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Autore: RachelWantsToGoToBroadway    23/04/2011    7 recensioni
Una piccola (per modo di dire) fanfic Shizuma-centric, ambientata dieci anni dopo una fantomatica separazione tra Shizuma e Nagisa. Le due si rincontreranno in un parco pubblico e Shizuma verrà assalita da ricordi ed inquietudini, ma quanto è cambiata veramente la sua Nagisa-chan?
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti, eccomi qui con il mio primo racconto Shoujo-ai. Ho scelto Strawberry Panic perchè, essendo il primo anime yuri che ho visto, lo sento molto più caro e vicino rispetto a tutti gli altri e...spero che piaccia.

Per leggere il racconto, vi basta sapere che “san” è una formalità, comune tra persone con poca intimità, accumunate solo da un rispetto reciproco che in Giappone è assai importante (o almeno così mi hanno detto, ammetto di essere leggermente ignorante in materia), e chiamare una persona con il solo nome è la maggior forma di intimità, mentre “chan” è una forma di amicizia molto stretta, ma io l'ho concepito di modo che tra Shizuma e Nagisa sia una sorta di vezzeggiativo con cui la più grande (Shizuma), si diverte a chiamare la più piccola (Nagisa)...una sorta di “piccola mia”, ma questa è solo una mia interpretazione da ignorante XD!

Beh, buona lettura! Accetto sia commenti positivi che critiche, ma non disdegno nemmeno inviti ad andare a cogliere i pomodori o darmi all'ippica, perciò approfittatene, è una buona occasione per scuoiarmi viva ^^ <3

 

Il giorno in cui la rividi, mi sorpresi di come quei dieci anni che ci separavano dal nostro ultimo incontro avessero maturato il suo aspetto, ma non intaccato la sua straordinaria bellezza innocente. La vidi seduta su una delle tante panchine blu del parco pubblico -nel quale amavo trascorrere i pomeriggi assolati come quello- intenta a leggere un volumetto in edizione tascabile, con i capelli rossi e fluenti come lingue di fuoco che ricadevano dolcemente sulle pagine ingiallite del libro, notevolmente più lunghi rispetto al taglio scalato che l'aveva accompagnata durante la sua adolescenza. Le gonne svolazzanti e le camicie da marinaretta avevano ceduto il posto ad un paio di jeans chiari ed a una scialba maglietta bianca, niente pareva lasciar trapelare che, sotto a quell'abbigliamento anonimo, si nascondesse, o meglio, si fosse nascosta una ragazza estrosa, vivace ed amante dei colori intensi, che più volte era stata sul punto di piangere a causa del senso di oppressione che le incuteva la severa divisa scolastica.

Notai che aveva mantenuto la medesima postura impeccabile che caratterizzava le ragazze educate al collegio di Miatre -postura che persi non appena ebbi conseguito il prestigioso diploma che offriva tale istituto- e mi sorpresi di quanto le gambe che teneva graziosamente accavallate fossero dimagrite.

Il suo viso era chino sul libricino che teneva sulle ginocchia, così ché io non riuscii a scorgere i suoi lineamenti che, di pari passo con il resto del corpo, dovevano essere notevolmente cambiati, cresciuti, maturati ed improvvisamente fui assalita da un'anomala inquietudine. Chi sa che cosa era rimasto della dolce Nagisa-chan alla quale dovetti dire addio quel maledetto pomeriggio d'agosto in cui i nostri sguardi si erano incrociati per l'ultima volta e le nostre labbra si erano concesse un conclusivo contatto, bagnato dalle calde lacrime che scivolavano copiosamente dagli occhi di entrambe, il tutto lenito dall'ombra del nostro vecchio albero che, con le sue fronde, tentava di avvolgerci affinché nemmeno un raggio di sole potesse intromettersi in un momento solenne come l'addio tra due amanti.

