Nonostante mi servano disperatamente dei soldi (Londra Londra Londra *allunga mano bramosa*), non scrivo a scopo di lucro e, per dire, neanche posso chiedere un obolo ai Muse perché chi li conosce XD
Storiella un po' cretina
che mi frulla in testa da un bel po' – l'ammontare di spunti
che mi
fornisce Undisclosed Desires (video e canzone) è immane, e
me ne
stupisco ogni volta.
Tracce di Asimov e Ai
Confini della Realtà sono sparse qua e là. *si
inchina umilmente di
fronte ai modelli summenzionati*
Btw, buona Pasqua a
tutti! :D
Undisclosed Desires Inc.
Era
una vigilia di Natale
come tante altre, di addobbi multicolori, risate di bambini e
profumini appetitosi, in quel tranquillo sobborgo londinese.
Le finestre illuminate
rimandavano agli occhi di Dominic Howard lo stesso quadretto di
quieta armonia, con le uniche varianti di personaggi e scenografia.
Di ritorno dal
supermercato con una confezione di sushi surgelato ed una bottiglia
di Jack Daniel's, l'uomo iniziava seriamente ad immedesimarsi nei
panni cenciosi e nella solitudine un po' patetica della piccola
fiammiferaia protagonista di una fiaba molto vecchia, che aveva quasi
dimenticato.
Gli pareva di ricordare
che la bambina morisse di stenti, immaginando lussi ed affetti che
non le sarebbero mai stati concessi nella vita reale.
Dominic Howard non
correva il rischio di fare la stessa fine, ma lo scenario tutto
attorno a sé – un'innocua Las Vegas a misura di
moccioso popolata
di renne, lucine colorate e slitte ed altra sbobba mielosa e
tradizionalista – era una minaccia al tranquillo cinismo con
il
quale prendeva la propria esistenza da un po' di tempo, ormai.
In qualche modo, tutto
attorno a lui sembrava volergli ricordare che ad ognuno era concessa
un'infanzia, e che la sua non era stata niente male.
Proprio quello era il
problema – un'infanzia felice non era meno invalidante di una
infelice, quando si arrivava alla trentina d'anni senza niente fra le
mani. Un bambino è felice perché desidera ed
ottiene, un uomo è
infelice perché desidera e prende pesci in faccia e ricorda
quando
le cose andavano diversamente, quando c'era sempre un deus ex
machina pronto a risolvere i problemi e soddisfare i
capricci:
mamma, papà, Babbo Natale, la fatina dei denti e altre
entità più
o meno fantasiose.
Un uomo infelice giunge
addirittura ad odiare lo spettro del bimbo felice che fu, nel caso di
Dominic Howard. Forse per questo al momento non provava il desiderio
di trovarsi una brava ragazza e crearsi una famiglia: il suo senso
paterno ed in generale il suo amore per i marmocchi
era ai
minimi storici, soprattutto quella sera.
Oh, e poi c'era da dire
che nessuna donna con intenzioni serie avrebbe impalmato un
segretario-schiavo squattrinato del manager più importante
della
Warner di Londra.
Perciò, si trattava solo
da tirare avanti ad avventure di una sola notte, discount e uscite al
pub con gli amici – i pochi non ancora accasati, si intende
– e
aspettare che il Natale passasse, ancora una volta.
Dominic aveva appena
finito di programmare il forno per lo scongelamento del sushi, quando
qualcuno suonò il campanello.
L'uomo si sporse dalla
soglia della cucina per occhiare la porta con aria interrogativa,
prima di avvicinarsi e guardare dallo spioncino.
Un uomo in giacca e
cravatta, con una bombetta nera calcata sul capo, sostava sul
pianerottolo.
Tenendo infilata la
catenella di sicurezza al suo gancio, Dominic schiuse la porta di
pochi centimetri. Lo sconosciuto lo salutò cortesemente,
toccando la
breve tesa del suo copricapo.
- Buonasera. -
A terra c'era una
ventiquattrore di cuoio marrone scuro: notandola, Dominic scosse il
capo.
- Scusi, ma non compro
nulla. -
L'uomo – sembrava avere
poco più della sua età, biondo, sguardo cordiale
– sorrise,
lisciandosi le maniche del lungo cappotto nero.
- Non sa nemmeno cosa
sono venuto a proporle... Non le pare un po' sbrigativo liquidarmi
così? -
- Andate in giro anche la
notte di Natale... Non ho parole. - considerò Dominic,
ridacchiando
incredulo.
Di solito non era molto
propenso a trattare con i piazzisti che gli si presentavano sulla
soglia di casa, soprattutto se avevano le sembianze di becchini ben
azzimati e giravano la sera del ventiquattro dicembre con valigette
dal dubbio contenuto.
Il tipo non sembrò
scoraggiato dalla reazione del suo potenziale cliente.
- Le ruberò solo dieci
minuti al massimo, se mi lascia entrare. -
Per nulla persuaso,
Dominic indicò con un cenno del mento la ventiquattrore.
- Che c'è là dentro? -
- Opuscoli. Potrebbero
solo informarla a morte o al limite tagliarle un dito con il bordo
delle pagine, direi. - ribattè ironicamente lo sconosciuto,
prima di
allargare i lembi del cappotto, mostrandone la fodera interna ed il
suo elegante completo giacca-pantalone nero – un beccamorto
benestante, appunto.
- Guardi... Niente
pistole, niente coltelli. -
Dominic rifletté per un
attimo: dietro di lui il microonde si era spento ed il suo sushi lo
stava aspettando, così come la TV che avrebbe provveduto a
sintonizzare dopo cena sui suoi canali hard preferiti ed il suo
divano sgangherato.
- Mi dica cosa ha da
offrirmi. -
… di meglio,
concluse mentalmente in tono sarcastico.
Il sorriso del lugubre
piazzista si fece più largo.
- D'accordo... Vedo che
non è un allocco, lei. -
Schiarendosi
delicatatamente la voce, si presentò: - Mi chiamo Morgan
Nicholls.
Lavoro per conto della UD Inc. -
Ignorando la mano
dell'uomo tesa verso di lui, Dominic commentò: - Mhm...
Sì, la
conosco. Ho un tostapane della UD Inc. -
Come se approvasse
l'osservazione del suo interlocutore, Nicholls annuì e
seguitò a
parlare: - Infatti, abbiamo accuratamente selezionato un campione
ristretto di clienti dell'azienda per promuovere un'iniziativa
molto... Particolare. -
Dominic aggrottò le
sopracciglia, domandando sospettoso: - E in che consiste
quest'iniziativa tanto particolare? -
- Non si sentirebbe più
a suo agio a parlarne seduto ad un tavolo? -
- Mai stato più a mio
agio in vita mia... Mi racconti. -
Nicholls sospirò appena,
togliendosi la bombetta e stringendola con entrambe le mani.
- Se accetterà di
collaborare, signor Howard, lei avrà a che fare con
un'operazione da
definirsi assolutamente pionieristica. La UD Inc. è
già a tutti gli
effetti un gigante nel campo degli elettrodomestici, rinomata per
l'equilibrio tra qualità e convenienza dei nostri articoli,
ma
abbiamo in cantiere un progetto che ci permetterà di alzare
ulteriormente il tiro dal punto di vista produttivo ed umano del
settore. -
Ad occhio e croce, il
tutto puzzava un po' di aria fritta ed un po' di fregatura
megagalattica. Nonostante ciò Dominic voleva lo stesso
vederci
chiaro, incuriosito suo malgrado.
- Quindi? Vada avanti. -
- Nel corso degli ultimi
dieci anni, i nostri laboratori di ricerca hanno lavorato allo
sviluppo di nuove tecnologie sempre più sofisticate e
specializzate... E che non riguardano più semplicemente
tostapane e
frullatori, ma una tipologia differente di... Elettrodomestico. -
Di nuovo un sospiro quasi
impercettibile, e lo sguardo del piazzista si fece più
serio,
solenne addirittura.
- Androidi. Robot
antropomorfi interamente assoggettati all'autorità
dell'essere umano
che li possiederà, dotati di caratteristiche
personalizzabili e
possibilità illimitate di utilizzo. Finora ne esistono pochi
esemplari, testati in laboratorio ma in attesa di una “prova
su
strada”, immersi in un ambiente “reale”
ed a contatto con
esseri umani. -
Era intuibile che
l'espressione confusa di Dominic divertisse Nicholls, in qualche
modo: con un'ombra di ghignetto sardonico sulle labbra, raccolse da
terra la sua valigetta e l'aprì.
- Lei, signor Howard, può
decidere se prendere parte all'esperimento o meno... Nessun obbligo
di alcun genere, neanche finanziario. In caso voglia accettare, le do
un modulo da compilare per ordinare un modello di androide ed il
catalogo delle versioni attualmente disponibili. -
In men che non si dica
Dominic si ritrovò con un malloppo di fogli in mano, senza
avere il
tempo di riflettere sulle parole dell'altro: solo quando lo vide
voltargli le spalle ed incamminarsi verso l'ascensore riuscì
ad
esalare, attonito: - … è uno scherzo, vero? -
Nicholls premette il
pulsante per richiamare l'ascensore, poi si voltò verso
Dominic.
