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Autore: CassandraLeben    24/04/2011    10 recensioni
La memoria del passato è la chiave per affrontare il futuro.
Ma se proprio questo passato su cui facciamo tanto affidamento venisse meno?
E se improvvisamente Bella si trovasse sola, sperduta in un mondo che non riconosce più?
Cosa succederebbe a lei, a Edward, ai Cullen se un giorno la pioggia portasse via con sé anche i ricordi di Bella?
Ff ambientata tra Eclipse e Breaking Dawn (ed ideata prima dell’uscita del quarto libro).
Dal 1° cap: Mi trovavo proprio in mezzo alla strada quando, improvvisamente, un’auto uscì da un incrocio a destra. Correva a tutta velocità sull’asfalto bagnato. Tutto durò una manciata di secondi appena. Troppo poco perché persino Alice potesse aiutarmi.
Venni accecata dall’auto per un istante. Cercai di tornare
indietro ma le mie gambe non rispondevano.
Feci appena in tempo a portarmi le braccia sopra al capo in un infantile tentativo di proteggermi e poi sentii un suono acuto e spaventoso. Il guidatore, accortosi di me, aveva cercato di sterzare.
Ma l’asfalto era bagnato e lui perse il controllo del veicolo.
E poi tutto divenne nero...
Genere: Avventura, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Salve a tutte, Buona Pasqua!

Spero stiate tutte bene.
So che è davvero molto che non aggiorno e di ciò vi chiedo scusa.
Pensavo proprio che andare all’università mi avrebbe lasciato tanto tempo libero da dedicare ai miei “piaceri” ma sfortunatamente non è stato così!
Ogni minimo momento libero lo passo a studiare, studiare, leggere libri noiosissimi su argomenti assurdi e non molto appassionanti (lo sapevate che la rampa che collegava la casa di augusto sul palatino al tempio di Apollo era decorata con stucchi e la porta era adornata da “piastrelle” di terracotta decorate etc etc zzzzzzzzzz)… insomma, non ce la faccio più.
Se a questo aggiungiamo il fatto che internet in sta diavolo di casa ha deciso di funzionare solo alla mattina (e, di solito, la mattina sono in università, come tutte le persone normali!) non sono proprio riuscita a rimettermi in pari con i miei vari lavori.
Per questo vi chiedo infinitivamente scusa.
Oggi, domenica di pasqua, ho deciso di prendermi un po’ di tempo per me (e per voi) e mandando a quel paese mia madre che sta sistemando casa in vista dei parenti per il pranzo pasquale (e vi assicuro, non è semplice… se sono al pc, viene a controllare che sia roba di scuola. Il resto è offlimits. Frase tipo: “non ti pago l’università perché tu stia tutto il tempo a caXXeggiare. Quindi o studi o mi aiuti a pulire casa!”)
Ora che gli esami si avvicinano (e tremo… da Maggio a Luglio ne ho almeno 4 da 9 crediti e forse, se riesco a reggere, un 5 esame sempre da 9 crediti. Non ce la farò mai!!!!) dovrò mettermi ancora più sotto a studiare ma spero davvero di riuscire a impormi di smettere per un po’ e dedicarmi alla scrittura. Scusatemi tanto per i ritardi! Per chi di voi è all’università non stupirà sapere che sto annegando nei libri!!!

 Un bacio e a presto, Erika

 Ps: i prossimi cap sono legati a questo in modo così stretto (erano un unico lunghissimo capitolo) che non potrò postarli fra molto tempo altrimenti non si capirebbe più la storia… quindi cercherò di essere celere.

Cap 24                                                                                         

How can I expect you to forgive?
Come posso aspettarmi che tu mi perdoni?

