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Autore: Stregatta    24/04/2011    9 recensioni
Un misterioso piazzista bussa alla porta di Dominic Howard la sera del ventiquattro dicembre: cosa avrà da offrirgli?
Probabilmente, più di quanto Dominic pensi... E speri.
Genere: Commedia, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dominic Howard, Matthew Bellamy
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Nonostante mi servano disperatamente dei soldi (Londra Londra Londra *allunga mano bramosa*), non scrivo a scopo di lucro e, per dire, neanche posso chiedere un obolo ai Muse perché chi li conosce XD


Storiella un po' cretina che mi frulla in testa da un bel po' – l'ammontare di spunti che mi fornisce Undisclosed Desires (video e canzone) è immane, e me ne stupisco ogni volta.
Tracce di Asimov e Ai Confini della Realtà sono sparse qua e là. *si inchina umilmente di fronte ai modelli summenzionati*


Btw, buona Pasqua a tutti! :D


Undisclosed Desires Inc.


Era una vigilia di Natale come tante altre, di addobbi multicolori, risate di bambini e profumini appetitosi, in quel tranquillo sobborgo londinese.
Le finestre illuminate rimandavano agli occhi di Dominic Howard lo stesso quadretto di quieta armonia, con le uniche varianti di personaggi e scenografia.
Di ritorno dal supermercato con una confezione di sushi surgelato ed una bottiglia di Jack Daniel's, l'uomo iniziava seriamente ad immedesimarsi nei panni cenciosi e nella solitudine un po' patetica della piccola fiammiferaia protagonista di una fiaba molto vecchia, che aveva quasi dimenticato.
Gli pareva di ricordare che la bambina morisse di stenti, immaginando lussi ed affetti che non le sarebbero mai stati concessi nella vita reale.
Dominic Howard non correva il rischio di fare la stessa fine, ma lo scenario tutto attorno a sé – un'innocua Las Vegas a misura di moccioso popolata di renne, lucine colorate e slitte ed altra sbobba mielosa e tradizionalista – era una minaccia al tranquillo cinismo con il quale prendeva la propria esistenza da un po' di tempo, ormai.
In qualche modo, tutto attorno a lui sembrava volergli ricordare che ad ognuno era concessa un'infanzia, e che la sua non era stata niente male.
Proprio quello era il problema – un'infanzia felice non era meno invalidante di una infelice, quando si arrivava alla trentina d'anni senza niente fra le mani. Un bambino è felice perché desidera ed ottiene, un uomo è infelice perché desidera e prende pesci in faccia e ricorda quando le cose andavano diversamente, quando c'era sempre un deus ex machina pronto a risolvere i problemi e soddisfare i capricci: mamma, papà, Babbo Natale, la fatina dei denti e altre entità più o meno fantasiose.
Un uomo infelice giunge addirittura ad odiare lo spettro del bimbo felice che fu, nel caso di Dominic Howard. Forse per questo al momento non provava il desiderio di trovarsi una brava ragazza e crearsi una famiglia: il suo senso paterno ed in generale il suo amore per i marmocchi era ai minimi storici, soprattutto quella sera.
Oh, e poi c'era da dire che nessuna donna con intenzioni serie avrebbe impalmato un segretario-schiavo squattrinato del manager più importante della Warner di Londra.
Perciò, si trattava solo da tirare avanti ad avventure di una sola notte, discount e uscite al pub con gli amici – i pochi non ancora accasati, si intende – e aspettare che il Natale passasse, ancora una volta.


