“Basta, smettila ….”.
“Non mi perdonerò mai, per la mia negligenza …..”.
“Come potevi sapere … tu non hai colpa, ha organizzato tutto lei e …”.
“Lo so, ma avrei dovuto accorgermene in tutti questi anni”.

“Tu lo sospettavi, anzi nel tuo inconscio ne eri convinto, non lo volevi ammetterlo, altrimenti non avresti mai sposato una sconosciuta che non fosse la tua Oscar, ne sono convinto. Adesso vai da lei e abbracciala come sai fare tu, mi raccomando però non farla piangere”.
“Grazie Alain, sei davvero un amico”.
Così facendo andai incontro al mio unico grande amore, non ci lasciammo mai, il nostro destino si compì nel bene e nel male, nella vita e nella morte.














 










 
 

 





  
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