                                                                                                      

Edward’s POV

 Quella notte non dormì a lungo e quando lo fece parlò.
Come mi aveva preannunciato Carlisle, sussurrava frasi che mi inquietavano.
“Basta” “fermati” “mi fai male”… speravo fossero dirette a Jason ma poi fece il nome di Phil.
Contrassi i pugni. Chiamò anche il mio nome… molte volte. Poi di nuovo pregava Phil di non farle del male.
Reneé mi aveva detto che lui non c’era e, nella sua mente avevo scoperto che era via con la sua squadra.
Non sapevo se fosse un bene o un male. Avrei voluto tanto avercelo davanti.
Gli avrei fatto confessare tutto. Con me avrebbe parlato. Non mi sarei fatto problemi. Estorcere informazioni non era un problema se non ti preoccupavi che l’interrogato rimanesse incolume.
Non sarei stato buono come Carlisle. Non ero in grado di provare pietà verso un individuo tanto abominevole da picchiare una donna, una ragazza.

La ragazza che amavo.
Sì, forse era un bene che lui non ci fosse. Non avrei saputo trattenermi e avrei solo rischiato di apparire io steso come un mostro assassino davanti a Bella e sua madre…
Certo, avrei potuto attenderlo nel vicolo di notte… nessuno mi avrebbe visto.
Era già successo altre volte…
No! Non dovevo concentrarmi su quello. Dovevo fidarmi di mio padre. Secondo lui non c’erano rischi che si potessero ripetere episodi come quelli di cui Alice era stata testimone. Che Phil le facesse del male. Quando lo avessi visto, mi sarei fatto spiegare con precisione.
Tesi l’orecchio.
La casa era addormentato nel silenzio dell’alba.
Afferrai il telefonino e composi il numero di Carlsile. A rispondermi fu Esme.

 Era così sollevata di sentirmi che quasi non riusciva a parlare.
Volevano sapere di me, di come stessi, di come trascorresse la mia vita.
Cercai di frenare le loro parole.
< No, per favore… non me la sento di parlarne… perché invece non mi raccontate un po’ voi come vanno le cose. State tutti bene? >
E da quel momento di avvicendarono le loro voci. Ogni particolare era così tranquillizzante che sarei rimasto ad ascoltarli per ore.
Quando fu il momento di salutarsi sentii un blocco alla gola.
< Spero di risentirvi presto. Vi chiamerò questa notte… >
< Va bene, Edward. Mi raccomando, si gentile con Bella ma non darle false speranze. Non sarebbe giusto verso di lei. >
< Certo… allora, a dopo. >
< A dopo. > mi risposero le voce dei miei familiari in un coro scoordinato.

Dal piano di sopra sentii il piccolo piangere e svegliare la famiglia. Mi rimisi sotto alle coperte e finsi di dormire. Volevo ascoltare.
Reneé allattò il piccolo poi andò a chiamare Bella. Erano appena le sette e mezza.
La aspettò fuori dal bagno mentre Bella si lavava i denti e si sistemava. Voleva parlarle. Scesero insieme le scale e la madre le disse: < Marie, cerca di essere carina con lui... 
so che ci sei rimasta molto male ma ieri, quando è arrivato… mi è sembrato così felice. E mentre parlava di te… avresti dovuto vedere il suo sguardo… >
< Sì. Mamma… ma non ti intromettere, ok. È solo un idiota e io ho già detto che non ne voglio più sapere. >
< Non essere crudele. Ha fatto tanto per te. > esitò un attimo e poi scelse con cura le parole. 
Pensava al mio sacrificio, alla rinuncia al matrimonio. 
Non poteva dirglielo. < Ti è sempre stato vicino dopo l’incidente. E ora, va a svegliarlo. Intanto preparo la colazione. >
Bella sbuffò e poi venne in salotto. Sentii il suo sguardo su di me. Indugiò a lungo.
Afferrò qualcosa e sentii un suono simile allo scorrere di un piccolo rivolo d’acqua. Percepii qualcosa di bagnato sui capelli e la camicia.