Dominic aveva appena finito di programmare il forno per lo scongelamento del sushi, quando qualcuno suonò il campanello.
L'uomo si sporse dalla soglia della cucina per occhiare la porta con aria interrogativa, prima di avvicinarsi e guardare dallo spioncino.
Un uomo in giacca e cravatta, con una bombetta nera calcata sul capo, sostava sul pianerottolo.
Tenendo infilata la catenella di sicurezza al suo gancio, Dominic schiuse la porta di pochi centimetri. Lo sconosciuto lo salutò cortesemente, toccando la breve tesa del suo copricapo.
- Buonasera. -
A terra c'era una ventiquattrore di cuoio marrone scuro: notandola, Dominic scosse il capo.
- Scusi, ma non compro nulla. -
L'uomo – sembrava avere poco più della sua età, biondo, sguardo cordiale – sorrise, lisciandosi le maniche del lungo cappotto nero.
- Non sa nemmeno cosa sono venuto a proporle... Non le pare un po' sbrigativo liquidarmi così? -
- Andate in giro anche la notte di Natale... Non ho parole. - considerò Dominic, ridacchiando incredulo.
Di solito non era molto propenso a trattare con i piazzisti che gli si presentavano sulla soglia di casa, soprattutto se avevano le sembianze di becchini ben azzimati e giravano la sera del ventiquattro dicembre con valigette dal dubbio contenuto.
Il tipo non sembrò scoraggiato dalla reazione del suo potenziale cliente.
- Le ruberò solo dieci minuti al massimo, se mi lascia entrare. -
Per nulla persuaso, Dominic indicò con un cenno del mento la ventiquattrore.
- Che c'è là dentro? -
- Opuscoli. Potrebbero solo informarla a morte o al limite tagliarle un dito con il bordo delle pagine, direi. - ribattè ironicamente lo sconosciuto, prima di allargare i lembi del cappotto, mostrandone la fodera interna ed il suo elegante completo giacca-pantalone nero – un beccamorto benestante, appunto.
- Guardi... Niente pistole, niente coltelli. -
Dominic rifletté per un attimo: dietro di lui il microonde si era spento ed il suo sushi lo stava aspettando, così come la TV che avrebbe provveduto a sintonizzare dopo cena sui suoi canali hard preferiti ed il suo divano sgangherato.
- Mi dica cosa ha da offrirmi. -
di meglio, concluse mentalmente in tono sarcastico.
Il sorriso del lugubre piazzista si fece più largo.
- D'accordo... Vedo che non è un allocco, lei. -
Schiarendosi delicatatamente la voce, si presentò: - Mi chiamo Morgan Nicholls. Lavoro per conto della UD Inc. -
Ignorando la mano dell'uomo tesa verso di lui, Dominic commentò: - Mhm... Sì, la conosco. Ho un tostapane della UD Inc. -
Come se approvasse l'osservazione del suo interlocutore, Nicholls annuì e seguitò a parlare: - Infatti, abbiamo accuratamente selezionato un campione ristretto di clienti dell'azienda per promuovere un'iniziativa molto... Particolare. -
Dominic aggrottò le sopracciglia, domandando sospettoso: - E in che consiste quest'iniziativa tanto particolare? -
- Non si sentirebbe più a suo agio a parlarne seduto ad un tavolo? -
- Mai stato più a mio agio in vita mia... Mi racconti. -
Nicholls sospirò appena, togliendosi la bombetta e stringendola con entrambe le mani.
- Se accetterà di collaborare, signor Howard, lei avrà a che fare con un'operazione da definirsi assolutamente pionieristica. La UD Inc. è già a tutti gli effetti un gigante nel campo degli elettrodomestici, rinomata per l'equilibrio tra qualità e convenienza dei nostri articoli, ma abbiamo in cantiere un progetto che ci permetterà di alzare ulteriormente il tiro dal punto di vista produttivo ed umano del settore. -
Ad occhio e croce, il tutto puzzava un po' di aria fritta ed un po' di fregatura megagalattica. Nonostante ciò Dominic voleva lo stesso vederci chiaro, incuriosito suo malgrado.
- Quindi? Vada avanti. -
- Nel corso degli ultimi dieci anni, i nostri laboratori di ricerca hanno lavorato allo sviluppo di nuove tecnologie sempre più sofisticate e specializzate... E che non riguardano più semplicemente tostapane e frullatori, ma una tipologia differente di... Elettrodomestico. -
Di nuovo un sospiro quasi impercettibile, e lo sguardo del piazzista si fece più serio, solenne addirittura.
- Androidi. Robot antropomorfi interamente assoggettati all'autorità dell'essere umano che li possiederà, dotati di caratteristiche personalizzabili e possibilità illimitate di utilizzo. Finora ne esistono pochi esemplari, testati in laboratorio ma in attesa di una “prova su strada”, immersi in un ambiente “reale” ed a contatto con esseri umani. -
Era intuibile che l'espressione confusa di Dominic divertisse Nicholls, in qualche modo: con un'ombra di ghignetto sardonico sulle labbra, raccolse da terra la sua valigetta e l'aprì.
- Lei, signor Howard, può decidere se prendere parte all'esperimento o meno... Nessun obbligo di alcun genere, neanche finanziario. In caso voglia accettare, le do un modulo da compilare per ordinare un modello di androide ed il catalogo delle versioni attualmente disponibili. -
In men che non si dica Dominic si ritrovò con un malloppo di fogli in mano, senza avere il tempo di riflettere sulle parole dell'altro: solo quando lo vide voltargli le spalle ed incamminarsi verso l'ascensore riuscì ad esalare, attonito: - … è uno scherzo, vero? -
Nicholls premette il pulsante per richiamare l'ascensore, poi si voltò verso Dominic.
Il ghigno stavolta era lì, luminoso e quasi satanico nella luce livida che illuminava il pianerottolo.
- No, signor Howard... È il futuro. -
Stridendo, le porte si aprirono dietro di lui.
- Buon Natale. - augurò educatamente, prima di venire inghiottito dalla cabina di metallo.


