Film > The Phantom of the Opera
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Autore: kenjina    22/04/2011    2 recensioni
[Dal prologo] Quanto tempo era passato da quel giorno? Non lo ricordava, ma sentiva che era troppo poco, insufficiente per sbiadire il dolore che ancora provava forte e vivido, ogni istante, come se fosse accaduto solo pochi attimi prima. [...] Ma perché rimaneva ancora così attaccato alla vita? Aveva per caso qualche ragione per cui valesse la pena continuare a nascondersi per tenersi stretta l’unica cosa che odiava con tutto se stesso? I fantasmi continuano a vagare per il mondo dei vivi finché non risolvono le loro questioni in sospeso... Forse anche lui ne aveva una? Non lo sapeva, non voleva saperlo.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Bonjour

La Vita Nova.

 

Capitolo XIX

 

 

Erik ricordava alla perfezione quei passaggi umidi e bui che scorrevano sotto le strade di Parigi. Li ricordava così bene che sembrava fossero passati solo un paio di giorni dall’ultima volta che li aveva percorsi e non più di venti anni. Ricordi vividi di momenti che sarebbe stato meglio dimenticare affiorarono alla sua mente, irritandolo più del dovuto. Memorie di un’infanzia che nessun bambino avrebbe dovuto vivere, ma che lui invece aveva dovuto sopportare per un brutto scherzo della vita.

Si guardò le spalle, rendendosi conto di qualcuno che silenziosamente gli stava dietro, senza farsi notare. Loro sapevano che era lì, era esattamente quello che volevano. Quando tornò a guardare davanti a sé una figura gli si parò davanti, con le braccia incrociate sul petto. Non riuscì a capire di chi si trattasse, perché l’unica fiaccola accesa si stava per consumare tremolante, impedendogli di studiare i lineamenti dell’altro.

«Vieni, Erik. Il padrone di casa ti sta aspettando.» La voce di Faust echeggiò per tutto il lugubre corridoio ed Erik strinse i denti e i pugni per la rabbia. Di lì a poco si sarebbe nuovamente trovato faccia a faccia con il figlio dell’uomo che si era preso gioco di lui da piccolo, usandolo come mera attrazione per i passanti, deridendolo, picchiandolo. Ma lui non era più un bambino indifeso, succube delle loro prese in giro; no, lui era cresciuto, era diventato un uomo dalla grande personalità, un genio... e un uomo che sapeva difendersi. Un assassino, il tanto temuto Fantasma dell’Opera.

Portò una mano all’elsa a forma di teschio della sua spada lucente, che pendeva lungo un fianco nascosta dal mantello, e seguì l’uomo che gli faceva strada, continuando a lanciare occhiate di circospezione intorno. Si ritrovarono in quello che un tempo doveva essere un vecchio magazzino, ora il punto principale del rifugio di quella banda di zingari.

Lo vide alzarsi dalla sedia sbilenca, dietro un tavolo consumato dai tarli, ed allargare le braccia in segno di saluto. Guardandolo attentamente si accorse con stizza che il ghigno di derisione che gli aveva sempre visto in faccia non era ancora sparito. Avrebbe presto rimediato alla questione. Ora doveva solo far liberare Meg Giry, quella era la cosa che più gli premeva.

«Guarda, guarda chi è venuto a farci visita! Mostriciattolo, qual buon vento ti porta qui? Sentivi forse la nostra mancanza?», chiese Lucas, avvicinandosi di qualche passo a lui, anche se vide bene di mantenere una certa distanza di sicurezza, soprattutto quando si accorse dello sguardo infuocato dell’altro.

«Lasciala andare.»           

Il suono profondo e imponente della voce Erik gelò per un attimo il sangue nelle vene dei presenti; Lucas stesso rimase impressionato da quel tono che non ammetteva repliche, lo stesso tono di chi era abituato ad impartire ordini da una vita. Era evidente che il bambino impaurito ed assoggettato di un tempo era sparito per lasciar spazio ad un uomo che aveva pieno controllo di sé stesso.

«Però, sei cresciuto.», commentò lo zingaro, piegando il capo verso una spalla, incuriosito. «E hai anche buon gusto, la maschera che usi per coprire quella schifezza che hai in viso è un gran bell’oggetto.»

Erik non rispose alle sue provocazioni, sapeva benissimo che genere di uomo si trovasse davanti. Voleva rimanere lucido fino al momento in cui l’avrebbe ucciso, quel maledetto. «Lascia andare la ragazza.», ripeté con calma.