Aprii di scatto gli occhi, ritraendomi. Una perfetta interpretazione di uno svegliato di soprassalto con dell’acqua gelida.
< Oh… scusami! Edward, non volevo… mi è scivolata la mano e si è rovesciata l’acqua... > mi disse senza alcuna traccia di rimpianto e di scuse. Il suo volto impassibile era splendido.
Ora che si era tolta il trucco potevo vedere la ragazza che amavo. La preferivo così, nonostante avessi sobbalzato vedendola truccata e vestita in quel modo così provocante. L’avrei apprezzato se l’avesse fatto per me ma, sapendo la realtà, mi sentivo roso dall’invidia e dalla gelosia…
in ogni caso, preferivo sentire il profumo della sua pelle non coperta da cosmetici, preferivo vedere il colore della sua carnagione, vederla imporporarsi…
il mio sguardo scivolò lungo il suo collo, il suo petto, il suo seno…
Era china verso di me ed intravedevo il pizzo del reggiseno…
Alzai lo sguardo verso il suo viso e mi soffermai ad osservare le sue labbra piene, i suoi occhi velati di tristezza. 
Mi protesi a respirare il suo profumo, il suo respiro…
No, basta, non dovevo guardarla in quel modo. Dovevo darmi un contegno e riprendere il filo dei miei pensieri… ero già assuefatto alla sua persona. 
Ne avevo bisogno. Ne avevo sempre avuto.
Era la mia aria, il mio ossigeno.
< Ti si è rovesciata l’acqua del vaso di fiori? > domandai fingendo stupore e irritazione.
Tossì mascherando l’arrochimento della mia voce causato dalla sua presenza.
< Sì. Volevo andare a cambiarla. Pazienza. > mi diede le spalle e si diresse in cucina.
< Guarda che è pronto! Io non ti aspetto. > urlò sedendosi.

 Mi sfilai la camicia bagnata e ne infilai una asciutta prima di raggiungerla e sedermi al suo fianco.
Lei guardava ostinatamente dal lato opposto.
Reneé aveva già preparato e io sopportai la tortura del cibo grazie alla presenza inebetente di Bella.
La colazione si protrasse nel silenzio delle occhiate schive che Bella mi rivolgeva. Fingeva irritazione. Perché io sapevo che fingeva. Io la fissavo senza pudore.
Reneé cercò di intavolare una conversazione ma sua figlia si limitava a rispondere a monosillabi. Io invece fui molto più affabile. Riferendo di come fosse la mia vita a Syracuse, sottolineando le restrizioni noi imposte come coprifuoco, orari rigidissimi e divieto di utilizzo dei cellulari, raccontai molti aneddoti. Dovevo rendere tutto credibile.
Bella, che fingeva di essere interessata solo ai suoi cereali, in realtà non si perdeva una sola parola di ciò che dicevo. Ogni volta che parlavo di una ragazza (dalla fantomatica compagna di banco a quella che mi avrebbe chiesto informazioni per il settore D) la vedevo tendersi e ingoiare a fatica.

Finita la colazione, Reneé propose: < Perché non andate a fare un giro? Oggi non hai niente da fare. Potresti mostrare a Edward la città… che ne dici? >
< Piove, fa freddo e non ne ho voglia. >
< Non si preoccupi. > intervenni io. Reneè mi sorrise amichevole e mi fece segno di non preoccuparmi. si rivolse alla figlia.
< Marie, non essere scortese. Dai, vai a prepararti. Oggi ho voglia di prendermi del tempo per me e starmene a casa da sola quindi va, su! >
Nella sua mente era cristallina la sua voglia che Bella si distraesse, che uscisse, anche se con me.
< Se proprio devo… ma lo faccio solo per te, mamma. > sospirò Bella alzandosi e sparecchiando. 
Sparì in camera sua mentre Reneé si apprestava a cambiare il piccolo che le aveva appena vomitato sulla spalla. Spettacolo nauseante…
Dalla camera di Bella arrivò la sua voce:
< Sbrigati e cambiati in fretta! Non ho voglia di aspettarti! >
Andai in bagno e mi lavai e cambiai in fretta. Non volevo farla adirare. Fui però io a doverla attendere, e a lungo.
Reneé mi passò affianco e, sebbene pensasse che Bella tardasse tanto solo per farmi innervosire, sussurrò: 
< Perdonala, è una ragazza… scegliere come vestirsi è un’impresa. >
Io attesi paziente, seduto sugli ultimi gradini della scala.
Quando la sentii scendere mi voltai e il respiro mi morì in gola.
Vederla così… mi faceva desiderare di prenderla e portarla via. Volevo solo restare con lei, fuggire lontano…
Tenerla con me…
Era bella di una bellezza rinata, incantevole e avvenente come non lo era stata mai.