Il ghigno stavolta era
lì, luminoso e quasi satanico nella luce livida che
illuminava il
pianerottolo.
- No, signor Howard... È
il futuro. -
Stridendo,
le porte si aprirono dietro di lui.
-
Buon Natale. - augurò educatamente, prima di venire
inghiottito
dalla cabina di metallo.
Ripensando
successivamente allo strano incontro di fronte all'ennesima replica
di Un Dildo per Due su SuperPippa Channel, Dominic si chiese di nuovo
se non fosse stato vittima di un complicato scherzo da parte dei suoi
amici.
Certo,
era tutto molto ben fatto: il catalogo presentava foto e dettagli su
circa una cinquantina di robot dalle forme e funzioni variegate.
Robot femmina che avrebbero potuto tranquillamente sostituire
l'eroina della pellicola che era in onda al momento, robot neonati
che mangiavano pappette, piangevano e facevano la cacca come ogni
marmocchio sulla faccia della terra, robot vecchietti con adesivo per
dentiere e plaid in lana compresi nella scatola di spedizione... Di
tutto.
Il
modulo di ordinazione presentava il marchio della UD Inc., ed era
allegata una lettera apparentemente firmata dal presidente
dell'azienda Thomas Kirk in persona: una successione di salamelecchi
del tutto simile al discorsetto snocciolato qualche ora prima dal
piazzista demoniaco.
Sfortunatamente
per chiunque avesse architettato la burla, Dominic Howard non credeva
più a Babbo Natale, alla fatina dei denti e nemmeno ai robot.
Di
fronte ad un'androide bionda vestita da cubista e dall'apparente
età
di vent'anni o poco più, si era fatto una bella risata.
Sai
quante me ne faccio di sgallettate umane
così? Quante ne voglio. I miei amici decisamente non mi
conoscono, o
di me si sono fatti un'idea mooolto sbagliata.
Rise
di nuovo al pensiero, mentre la protagonista del porno riusciva ad
accaparrarsi il dildo più esclusivo del sexy-shop a
discapito di
un'altra attrice dal broncio infantile e due prorompenti protesi
mammarie.
Quando
le due giunsero alla conclusione che avrebbero sotterrato l'ascia di
guerra utilizzando entrambe il giocattolo come fanno le brave
bambine, Dominic gettò un'occhiata al catalogo abbandonato
sul
tavolino del telefono, accanto al divano.
Una
sgallettata bionda ci sarebbe stata proprio bene, invece di due
ochette impegnate in un intorcinamento che conosceva a memoria,
ormai.
Si
trattava solo di aspettare che finisse quella noiosissima nottata, ed
il giorno seguente – dannati locali chiusi durante le
festività...
Cosa doveva fare un povero ateo, insomma?
Dominic
si appoggiò allo schienale del divano, chiuse gli occhi e
iniziò a
toccarsi.
Un
quarto d'ora dopo stava compilando l'ordine per la cyber-cubista e
cinque minuti più tardi era in strada ad imbucare il tutto,
trascinato da una strana ondata di ilarità post-orgasmica.
Ma
sì, divertiamoci un po'. Domani andrò a farmi una
birretta con quel
paio di imbecilli ancora single e ci riderò su. Mi annoio così
tanto, già.
La
birretta in compagnia servì solo a chiarire che o aveva dei
maestri
di impassibilità come amici o il piazzista della sera prima
era nel
vero.
Cosa?
Quale scherzo?... androidi? Ma tu stai fuori, bello! Sicuro che il
sushi non fosse andato a male? … Dom, ti dico di no! Ma sei
scemo?
Tutto
ciò era quanto di più assurdo gli fosse mai
capitato – neanche
quei cretini di Herb e Malcolm ne sapevano nulla, ed in più
erano
anche in settimana bianca insieme a Saint Moritz con le rispettive
famiglie.
Forse
non erano loro dietro quello scherzo, ma... Ma doveva
essere uno scherzo, che cazzo.
Solo
due settimane più tardi, quando di ritorno dal lavoro si
ritrovò
una grande cassa di legno di fronte alla porta di casa, si convinse
che forse stava
succedendo qualcosa di molto
strano.
Dominic
si guardò attorno, cercò una bolla
d'accompagnamento o roba del
genere, chiese addirittura notizie alla dirimpettaia che neanche gli
aprì la porta – vecchia pazza.
Nulla.
Assolutamente niente che potesse certificare la provenienza della
cassa o che desse informazioni sul contenuto.
L'uomo
si grattò la nuca, confuso. Forse avrebbe dovuto portarla in
casa,
per cercare di capirci qualcosa – e l'unico modo, stando ai
fatti,
era aprirla.
Trascinarla
dentro non fu difficile: era poco più bassa dell'uscio e non
molto
pesante. La spinse fino al centro del piccolo soggiorno, andando a
recuperare poi qualcosa in grado di scardinarla nello sgabuzzino.
Tornando con un piede di porco in mano, si fermò di fronte
alla
cassa.
-
Vediamo un po' di che si tratta. - si spronò ad alta voce,
prima di
aggredire un lato della cassa.
Finalmente,
dopo qualche colpo, cedette: ne
uscì un'onda anomala di grani in polistirolo, che si
riversò
tutt'attorno invadendo la stanza.
- Cazzo...! - bofonchiò
seccato Dominic, dando brevemente un'occhiata al disastro attorno a
sé prima di tornare a concentrarsi sul contenuto della cassa.
In piedi con gli occhi
chiusi, le braccia lungo i fianchi ed i piedi ben uniti in posizione
quasi marziale, c'era un uomo – o meglio, ciò che
credeva essere
un uomo ma che, ovviamente, non poteva di certo esserlo date le
circostanze.
Non era molto alto, ed
appariva piuttosto esile e fragilino a prima vista. Indossava
stivaletti neri, pantaloni rossi ed una giacca nera decorata da
sottili strisce di metallo e da una strana coccarda di nastri
colorati su di una spalla.
Nel complesso, aveva il
physique du rôle
di
un domatore da
circo delle pulci: un omettino che ad occhio e croce sfiorava il
metro e settanta – forse – con una bocca minuscola,
dei capelli
ridicoli ed un naso che bastava la metà.
Dominic
gli si avvicinò, scrutandolo attentamente.
Era
come vivere un sogno – non nel senso più positivo
del termine,
purtroppo.
-
Porca... puttana... - mormorò l'uomo, lo sguardo
involontariamente
attratto dal groviglio di cavi – non erano nastri –
appollaiato
sulla spallina della giacca del robot.
Lo
pungolò con un dito sul ventre, esitante: come se si fosse
trattato
di un comando preciso, l'androide spalancò gli occhi in uno
scatto
che fece balzare Dominic all'indietro, spaventato.
Le
iridi erano azzurre, in una sfumatura troppo accesa per risultare
naturale.
Per
qualche secondo si limitò a schiudere e muovere le labbra
come a
prendere confidenza con i propri muscoli facciali – che...
Che non
erano muscoli, poi... – in una perfetta
imitazione di pesce
rosso caduto per errore fuori dalla sua boccia.
Poi
batté le palpebre, e con voce sorprendentemente profonda e
musicale
nonché un pesante rotacismo modulò un
compìto: - Buonasera,
signore. -
Sotto
lo sguardo impassibile del robot – un robot,
Cristo, un
dannatissimo robot vero! - Dominic iniziò a
rovistare dentro e
tutt'attorno alla scatola, cercando qualsiasi documento che potesse
chiarire la situazione.
Fino
ad allora, aveva trovato solo un indice dei componenti dell'androide,
infarcito di termini pressoché incomprensibili –
cervello
positronico, circuiti aperti, leggi della Robotica e via discorrendo
– ma non un numero di assistenza clienti, un nominativo, uno
straccio di recapito decente, insomma!
-
Cercate qualcosa, signore? -
L'uomo
sobbalzò, voltandosi verso l'androide ancora immobile in
mezzo alla
stanza.
Incerto
su come rivolgersi ad un'apparecchiatura di quel tipo, anche se la
letteratura fantascientifica insegnava che i robot ribelli e
pericolosi in fondo erano eccezioni alla regola e... Oh, santo Dio,
si parlava di fantascienza... Dominic
optò per la sincerità.
-
Sì, il numero di telefono del tuo padrone. -
-
Siete voi
il mio padrone,
signore. - ribatté il robot, e all'uomo parve di cogliere
della
condiscendenza nel tono che aveva utilizzato.
Scuotendo
il capo per scacciare quella sensazione, Dominic precisò: -
Intendevo dire Thomas Kirk. -
-
Thomas Kirk non è il mio padrone, ma il mio creatore. Sono
stato
appositamente assemblato per adattarmi alle vostre esigenze, signore.
-
-
Ah sì? Allora perché non hai le sembianze di una
cubista
ventunenne? - scherzò Dominic, anche se non aveva per nulla
voglia
di ridere.