«Quale delle due? La biondina o quella a cui hai involontariamente fatto uccidere i genitori?», chiese con cattiva strafottenza, che fece rabbrividire di rabbia l’altro. «Sai, Phénix ti odia. Me l’ha detto lei giusto l’altro giorno. Devi essere stato molto cattivo con lei... Lo sai che le donne non si fanno soffrire?» Lucas scoppiò a ridere, scuotendo la testa. «No, certo che no. Tu non hai avuto nessuna madre né padre che potessero dirtelo, tanto meno una donna che ti insegnasse le buone maniere.»

Erik fu lesto ad estrarre la spada e premergliela al collo, ma altrettanto fulmineo fu Lucas, che gli puntò una pistola in mezzo alla fronte. Gli uomini presenti, intanto, erano sul chi vive, pronti per ogni evenienza.

«Ti piace la mia pistola? L’ho fregata ad un giovane soldato che camminava da solo in piena notte. Non c’è più la gendarmeria di una volta, non sei d’accordo con me?»

Erik strinse gli occhi guardando la canna dell’arma a pochi centimetri dal suo viso, poi spostò lo sguardo verso l’uomo che lo minacciava e che lui stesso minacciava.

«Getta la spada, amico.», gli consigliò Lucas. «Anche perché non so cosa ti convenga con una pistola in fronte. Gettala e possiamo iniziare a ragionare insieme sulla bella biondina.»

L’immagine di Meg che danzava lieta e felice, del suo sorriso, dei suoi cipigli severi che acquisiva con Christine quando questa faceva qualcosa di sbagliato e così simile alla donna che gli aveva salvato la vita quando ancora era un bambino, lo portò a far cadere di mano la spada lucente, che finendo per terra emise un suono metallico sordo, che rimbombò per tutta la stanza. Il teschio, nell’elsa, sembrava ridere derisorio e molti dei compagni di Lucas lo guardarono con timore, come cattivo presagio.

«Molto bene, Erik. Ora vai verso quella parete, qualcuno provvederà a tenerti fermo.», continuò Lucas, sempre puntandogli contro la pistola.

Due uomini si fecero avanti e, nonostante il brivido di paura che provarono nel sentire quello sguardo carico d’odio del prigioniero, gli ammanettarono i polsi su un anello di ferro sopra la sua testa e, una volta che si assicurarono che non potesse più muoversi, gli sputarono contro.

«Portate qui la nostra ragazza.», ordinò Lucas ai due, abbassando ora la pistola. Raccolse la spada che giaceva in terra e, avvicinandosi lentamente, gli sfilò la maschera con la punta dell’arma, ferendogli la carne già martoriata di suo. «Patetico. Se credi che una maschera ed un nome come il Fantasma possano incutere paura. Tu sei e rimarrai un mostro sfigurato.»

Erik distolse lo sguardo dall’uomo solo quando si accorse della figura femminile che entrò nella stanza e perse un battito quando vide Phénix sgranare gli occhi per lo stupore; era più sciupata del solito e aveva gli occhi rossi, gonfi per i lunghi e numerosi pianti. Diavolo, quanto gli era mancato anche solo poterla vedere da lontano!

«Erik...» Phénix si portò le mani alle labbra, sgomenta. Mai avrebbe pensato di rivederlo in quello stato, legato ed impossibilitato a muoversi. Lui, che invece non esitava un secondo ad uccidere se veniva messa in pericolo la sua vita o quella dei suoi pochi cari, lui che aveva seminato il terrore per anni in un teatro, lui che aveva avuto il potere di stregarla con i suoi modi autoritari ed eleganti, ma mai rudi.

«Sai Phénix, ci ho pensato parecchio in questi ultimi giorni.», esordì Lucas, ottenendo l’attenzione di entrambi. «Pensavo... Quest’uomo qui, o meglio, questo che dovrebbe essere un uomo, ha ucciso mio padre senza pietà. Non basta, per causa sua i tuoi genitori sono morti quando ancora avevi due anni. Se non fosse mai vissuto, se non avesse avuto l’aspetto di un mostro tutto questo non sarebbe successo.»

«Nessuno ti ha mai dato il permesso di giocare con la vita di un altro.», sibilò Erik, ora completamente furibondo.

«Taci! Non è con te che sto parlando, feccia!», gridò Lucas, tirandogli il calcio della pistola in viso e facendolo sanguinare copiosamente dal naso.

Phénix, dietro lo zingaro, si dovette mordere un labbro per evitarsi di gridare. No, non poteva permettere che lo ammazzasse, lei... lei era innamorata di lui, anche se le aveva mentito per tutto quel tempo!