 Mi chiesi dove l’avesse colpita Phil, quante volte le avesse fatto del male.
Come aveva potuto alzare le mani su una creatura così indifesa come lei?
Repressi il dolore che tali pensieri facevano sorgere in me.
L’ombra vaga di un taglio era appena visibile sul suo labbro inferiore. Mi chiesi se portasse altri segni della violenza del patrigno sul suo corpo.
Il mio unico desiderio era toccarla,accarezzarla, là dove lui le aveva fatto del male per guarire le sue ferite.
Non potevo chiederle cosa le avesse fatto. Dovevo aspettare che fosse lei a volermene parlare.
Altrimenti rischiavo solo di peggiorare la situazione. Dovevo essere paziente e riguadagnarmi la sua fiducia per poterla aiutare. Dovevo anche fidarmi di Carlisle. A suo dire, aveva dissuaso Phil dal torcere ancora a Bella un solo capello… era certo che quell’uomo non si sarebbe più avvicinato a lei. 
E Carlisle sapeva essere molto persuasivo…

 Bella mi ignorò e non mi rivolse la parola finchè non fu nell’ingresso.
< Se non hai la macchina, possiamo prendere quella di Reneé. >
< Non preoccuparti. Ne ho noleggiata una, quella di ieri sera. A proposito, sei incantevole. Quel blu dona molto alla tua carnagione. >
< Non che a te debba importare. > mi sibilò pungente ma la vidi arrossire e distogliere lo sguardo da me. Si arricciò i capelli e sospirò.
Arrivati all’auto, le aprii la portiera del passeggero e lei, senza dire niente, salì.
Per tutto il giorno parlò pochissimo limitandosi a dirmi dove andare. Destra, sinistra, destra, tieni la sinistra, sottopassaggio, parcheggio.
Museo, museo, parco, spiaggia, yogurteria, altro museo…
Lei guardava le opere d’arte.
Io ne fissavo la più bella.
Stivali blu scamosciati, gonna blu, camicetta azzurra e maglioncino blu. Tante varie tonalità. Capelli sciolti lungo la schiena e le spalle.
A ora di cena le proposi di andare in un ristorante. Aveva preso solo un frullato per pranzo. Non ne ero contento.
< No. Grazie. >
< Insisto. >
Mi guardò con un’intensità che mi fece provare calore all’altezza dello sterno.
Mi fissava negli occhi come se vi stesse cercando qualcosa, qualcosa di celato. < Dove ti va di andare, Edward? >
< Ovunque tu voglia. > trattenne un sorriso e poi fece il nome di un paio di ristoranti che sua madre le aveva consigliato appena arrivata a Jacksonville.
La portai in quello dove eravamo stati quando eravamo venuti a trovare sua madre in quella che sembrava una vita precedente… non riconobbe il locale. 

