Eccomi qui!
Non vi aspettavate questa fic, eh? Beh,
nemmeno io.
Dunque, è il caso di chiarire che questa fic
è correlata a Lui,
quel bastardo, ma non è un seguito. E ve ne accorgerete leggendo!;)
Come dire... Queste fic sono state scritte in
brutti momenti, quindi sono impregnate di amarezza e cinismo, e anche ad una
certa inadeguatezza nei riguardi del mondo e di quel che circonda i nostri
eroi, ho preferito descrivere il più realisticamente possibile i sentimenti che
potrebbe provare una persona come Gerard...
Beh, attendo qualche commento, tanto per sapere che questa oneshot è gradita o è una completa cazzata.
Buona Pasqua a tutte!
Me nello specchio
Piangere e
non riuscirci.
Sempre, tutte le volte, un vuoto al petto, sotto i piedi, nella testa, ma
niente lacrime, nessuna, non una goccia, non un qualcosa che testimoniasse che
era vivo.
Era vivo?
C’erano volte in cui si guardava allo specchio e se lo chiedeva, guardandosi
negli occhi. Cosa c’era rimasto del vecchio Gerard di un tempo?
Niente. Nemmeno il colore delle iridi era più lo stesso. Adesso era dorato,
macchiato di un lucore insano, diverso, denso, cos’era quella, avidità,
superbia, disperazione, cosa?
Certe volte avrebbe voluto rannicchiarsi in un angolo e urlare, urlare fino a
bruciarsi le corde vocali, urlare fino a che tutti in città non l’avessero
sentito, urlare finché tutti non sarebbero accorsi tentando di sfondare la
porta e trovarlo lì, senza forze, senza fiato, forse senza vita.
A qualcuno sarebbe importato se lui sarebbe morto o meno?
Gerard credeva di no.
O almeno, Mikey, certo, era suo fratello, sangue del suo sangue, avrebbe pianto
per aver perso una persona con cui era cresciuto. Avrebbe rimpianto un ragazzo
del passato, non l’uomo del presente.
A nessuno importava di Gerard Way come era adesso, quello stronzo
menefreghista, quel narcisista, quella primadonna, quella dannata diva che se
non aveva i riflettori costantemente puntati su di lui non stava bene, che se
non riceveva attenzioni da chiunque si sentiva messo da parte.
Ecco quello che tutti pensavano di Gerard Way, che era un oggetto per se
stesso, che aveva rinchiuso l’anima da qualche parte buttando via la chiave,
che non gliene importava nulla di quelli che lo circondavano, che per lui
andava tutto bene almeno finché le luci gli accecavano quello sguardo spento,
che era uno stronzo, che non sapeva cantare, che aveva fatto solo un album che
valesse la pena ascoltare per quel che trasmetteva, e il resto non era stato
altro che banalità commerciale come qualsiasi altra band da due soldi.
Gerard Way non valeva niente.
E lo sapeva benissimo.
Sapeva benissimo di non essere un gran cantante, aveva una voce per niente
melodiosa, si impegnava poco per migliorare, e neanche gli piaceva tanto
l’idea. Sapeva benissimo di non essere un gran simpaticone, lunatico come una
mestruata, solitario quando gli andava, con un’ironia cinica e malevola, che
difficilmente dava fiducia alle persone, risultando un arrogante quando invece
era soltanto il solito timido Gee che era stato anche
a dodici, a sedici, a vent’anni. Sapeva benissimo di non essere bravo in
niente, impedito con gli strumenti musicali, patetico nello scrivere testi, bravino nel disegnare, ma per niente eccezionale, era uno
nella media umana, uno senza qualità, con sogni troppo grandi che si erano
ridimensionati nel tempo. Sapeva benissimo di vivere una vita in bilico,
un’altalena di dubbi, problemi, tra un passato che ogni tanto bussava ancora
alla porta e un futuro che a volte gli andava incontro, a volte gli tirava di
quelle sberle da farlo cadere a terra. Sapeva benissimo di non essere la
persona migliore del mondo, forse nemmeno la peggiore, ma andava vicino al
podio.