Non smise di guardarlo neanche quando Lucas riprese a parlare.

«Mi chiedevo, dovrò farlo io o lo lascio a lei? In fondo lui ha strangolato mio padre.» Lucas corrugò la fronte, pensieroso. «Poi mi son detto: in realtà la piccola Phénix è stata privata di tutto, e non basta... le ha nascosto la verità!»

Erik socchiuse le labbra come per voler dire qualcosa, ma non fiatò. Si limitò a fissare gli occhi verdi della ragazza con dolore e risentimento.

«Sei sempre stata decisa, Phénix. Hai sempre mantenuto le tue promesse e per questo hai tutto il mio rispetto. Ora non deludermi: uccidilo.»

Phénix distolse di scatto lo sguardo dall’uomo sanguinante per guardare con orrore la pistola che Lucas, deciso, le stava porgendo.

«Uccidilo, Phénix.»

Impiegò qualche secondo prima di rendersi conto che quell’uomo stava dicendo sul serio. E in quel momento tutto il peso di quella terribile situazione si fece sentire come un macigno sulle spalle, che le impediva di muoversi, di ragionare a mente lucida. Riusciva solo a tremare sotto quello sforzo immane, tremare e piangere incontrollabilmente.

Il metallo della pistola era tiepido, riscaldato dalle dita di Lucas che fino a poco prima la stringeva tra le mani, ma lei rabbrividì come se avesse toccato del ghiaccio. Improvvisamente tutto divenne offuscato, tutto tranne la sagoma di quella povera anima appesa per i polsi, con il capo chino di chi si rassegnava alla sua fine.

Erik, abbandonandosi alla realtà, chiuse gli occhi quando la vide prendere l’arma tra le mani, riluttante, non avendo il coraggio di sostenere lo sguardo di una donna distrutta da tutte quelle novità, la stessa donna per cui provava l’immenso e tremendo sentimento per il quale si era maledetto in passato, la stessa donna che gli aveva detto di odiarlo e che presto avrebbe posto fine alle sue sofferenze.

Le mani che tremanti reggevano la pistola si sollevarono con lentezza verso di lui, mentre un dito cercava il grilletto.

Una lieve pressione e tutto sarebbe finito.

Per sempre.

Ma lo sparo non arrivò, non ancora.

Erik riaprì gli occhi solo quando si rese conto che la donna stava indugiando un po’ troppo per i suoi gusti. O forse era solo un modo per torturarlo lentamente, lasciandolo ai suoi rimorsi e ai ricordi di una vita funesta che, veloci, gli passavano davanti agli occhi?

Ma quando Erik capì le vere intenzioni della ragazza, lei aveva già spostato la pistola contro Lucas e non poté fare niente per fermarla.

Quella stupida!

«Che stai facendo, Phénix?», le chiese pacatamente Lucas, alzando un sopracciglio.

La zingara deglutì a fatica prima di parlare. «Ti ricordi cosa mi dicevi, anni fa? “Figli del vento, siamo i figli del vento.” Dimmi, Lucas, hai mai provato a fermare il vento?*»

L’uomo strinse gli occhi, ripetendo la domanda di prima. «Che stai facendo, sciocca?»

«Quello che avrei voluto fare da tempo

Il vento non si può fermare. Prova a fermarmi, ora.

«Abbassa la pistola, ragazzina.», le ordinò con incredibile calma l’uomo. Conosceva bene la ragazza per sapere che non gli avrebbe sparato. Non ne avrebbe avuto il coraggio.

«Tu lascia andare Meg ed io abbasserò la pistola.»

Lucas esitò un attimo, poi fece un cenno d’intesa a Faust, che aveva già la mano pronta sulla sua arma da fuoco. Questo sparì subito dopo, e Lucas tornò a guardare Phénix. Scoppiò a ridere due secondi dopo. «Non giocare, streghetta. Potresti farti male!»

«A te che importa?», chiese, stringendo convulsamente l’arma tra le mani. «Non mi pare che tu ci abbia pensato due volte a farmi del male.»

«Non ho mai alzato un dito su di te, maledetta ingrata!», esclamò furente Lucas. «E Dio solo sa quanto avrei voluto!»

«Non sono le percosse o le violazioni al mio corpo gli unici modi per procurarmi dolore, Lucas.», sibilò, gli occhi verdi che ribollivano di rabbia. «Mi hai sempre trattata come se fossi il tuo bamboccio, come se io avessi dovuto sottostare ai tuoi voleri. E io, troppo impaurita all’epoca, ti seguivo, perché ti temevo. Mi hai lasciata andare solo perché gli altri avevano iniziato a temere me, una strega secondo le loro stupide teorie!»