Io avevo sofferto tanto in quei dieci anni passati in giro per l'Asia, rintanata in biblioteche sperdute, studiando lingue levantine e cercando l'ispirazione per il libro che aveva fatto spiccare la mia carriera di scrittrice e tutto ciò per sfuggire ai ricordi, al passato ed alla mia famiglia, indignata a causa della mia condotta e del mio rifiuto verso qualsivoglia impegno sentimentale, ma il ricordo della mia Nagisa che correva spensierata sui prati della collina di Astrea o il profumo dei mazzi di anemoni azzurri che mi metteva tra le mani al mattino, gridandomi: “buongiorno, Etoile-sama!”, in più di un'occasione mi avevano aiutato a superare i momenti di depressione più buia.

Quelli erano i ricordi più belli che avevo, ma il solo pensiero che la ragazzina dolce ed ingenua di dieci anni fa si fosse trasformata in una donna matura ed accorta mi spaventò, inducendomi a chiedermi cosa ci facessi ancora lì, in piedi poco distante dalla panchina sulla quale si era seduta una Nagisa assorta nella lettura e sicuramente diversa dalla Nagisa-chan di dieci anni fa, la quale non sarebbe mai riuscita ad immergersi in una trama al punto di non accorgersi di ciò che le succedeva attorno. Mi resi conto che quella donna non mi apparteneva più e che se mi fossi scontrata con il suo viso e se non avessi trovato le stesse cose dentro agli occhi cremisi dei quali mi ero innamorata, probabilmente non sarei più riuscita a ricordare il profumo degli anemoni, né tanto meno quello del fresco prato nel quale passavamo le nostre giornate e senza quei ricordi, cosa mi restava? Niente. Capii che ormai non potevo fare più niente per proteggere Nagisa dall'operato del tempo, che infine l'avevo persa, ma c'era ancora tempo per segregare i ricordi in un punto remoto della mia mente, dove avrei potuto nasconderli al tempo e rinvenirli quando avrei avuto bisogno di un po' d'innocente dolcezza.

Mi voltai decisa ad andarmene, quando udii un sussurro flebile alle mie spalle invocare il mio nome: _ Shizuma _.

C'era esitazione in quella voce che non era rimasta quella di una volta.

Forse non mi aveva riconosciuta, in fondo, anch'io ero cambiata molto, sia interiormente che fisicamente.

Mi volsi lentamente nella sua direzione e, appena incrociai il suo sguardo, tutto intorno a noi sembrò scomparire. Improvvisamente non eravamo più due donne in un parco, eravamo Shizuma e Nagisa immerse l'una nello sguardo dell'altra, cercando di capire quanto il tempo ci avesse cambiate e quanto il crudele realismo del mondo adulto avesse scalfito i nostri cuori.

Nagisa sbatté le palpebre incredula, si alzò dalla panchina facendo inesorabilmente precipitare a terra il libro che teneva tra le mani e si avvicinò a me lentamente, quasi avessi potuto sparire da un momento all'altro come il miraggio di una fonte d'acqua nel deserto. Mentre copriva la distanza che ci separava con passo incerto, il conflitto interiore che stava avendo luogo nel mio cuore si era del tutto placato ed il mio cuore aveva riscoperto quella magnifica sensazione di rilassante stabilità che non riuscivo a concedermi da...dieci anni.

I suoi occhi adesso non erano più quelli di una ragazza, erano gli occhi di una donna matura che aveva vissuto e sofferto, ma serbavano ancora tutta la bontà e l'esuberanza che l'avevano contraddistinta dieci anni prima.

Si avvicinò sempre di più alla mia figura immobile, con espressione triste ed impaziente allo stesso tempo, poi, fermandosi a pochi centimetri da me, finalmente ruppe il silenzio che si era creato.

_ Non riesco a crederci _, mormorò incatenando i suoi occhi color rubino ai miei, _ non avrei mai immaginato di rivederti _, confessò con un tono di voce più fermo, così che potessi sincerarmi che anche la sua voce non era più quella acuta e tintinnante di un tempo.