C’erano volte in cui avrebbe voluto far morire Gerard Way, quel Gerard
Way, seppellirlo nell’immenso cimitero dello showbiz
e ritornare ad essere il solito invisibile Gerard Way che disegnava cartoni
animati e progettava storie per adolescenti mai cresciuti, avrebbe voluto
cancellare tutto senza riscrivere, tirare la gomma sul passato e rendere tutto
bianco, cancellare l’11 settembre, il suo matrimonio, sua figlia - per quanto
la amasse non la sentiva sua - gli album, i My Chemical Romance.
Cosa gli era venuto in mente quando aveva deciso di fare il cantante? Sotto che
droga era quando aveva avuto l’idea? Soprattutto, perché prendere uno come
Frank nel gruppo?
Di tutti quelli che gli erano passati davanti, di tutti quegli invasati che
davano spettacolo, perché aveva scelto proprio Frank, proprio quel nano che si
notava poco se non saltellava come un grillo per il palco, proprio quello che
gli aveva rifiutato un posto nella sua band anni prima?
Per cosa l’aveva fatto, per ripicca?
No, Gerard aveva una marea di difetti, ma vendicativo proprio no, non glien’era fregato proprio un cazzo del non essere preso in
una band che non gli interessava.
Era Frank Iero che l’aveva traviato.
Perché Frank Iero era la sua antitesi. Frank Iero era la persona più gentile, carina, paziente,
espansiva, adorabile del mondo. Il contrario di Gerard Way.
Frank, con quegli occhi sempre a metà tra il verde e il castano, color zucchero
caramellato, dal sorriso languido di un cucciolo in amore, dalla voce morbida e
le labbra ancora di più.
Frank Iero, così dannatamente naturale in tutto
quello che faceva, casinista, una mina vagante, impacciato negli affari
sentimentali e un’esplosione sul palco, una ne pensava e cento ne faceva,
irrefrenabile, irrecuperabile, irresistibile.
Frank Iero, che detestava Gerard Way dal più profondo
del cuore.
Gerard amava Frank? Possibile. Probabile. Sicuramente sì. Sì.
Ma Frank no. Non era difficile da capire, Frank era un libro aperto, le sue
espressioni parlavano più della sua lingua lunga, più del gesticolare delle sue
mani, Gerard non gli piaceva, lo trovava arrogante, altezzoso, distaccato
perché si credeva superiore, Frank pensava di Gerard tutto quello che il mondo
pensava di Gerard.
Poteva biasimarlo? Ovvio che no, in fondo Gerard sapeva benissimo di essere
tutte quelle cose, e anche le altre mille cattiverie che si dicevano su di lui,
tutto vero, tutto lui.
Ma cosa poteva farci, Gerard? Cambiare?
Cambiare era una parola pericolosa. Era già cambiato una volta, quel giorno,
l’11 settembre, quella dannata giornata in cui il cielo di era tinto del nero
del fumo delle anime, e avevano macchiato la sua irreversibilmente.
Si guardava allo specchio e pensava di trovarsi di fronte uno sconosciuto,
stessa faccia, stesso sguardo, stessa pelle, ma dentro era completamente
diverso.
Erano passati dieci anni e non aveva idea di chi fosse diventato.
Chi era Gerard Way?
Lo stronzo ipocrita freddo ed egocentrico che tutti vedevano? Come facevano a
vederlo? Da cosa lo capivano? Cosa c’era in lui di così sbagliato da farlo
sembrare l’uomo peggiore del mondo?
Gerard faceva quello che gli altri si aspettavano che facesse. C’era un
servizio fotografico, Gerard era il frontman, e
ancora prima di entrare tutti lo guardavano. Bene, quindi volevano che fosse
lui il fulcro della scena.
