Storie originali > Generale
Ricorda la storia  |      
Autore: endif    24/04/2011    11 recensioni
-Contributo per l'iniziativa Autori per il Giappone-
Un uomo e una donna. Uniti, eppure divisi, in una vita perennemente sospesa.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Secondi, minuti, forse ore che sono qui, su questa sedia, a fissare il vuoto.
Anche il mio respiro, anch’esso, mi pare un’offesa. Rompe il silenzio, scandisce lo scorrere del tempo.
Era inevitabile, lo sapevo fin dall’inizio. L’ho sempre saputo.
Sarebbe accaduto ancora, prima o poi, ma adesso che il momento è arrivato, non sono pronta.
Ascolto i rumori, attutiti, che provengono dalla camera da letto.
Lì, dove nemmeno mezz’ora fa ci siamo amati.
“Devo andare. Mi dispiace” mi ha detto ed io sono scoppiata in lacrime.
I suoi occhi si sono incupiti, forse … forse s’è sentito anche in colpa. Le sue braccia mi hanno avvolta, stretta al suo petto, ed io avrei voluto urlare con tutto il fiato che avevo in corpo.
Non andare. Resta. Avrei voluto supplicarlo.
Anche qui hai una famiglia. Anche noi abbiamo bisogno di te, della tua forza, del tuo sostegno. Eppure dalle mie labbra non è scivolata via nemmeno una parola.
Ci siamo amati. I nostri corpi uniti hanno pronunciato tutto quello che, invece, dalle nostre labbra avrebbe soltanto lasciato ferite aperte.
Un rumore, alle mie spalle. E’ lui.
Non mi volto, non ne ho la forza. O forse il coraggio.
E’ silenzioso nei movimenti, come nel temperamento è pacato.
Entra in punta di piedi, un ospite in una casa che non ha mai sentito davvero sua.
No, la sua casa non è questa. La sua vera famiglia non è qui.
E lui ora deve andare da loro.
«Quando hai l’aereo?» domando asettica, ma molto civilmente.
«Tra un’ora» risponde a voce bassa.
Un’ora! Cosa può accadere in un’ora che gli faccia cambiare idea? Che decida di restare, qui, per sempre, liberandomi dal senso di precario, di bilico in cui verso, praticamente ogni momento vissuto con lui?
Attimi rubati, frammenti di una vita incompleta, sempre sospesa tra due mondi.
Noi e loro.
Quando le sue mani sfiorano le mie spalle, esitanti, leggere, come a voler tastare il terreno, come a chiedere anch’esse scusa, il respiro si blocca nel mio petto, lo stomaco si contrae, la vista si appanna.
Signore, non farmi piangere. Ti prego.
«Stai bene?» chiede, leggermente teso.
Annuisco. Non mi fido della mia voce.
Le dita di una sua mano scivolano in una carezza lieve che raggiunge il collo, alla base del quale, si chiudono, stringendo appena un po’.
«Non hai mai imparato a mentire» sussurra inclinando il capo verso la mia nuca, il suo respiro che mi solletica l’orecchio.
Stringo le labbra tra loro, con forza, perché so di non avere diritto ad esprimere il mio dolore.
E’ sbagliato. E’ crudele.
Per lui, per coloro che lo aspettano e che non sanno che, in questo momento un cuore sta soffrendo.
«Ho avuto un pessimo maestro» mormoro, ma, nonostante i miei sforzi, la voce si incrina ugualmente.
Sento il sorriso nascere sulle sue labbra che premono sui miei capelli.
E allora, chiudo gli occhi, per dare modo ai miei sensi di fotografare quest’attimo per tutti quelli a venire dove lui sarà solo un ricordo nella mia memoria.
La sua voce, il suo profumo, la sua presenza.
Il suo braccio si allunga oltre l’altra spalla, e mi illudo che possa tenere insieme i pezzi di me che si frantumano ogni volta che va via.
Tanti pezzi. Sempre più piccoli, sempre meno rinsaldabili.
Un istante ancora e l’abbraccio si allenta, il suo corpo si distacca.
«E’ ora» dice e reprimo il lamento che l’animale ferito dentro di me vorrebbe emettere.
Non adesso. Non ora.
Mi alzo dalla sedia, ma non riesco a guardarlo negli occhi.
Lo precedo fuori dalla cucina. All’ingresso, in terra, il suo borsone.
Distolgo rapidamente lo sguardo, mi avvio dal lato opposto.
Mi fermo, in corrispondenza della porta di legno bianca appena socchiusa, e mi sposto di lato.
Una scena già vista, un copione già scritto.
I suoi passi, dietro di me, silenziosi come al solito. Mi supera, con delicatezza apre di più la porta.
La stanza in penombra è rischiarata dalla lampada notturna sul comò che getta ombre calde e confortanti sulla piccola culla, dove un angelo, ignaro delle brutture della vita, dorme sogni tranquilli.
Si avvicina, e ad ogni passo che fa, il mio cuore si stringe un po’ di più.
Resta fermo, in piedi dinnanzi a quel lettino dove suo figlio giace quieto.
Sta pregando per lui.
Lo fa ogni volta.
Una carezza a sfiorare i suoi capelli e poi si raddrizza, per percorrere velocemente a ritroso quella strada che all’andata era stata molto più lunga.
Quando mi passa davanti, l’espressione del suo viso è tirata.
Restano solo il corridoio e la porta d’ingresso, adesso, prima che la distanza lo porti via da noi e il tempo inizierà a cristallizzare in un’immobilità ritardata.
Dobbiamo salutarci.
Quando mi guarda, lo vedo. Il bisogno di essere lasciato libero, la necessità di avere la mente sgombra, il cuore sereno.
Prende il borsone, lo carica in spalla, aspetta.
Aspetta che lo lasci andare via.
E allora mi avvicino più che posso, con il corpo, con il cuore, col sorriso.
Sulle punte dei piedi, mi aggrappo al suo collo, lo stringo con tutta la forza che ho e gli sussurro all’orecchio: «Vai, amore mio. Salvane più che puoi»
Va via, così, mio marito.
Con un borsone grigio di Medici Senza Frontiere e un biglietto aereo.
Destinazione: Giappone.




NOTA DELL’AUTRICE:
Questo racconto breve è stato scritto per l’iniziativa “Autori per il Giappone”.
Il vincolo era di scrivere un paio di cartelle, non di più (circa quattromila battute, ovvero anche gli spazi) con un piccolo margine di elasticità e di inserire un riferimento alla tragica situazione del Giappone nel marzo di quest'anno.

Grazie per aver letto XD






   
 
Leggi le 11 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: endif