La
situazione era paradossale. L'ordine che aveva inviato non solo era
arrivato a destinazione, ma era stato addirittura scambiato con un
altro. C'era davvero una cyber-cubista bionda e
popputa
destinata a lui, quindi.
Babbo
Natale e la fatina dei denti, a quel punto, dovevano per forza essere
nascosti da qualche parte a ridere di lui.
-
Temo di non capire la domanda, signore. - ammise con voce piatta
l'androide.
Dominic
si coprì il volto con entrambe le mani, stropicciandosi la
faccia.
Gli stava scoppiando la testa. Per l'ennesima volta nel giro di pochi
minuti, si ritrovò a ripetere fra sé e
sé: - È
assurdo... -
Poi,
decise che vedere il cyber-domatore di pulci in piedi con quell'aria
ebete gli dava un fastidio immenso.
-
Sai sederti, per caso? -
-
Ovviamente, signore. Le mie giunture sono snodabili e... -
-
Allora siediti, non mi va che tu stia lì impalato a
guardarmi. -
Il
robot si diresse verso il divano indicatogli da Dominic senza
mostrare alcun risentimento nei suoi confronti per il tono adottato
– dopotutto era una macchina. Eseguiva gli ordini, stop.
Il
suo passo era un po' sgraziato, dondolante. Quando camminava,
sembrava un grosso, ridicolo pinguino.
Cercando
le Pagine Gialle – dannato il suo disordine! - Dominic lo
teneva
sott'occhio, un po' preoccupato ed un po' incuriosito.
Dopo
cinque minuti durante i quali l'androide non aveva cambiato di un
millimetro la sua posizione, l'uomo si schiarì la gola e
domandò
con tutta la noncuranza possibile: - Dunque... Hai un nome? -
-
Sono il modello MB1978. -
-
Intendo dire, un nome vero? -
-
Di solito è compito degli assegnatari scegliere un nome per
gli
androidi, signore. -
Spiacente,
ma da me non otterrai nulla di tutto questo.
In
quel momento, lo stomaco di Dominic brontolò: era stato
fuori tutto
il giorno, a pranzo un panino ed ora non ci vedeva più dalla
fame.
Gli
venne un'illuminazione: perché non cercare di ricavare il
più
possibile da quella situazione?
-
Dimmi un po'... Sai cucinare? -
-
Il modello di base della serie 1978 possiede diverse applicazioni, ma
i lavori domestici non rientrano fra le mansioni di default. È
possibile espandere le conoscenze di qualsiasi robot della serie 1978
acquistando presso la UD Inc. ... -
-
Va bene, va bene. - Dominic alzò le mani per fermare il
fiume di
spiegazioni di cui praticamente non gli interessava neanche una
virgola.
Non
sapeva neanche cucinare, perfetto.
Meglio
tirare fuori qualcosa dal frigo alla svelta e ficcarlo nel microonde.
A stomaco pieno avrebbe ragionato meglio, e forse si sarebbe
ricordato dove diavolo avesse ficcato le strafottute Pagine Gialle.
Doveva
assolutamente parlare con qualcuno della UD Inc. Assolutamente.
Si
avviò verso la cucina, ma si arrestò prima di
entrare.
Tornò
in soggiorno, fermandosi di fronte all'androide seduto sul divano e
che di certo non poteva lasciare lì tutto solo, senza
sorveglianza:
in più, gli sembrava anche un po' maleducato da parte sua.
Così, lo
invitò: - Io... Io vado a cena. Se vuoi venire... -
-
Solo se desiderate la mia compagnia, signore. - rispose prontamente
il robot.
Guardandolo
negli occhi artificiali, brillanti come piccole biglie di vetro
azzurro, Dominic esalò un breve: - Certo. - guidandolo in
cucina.
-
Com'é andata la vostra giornata, signore? -
-
Senti... Perché non mi dai del tu, eh? Non sono
“signore”, sono
solo... Dominic. -
L'androide
- o forse avrebbe dovuto chiamarlo con il suo nome per ricambiare il
favore... Cioè, il suo numero di serie, perché
non gli apparteneva
e non avrebbe potuto assegnargli un nome vero –
annuì,
commentando: - Se lo desiderate... Anche se la sostanza non cambia
poi di molto. -
-
In che senso? -
-
Il tuo nome deriva da un termine di origine latina che significa, per
l'appunto, “signore” inteso come
“padrone”. -
In
qualche modo impressionato, Dominic non poté lo stesso
trattenersi
dal borbottare: - Maschio, bruttino e pure secchione... Grandioso,
signor Kirk. -
MB1978
non diede mostra di accorgersi di quanto appena detto dall'uomo:
continuò a fissarlo mentre sbocconcellava la sua
monoporzione di
lasagna fin quando Dominic, imbarazzato, non sbottò: - Sai,
non è
necessario che continui a fissarmi con quell'aria un po'... Ecco... -
-
Ti chiedo scusa, Dominic. So che fra gli esseri umani questo
comportamento può essere interpretato in maniera negativa,
ma è il
mio modo di raccogliere informazioni sull'ambiente circostante e
migliorare la qualità del servizio. -
-
Non serve che tu lo faccia... Non sono il tuo padrone. -
-
Va bene, Dominic. - lo assecondò il robot, e di nuovo l'uomo
ebbe la
sottile sensazione di venire preso per il culo da lui. Il che non era
molto piacevole, visto che si trattava di un ammasso di circuiti
senz'anima.
Nonostante
tutto cercò di proseguire la conversazione, lamentandosi
caustico: -
Comunque... La mia giornata è stata uno schifo, come tutte
le
giornate che ho passato allo studio da quando mi hanno assunto. Ho
portato almeno una dozzina di caffé ed imbucato una decina
di
lettere e risposto a non so quante telefonate... Sono cose che
sapresti fare anche tu. -
-
Ovviamente, Dominic, sebbene l'ambito nel quale sono stato progettato
per esprimermi al meglio non comprenda questo genere di
attività. -
-
Ah no? E cosa sai fare? -
-
Suono il pianoforte e la chitarra. Canto. So muovermi a ritmo di
musica, anche se non ho un'attitudine spiccata per la danza come la
intendono gli esseri umani. Posso intrattenere dibattiti politici,
sebbene non al livello di un politico di mestiere, e su svariati
altri argomenti. -
Nello
stesso istante in cui l'immagine di quell'affarino ridicolo che si
dimenava a tempo di musica si andò a formare nella sua mente
Dominic
desiderò cancellarla.
-
… direi che non fai per me. - mormorò,
squadrandolo con ironia.
-
Domani telefonerò al signor Kirk e sistemeremo la
faccenda... Tu
dormi o roba del genere?-
-
Dopo ventiquattr'ore di inattività, se non vengo spento
manualmente
tramite interruttore, vado in stand-by ma se vuoi puoi regolare
questo intervallo di tempo secondo il tuo desiderio. -
Dominic
annuì e si alzò da tavola, iniziando a
sparecchiare. Lavò le
stoviglie, le asciugò e poi uscì dalla cucina per
andare in
soggiorno a prendere il manuale delle istruzioni.
Trovò
una levetta nascosta sulla nuca del robot, fra i capelli, e tirandola
sussurrò a mo' di saluto: - A domani. -
Dominic
non passò una notte serena.
Oltre
ad aver bisogno di riflettere su quanto era accaduto poche ore prima,
ogni tanto tendeva l'orecchio per captare eventuali rumori
provenienti dalla cucina.
Tutto
taceva. Nessuna mano meccanica cercava di aprire la porta chiusa a
doppia mandata, nessun fracasso di pentole e piatti lanciati in aria,
niente di niente. Solo la radiosveglia, alle sette in punto, venne a
turbare il silenzio altrimenti perfetto del piccolo appartamento.
Alzandosi
controvoglia, Dominic recuperò la chiave dell'uscio della
cucina e
lo aprì.
MB1978
– decise che lo avrebbe chiamato solo MB, da allora in poi
–
stava proprio lì dove l'aveva lasciato, seduto al tavolo
della
cucina con le palpebre abbassate e le mani conserte sul piano.
Un
po' a disagio, l'uomo tossicchiò e riattivò
l'androide che ebbe un
minuscolo sobbalzo, per poi voltarsi verso di lui.
-
Buongiorno, Dominic. - lo salutò con la consueta e
compassata
gentilezza.
L'uomo
si schiarì di nuovo la voce, lisciandosi i capelli biondi
ritti
sulla sommità del capo.
-
Buongiorno. -
-
Hai dormito bene? - chiese MB, mentre Dominic caricava la
caffettiera.
-
Non troppo. -
In
seguito, la colazione si svolse nel più totale silenzio:
l'androide
stava evidentemente prendendo nota di ogni movimento di Dominic e
quest'ultimo non aveva proprio un bel niente da raccontargli.
Entro
l'ora di pranzo avrebbe telefonato a chi di dovere, sperando che
riuscisse a risolvere il problema il più presto possibile
– non
perché MB fosse stato particolarmente di peso fino ad
allora, ma...