C’era un’intervista, gli operatori gli infilavano un microfono nel risvolto
della camicia mentre agli altri ne davano uno da tenere in mano se avessero
voluto intervenire. Bene, era lui che doveva parlare.
C’era un video da fare, il regista lo prendeva da parte e iniziava a spiegargli
questa e quella inquadratura, del phatos che avrebbe
dovuto avere la sua faccia. Bene, era lui che avrebbe dovuto fare l’eroe.
Perché davano tutti la colpa a lui, se era lui ad essere l’oggetto di tutti?
Non capiva. A volte non capiva cosa doveva fare, seguire quello che gli
dicevano gli altri o fare l’opposto? Stare al centro dell’attenzione o
rifiutarsi? Nel primo caso avrebbe fatto la parte del solito Gerard Way
protagonista e prevaricante. Nel secondo avrebbe fatto la parte del solito
Gerard Way capriccioso e irragionevole.
Cosa si aspettava la gente da lui? Cosa volevano, perché non andava mai bene
niente, perché tutto era sempre troppo o troppo poco, perché tutti lo dovevano
guardare dall’alto in basso, perché tutti dovevano scivolargli addosso e poi
andarsene schifati, perché non poteva anche lui guardarsi intorno e dire
<< Non ci riesco. >>?
Non riusciva ad essere all’altezza di niente di ciò che gli attribuivano, né
del talento, né dell’arroganza, né nel bene né nel male, era una delusione, un
fallimento, era sempre sbagliato qualunque cosa facesse, dicesse, sempre da
solo a confrontarsi con se stesso, con un se stesso che gli faceva una paura
fottuta perché non lo conosceva, non sapeva niente di quel se stesso che vedeva
riflesso nello specchio, era buono? Era cattivo? Era meglio di lui? Peggio?
Frank cosa vedeva in Gerard Way? Quale Gerard Way vedeva Frank? Quale
preferiva? Quale avrebbe voluto che fosse?
Frank avrebbe provato almeno un briciolo di tristezza se lui fosse morto?
Gerard Way era già morto.
Quando aveva sciolto i My Chemical
Romance. Quel Gerard Way, quello dell’11 settembre, quello che in pochi mesi
aveva messo su quella band raccattata dal niente, era morto assieme al gruppo,
lasciandolo solo, spaccando la facciata che tutti gli avevano costruito
addosso, lasciandolo indifeso, abbandonato, instabile, senza più uno schema da
seguire.
Adesso chi gli avrebbe dato indicazioni su chi essere?
Adesso che Gerard Way finalmente era ritornato uno solo, era cambiato ancora?
Un’altra anima, un altro sguardo, un’altra vita? Chi ne faceva parte? Cosa
avrebbero voluto per lui?
Che cosa voleva lui per se stesso?
Avrebbe solo voluto perdere la memoria.
Ricominciare da zero, non essere nessuno, guardarsi intorno e chiedersi perché
mai c’erano persone che pretendevano da lui pose, atteggiamenti, parole,
musica.
Tanto sapeva che le etichette non se ne sarebbero andate. Agli occhi del mondo
lui era sempre il solito arrogante del cazzo, il solito narcisista, il solito
egocentrico. Il solito stronzo menefreghista che aveva sciolto i My Chemical Romance perché era un
pretenzioso fottuto che si era stancato dei compagni che non erano alla sua
altezza e quindi aveva preferito mandare all’aria dieci anni di vita per il proprio
ego.
Ecco quello che tutti pensavano. Ecco quello che tutti si aspettavano che fosse
successo.
Lui, invece? Lui aveva troncato quel tumore che non riusciva più ad andare da
nessuna parte, che aveva risucchiato lui in una spirale senza uscita, e che
aveva iniziato a trascinarvi dentro anche gli altri.