«Sei sempre stata innocua, Phénix. Non è il colore dei capelli a fare una persona.»

«Mi hai fatta seguire, se non fosse stato per Erik Dio solo sa cosa quei due disgraziati dei tuoi cugini mi avrebbero fatto.» Vide Lucas contrarre la mascella per il disappunto nel sentire nominare Victor e Nicolas, ma lei non vi prestò attenzione. «Hai ucciso mia nonna e con lei una parte di me. Hai messo in mezzo una ragazza che non c'entrava niente con questa storia solo per arrivare ai tuoi scopi... E non meno importante, non mi sembra che tu abbia fatto qualcosa per far scagionare i miei genitori per l’uccisione di tuo padre. Sapevi benissimo che loro non ne avrebbero avuto i motivi e nemmeno la forza. Non posso chiudere ancora un occhio.»

«Quel mostro ha ucciso mio padre!», tuonò Lucas, muovendo un passo verso la rossa. «Secondo te avevo anche la voglia di aiutare una mocciosa come te quando mio padre si ritrovava con un cappio al collo?!»

«E tuo padre non era da meno!», ribatté lei, con le lacrime agli occhi. «Se ci fossi stato tu al suo posto, che avresti fatto?»

Erik strinse i pugni per la avvilimento nel rendersi conto ancora una volta che quella donna lo stava difendendo, nonostante sapesse. Ma fu quello che sentì dopo che lo lasciò più sgomento di quanto già non fosse.

Tu hai ucciso nostro figlio. Te ne sei dimenticata, forse?

Alzò lo sguardo verso Phénix, gli occhi sbarrati mentre si rendeva conto che quella domanda era fondata. La vide morsicarsi il labbro inferiore, le lacrime che continuavano a sgorgare ormai senza freni sul suo viso scarno.

Figlio? Avevano avuto... un figlio?

Phénix singhiozzò rumorosamente, stringendo convulsamente la pistola tra le mani. «Hai mai pensato... Anche solo lontanamente... Che una ragazzina come me non poteva avere un figlio?», gli chiese, ormai senza forze.

«Era il nostro bambino quello che portavi in grembo, per Dio!», gridò l’uomo. «E tu hai permesso a quella vecchia di ucciderlo prima ancora che nascesse!»

«A stento mi reggevo in piedi, come avrei potuto farlo nascere?!», ribatté lei, distrutta dal ricordo. «Pensi che non avrei voluto vederlo crescere?»

Lucas sospirò rumorosamente, passandosi una mano sul viso imperlato di sudore. Erik, nel frattempo, a stento riusciva a credere alle sue orecchie.

«Ti ho amata, maledetta sciocca... E ti avrei amata anche dopo quello che è successo, se solo non mi avessi abbandonato. Quest’idea ti ha mai sfiorato quella bella testolina che ti ritrovi?», le chiese il gitano, più dolcemente.

Phénix socchiuse le labbra per rispondere, ma il grido disperato di Meg e il suono di uno sparo le fece voltare il viso verso la direzione del frastuono e Lucas ne approfittò per coglierla alla sprovvista e rubarle la pistola dalle mani, tirandole un colpo e facendola rovinare a terra. Il ghigno gli comparve nuovamente in viso e puntò l’arma verso Erik, avvicinando il dito al grilletto. «Mi son sbagliato sul tuo conto, mia piccola streghetta. Vuol dire che lo ucciderò io per entrambi. Con te facciamo i conti dopo.»

Il suono sordo di due colpi risuonò per l’intero ex-magazzino, facendo trattenere il fiato a tutti i presenti. Phénix sbarrò gli occhi umidi per le lacrime e provò a gridare, ma niente fuoriuscì dalla sua gola.

Ma la pallottola non colpì Erik, per lo meno non quella del primo sparo, che era partito da un Raoul de Chagny freddo e deciso, mentre a farne le spese maggiori fu Lucas, che cadde a terra reggendosi il petto, insanguinato. Voltò lo sguardo terrorizzato e vacuo verso Phénix, che piangeva a pochi passi da lui; poi cadde sul pavimento sporco e umido, senza muoversi più.