Oh, insomma.
Faceva
quasi tenerezza, in quel momento – così ligio al
dovere ed
educato, sarebbe stato la gioia di chiunque l'avesse ordinato.
Proprio
in virtù di quel sentimento un po' ridicolo di senso di
colpa - e
per via del fatto che... Insomma, non si fidava di certo a lasciarlo
solo, interruttore o meno - pensò che magari non sarebbe
stato poi
così grave se invece di tenerlo segregato in casa lo avesse
portato
fuori per qualche ora.
-
Vuoi uscire? -
MB
inclinò il capo da un lato, replicando: - Se me lo permetti
e se lo
vuoi. -
Dominic
ponderò la questione ancora per qualche istante, prima di
esclamare:
- Ma sì, dai! Ti porto a dare un'occhiata in giro... Tanto
posso
fidarmi, vero? Non tenterai di scappare o cose del genere? -
-
Assolutamente no, Dominic. -
Andare
in giro con MB era come portare per la prima volta al parco giochi un
bambino che non avesse mai messo nemmeno la punta del naso fuori
casa. Ogni passerotto, ogni automobile, ogni minimo particolare che
colpisse il suo cervello elettronico si traduceva puntualmente in una
domanda – cos'é questo, cos'é quello,
perché questo è così,
perché quello non è colà.
Stranamente,
Dominic non era irritato come credeva di doversi sentire, visto il
suo senso paterno prossimo allo zero assoluto: MB era sì
curioso, ma
come poteva esserlo un ragazzino dal QI fuori dalla norma. Apprendeva
molto facilmente – o meglio, incamerava i nuovi dati molto
più
velocemente di quanto non facesse la sera prima. Forse era un po'
intontito dal viaggio, o forse doveva prenderci la mano.
Scesero
dalla metro – altro luogo che non mancava di affascinare
l'androide, nonché di disgustare Dominic – e
camminarono fino ad
arrivare a destinazione.
-
Questo è il posto dove lavoro. - Dominic indicò
un portone
incassato dentro un arco a sesto acuto di un palazzo molto elegante,
avvicinandosi poi ulteriormente ad una targa d'ottone che indicava
l'elenco dei vari esercizi che avevano l'edificio come sede.
Seguendo
il dito dell'uomo, MB lesse: - “Warner Studios”. -
Restò
in silenzio per un secondo, prima di avanzare una richiesta: - Posso
vederne l'interno? -
-
A che ti serve? -
-
A raccogliere più informazioni possibili per esserti utile,
Dominic.
-
-
Te l'ho già detto, non serve... Non sei mio. -
Da
quel punto di vista, il robot restava un po' zuccone.
MB
tacque, annuendo ed aspettando una risposta: alla fine Dominic
cedette con un sospiro, e si raccomandò: - Va bene... Ma
cerca di
dare nell'occhio il meno possibile e non ficcanasare troppo in giro,
ok? Non voglio perdere il posto. -
Come
al solito, per i corridoi c'era un gran casino: dirigenti tronfi e
perennemente incazzati inseguiti da un codazzo di yes-men frustrati
che si rifacevano su chiunque fosse un loro sottoposto, come in una
spietata catena alimentare che si concludeva sempre con un solo
anello: gli assistenti come lui, e come Christopher Wolstenholme che
gli stava venendo incontro con un muso lungo chilometri.
-
Ehi, Dom! -
-
Ehi, Chris! -
Si
salutarono con una veloce pacca sulle spalle, e quando Chris
posò
gli occhi su MB Dominic improvvisamente realizzò che non
aveva la
minima idea di come presentare l'androide al suo collega e compagno
di sventura e soprattutto che era stato un idiota a non pensarci
prima.
-
Ehm... Questo è... Un mio amico. - instintivamente, Dominic
spinse
MB di un passo indietro come ad evitare ciò che successe
subito
dopo: Chris si fece avanti con la mano tesa, sorridendo.
-
Mi chiamo Christopher... Piacere di conoscerti! -
Dominic
incrociò le dita dietro la schiena, confidando nel
savoir-faire di
default del robot.
Non
rimase deluso. - È
un
piacere anche per me. -
Perfetto.
Assolutamente perfetto.
… anche
se effettivamente restava un particolare di non poco conto che
avrebbe potuto mandare all'aria tutto quanto.
-
E il nome sarebbe...? -
Ecco.
MB non aveva un nome e aveva dimostrato di non saperlo nemmeno
improvvisare, cazzo.
-
Sono il m... -
-
Matthew, Matthew. Lui è Matthew. -
affermò concitato
Dominic, fissando il robot come ad intimargli di tenere a freno la
lingua; per giustificarsi, si chinò verso Chris e
bisbigliò con un
sorriso un tantino nervoso: - È
un po' timido, quindi... -
-
Niente affatto, Dominic. - lo smentì candidamente spietato
l'androide, e per dargli prova di ciò si rivolse
direttamente al suo
collega: - Come va, Christopher? Tutto bene? -
Un
po' confuso, l'uomo saettò un'occhiata verso Dominic prima
di
rispondere: - Più o meno, sì... -
Sbuffò,
rivolgendosi – grazie a Dio o chi per lui – del
tutto all'amico
nel lamentarsi: - Il regista di questo nuovo video ci ha
schiavizzato, sono sul set da stamattina alle sette. -
-
Cazzo! -
-
Sì... Comunque devo portare questo – Chris
sollevò un bicchiere
di plastica colmo di caffé fumante - a quel bastardo prima
che mi
faccia venire a cercare... Ti giuro, è un pazzo. Ci vediamo
domani,
se sopravvivo. -
-
A domani, bello. -
-
Buona giornata, Christopher. - computò affabilmente MB,
prima di
informarsi: - Credevo che i pazzi venissero trasferiti in apposite
strutture. Per quale motivo questo regista viene lasciato libero di
attentare alla vita di altri esseri umani, se posso chiedere? -
-
È
un modo di dire, non è
davvero... Oh. Andiamo, su. - Dominic afferrò il robot per
una
manica e lo trascinò in direzione dell'ufficio del suo capo.
Durante
il tragitto, il robot chiese: - Dunque il mio nome è
“Matthew”?
-
-
È
il primo che mi è
venuto in mente, non farci caso. -
-
Credevo non mi volessi dare un nome, visto che dici di non essere il
mio legittimo proprietario. -
-
Non lo sono, infatti, e tu non ti chiami Matthew. Dimentica tutto. -
-
Non posso, Dominic. Riformattare la mia memoria è
un'operazione che
richiede di essere svolta manualmente dal mio padrone. -
-
Mi stai rendendo le cose difficili, lo sai? -
-
Mi dispiace, Dominic. Cosa vuoi che faccia per renderle più
facili?
-
-
Chiudi il becco e basta, ok? -
-
Non ho un becco in dotazione, Dominic. Se chiudo la bocca è
lo
stesso? -
L'uomo
si fermò di botto, guardandosi attorno per poi avvicinarsi a
MB e
sibilare sottovoce: - Se non fossi un androide direi che mi stai
prendendo per il culo... Ed è un modo di dire, ok? Non ti
avvicinare
alle mie chiappe! -
-
Come desideri, Dominic. -
Ripresero
la loro marcia lungo gli intricati corridoi degli uffici della Warner
prima che MB si bloccasse, mandando quasi per terra Dominic che gli
stava ancora stringendo una manica della giacca.
L'uomo
si voltò per rimproverarlo ma si arrestò quando
vide il robot con
il naso all'insù, le braccia inerti lungo i fianchi: ne
imitò la
posizione, cercando di capire cosa potesse aver colpito l'attenzione
dell'androide.
-
Cosa stai fissando? -
MB
tese un braccio verso una parete, indicando qualcosa con un dito.
-
Quella Manson Glitterati. Perché si trova appesa
lì, se posso
chiedere? -
Oh,
certo... Era un musicista, in fondo, doveva aver particolarmente a
cuore la sorte di ogni strumento musicale.
-
Oh, quella... È
rotta.
Apparteneva ad un coglione che ha pensato bene di chiudere uno dei
concerti della sua band sbattendola a terra fino a demolirla del
tutto. -
MB
non disse nulla per parecchi secondi, tanto che Dominic
iniziò quasi
a preoccuparsi prima di sentirlo parlare con qualcosa che somigliava
a... Ad una sfumatura diversa, nella voce melodiosa. Qualcosa che
somigliava ad una nota di incredulità sgomenta.
-
Perché lo ha fatto, Dominic? -
L'uomo
fece spallucce, commentando: - Ah, non saprei... Perché
è un
coglione? -
Per
la seconda volta, l'androide non ebbe nulla da dire. Scrutava
attentamente il corpo della chitarra rossa cosparso di brillantini e
sfregiato da un'evidente, profonda crepa, il viso inespressivo ma
allo stesso tempo perfettamente in grado di comunicare un che di
inaspettato.
Sembrava
costernato.
Dominic
temette che ci fosse davvero qualcosa che non andava.