Ripensando successivamente allo strano incontro di fronte all'ennesima replica di Un Dildo per Due su SuperPippa Channel, Dominic si chiese di nuovo se non fosse stato vittima di un complicato scherzo da parte dei suoi amici.
Certo, era tutto molto ben fatto: il catalogo presentava foto e dettagli su circa una cinquantina di robot dalle forme e funzioni variegate. Robot femmina che avrebbero potuto tranquillamente sostituire l'eroina della pellicola che era in onda al momento, robot neonati che mangiavano pappette, piangevano e facevano la cacca come ogni marmocchio sulla faccia della terra, robot vecchietti con adesivo per dentiere e plaid in lana compresi nella scatola di spedizione... Di tutto.
Il modulo di ordinazione presentava il marchio della UD Inc., ed era allegata una lettera apparentemente firmata dal presidente dell'azienda Thomas Kirk in persona: una successione di salamelecchi del tutto simile al discorsetto snocciolato qualche ora prima dal piazzista demoniaco.
Sfortunatamente per chiunque avesse architettato la burla, Dominic Howard non credeva più a Babbo Natale, alla fatina dei denti e nemmeno ai robot.
Di fronte ad un'androide bionda vestita da cubista e dall'apparente età di vent'anni o poco più, si era fatto una bella risata.
Sai quante me ne faccio di sgallettate umane così? Quante ne voglio. I miei amici decisamente non mi conoscono, o di me si sono fatti un'idea mooolto sbagliata.
Rise di nuovo al pensiero, mentre la protagonista del porno riusciva ad accaparrarsi il dildo più esclusivo del sexy-shop a discapito di un'altra attrice dal broncio infantile e due prorompenti protesi mammarie.
Quando le due giunsero alla conclusione che avrebbero sotterrato l'ascia di guerra utilizzando entrambe il giocattolo come fanno le brave bambine, Dominic gettò un'occhiata al catalogo abbandonato sul tavolino del telefono, accanto al divano.
Una sgallettata bionda ci sarebbe stata proprio bene, invece di due ochette impegnate in un intorcinamento che conosceva a memoria, ormai.
Si trattava solo di aspettare che finisse quella noiosissima nottata, ed il giorno seguente – dannati locali chiusi durante le festività... Cosa doveva fare un povero ateo, insomma?
Dominic si appoggiò allo schienale del divano, chiuse gli occhi e iniziò a toccarsi.

Un quarto d'ora dopo stava compilando l'ordine per la cyber-cubista e cinque minuti più tardi era in strada ad imbucare il tutto, trascinato da una strana ondata di ilarità post-orgasmica.
Ma sì, divertiamoci un po'. Domani andrò a farmi una birretta con quel paio di imbecilli ancora single e ci riderò su. Mi annoio così tanto, già.