Raoul, accompagnato da alcuni soldati, ordinò di arrestare tutti gli altri zingari e si avvicinò al corpo senza vita dell’uomo a cui aveva appena sparato. Poi sollevò gli occhi verso colui che solo un anno prima aveva cercato di strangolarlo e di portargli via la donna amata. Se non fosse stato per Phénix che gli si era avvicinata in lacrime per controllare la ferita che aveva sul fianco, provocata da un colpo accidentale di Lucas, l’avrebbe finito lui stesso.

«Erik... Erik ti prego, guardami.»

Lui scosse la testa, stanco. «Non posso...»

Phénix gli prese il viso tra le mani e lo costrinse ad alzarlo. «Guardami.»

Lui aprì debolmente gli occhi e cercò di mettere a fuoco la figura china su di lui. Non aveva mai provato un dolore fisico come quel bruciare tremendo dovuto ad un’arma da fuoco, ma tutto sembrò svanire quando incontrò lo sguardo umido per le lacrime di Phénix. Non sentì la sua voce che lo chiamava, non sentì la ragazza gridare a Raoul affinché lo portasse da Faucon o da qualcuno che potesse medicarlo celermente.

Perse i sensi prima.

Phénix si alzò e corse incontro a Raoul, sconvolto dall’espressione terrorizzata della ragazza. «Vi prego, vi supplico, salvatelo!», gridò, afferrandolo per il bavero della giacca e scuotendolo con disperazione. «Morirà se qualcuno non lo curerà in tempo!»

Il Visconte lanciò un’occhiata al suo acerrimo nemico che ora era immobile e piegato su stesso, mentre la macchia rossa di sangue sul fianco si allargava sempre di più. «Morirà comunque. È un assassino e finirà al patibolo questa settimana stessa.»

«No, no, no!» Phénix strinse con forza e rabbia la stoffa del suo cappotto. Avrebbe anche potuto ucciderlo in quel momento. «È venuto qui per salvare Meg! Se non fosse stato per lui chissà cosa sarebbe successo!», esclamò tra le lacrime ed i singhiozzi la zingara. Poggiò disperata la fronte contro il petto dell’uomo, mentre lentamente perdeva ogni forza. «Per favore, ve lo chiedo per favore

La ballerina comparve in quel momento, accompagnata da un soldato ed avvolta in una coperta che avevano trovato da qualche parte, scossa ma viva e senza ferite. Raoul la guardò a lungo prima di prendere una decisione e di spostare lo sguardo su quell’uomo che, nonostante avesse ucciso, nonostante tutti i guai che gli aveva causato, si era rivelato il salvatore della piccola Meg e anche della sua Christine. L’aveva lasciata andare, sebbene l’avesse amata con una passione ed una follia che ancora stentava ad immaginare. Inoltre non poteva sopportare il peso dello sguardo di quella ragazza distrutta dal dolore, perché aveva capito quale sentimento la legasse a quell’uomo. Se lui avesse perso Christine era più che sicuro che avrebbe dato via la vita pur di salvarla.

La sua stessa Christine che prima di uscire di casa, quella mattina, lo aveva pregato di non fargli del male...

Ti prego, Raoul, ti scongiuro. Se è vero che mi ami salva anche lui! Fallo in nome del nostro amore.

«D'accordo, vi accontenterò.» Phénix sollevò lo sguardo stupito ed insieme riconoscente su di lui, facendolo sospirare. «Ma non posso assicurarvi la sua salvezza da un processo.»

«Grazie, grazie!», gioì tra le lacrime la ragazza, che gli si appese al collo per abbracciarlo.

Raoul fece chiamare urgentemente il cugino, che era rimasto tutto il tempo nascosto dietro un angolo per paura di essere coinvolto, e con l’aiuto di alcuni soldati portarono il corpo di Erik fuori da quei cunicoli bui ed umidi, diretti alla villa del Visconte stesso per dargli le prime cure e togliergli il proiettile dal fianco.

Phénix guardò la carrozza andare via veloce, poi cadde in ginocchio, piangendo tutte le lacrime che le erano rimaste. Quando Claire Louise Giry la trovò in quello stato non riuscì a non versare anche lei una lacrima e pregò Dio che Erik si salvasse e donasse un po’ di tranquillità a quelle due anime che per troppo tempo avevano vissuto nell’angoscia.

 

 

 

Continua...

 

 

Ammetto che la facilità con cui Erik si abbassa a gettare la spada ha lasciato sgomenta anche me, ma ho pensato che fosse un uomo senza più niente da perdere, che sperava così facendo di poter salvare almeno Meg... spero vi sia piaciuto anche questo capitolo! ;)

A presto!

Marta.

   
 
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