-
Che ti prende? - gli sussurrò, sfiorandogli dopo qualche
incertezza
la schiena – come si consolavano i robot? E esistevano dei
momenti
in cui bisognasse consolare un robot?
MB
reagì subito dopo. - Non capisco perché si voglia
distruggere una
chitarra. Sono confuso. -
Dall'alto
della sua scarsissima esperienza nel campo, Dominic intuì
vagamente
che la cosa fosse normale. Probabilmente i processi cognitivi di una
mente robotica seguivano un rapporto di causa-effetto: sei un
chitarrista? Allora ti prendi cura delle tue chitarre.
Alcune
minuzie che sfuggivano a quella tipologia di ragionamento –
come i
sentimenti e l'infinita idiozia della razza umana – non
potevano
essere concepite da MB e dagli altri esemplari della sua specie.
Dominic
provò a spiegarglielo sbrigativamente: - Be', sei un
robot... A
certe cose non ci arrivi, è normale. - e poi
continuò, nel
tentativo di scuotere l'androide: - Ehi... Riprenditi, ok? Non
è
nulla. Ci sono altre chitarre in sala di registrazione e sono tutte
integre e funzionanti. -
MB
reclinò lievemente il capo, distogliendo lo sguardo dal
relitto
della Manson.
Non
sapeva incassare una cattiva notizia con la stessa classe con la
quale gestiva i rapporti interpersonali, decisamente.
A
Dominic venne un'idea.
-
Vuoi vederle? - propose al robot, che finalmente diede un segno di
ripresa: lo guardò e come suo solito ribatté: -
Solo se tu vuoi,
Dominic. -
L'uomo
sorrise, sollevato.
Sarebbe
arrivato in ritardo dal capo, ma non poteva rischiare che MB
cominciasse a perdere colpi – e se fosse andato in
corto-circuito o
roba del genere proprio lì? Era decisamente
un'eventualità da
evitare.
-
Certo che sì. - gli concesse, dolcemente.
-
Eccole qua. -
Dominic,
dopo essere entrato in una delle sale d'incisione vuote dell'edificio
– l'unica cosa positiva del suo lavoro alla Warner era l'aver
accumulato piccoli favori qua e là da utilizzare al momento
giusto –
indicò con un gesto da prestigiatore un lungo sostegno
ingombro di
chitarre di ogni tipo. Attorno a loro erano accumulati ordinatamente
strumenti di diverso genere, ma MB era attratto solo dalle chitarre.
Ne
prese in mano una dal corpo color arancio chiaro, con tutta la cura
possibile, e si sedette su di uno sgabello. Pizzicò una
corda con il
polpastrello, ed il suono ricavatone echeggiò nel silenzio
denso del
momento: dopodiché il robot sentenziò: - Gibson
Les Paul DC Lite.
Manico e corpo in mogano, tastiera
in
palissandro. -
Dominic
batté le mani, con espressione scherzosamente ammirata.
-
Sei un intenditore. -
Ovviamente
MB non colse l'ironia: continuò a lambire le corde con
accortezza,
la testa vicina al manico per saggiare il suono delle note.
Sollevò
il volto per affermare pianamente: - Ha bisogno di essere
accordata. -
-
Non credo ci sia tempo. - Dominic sollevò le braccia in un
gesto
d'impotenza.
MB
era tornato quello di prima, e lui aveva accumulato dieci minuti di
ritardo che Bill non gli avrebbe perdonato tanto facilmente. In
più,
non potevano farsi beccare là dentro senza un permesso
specifico...
Era il caso di andare via.
L'androide
lo guardò senza fiatare, per un attimo; poi
domandò: - Quindi non
posso? -
Aveva
trovato il suo punto debole: chiunque lo avesse progettato si era
premurato di renderlo servizievole, educato e discreto, ma la sua
specializzazione nel ramo musicale doveva prevalere in una qualche
misura sul suo naturale rispetto nei confronti del padrone.
Dominic
diede un'occhiata al suo orologio.
Dodici
minuti di ritardo.
L'uomo
sospirò, e poi fece cenno di sì con il capo.
-
Fallo. - gli ordinò, sperando non vi impiegasse troppo tempo.
Mentre
MB maneggiava le chiavette con efficienza, Dominic volle sapere: -
Che canzoni sai suonare? -
-
Il mio repertorio spazia dal blues al rock. -
-
Hai una canzone che ti riesce meglio delle altre? -
-
So eseguire ogni brano del mio repertorio alla perfezione. -
Quindici
minuti di ritardo tondi tondi. Il quarto d'ora di tolleranza,
già di
per sé inesistente, era appena scaduto.
Si
sedette a terra, di fronte all'androide.
-
Ti va di suonarmi qualcosa? -
Anche
sotto l'impassibilità che lo contraddistingueva, a Dominic
parve di
notare una nuova variazione di tono nella sua risposta, una
vibrazione appena percettibile e simile ad una lieve corrente di
contentezza.
-
Solo se ti va di ascoltarmi. -
Il
modo di suonare di MB era strabiliante.
Le
sue mani si spostavano senza sforzo alcuno lungo il manico,
producendo accordi perfetti, senza ombra di sbavature e senza che il
suo volto mutasse espressione.
D'altronde,
era stato costruito per questo... Ma costituiva lo stesso uno
spettacolo incredibile, ed una gioia per i timpani.
Quando
ebbe portato a termine il brano prescelto, un blues di Robert
Johnson, si ricompose e rimase in attesa di ulteriori istruzioni
–
o forse di un complimento, chissà.
Dominic
non fece nulla di tutto ciò: si distese all'indietro,
appoggiandosi
sugli avambracci, e sorrise.
-
Avevo un amico che sapeva suonare bene come te... Voglio dire quasi
bene, ovviamente. Da giovani avevamo formato una band... Una band del
cazzo, in realtà, con un nome del cazzo... Rocket Baby
Dolls.
Abbiamo vinto qualche concorso, ci divertivamo... Volevamo che
diventasse un lavoro a tempo pieno. -
Abbassò
lo sguardo sulla sua maglietta, riprendendo a voce più
bassa: -
Credo che lui faccia l'imbianchino, ora. E io sono lo sguattero
d'ufficio del manager di una major discografica. -
La
triste storia di un sogno infranto come ce n'erano tanti al mondo,
pensò sarcastico, tutti differenti e tutti uguali fra loro.
Il
suo sogno, ormai, faticava persino a richiamarlo alla mente. L'aveva
rinchiuso da qualche parte insieme ai suoi ricordi d'infanzia - la
sua batteria-giocattolo di latta, le grida della mamma di fare
più
piano e di studiare invece di stare lì a fare lo scemo con i
tamburi
– pochi mesi dopo essere venuto a Londra in cerca di
fortuna... O
meglio, di un contratto discografico.
Poco
male. In fondo, certe volte era importante sapere dove e quando
fermarsi. Sapere che c'erano cose che semplicemente non erano
destinate ad essere.
Dominic
rise fragorosamente.
-
Anche noi non eravamo adatti a quel tipo di attività, visto?
Come
te. Forse sei destinato a qualche etichetta che vuole trasformarti
nella prossima rockstar di grido dello showbiz, o ad una band che
desideri il frontman perfetto... E invece sei capitato ad un
batterista fallito. -
Il
silenzio si fece troppo lungo, troppo denso – MB era di nuovo
sconvolto, forse?
L'illuminazione
in sala era troppo fioca. Il profilo del robot era scuro ed
impenetrabile.
Dominic
balzò in piedi, spolverandosi i pantaloni.
-
Adesso però andiamo, sennò mi ritrovo davvero
nella merda. -
MB
trascorse il resto della mattinata al fianco di Dominic o attendendo
di poterlo fare – l'intento era quello di passare
inosservati,
anche se il robot attirava diversi sguardi curiosi quando stazionava
in corridoio o seguiva diligentemente l'uomo al quale era affidato.
Fortunatamente,
Bill era troppo impegnato a star dietro con la stessa dedizione che
MB rivolgeva nei confronti di Dominic al regista pazzoide del video
menzionato da Chris, ergo non trascorse molto tempo a curarsi
dell'operato del suo segretario-assistente-schiavetto o a porre
domande inopportune sull'omino strambo che aveva portato agli
studios.
Quando
fecero ritorno a casa, in serata, Dom notò che c'era
qualcosa di
strano nell'atteggiamento di MB. Preparò la cena come se
niente
fosse, la mise in tavola ed attese il momento in cui il robot avrebbe
sollevato qualche questione delle sue.
Dato
che ciò non accadeva, volle sapere: - Non parli da quando
siamo
usciti dallo studio, sai? Che ti succede? -
MB,
seduto dall'altro capo del tavolo della cucina, replicò
laconico: -
Elaboro i dati raccolti. Ci vuole del tempo. -
-
Per l'ultima volta... Risparmia i positroni del tuo cervellone, non
ne ho bisogno. -
-
Sono stato appositamente creato per raccogliere dati ed ordinarli. -
Dominic
sospirò, versandosi del vino rosso.