Per tutta la cena non mi rivolse la parola.
Il suo sguardo truce incenerì la cameriera che, elencando il menù, si era lanciata in sgradevoli allusioni e ammiccatine nei miei confronti.
Mentre mangiava, teneva lo sguardo basso. Ogni volta che pensava non stessi osservando mi fissava.
Riconobbi un vortice di emozioni fluire sul suo viso dai tratti delicati.
Ira, rabbia, dolore, tristezza, gelosia, desiderio… amore, di nuovo rabbia, rassegnazione…
Quando terminò di mangiare, mentre tornavamo all’auto, le chiesi se avesse voglia di andare in qualche locale.
Non volevo essere da meno rispetto a Jason anche se non le avrei permesso di ubriacarsi.
A quella domanda Bella rabbrividì. Il suo corpo si irrigidì e lei, cercando di non farsi notare, cominciò a spostare lo sguardo sui tetti, come se cercasse qualcosa. Il suo tremore era innaturale.
< Hai freddo? > le domandai sfilandomi la giacca e poggiandola sulle sue spalle.
Pensavo l’avrebbe respinta e invece ci si strinse dentro.
< No, non è niente. Scusami… comunque, preferisco andare a casa. Sono molto stanca. >
Le aprii la portiera e lei si lasciò sfuggire un sorriso ampio e genuino a cui io risposi con un mezzo sorriso volutamente seducente.  Fu divertente vederla arrossire e trattenere il respiro. Mi ricordava quei primi giorni a Forks, quando l’avevo appena conosciuta… provai un immenso moto di nostalgia a rievocando quei pensieri… per scacciarli, collegai l’MP3 alle casse e lo accesi.
Debussy si diffuse nell’abitacolo.
Bella, abbandonandosi allo schienale, cercò di non farsi notare mentre inspirava l’odore del mio giaccone. Sospirò, serena.
< Adoro questa canzone. > sussurrò chiudendo gli occhi.
< Anche io. > poi, rimanendo in silenzio, la osservai mentre cedeva al sonno.

 Arrivati a casa sua, la presi tra le braccia e la portai in camera sua. Reneé era già andata a letto. Ci aveva lasciato un messaggio all’ingresso in cui ci augurava una buona notte e mi invitava a dormire nella camera degli ospiti, dove aveva già spostato i miei effetti personali. 
Mi raccomandava di non dar retta a Bella, o meglio, Marie.
Già, Marie… non voleva farsi più chiamare Bella…
Non avevo avuto il coraggio di chiederle il perché. Anzi, nel corso della giornata avevo evitato di chiamarla per nome proprio per schivare questa domanda insidiosa che si insinuava continuamente nella mia mente.

 Mi sdraiai su quello che era stato il letto in cui avevano “dormito” Esme e Carlisle. Un vago ricordo del loro odore aleggiava ancora nella stanza.
Bella si svegliò verso le due di notte.
Reneé si era già svegliata e riaddormentata dopo aver allattato il piccolo Owen. Era così esausta che non sentì Bella passare davanti alla sua stanza. 
Stava scendendo in cucina?
Mi resi conto che i suoi passi si erano arrestati davanti alla mia porta.
La aprì lentamente e poi… il silenzio. Potevo percepire un filo di luce filtrare dalla porta socchiusa.
Per alcuni minuti ascoltai il suo respiro tranquillo. mi lasciai fissare e pensai a tutte le volte che l’avevo osservata dormire…

< Ehi, Edward… se vuoi puoi dormire sulla poltrona, in camera mia. > sussurrò pianissimo.
Non si aspettava certo che la sentissi.
Socchiusi gli occhi non appena la sua voce si fu dispersa in vibrazioni sempre più attenuate.
Trattenne il fiato, arrossendo. 
Era accovacciata per terra. Le braccia incrociate sulle ginocchia. Si reggeva il mento e mi fissava. I capelli le ricadevano morbidi sulle spalle.
< Posso davvero? >
Era totalmente sconvolta, colta di sorpresa. Tanto stupita che, rossa in volto, mi rispose balbettando:
< Se ti sbrighi. Altrimenti cambio idea. >
Si ricompose. < Io comincio ad andare. La mia è l’ultima stanza. E poi, vai sempre a dormire in camicia e jeans? > mi domandò ironica,celando l’imbarazzo.
Poi se ne andò, quasi di corsa.
La senti sussurrare a sé stessa: < Ma che cavolo sto facendo!? >
Raccolsi le mie cose e bussai alla sua porta.
Rumori inquietanti provenivano dalla stanza.
< Arrivo, arrivo. Ahia! >
Ci fu un gran fracasso e, allarmato, entrai.