Era stato quando una volta aveva beccato Mikey in bagno a fissarsi allo
specchio con l’espressione vuota, che Gerard aveva capito che era ora di
smettere per sempre.
Ne bastava soltanto uno che avesse perso l’identità.
Forse, sicuramente era stata la soluzione sbagliata, ma Gerard non ne conosceva
altre, lui era lì, un granello di polvere travestito da farfalla dalle pretese
degli altri, tutti si aspettavano grandi cose da lui, capolavori o catastrofi,
depressione o alterigia, nessuno voleva che Gerard Way dicesse semplicemente
<< I My Chemical
Romance hanno fatto il loro corso, e credo che ora sia meglio che ognuno segua
la propria strada senza condizionamenti. >> Niente mezze misure, niente
calma, niente pacatezza, o faceva lo stronzo, o si faceva sparare.
Non riusciva nemmeno a capire se tutti lo detestassero per quello che aveva
fatto, o lo amassero perché l’aveva fatto.
E intanto le lacrime non scendevano. Era vuoto.
Perché adesso nessuno gli diceva come si doveva sentire?
Perché adesso riusciva a pensare solo a Frank?
Frank, l’unica persona a cui Gerard pensava giorno e notte, al suo sorriso, al
suo sguardo, alle sue mani, ai baci che si erano dati perché si doveva. A quei
suoi abbracci caldi che lo facevano sentire in pace per quegli inutili secondi
che duravano.
Frank Iero lo odiava dal più profondo del cuore, non
perché qualcuno gli avesse detto di farlo, ma perché era quello che provava.
Frank era l’unico che se gli dicevano di sopportare una persona, andava da
quella persona a dirle che gli stava profondamente sul cazzo.
Frank Iero.
Gerard Way avrebbe tanto voluto che la figura riflessa nello specchio fosse
quella di Frank Iero.
Un tuono eruppe nel cielo, il rombo fece vibrare i vetri, solo allora Gerard si
accorse che ormai si era fatto veramente buio.
Si riscosse, uscì dal bagno senza accendere la luce, e andò in salotto,
automaticamente.
Afferrò il telefono, le sue dita composero un numero che conoscevano a memoria
nonostante l’avessero formato solo quattro, cinque volte nell’arco di dieci
anni, e attese.
Rispose Jamia.
Lei chiese chi fosse, c’era un pianto in sottofondo, Gerard disse chi era, e
che cercava Frank. Jamia gli disse che era in solaio
a fare il cretino, tanto per cambiare, e che gliel’avrebbe chiamato subito.
Attimi di silenzio, passi, urla di una bambina, un minuto, due di attesa, in
cui Gerard aveva attorcigliato il filo lungo tutte le dita della mano sinistra,
col cuore che batteva forte, troppo forte per essere normale.
Poi.
<< Sì? >>
Frank Iero. Non sembrava lui. La voce bassissima,
gracchiante, senza eco.
<< Frankie? Sei tu? Stai male? >> Gliene importava. Per la prima
volta da tanto, a Gerard Way importava sul serio << E’ da un sacco che
non ci sentiamo, cavolo, saranno quattro mesi. Volevo chiederti se ti andava di
vederci domani sera, tu e io... Ti va? >>
Altri attimi di attesa spasmodica, terribile, ansiosa. Non sapeva perché gli
aveva chiesto di uscire. Non sapeva quale dei Gerard Way dentro se stesso aveva
preso l’iniziativa.
Ma lo voleva, lo stava volendo con tutta l’anima che gli si era disgregata
all’interno in tanti piccoli pezzettini e che ora stava gridando Ti prego, dimmi di sì!
Silenzio.
E un respiro strano, profondo. Quello sì che aveva eco. Un’eco che scivolò
lungo il sangue di Gerard fino a fargli correre un caldo brivido lungo la
schiena.
<< Frankie? >>
Un rumore assordante di plastica contro legno, e un tonfo sordo.
Poi Jamia che urlava in lontananza il nome di Frank.