Abbassai leggermente lo sguardo, spezzando quel legame visivo che riusciva a farmi sentire in colpa per averla abbandonata, ma, sopratutto, per non essere riuscita poi a dimenticarla.

_ Nagisa...ehm...Nagisa-san _, mi corressi immediatamente valutando la situazione. Il tempo, gli eventi, avevano logorato il nostro legame che, pensavo, sarebbe durato per sempre.

_ Ti...ti trovo bene _, commentai maledicendomi un secondo dopo per essermene uscita con una frase così idiota, di quelle che sono utili solo per rompere il ghiaccio. Beh, forse tra di noi un po' di ghiaccio si era formato, ma volli illudermi che fosse solo uno strato superficiale, come quella sottile patina di gelo che si formava in inverno sul laghetto situato nella campagna circostante alla collina di Astrea: troppo resistente per romperlo con la mano, troppo fragile per pattinarci sopra.

_ Anche tu mi sembri in forma, Shizuma _, disse accentuando particolarmente il mio nome ed il fatto che non avesse usato forme di cortesia, sorprendendomi a tal punto da indurmi a guardarla negli occhi in cerca di una spiegazione, infliggendomi così una tortura non indifferente.

Nagisa sostenne degnamente il mio sguardo, ostentando una sicurezza che io non avevo mai avuto, né, tanto meno, avevo mai visto in lei.

_ Hai anche...il coraggio di fingere che tra noi non ci sia mai stato un minimo di intimità? _, sbottò Nagisa con gli occhi lucidi.

Inizialmente, quando ci eravamo appena messe insieme, il suo carattere e le sue reazioni erano state per me un autentico mistero e mi avevano fatto passare diverse notti in bianco rintanata nella serra dell'Etoile a corrodermi l'anima, ma con il tempo avevo compreso così bene le sue emozioni da riuscire perfino a prevedere come avrebbe reagito difronte a certe cose.

Avevo realizzato che, in Nagisa, il pianto non stava a significare solo tristezza, ma anche felicità, gelosia, paura e , sopratutto, rabbia.

E in quel momento era arrabbiata.

_ In dieci maledettissimi anni non mi hai mai mandato una cartolina per sapere se ero viva o morta, o meglio, per farmi sapere se tu eri viva o morta, poi, un bel giorno, mi fermo davanti ad un abnorme cartellone pubblicitario con su scritti il tuo nome, il titolo del tuo libro ed un mucchio di sviolinate, come: “nuova rivelazione del genere shoujo” o “il romanzo più passionale degli ultimi vent'anni”.

Allora entro in libreria, compro una copia di “Watashi wa, watashi no ai gomen'nasai”, lo apro e..._, la sua voce venne rotta da un singhiozzo, mentre le lacrime iniziarono a scendere copiosamente dai suoi occhi, ma ciò non fece sì che interrompesse il racconto di ciò che recava nel cuore da anni, anzi, proseguì con rinnovata determinazione, _ poi, leggendo il libro, scopro che è la cronaca degli anni in cui siamo state insieme. Davvero...hai solamente cambiato i nostri nomi e l'ambientazione, poi il resto è tutto dannatamente uguale agli anni di Miatre.

Ora, avevo deciso di fingere che non mi importasse del fatto che hai speculato sui ricordi più belli che avevo, sui nostri baci, sulle carezze, sulle parole dolci, sui regali...ma il fatto che le uniche cose da dire che hai trovato, dopo dieci anni di separazione, siano “Nagisa-san, ti trovo in forma”, questo non mi sta affatto bene! _, concluse scrutandomi, abbandonando le braccia lungo i fianchi e serrando le mani a pugno.

Allora, questo era ciò che sentiva?

Questo era ciò da cui ero fuggita per dieci anni?

Ero stata spaventata da un malinteso?