La trovai a terra intenta a massaggiarsi la gamba. La poltrona-letto era stata mezza montata. Probabilmente si era fatta male nel cercare di aprirla.
Con un gesto veloce e fluido finii di montarla e poi mi inginocchiai al suo fianco.
Sorrisi vedendola arrossire.
< Potevi lasciar fare a me. >
< Volevo essere gentile, scusarmi per ieri,oggi... insomma, sono stata sgarbata con te. >
< Come se fossi tu quella che deve scusarsi. >
< Hai ragione. Non avrei dovuto neanche farti entrare in casa. >

Cercava di sembrare adirata ma non ci riusciva molto bene. Continuava a sospirare, a fissarmi cercando di non farsi notare, ad arrossire…
Le sollevai i pantaloni del pigiama fino al punto in cui si stava massaggiando.
Una porzione di pelle era arrossata. Si era procurata un futuro livido, poco ma sicuro.
Mi sostituii a lei nel massaggiare la zona lesa. Le carezzavo la pelle con movimenti lenti e circolari.
Un mugolio sfuggì alle sue labbra ed ella arrossì ulteriormente.
Le sistemai una ciocca di capelli e le sfiorai la guancia.

La vedevo combattuta. Poi, all’improvviso, prese la mia mano e la guidò al suo viso. Ci si appoggiò ed inspirò profondamente.

< Sei uno stronzo. >
< Sì, hai ragione. >
< Perché sei venuto? >
< Perché volevo vederti. >
< Ma perché solo adesso? Sono passati mesi! L’ultima volta che mi hai telefonato… è stato più di un mese fa. Non ti fai mai vivo, non mi rispondi…
non sei venuto, quando avevo bisogno di te. Quando avevo bisogno di aiuto. >
Lacrime sottili scesero lungo le sue guance e io avrei voluto assaggiarle.
< Lo so, ti chiedo perdono… mi credi se ti dico che il mio pensiero non è stato rivolto ad altri che a te e che, se avessi potuto ti avrei chiamato, sarei venuto da te molto prima. >
Non mi rispose. Cincischiava con il laccetto del suo pigiama.
< Chi era quella? >
< Come scusa? >
< Chi era quella! >
La osservai. Rossa in volto, sentivo il suo sangue che pulsava furioso. Era in imbarazzo ed adirata in un sol tempo. Dal suo sguardo ingelosito trassi appagamento ma faticai a capire a chi si stesse riferendo. Nessuna mai per me era stata anche solo vagamente interessante e poi, lei come avrebbe potuto saperlo? Fu a quel punto che compresi a chi si riferisse: A quella insulsa segretaria. Anita… non potei fare a meno di celare un sorriso. Era gelosa di me…
< Stai parlando di Anita? > quasi scoppiai a ridere.
< Oh, così si chiama Anita. > si scostò da me e si alzò in piedi. Andò a sedersi a braccia e gambe conserte sul suo letto. Io rimasi seduto a terra. Avrei voluto ridere di felicità, dirle quanto fossi felice di vederla, rassicurarla di quanto fossero inutili i suoi timori, raccontarle la verità…
avrei voluto baciarle le labbra.