-
Si, vabbe', come ti pare. -
Mentre
beveva, MB domandò: - Domani mattina devi andare agli
studios? -
-
Sì, perché? -
-
Posso venire con te? -
L'uomo
aggrottò le sopracciglia, perplesso: - Devi raccogliere
altre
informazioni su quella merda di posto? -
MB
non batté ciglio, continuando a fissarlo con quei suoi
occhietti
azzurri penetranti come un laser.
Doveva
essere un “sì”.
-
Va bene, puoi venire. Basta che non fai casini. - acconsentì
Dom,
non vedendo nulla di male nel desiderio dell'androide di tornare agli
studios – giusto un filo di masochismo.
Dopo
cena mise sotto sopra l'intero appartamento senza riuscire a scovare
l'elenco telefonico – era in momenti come quello che sentiva
la
mancanza di un computer che gli risolvesse i problemi in un solo
clic. Insomma, di un computer che non fosse il suo ospite.
La
mattina dopo, Chris venne loro incontro con un muso lungo chilometri
e due ingombranti borse sotto gli occhi.
Prima
ancora di salutarlo, Dom non si trattenne dall'apostrofarlo: - Ehi,
che faccia. -
-
Se lavorassi con quel tizio e a casa avessi un bambino che non dorme
mai l'avresti anche tu... Ciao, Matthew. -
-
Buongiorno, Christopher. -
MB
fissò lo sguardo verso la fine del corridoio, laddove si
apriva la
porta del set dove si girava il famigerato videoclip.
Senza
un briciolo di discrezione, puntò un indice verso un omone
corpulento, vestito di lino beige – nel complesso, sembrava
una
balla di stracci semovente.
-
Lui è il pazzo? -
Dom
cercò di fulminarlo con lo sguardo, il che non gli
risultò facile
poiché l'androide non lo degnava d'attenzione.
-
Uh? Oh, sì. Stavo andandogli a comprare, cito testualmente,
un
panino di segale ripieno di fesa di tacchino, rucola e crema di
formaggio. Non ho la minima idea di dove diavolo trovarlo, ma non fa
niente... Farei di tutto per uscire da qui. - sbuffò Chris,
massaggiandosi la nuca stancamente.
-
Immagino... Guarda Bill come se lo sta allisciando. - Dominic
indicò
con un cenno del mento l'uomo che parlava con il regista, non meno
corpulento e poco più alto.
Chris
annuì sospirando, e si congedò poi con un
rassegnato: - Vado... A
più tardi. -
Quando
l'assistente se ne fu andato, MB propose, dal nulla: - Potrei
parlargli. -
Dom
si voltò verso di lui, stupito, per ritornare in seguito a
guardare
il suo principale e poi di nuovo il robot.
-
Come, scusa? -
-
Potrei parlare a Bill della tua insoddisfazione, e convincerlo a
rimediare a questo stato di cose. -
L'uomo,
sempre più sorpreso e per nulla convinto, scosse il capo.
-
Perché mai? Bill è un vecchio squalo senza cuore
e con le palle
quadre, come puoi... -
-
Immagino che siano solo dei modi di dire. Comunque,
la risposta è che io sono un robot, Dominic. Esisto allo
scopo di
semplificare la vita degli esseri umani e, per quanto tu asserisca
che non dovrei perché non ti appartengo, sento il dovere di
adempiere al mio compito in qualsivoglia maniera richiedano le
circostanze. -
Dom
si rifiutò di leggere anche solo un pizzico d'orgoglio nelle
parole
di MB – sarebbe stato troppo, troppo strano.
-
Io... - cominciò, dubbioso, e l'androide lo interruppe
subito: - Ma
se non vuoi, non lo farò. -
Rimaneva
da capire se lo volesse o meno, dunque.
Se
MB appariva tanto certo di poter fare qualcosa per lui e se in
più
lo sentiva come un obbligo nei suoi confronti... Avrebbe seriamente
potuto creare disastri?
-
Credi di avere una possibilità di... -
-
Le probabilità di successo sono buone. Se mi dai un istante
posso
quantificartele sotto forma di percentuale. -
-
Non serve, non serve. -
… tanto,
peggio di così, si disse Dom nell'incrociare lo
sguardo di Bill
da lontano.
Dopodiché,
si fece da parte ed improvvisò una scherzosa riverenza.
-
Prego, hai il permesso di cercare di migliorarmi l'esistenza... Bada
solo a non fare casini, come al solito. -
MB
annuì rigido, partendo in quarta con il suo usuale
trotterellare
sgraziato verso il datore di lavoro di Dom, il quale trascorse i
dieci minuti che il robot impiegò a confabulare fittamente
con Bill
di chissà cosa mordendosi l'interno della guancia e spiando
il suo
orologio da polso.
Finalmente,
i due smisero di parlare e Bill iniziò ad avvicinarsi a Dom
a passi
lunghi e veloci.
Il
cuore dell'uomo accelerò improvvisamente le sue pulsazioni.
Bill
era sorridente. Sorridente.
Era
andata bene?
MB
era riuscito in... Qualsiasi cosa avesse in mente di fare?
-
Dominic! -
Il
vocione tonante di Bill quasi lo rintronò, quando gli cinse
le
spalle con l'entusiasmo e la forza di un orso bruno.
Continuando
a sorridere, esclamò allegramente: - … ci sono
dei problemi con la
scenografia e Franz ha assolutamente bisogno di iniziare le riprese
entro un quarto d'ora. Potresti dare una mano alla troupe? Grazie. -
Dom
non reagì che dopo una decina di secondi, restando a bocca
aperta ed
emettendo un piccolo gemito sconvolto.
Sulla
soglia del set, in fondo al corridoio, MB stava ritto ed immobile, le
mani intrecciate in grembo e gli occhi fissi sul suo affidatario.
I
due si rincontrarono solo in pausa pranzo, quando Dom si
accasciò
letteralmente sulla prima sedia disponibile del set, con
apparentemente ogni singolo muscolo del suo corpo dolorante per aver
spinto in lungo ed in largo enormi e pesantissimi amplificatori ed
altri pezzi di scenografia.
Mancava
mezza troupe per solo Dio sapeva quale motivo, e
“giustamente”
Bill aveva proposto a Franz il Sanguinario l'aiuto del suo schiavetto
personale.
MB
gli venne incontro, sbucando fuori da qualsiasi anfratto avesse
scelto come nascondiglio – non aveva potuto tenerlo d'occhio,
c'era
da pregare che non fosse successo nulla in sua assenza.
Quando
gli fu accanto, Dom sbraitò: - Gran bell'aiuto, eh? Ho la
schiena a
pezzi e non mi sento più le braccia. -
Il
robot si avvicinò ulteriormente, tastandolo come se lo
stesse
sottoponendo ad una visita medica.
Dom
si ribellò, contorcendosi: - Ma che...! -
-
Dovresti tonificare gli addominali. Ad un esame superficiale i tuoi
bicipiti e tricipiti sembrano in condizioni ottimali. -
elaborò MB,
come se si trattasse appunto di una diagnosi clinica.
Profondamente
irritato, l'uomo lo scacciò in malo modo ringhiando: -
Piantala!
Cristo, sei una piaga! -
Il
robot distese le braccia ossute lungo i fianchi, stringendo le gambe
come per mettersi sull'attenti.
-
Cercavo di aiutarti, Dominic. -
-
Lo so, ma hai peggiorato solo le cose... Quindi trovati un posto dove
sedere e fammi il favore di non intercedere per me presso
chicchessia, ok? - berciò Dom, prima di distendersi
mollemente sulla
sedia.
-
Oh, eccolo qui... Dominic! Perché non mi hai mai parlato del
tuo
amico? È...
Straordinario! Un musicista eccezionale! - esclamò,
indicando MB
entusiasticamente.
-
Sono nato per questo. - affermò pianamente il robot, e Bill
interpretò la frase nell'unico modo ragionevole possibile: -
Eh,
be', certi doni o ce li hai dalla nascita o puoi sognarteli e basta!
Dico bene? -
Interpellato,
Dominic chiuse la bocca ed emise un mugolio d'assenso, senza capire
molto di quello che gli stava succedendo attorno.
MB
doveva aver trascorso la mattinata con Bill... Ma perché?
Doveva
recuperare un minimo di controllo sulla questione, e alla svelta.
Alzandosi
in piedi e trattenendo un sibilo di dolore quando fece forza sui
polpacci indolenziti, Dom gorgheggiò letteralmente,
prendendo MB per
un polso: - Bill, posso rubartelo per un minuto? -
Il
vecchio manager sembrò spegnersi improvvisamente: poi
alzò una
spalla, borbottando: - Se proprio devi... -
L'umano
ed il robot si allontanarono di qualche metro, ed arrivati ad una
certa distanza da Bill Dominic lasciò il braccio di MB,
sibilando: -
Stai facendo un casino. Te ne rendi conto, vero? -
-
Lui ha voluto sentirmi suonare. - spiegò in maniera
stringata
l'androide.