Senza pensarci due volte, abbracciai di slancio Nagisa, circondandole possessivamente la vita e nascondendo il volto trai suoi lunghi e morbidi capelli rossi, respirando a pieni polmoni il suo dolce odore, aspettando pazientemente che le lacrime tanto trattenute fossero pronte ad uscire ed a rigarmi il viso. Non piangevo da così tanto tempo che, quando le lacrime scesero dai miei occhi, fu come se il mio cuore fosse diventato un po' più leggero...beh, forse non fu tutto merito delle lacrime.

_ Perdonami, Nagisa-chan _, singhiozzai stringendola a me con più forza, senza che lei accennasse a ricambiare l'abbraccio, ma neanche a respingermi, _sono solo una codarda che non vuole affrontare i suoi sentimenti, una sciocca che vive nei ricordi e non pensa a cosa ha perso nel presente ed io mi rendo conto di averti persa. Nagisa, mia dolce Nagisa-chan...io ti amo, ti amo più della mia vita e questi anni senza di te sono stati così vuoti che, certe mattine, l'unica cosa che riusciva a farmi alzare dal letto era il ricordo del tuo viso, il tuo bellissimo viso...perdonami per tutte le sofferenze che ti ho causato _, dissi chiudendo gli occhi colmi di lacrime e lasciandomi andare in un pianto disperato, con il volto seppellito nell'incavo del collo di Nagisa, pronta a ricevere uno spintone che mi allontanasse da lei ed uccidesse l'ultima speranza che queste belle parole bastassero a ricostruire un legame quando, forse, Nagisa non mi amava più e, probabilmente, aveva ricominciato la sua vita con un'altra persona. Una persona degna di lei, che non le faceva mancare niente e che non l'aveva mai fatta sprofondare nella sofferenza.

Ma, almeno per quel giorno, alle mie illusioni venne concesso, oltre che al diritto di esistere, un inaspettato ed incredibile lieto fine, dato che fu il momento più bello della mia vita quando sentii che Nagisa si stava distendendo sotto il mio abbraccio e le sue mani si posarono sui miei fianchi, salendo fino ad intrecciarsi dietro

al mio collo, stringendomi teneramente.

_Ti perdono perchè non ho mai smesso di amarti per un secondo. Sì, sei una sciocca, ma sei la mia sciocca e ti amo troppo, per questo ho sofferto tanto, perchè tu sei l'unica persona al mondo capace di farmi vivere nell'agonia per tanto tempo _, disse con una punta di malinconica allegria nella voce -quell'allegria che, a volte, risulta quasi sadica e masochista-, staccandosi leggermente da me in modo da potermi guardare negli occhi continuando, però, a tenermi stretta a sé alzando appena appena la testa per osservarmi dato che, nonostante fosse molto più alta di prima, io ero comunque sopraelevata di una buona decina di centimetri. Scoprire che anche la naturalezza dei nostri abbracci era rimasta la stessa di quando frequentavamo il collegio mi fece sorridere.

Tornai a focalizzarmi sul suo viso incorniciato dai capelli rossi che creavano un bellissimo contrasto con la pelle nivea, poi gli occhi grandi di uno spettacolare color cremisi coronati da lunghe ciglia nere elegantemente incurvate verso l'alto, il nasino alla francese e le perfette labbra carnose bagnate dalle lacrime, proprio come il giorno in cui dovetti dirle addio.

Portai le mani sul suo volto e asciugai teneramente le lacrime che solcavano le sue gote, al che la vidi imporporarsi lievemente sotto gli occhi ed esibire un sorrisetto imbarazzato che ricordavo benissimo, in ogni singolo dettaglio.

Il tempo aveva cambiato molte cose, perlopiù superficiali, perciò del tutto trascurabili, ma non era riuscito a scalfire né la bontà, né il sorriso, né l'innocenza e né gli occhi della mia Nagisa-chan, questo era tutto ciò che contava per me, tuttavia, mi era rimasto ancora un dubbio.

Presi il suo viso tra le mie mani e poggiai delicatamente le mie labbra sulle sue, saggiandone la vellutata morbidezza e la consistenza così familiare che non mi capacitai di essere riuscita a vivere senza di esse per talmente tanto tempo.

