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Autore: MarchesaVanzetta    23/04/2011    2 recensioni
Una vecchia zia e una brillante nipote. Insieme sono una coppia unica ma incompresa.
Dedicata a CerealSoup, perchè in fondo è la mia nipotina. Secondo me esagera a chiamarmi zia, ma... bhe, lei è semplicemente fantastica.
Auguri di buona Pasqua! :)
Genere: Fluff, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Era Pasqua e tutta la famiglia era riunita nella casa di una delle numerosissime zie.
Ognuno aveva portato qualcosa, chi l’arrosto, chi le verdure, chi l’antipasto e chi la colomba.
Ora il tavolo era lì, in mezzo all’ampia sala, vuoto. La tovaglia verde di carta era stata strappata dai bambini e macchiata dagli adulti, i piatti erano vuoti e la le briciole e i vari avanzi giacevano abbandonati.
Le tazzine del caffè, ancora calde, erano impilate sommariamente e coloro che le avevano appena usate erano sdraiati sul divano, con le cerniere dei pantaloni aperti per stare più comodi.
Tutti erano mezzi addormenti per essersi rimpinzati, come tutti gli anni, delle prelibatezze cucinate dalle mogli, dalle cugine e dalle zie.
I bambini erano addormentati per terra, sul morbido tappeto azzurro con disegni viola, abbracciati ai peluche con cui stavano giocando, gli uomini borbottavano ognuno qualcosa su un certo politico che era appena passato in televisione, non ascoltando gli altri e le donne erano in cucina, intorno al tavolo, bevendo una tisana specialissima portata da Carlotta, la viaggiatrice di famiglia, dalla Germania.
Il composto di fiori e erbe secche colorava di rosso l’acqua bollente della teiera, racchiuso in un colino di metallo. Tutte sorseggiavano quella specialità, cercando di catturare il sapore sulla lingua per decidere se fosse buono o no e se fosse necessario ordinarne altra.
Solo due persone non erano intente in quelle attività così dolcemente rilassanti, zia Anna e la nipote Cecilia, che erano chiuse in biblioteca.
“Zia, posso chiederti un favore?” chiese Ceci, sapendo che per lei la sua zietta avrebbe fatto qualunque cosa.
“Ma certo tesoro! Dimmi tutto.” Rispose benevolmente l’anziana signora.
“Ecco, ho scritto queste poesie… potresti leggerle e dirmi cosa ne pensi? Sii sincera però, voglio un giudizio oggettivo.”
Con un sorriso divertito la donna prese i fogli scritti ordinatamente e legati insieme da un nastro di raso rosso. Lesse sempre più stupita le parole della nipote, estasiata da quelle poesie così belle, con immagini straordinarie e sintassi curata, attenta, ricercata. Amò ogni parola, ogni virgola, ogni enjambement.
Si animò e si commosse, e il suo vecchio cuore le sembrò quasi che tornasse a galoppare, a battere forte. Mai aveva provato un’emozione così grande.
E pensare che l’aveva provocata quella ragazza che era ormai una signorina le riempiva ancora di più di gioia il cuore.
Ricordava ancora quando le aveva insegnato a leggere prima di tutti i suoi coetanei, per condividere con lei il suo unico amore, e aveva passato insieme lunghi pomeriggi con la nipotina e un grosso libro in braccio.
Ricordava quella litigata col fratello, Luca, che la accusava di deviare la sua bambina. Gli aveva risposto che poiché lui non la considerava e sua moglie neanche l’avrebbe educata lei, e che spingesse pure i suoi due primi figli verso lo sport e il vile successo, avrebbe pensato lei a crescere con sani principi quel bocciolo di suo nipote che presto sarebbe sbocciato nel più bel fiore della famiglia.
Luca, dopo tanti sbuffi e urla, aveva infine accettato che la bambina, dopo l’asilo e poi dopo la scuola, andasse a mangiare dalla sorella e che tornasse poi a casa per cena.
Anna viveva in solitudine, ma amava quel silenzio.
Non si era sposata –riteneva il matrimonio una forma di schiavitù legalizzata- e tantomeno aveva avuto figli: proprio non voleva dedicare ad un marmocchio urlante la sua vita e le sue notti. Inoltre i suoi libri non avrebbero gradito sporche manine di bimbo ad imbrattare le loro pagine preziose, anche se non più bianche. Moltissime infatti erano state già consumate dal tempo e dalle sue mani, sempre pulite e asciugate con cura, che le avevano nel tempo accarezzate e venerate, e colorate di righe di grafite azzurre, verdi e gialle per sottolineare le frasi più importanti, le dichiarazioni d’amore più struggenti e gli insegnamenti più saggi.
Tutto quell’amore per i libri non aveva sostituito quello per gli uomini, era solo stato maggiore. Nel corso della sua vita aveva avuto diversi uomini e parecchie avventure ma ogni sera tornava nell’appartamento che si era comprata con i primi soldi fatti come correttrice di bozze, lavoretti saltuari e bibliotecaria, tra i suoi amatissimi libri.
Aveva quindi sempre vissuto un po’ da vecchia, come dicevano le sue amiche, ma era anche stata la più intraprendente: era stata la prima a baciare un ragazzo, e ad averne uno fisso, a perdere la verginità e ad avere una relazione con un uomo sposato.
Ma lei non considerava questa la vera vita: lei viveva tra le pagine di quei libri, tra le sagge parole di Platone e le bizzarrie di Pennac.
E, trovata nella nipote un’anima affine, le aveva trasmesso tutto quello che per lei era importante, dalla cura dei libri, alla loro catalogazione, al riconoscere dalla copertina il genere dello scritto.
L’aveva sempre trattata come un’adulta, non nascondendole niente. Quando un paio d’anni prima le aveva chiesto da dove venivano i bambini le aveva spiegato tutto, dalla parte più scientifica a quella più emozionale, esponendole le emozioni dell’orgasmo e di un rapporto sano con il proprio compagno.
E ora, finalmente, il suo bocciolo era diventato un fiore, come una magnifica peonia rosa, grande, profumata e preziosa, il fiore della Città Proibita.
Quante volte avevano fantasticato insieme su giardini e palazzi e sempre avevano inserito nelle loro descrizioni una macchia di piante di peonia, che con il loro profumo delicato rendevano l’aria degna degli dei.
“Sono bellissime” le disse infine la donna, rispondendo alla muta domanda che lampeggiava nei guizzanti occhi della ragazza “Non ho mai letto niente di più bello”.
Si abbracciarono commosse e Cecilia si strinse al profumato e morbido petto della zia. Sapeva di peonie.
“Zia, sai di peonie” le disse, la voce un poco soffocata dalla lana del maglione verde che indossava Anna.
“Lo so tesoro, mi hai abbracciato”
“Cosa?”
“Sei una peonia Cecilia. Forse non te rendi conto, ma di tutti i tuoi cugini sei sempre stata la meno considerata, e in parte è stata colpa mia, che quasi ti ho rapito per farti vivere con una vecchia zitella, tra libri e cioccolato. Ma ti dirò, non me ne sono mai pentita, e ora che ho letto questi pezzi di vita incastonati nelle tue nere parole, pronti a soffiare una brezza benefica su tutti, indistintamente, anche sul mio cuore un po’ arrugginito, non posso che esserne felice. Tutti gli altri miei nipoti mi hanno sempre vista con un velo di indifferenza e sospetto calato loro sugli occhi dai loro genitori, i miei fratelli.
Tu… tu no, sei sempre stata l’ultima ma ora sarai la prima.
Chiamerò Marco, ti ricordi di quell’editore di cui ti avevo raccontato?, e gli farò pubblicare un libro con le tue poesie. Tutti devono sapere che la mia Ceci è finalmente sbocciata in una delicata, fragrante e bellissima peonia!” concluse la donna, stringendo forte a sé quel corpo adolescente, così pronto ad accogliere la vita in ogni sfumatura, che sentiva sarebbe diventato il corpo di una donna fantastica e, chissà, magari anche un po’ somigliante a lei.
 