Sorpreso,
Dom proruppe: - … cooosa?! E perché? -
-
Gli ho detto che sono un musicista, stamani, e che desideravo tanto
poter fare un provino con lui. -
… quindi
era questo che aveva detto a Bill poche ore prima? Consisteva in
ciò
il suo tentativo di aiutarlo – cercare di strappare a Bill un
provino?
-
Non posso crederci... - bisbigliò Dominic, infilandosi le
mani fra i
capelli.
Inopportuno
e candido allo stesso tempo, come sempre, MB lo informò: -
Penso che
mi proporrà un ingaggio. -
La
sensazione di essere stato bellamente raggirato si fece strada fra i
pensieri di Dominic.
Qualcosa
gli suggeriva che il robot stesse lavorando ad un disegno ben
più
complesso di quanto volesse ammettere; l'idea era semplicemente
terrificante e gli ricordava decisamente troppo il contenuto di
alcune delle più cupe pagine di fantascienza che aveva letto
in
passato.
Non
seppe trattenersi dal notare: - Sei sveglio per quello che cazzo ti
pare, eh? - prima di ghermire con forza il polso fragile di MB ed
intimargli: - Chiaramente, semmai ciò dovesse accadere tu
dovrai
rifiutare categoricamente... Mi sono spiegato? -
-
Devo rifiutarmi di suonare per lui? -
-
Esattamente. -
-
Se posso permettermi, Dominic, questo andrebbe a discapito del mio
target. -
-
Io ti sto ordinando di non accettare alcuna offerta
di lavoro.
Sono stato chiaro? -
-
Se posso permettermi, Dominic – la voce
del robot sembrò
calcare sul concetto già espresso in precedenza –
questo andrebbe
a discapito del mio target. -
Dunque,
era vero. Quell'ammasso di circuiti, quell'agglomerato di cavi e
silicone stava davvero dando di matto – non poteva tenerlo
con sé
un minuto di più. Lo avrebbe riportato a casa ed avrebbe
trovato il
modo di disattivarlo ed si sarebbe procurato lo stramaledetto numero
della UD Inc. e si sarebbe fatto passare Thomas Kirk in persona al
telefono e... E poi boh, cazzo ne sapeva?
-
D'accordo. Tu adesso vieni con me. - annuì Dominic, ed aveva
appena
mosso un passo verso la porta prima di ritrovarsi Bill alle calcagna,
che lo richiamava all'ordine.
-
Dominic, dove stai andando? Hai ancora molto da fare sul set. -
Sotto
lo sguardo esterrefatto del suo assistente, il manager cinse le
spalle di MB con un sorriso.
-
… mi prenderò cura io del tuo amico. -
Se
ne prese cura fino alle sei del pomeriggio, l'ora in cui Dominic
potè
finalmente riagguantare il suo cruccio principale degli ultimi giorni
e tornare a casa.
Spese
un'ora di tempo a setacciare l'appartamento alla ricerca dell'elenco
telefonico, e quando finalmente riuscì a ritrovarlo ed a
rintracciare il numero del servizio clienti della UD Inc.
trovò solo
un messaggio preregistrato che lo invitava ad attendere lo
smistamento della sua chiamata al primo operatore libero.
Attese
ventiquattro minuti, secondo il suo orologio da polso, prima di
riattaccare con un ringhio frustrato.
Seduto
sul divano, MB assisteva alla scena con la consueta
impassibilità.
Dominic
non si attendeva certo che partisse in quarta con il resoconto della
sua giornata, ma non si sentiva nemmeno in grado di porre qualche
domanda mettendo a tacere l'impulso di rinchiudere il robot nella
cassa dalla quale era uscito.
Quel
pezzo di ferraglia ormai gli dava i brividi.
Solo
a cena, MB sembrò scuotersi.
-
Dominic... -
Il
suo tentativo di fare conversazione non venne accolto nel migliore
dei modi.
-
Sta' zitto. -
L'uomo
digrignò i denti, alzando gli occhi dal piatto per scandire
freddamente: - Non vedo l'ora che tu te ne vada e che questa storia
assurda finisca. -
L'androide,
come se non avesse sentito nemmeno una parola, comunicò a
Dominic: -
Ho un appuntamento con Bill, domani. Dovrò di nuovo venire
con te
agli studios. -
MB
era stato decisamente più bravo di Dominic nel lasciarlo
senza
parole.
Infatti,
fu solo dopo qualche istante che Dom ritrovò la
capacità di
esprimersi verbalmente.
-
Tu. Sei. Fuori. Di. Testa. - sillabò, prima di esclamare: -
… ti
scoprirà! Scoprirà che sei un robot e io
finirò in mezzo ai
casini! -
-
Perdonami, ma non vedo perché ciò debba accadere.
-
-
Tu non capisci, non... Fai parte di un programma segreto, non puoi
andare in giro a giocare alla rockstar e pensare di poter farla
franca! -
-
Non è un gioco. Io devo andare. -
-
Ti ordino di non farlo. -
-
È
comprensibile che tu
abbia paura, ma ho calcolato ogni cosa. Il margine di rischio
è
minimo, e a risponderne non saresti tu ma la UD Inc. Verresti
coinvolto in un eventuale scandalo in misura minima. -
-
No. -
-
Il tuo atteggiamento è insensato, se posso permettermi. -
-
No, non puoi! Non puoi permetterti! - esplose alla fine Dominic,
battendo una mano sul tavolo.
Spinse
la sedia indietro violentemente, alzandosi in piedi e seguitando a
sbraitare, l'indice puntato in avanti come un'arma: - Sei un robot,
chiaro? Non puoi prendere iniziative, sono io che detto legge! È
a me che devi obbedire! -
Probabilmente a MB sembrò necessario prendere un po' di
tempo per cercare di
ammansire l'uomo nella giusta maniera: lentamente,
argomentò: -
Dominic, io posso rendere la tua vita migliore. -
-
Sì, tornandotene da dove sei venuto. -
-
Il mio target... -
-
Lo so, lo so! Sei un musicista, sei stato inventato per suonare
eccetera eccetera...! -
-
Sono stato creato per migliorare la vita delle persone. -
ribadì
ancora una volta.
-
Ti ho ascoltato, in questi giorni. Ho immagazzinato ed elaborato i
dati uno ad uno. -
-
E quindi? -
-
Credo che alla luce del materiale che ho raccolto tu sia un uomo
infelice, Dominic. -
Finalmente,
l'automa sembrò aver premuto il tasto giusto: Dominic
aggrottò le
sopracciglia, cercando di controbattere ma MB non gliene diede modo.
-
So che per voi umani è molto importante stabilire e
raggiungere dei
traguardi, e tu non lo hai fatto. So che per voi umani è
importante
avere un partner, e tu non ce l'hai. È
importante che il posto di lavoro sia stimolante e gratificante, ed
il tuo non lo è. -
-
E tu come potresti cambiare tutto questo? Diventando la next
big
thing targata WMG? - chiese l'uomo in tono sarcastico.
-
Se mi lasciassi andare all'appuntamento con Bill, potrei aiutarti. Se
davvero non vuoi, però, io non mi opporrò. -
Il
solito convenevole - “se tu vuoi, se tu non
vuoi...” - ma
stavolta era diverso. Suonava più come una scappatoia, o
forse un
ultimatum.
Se
avesse concesso al robot ciò che voleva, come avrebbe potuto
affrontare le conseguenze di un fallimento? La UD Inc. si sarebbe
fatta davvero carico di ogni responsabilità?
… e
se il fallimento non fosse consistito nella rivelazione al mondo
intero che MB era un androide? Se semplicemente il piano non avesse
funzionato – almeno per lui, perché cosa diavolo
avesse in mente
quel robot per sé stesso e... E perché
diamine avesse in
mente qualcosa per sé stesso, effettivamente, restava un
mistero
probabilmente inaccessibile, viste le premesse.
Ancora
in piedi, Dominic si coprì la bocca con una mano,
passandosela poi
su tutta la faccia.
-
Hai un piano? -
-
Ho elaborato una strategia, sì. -
-
E... Funzionerà? O sarà un fiasco come oggi? -
-
Non è stato un fiasco, oggi. -
Certo
che no – aveva ottenuto una giornata intera passata con Bill
a fare
chissà cosa, mentre lui lavorava come un mulo per Franz.
-
Come posso fidarmi di te? - mormorò l'uomo, ed il robot
rispose: -
Io farò solo ciò che vuoi e ciò che mi
porterà a centrare il mio
target. -
Molto
rassicurante, come no.
Dominic
non poteva liquidare la faccenda tanto facilmente... Doveva
riflettere.
Doveva
riflettere, e lo fece da quell'esatto momento fino alle due meno un
quarto di notte, quando infilò l'uscio del soggiorno e
riattivò MB,
seduto immoto sul divano.
Conosceva
quell'edificio da anni, ormai. Centinaia di mattinate con lo stesso
odore nelle narici, le stesse voci nelle orecchie, le stesse facce e
stanze di fronte agli occhi.