 < Sei gelosa? >
< E tu? Ti ho visto ieri, come guardavi Jason. >
< Io non sono geloso. > falso. Ero un bravo bugiardo. Lei parve crederci e me ne sembrò ferita.
< Neanche io. > falso, ma, a differenza mia, lei era una pessima bugiarda. Sorrisi affabile.
< Comunque, lei è la ragazza del mio compagno di camera. Una ragazza non particolarmente gradevole… >
< Sei sincero? >
< Marie… >
< Oh, andiamo, non chiamarmi in quel modo! >
< Ma ieri quel ragazzo… >
< Lui dimenticatelo. Io non sono Marie… quella storia del nome, è solo una sciocchezza. Non è servito a nulla. 
Non è facendomi chiamare in modo diverso che posso cambiare me stessa… > Si stava torturando le mani, tenendo lo sguardo basso.
Gocce salate scivolarono fin sul suo mento e da lì caddero nel vuoto fino a sfiorare la trapunta e da essa venire assorbite.
Non mi riuscii a trattenere e mi avvicinai a lei a passi misurati. Le asciugai le lacrime con le dita.
< Ehi, non ho fatto tutta questa strada per vederti piangere. Non voglio che tu sia triste… >
Con l’indice la costrinsi ad alzare il viso.
Lei si sforzò di sorridere poi, come se non riuscisse più a porre un argine a ciò che provava, si lasciò andare ad un pianto accorato. 
Mi gettò le braccia al collo e si strinse a me, sporgendosi verso il mio viso.
Con movimenti naturali la presi fra le braccia e mi sedetti sul suo letto, tenendola sopra le mie gambe.
Era così fragile.
La sua pelle era un velo sottile e semitrasparente. 
Vedevo i vasi sanguinei diramarsi in milioni di cunicoli. Li sentivo pulsare al ritmo del battito del suo cuore. 
E l’umido odore del suo sangue mi inebriava.
Tra le lacrime mi continuava a ripetere quanto mi odiasse, quanto fossi stupido, cretino menefreghista, idiota… quanto fossi stato crudele a lasciarla sola quando aveva bisogno di me.
Annuivo, le carezzavo la schiena,assentivo lasciandola parlare, sfogarsi.
Non potevo rammaricarmi per le parole che mi rivolgeva.
Aveva sofferto così tanto per la mia assenza.
Lentamente i suoi singhiozzi si quietarono. Mi limitavo a cullarla lentamente, accarezzandola senza turbarla.
< Va meglio? >
< Sì… scusami… non volevo dirti tutte quelle parole. >
< Me le sono meritate. > con quelle parole riuscii a strapparle un sorriso.
< Lo puoi ben dire. >
La feci sdraiare e lei mi prese per mano, invitandomi a stendermi al suo fianco.
< Grazie > le sussurrai all’orecchio.
< Non ti ho perdonato. > La sua voce era armoniosa, nonostante cercasse di renderla dura, mostrandomi quanto fosse irata verso di me.
< Lo so. >
< E non posso perdonarti. >
< So anche questo. >
< Però una cosa posso farla… >
< Ah sì? >
< Sì. > e senza aggiungere altro, con uno slancio, poggiò le sue labbra alle mie, le dischiuse e io, colto alla sprovvista, feci altrettanto.
Era sbagliato, andava contro tutto ciò per cui mi ero sacrificato e per cui avevo sacrificato la nostra relazione. 
Non avrei dovuto rispondere a quel suo bacio così carico di disperazione ma non potei impormi di fermarmi. Non avevo tutta quella forza di volontà.
La strinsi a me con tutta delicatezza di cui ero capace, le avvolsi le braccia intorno al busto.
I pensieri di Jason mentre ricordava di toccarla mi bruciavano l’anima ma, confrontando i ricordi di quel ragazzo con quello che avevo vissuto con Bella, con quello che stavo vivendo, capii che non era cambiato nulla.
Lei non lo aveva mai amato, non lo aveva mai baciato come stava baciando me in quell’attimo.
Non aveva mai inarcato la schiena come stava facendo in quel momento, rispondendo al tocco delle mie mani…
non lo aveva mai toccato come stava toccando me in quegli istanti.
Con lui non aveva mai ansimato come se il respiro le morisse in gola, come stava accadendo adesso…