 
 
 
 


Un anno dopo
 
Una peonia giaceva tra i libri, nella foto della copertina del libro di Cecilia.
Finalmente era stato pubblicato, e tutti l’avevano finalmente ascoltata e ne erano rimasti meravigliosamente sorpresi, vedendo come era venuta su quella ragazza un po’ solitaria ma in realtà così solare.
Cecilia, prima di iniziare a mangiare, chiese un attimo di silenzio e, aperto il suo libro, Libri e peonie, lesse la dedica iniziale: “A te, e sai a chi mi riferisco.
A te che mi hai rapita dalla mia famiglia quando ero ancora piccola per introdurmi nel tuo mondo, fatto di carta, inchiostro e polvere, ma così luminoso e invitante da eclissare quello esterno. Sono cresciuta nella tua casa, quasi non vedendo il resto della mia famiglia crescere, diventare adulta ed ottenere successi.
Io no, ero sempre esclusa, come te, in un esilio volontario che non ci aveva portato ad Elba ma in luoghi e tempi più lontani, circondate dalla soffusa e calda luce della conoscenza.
A te, zia Anna, dedico con immenso amore la mia prima raccolta di poesie perché spero che così te ne arrivi almeno una copia, lì dove sei.
Aspettami, arriverò anche io, prima o poi.”
Tutti applaudirono, ricordando ora con un poco di affetto quella stramba donna morta d’infarto tra i suoi libri, trovata morta sull’edizione preziosa de La tigre della Malesia: così, come una tigre di Mompracem, era scappata dalla sua grigia vita terrena per rifugiarsi infine in una giungla di fantasia.
  
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