Quello
era il suo microcosmo, monotono ed asfissiante ma suo,
in ogni
minimo centimetro e ogni minima molecola.
Poche
ore prima, aveva deciso che valeva la pena perdere tutto ciò
per
seguire i piani di un robottino ridicolo che però
– stando a
quanto stampato sul manuale d'istruzioni e dalla notte precedente
nella sua memoria, a caratteri cubitali al neon – non gli
avrebbe
mai fatto del male, neanche indirettamente.
Questo
doveva tenere a mente, durante la sua marcia lungo i corridoi della
Warner con a fianco il suo domatore di pulci personale –
forse
avrebbe dovuto prestargli un paio di jeans ed una maglietta, da
giorni ormai indossava quel completo ridicolo e... Oh, ma cosa
importava. I robot non puzzavano.
Sforzandosi
di mantener ferma la voce, Dominic bisbigliò all'indrizzo di
MB: -
Dunque, ricapitolando tu saresti...? -
Con
fare molto professionale, l'androide sciorinò per l'ennesima
volta
la versione definitiva della storiella preparata e limata
accuratamente mentre il sole sorgeva nel cielo grigiastro della
città.
-
Matthew Bellamy. Nato a Cambridge, il nove giugno di trentadue anni
fa. Padre inglese, ex-musicista. Madre irlandese, casalinga con
tendenze new-age. Un fratello maggiore, Paul. Chitarrista. Cantante.
Ex-imbianchino. -
Dominic
sorrise – o, più probabilmente, fu scosso da un
tic all'angolo
destro della bocca.
Erano
in anticipo per l'appuntamento di cinque minuti, quando arrivarono di
fronte alla porta dell'ufficio di Bill.
Dominic
si voltò verso MB, non sapendo bene cosa dire.
Mormorò solo: - …
ok. Allora, in bocca al... -
Si
fermò, tacendo per un attimo: poi si lasciò
andare fino a sfiorare
una spalla del robot con un buffetto leggero.
-
… insomma, fai un buon lavoro. -
-
Lo farò. - confermò MB; ci sarebbe stato bene un
accenno di
sorriso, da parte sua.
Si
poteva insegnare a sorridere ad un androide?
Dominic
attese nella sua parte d'ufficio separata da quella riservata al capo
per troppi, lunghissimi minuti.
Ogni
secondo era scandito da un ripensamento o da una nuova speranza.
La
sua vita era fra le mani meccaniche di una macchina.
Il
cuore gli fece una capriola in petto quando vide MB uscire dalla
porta di Bill, ma non fece in tempo a chiedergli nulla
perché il suo
capo si affacciò subito dietro il robot, pronunciando cinque
parole
che gelarono il sangue nelle vene di Dominic.
-
Puoi venire un momento, Dom? -
Bella
domanda... In senso puramente fisico, forse sì –
se fosse riuscito a
reggersi in piedi ed a muoverli fino a destinazione, il che non era
per nulla scontato nelle sue condizioni.
Dominic
si sentì sorridere ed annuire, prima di – oh! -
alzarsi ed entrare
nell'ufficio del capo.
Bill
gli offrì una sedia, prima di tornare al suo posto dietro la
scrivania.
Dominic
sbirciava il suo viso dal basso verso l'alto, come un ragazzino
mandato dal padre a rendergli conto di una marachella.
-
Da quanto tempo lavori qui, Dom? -
La
domanda fu inaspettata e pronunciata con gentilezza.
Facendo
rapidamente il conto, Dominic deglutì e disse: - Saranno
cinque
anni. -
Bill
annuì, apparentemente ponderando l'informazione.
-
Cinque anni... E di te so a malapena nome e cognome. -
constatò,
scuotendo poi il capo con un sorrisetto sul faccione rubicondo.
Cambiò
argomento, tornando serio.
-
Il tuo amico... Si tratta di roba forte. -
Dominic
trattenne il fiato inconsapevolmente, mentre il suo capo si alzava a
fatica sulle gambe grassocce, andando alla finestra che dava sul
panorama cittadino.
-
Vedi, io sono del giro da molto tempo, da quando i discografici erano
metà affaristi e metà... Sognatori, mettiamola
così, e facevano
funzionare il registratore di cassa ed il naso – diede un
paio di
colpetti su di una narice per enfatizzare l'idea - di pari passo.
Oggi si scopre di meno e si progetta di più a tavolino...
Delle
volte cogliendo i mutamenti della fetta più larga del
pubblico,
altre suggerendoli pian piano. -
Seguendo
il discorso con trepidazione, Dominic sorrise brevemente ed mosse il
capo in un cauto cenno d'assenso.
Bill
non lo guardava, per fortuna: guardava ancora fuori dalla finestra,
mentre discorreva.
-
Il discorso è che oggi ci piace pensare che sia
più stupida, ma in
realtà la gente non è cambiata: vuole idee.
Persino la tredicenne
infoiata non è poi così facile da infinocchiare. -
Quando
finalmente si voltò verso di lui, il luccichio nei suoi
occhi non
dava adito a fraintendimenti: Bill lo Squalo era lì, ed
aveva in
mano qualcosa di grosso.
-
Matthew Bellamy è un'ottima idea. È
abbastanza brutto da risultare credibile e
“genuino” ma anche
abbastanza attraente da risultare appetibile agli occhi del giusto
destinatario, ha una preparazione più che solida ed una
personalità
eccentrica ma non così sopra le righe da farti pensare che
ti stia
prendendo per i fondelli. -
Dominic
dovette riprodurre la frase del suo capo in testa per un paio di
volte, prima di afferrare l'esatto significato di ogni vocabolo.
Bill
era interessato a... Matthew Bellamy. Si era andato a chiudere a
chiave nel castello di fandonie che aveva costruito assieme ad un
fottuto androide.
-
… ed è anche uno che sa il fatto suo. - stava
dicendo il manager,
grattandosi il doppiomento con aria divertita.
-
Ci ha tenuto a precisarmi che non ha alcuna intenzione di firmare
alcun contratto con noi...-
Il
castello di fandonie perse qualche mattone, nella testa di Dominic.
Non
intendeva firmare alcun contratto? Gli era saltata qualche rotella?
Cosa voleva di più, cazzo?! Si era rigirato un mostro come
Bill tra
le dita come fosse niente e...!
-
… non come solista, almeno. -
… come?
Bill
sembrò rispondere alla domanda che Dominic stava per porre.
-
Sì, ha proposto l'idea di un duo, o di una band. Massimo tre
membri,
comunque, non di più. Lui ovviamente verrebbe ad occupare il
posto
di leader... -
Il
manager tacque, fissando l'altro con l'ombra di un ghigno sul volto.
-
… e, qualora volessi, in teoria il batterista del duo o band
che
sia saresti tu. -
Dominic
non replicò subito.
Se
poco prima il suo cervello aveva incamerato con difficoltà
le
informazioni ottenute da Bill, ora sembrava lavorare a
velocità
doppia.
Come
nel domino, le tessere erano state predisposte con cura per cadere
l'una sull'altra, dando inizio ad un moto inarrestabile che si stava
concludendo di fronte a quella scrivania di mogano, di fronte ai
dischi d'oro e di platino appesi alle pareti ed alle foto degli
artisti gestiti da Bill nel corso degli anni.
MB...
Il suo target non era suonare per Bill.
Il
suo target era far sì che Dominic suonasse
per Bill, in modo tale che le sue condizioni lavorative
migliorassero... E non solo quelle.
Come
se si trovasse in un sogno, Dominic mormorò: - …
io? -
-
Matthew ha fatto il tuo nome. Ovviamente devo prima sentire cosa sai
fare, eh... E, ti dirò, sono piuttosto curioso di saperlo. -
Il
suo capo – il suo... Il suo futuro manager, forse –
abbandonò di
nuovo la sedia e gli si accostò, battendogli un colpo
amichevole
sulla spalla; poi aprì la porta, congendandolo: - Stasera,
appena
avrai finito, mi mostrerai di che pasta sei fatto... Buon lavoro. -
L'androide
era seduto su una delle poltroncine di fronte al suo tavolo,
praticamente in bilico sul bordo.
Il
fatto che, in quell'occasione, sembrasse mostrare un atteggiamento
fin troppo simile a quello di un essere umano non disturbò
affatto
Dominic, per la prima volta da quando lo conosceva.
L'uomo
gli si parò davanti, con un sorriso a trentadue denti.
-
Non so cosa dire... Grazie? -
MB
non disse nulla, alzando solo il capo e fissandolo con la solita
assenza di espressività.
Doveva
molto, a quel piccolo ammasso di circuiti, sia che fossero riusciti a
sfondare nel mondo della musica o meno.
-
Grazie... Matthew. -
Era
il caso che cominciasse a prenderci la mano, dopo tutto.
-
Ho già pronta una lista di nomi per la band. Se vuoi
posso… - si
offrì Matthew, ma Dominic lo zittì con un
buffetto scherzoso sui
capelli.
-
Quando saremo a casa, ok? Non c'è fretta. -