 Le sue piccole mani calde si infilarono sotto la mia camicia, posandosi sul mio petto.
Le teneva spalancate come due soli da cui si irradiavano raggi caldi. E io non potevo che fremere a quel contatto che mi rendeva così vivo.
Non aveva smesso di piangere nonostante i singhiozzi si fossero mutati in mugolii di piacere.
Godevo del sapore delle sue lacrime salate e me ne libavo.
La baciavo con ardore nella speranza di farle dimenticare i baci di quell’insulso ragazzino. 
Fu molto egoista da parte mia ma volevo essere io a lambirle le labbra e non potevo sopportare l’idea che un altro ne avesse assaggiato il sapore. 
A quel pensiero mi accanii ancora di più sulla sua bocca socchiusa.
Parve gradire l’impeto appassionato del mio amore ardente dal momento che le sue dita si contrassero sulla mia pelle. La sua gamba strusciava contro la mia mentre lei tentava di avvicinarsi a me più di quanto non avesse già fatto. Come se volesse oltrepassare la barriera creata dalla nostra pelle.
Quel bacio, il primo dopo tanto, troppo tempo, fu così perfetto che non mi parve reale.
Mi accarezzò i capelli ed io feci altrettanto, lasciai la mia mano scivolare sul suo collo, lungo la sua schiena. Incrociò le gambe alle mie e si strinse spasmodicamente a me
Pian piano i suoi respiri affannosi si placarono e il suo cuore riprese a battere a un ritmo normale.
I suoi movimenti si fecero via via più lenti fino a cessare del tutto.
Si addormentò stringendo le sue dita intorno alle mie.
La avvolsi nelle coperte, attento a non disturbarla.

 Non avevo smesso di osservarla, di studiare ogni minimo particolare del suo volto.
Il tempo che era trascorso non le aveva mutato i tratti del viso. Le si erano solo leggermente affinati i lineamenti. Il suo seno si era fatto più pronunciato, era dimagrita, le erano cresciuti i capelli.
Tutto ciò sanciva decisamente il suo passaggio all’età adulta.
Quella che io non avrei mai raggiunto…

 No. Sarebbe stato troppo egoista da parte mia tenerla per me.
Avevo fatto la scelta giusta quando avevo deciso di salvaguardare la sua vita. Lei, che non ricordava i pericoli che comportava la mia vicinanza, meritava la possibilità di vivere felice, crescere, avere dei bambini.
Non potevo sottrarle tutto ciò. Non ne avevo alcun diritto.
Era il destino che mi aveva dato la possibilità di liberarla dal nostro vincolo che l’avrebbe relegata alla solitudine dell’oscurità.
Non importava quanto l’amassi, quanto la volessi.
Non avevo nessun diritto di sperare.
Eppure, nella tasca dei miei pantaloni, avevo sempre conservato l’anello di mia madre. Lo stesso anello con cui, mesi prima, le avevo chiesto la mano.
Me lo aveva riconsegnato Charlie, con gli occhi lucidi, il giorno in cui gli dissi che avrei rinunciato a sposare sua figlia, che non ricordava nulla della mia proposta, del nostro amore…

Charlie mi aveva ringraziato per il gesto di generosa rinuncia e mi aveva detto che con quell’atto gli avevo dimostrato quanto realmente amassi sua figlia. Lui non poteva sapere quanto profondo fosse il nostro amore.
Da quel momento quell’anello lo avevo sempre tenuto con me, nella vana e malsana speranza di poterlo rendere alla donna che ne era la proprietaria.
Era un comportamento sbagliato, perverso, scellerato ma lo portavo sempre con me per averla sempre vicina, perché era suo, proprio come il mio cuore.
Ora lei era lì, davanti a me, e non potevo fare a meno di desiderare le sue labbra, il suo calore.
Lei, addormentata, sorrideva.




Nota dell’autrice: Grazie a tutte voi per essere arrivate a leggere fin qui. Vi ringrazio e spero di non farmi attendere molto. Ora sono in vacanza quindi ho un po’ di tempo. Credo di riuscire a postare prima di domenica, sempre che il mio gruppo di studio non si riunisca anche questa settimana! (non diteglielo ma… non ce la faccio più!!!!!basta!!!!!)

Non vedo l’ora che sia già luglio… almeno, con un voto o con l'altro, questo delirio sarà già finito!

Ps: vi è piaciuto? mi ha divertito molto scrivere la scena finale e, vi avviso, è solo il preludio ai prossimi due caps... la storia pernderà una piega più romantica che spero vi faccia sorridere! 

sarà un po' più caliente ma si sa, l'amore gioca brutti scherzi e travalica la razionalità

A presto, Erika 

 

 

  
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