Eravamo di nuovo una cosa sola, sospese nel nostro mondo perfetto, le cui porte si aprivano solo tramite quello straordinario contatto che ci rendeva cieche, incuranti della realtà esterna, delle altre persone che passeggiavano nel parco e del fatto che, effettivamente, fossimo proprio al centro della passeggiata. Sentii le mani di Nagisa intrecciarsi tra i miei capelli per approfondire il bacio ed io ansimai sommessamente per la mancanza d'ossigeno facendo scendere le mani fino a farle posare sulla sua vita, allorché ci staccammo.

Sul volto di Nagisa era impresso la stesse espressione appagata che -immagino- dovesse figurare anche sul mio viso, nonostante l'aggettivo “appagata” fosse a dir poco riduttivo per quanto mi riguardava. Nemmeno tutte le più belle parole del mondo sarebbero riuscite a rendere il mio stato d'animo in quel preciso momento.

_ Oh, si sta facendo buio _, mi fece notare Nagisa alzando gli occhi al cielo che iniziava a tingersi di scuro.

Io, dal canto mio, non volevo assolutamente lasciarla e nemmeno lei sembrava intenzionata a liberarmi i fianchi, così proposi la cosa che mi parve più giusta da fare.

_ Nagisa-chan, abbiamo molto tempo da recuperare, che ne dici di fermarti per cena a casa mia? Il mio appartamento dista solo pochi isolati dal parco, poi posso riaccompagnarti a casa con la macchina e..._, mi posò un dito sulle labbra, fermandomi dolcemente.

_ Ero già tua al “Nagisa-chan” _.

Senza dire niente, intrecciò la sua mano alla mia e mi indusse a seguirla verso la panchina su cui era seduta quando la vidi all'inizio del pomeriggio. Il volumetto tascabile giaceva a terra semiaperto con la copertina blu macchiata di terra che rendeva impossibile leggerne il titolo.

Senza lasciare la mia mano, Nagisa si chinò per raccoglierlo da terra, strusciò la copertina contro il denim dei pantaloni al fine di pulirla ed, in fine, mi porse il libro in modo che potessi leggerne il titolo.

Me lo portai davanti agli occhi con sguardo interrogativo e lessi il titolo ed il nome dell'autore ad alta voce.

_ Watashi wa, watashi no ai gomen'nasai, di Hanazono Shizuma _, mi fece eco Nagisa.

_ Nonostante non mi piaccia il fatto che tu abbia pubblicato la nostra storia, devo ammettere che è scritto benissimo e la trama come potrebbe non piacermi? Anche se a mal in cuore, lo considero il mio libro preferito _, concluse con un sorriso rilassato.

_ So che forse questo non ti farà cambiare idea sulla mia presunta speculazione, ma hai letto la dedica all'inizio del libro? _.

Si rabbuiò assumendo un'espressione inquisitoria: _ Perchè? C'è una dedica? _.

_ Certo, è all'inizio del libro. Forse non l'hai vista perchè è nell'angolo in fondo, sotto il nome della casa editrice _, spiegai lasciando delicatamente la sua mano per sfogliare il tascabile.

Una volta trovata l'esatta ubicazione della dedica, porsi il libro aperto a Nagisa, affinché potesse leggere con i suoi stessi occhi la misura dei miei costanti pensieri nei suoi confronti.

Nagisa corrugò la fronte con la testa abbassata sul libro e lesse la dedica che le era sfuggita in precedenza.

_ “Dedicato alla meravigliosa persona che mi ha fatto ritornare in vita. Non lasciare che il tempo deturpi il tuo spirito immacolato. Ti amerò per sempre, mia N-chan, non dimenticarlo mai” _.

Nagisa alzò lievemente la testa e mi guardò profondamente negli occhi.

_ Mi perdoni? _, chiesi con il cuore in gola, stropicciandomi le mani.

Un sorriso ed un semplice: _ sì, amore mio _.

 
 

   
 
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