La birretta in compagnia servì solo a chiarire che o aveva dei maestri di impassibilità come amici o il piazzista della sera prima era nel vero.
Cosa? Quale scherzo?... androidi? Ma tu stai fuori, bello! Sicuro che il sushi non fosse andato a male? … Dom, ti dico di no! Ma sei scemo?
Tutto ciò era quanto di più assurdo gli fosse mai capitato – neanche quei cretini di Herb e Malcolm ne sapevano nulla, ed in più erano anche in settimana bianca insieme a Saint Moritz con le rispettive famiglie.
Forse non erano loro dietro quello scherzo, ma... Ma doveva essere uno scherzo, che cazzo.
Solo due settimane più tardi, quando di ritorno dal lavoro si ritrovò una grande cassa di legno di fronte alla porta di casa, si convinse che
forse stava succedendo qualcosa di molto strano.
Dominic si guardò attorno, cercò una bolla d'accompagnamento o roba del genere, chiese addirittura notizie alla dirimpettaia che neanche gli aprì la porta – vecchia pazza.
Nulla. Assolutamente niente che potesse certificare la provenienza della cassa o che desse informazioni sul contenuto.
L'uomo si grattò la nuca, confuso. Forse avrebbe dovuto portarla in casa, per cercare di capirci qualcosa – e l'unico modo, stando ai fatti, era aprirla.
Trascinarla dentro non fu difficile: era poco più bassa dell'uscio e non molto pesante. La spinse fino al centro del piccolo soggiorno, andando a recuperare poi qualcosa in grado di scardinarla nello sgabuzzino. Tornando con un piede di porco in mano, si fermò di fronte alla cassa.
- Vediamo un po' di che si tratta. - si spronò ad alta voce, prima di aggredire un lato della cassa.
Finalmente, dopo qualche colpo, cedette:
ne uscì un'onda anomala di grani in polistirolo, che si riversò tutt'attorno invadendo la stanza.
- Cazzo...! - bofonchiò seccato Dominic, dando brevemente un'occhiata al disastro attorno a sé prima di tornare a concentrarsi sul contenuto della cassa.
In piedi con gli occhi chiusi, le braccia lungo i fianchi ed i piedi ben uniti in posizione quasi marziale, c'era un uomo – o meglio, ciò che credeva essere un uomo ma che, ovviamente, non poteva di certo esserlo date le circostanze.
Non era molto alto, ed appariva piuttosto esile e fragilino a prima vista. Indossava stivaletti neri, pantaloni rossi ed una giacca nera decorata da sottili strisce di metallo e da una strana coccarda di nastri colorati su di una spalla.
Nel complesso, aveva il physique du rôle di un domatore da circo delle pulci: un omettino che ad occhio e croce sfiorava il metro e settanta – forse – con una bocca minuscola, dei capelli ridicoli ed un naso che bastava la metà.
Dominic gli si avvicinò, scrutandolo attentamente.
Era come vivere un sogno – non nel senso più positivo del termine, purtroppo.
- Porca... puttana... - mormorò l'uomo, lo sguardo involontariamente attratto dal groviglio di cavi – non erano nastri – appollaiato sulla spallina della giacca del robot.
Lo pungolò con un dito sul ventre, esitante: come se si fosse trattato di un comando preciso, l'androide spalancò gli occhi in uno scatto che fece balzare Dominic all'indietro, spaventato.
Le iridi erano azzurre, in una sfumatura troppo accesa per risultare naturale.
Per qualche secondo si limitò a schiudere e muovere le labbra come a prendere confidenza con i propri muscoli facciali – che... Che non erano muscoli, poi... – in una perfetta imitazione di pesce rosso caduto per errore fuori dalla sua boccia.
Poi batté le palpebre, e con voce sorprendentemente profonda e musicale nonché un pesante rotacismo modulò un compìto: - Buonasera, signore. -


Sotto lo sguardo impassibile del robot – un robot, Cristo, un dannatissimo robot vero! - Dominic iniziò a rovistare dentro e tutt'attorno alla scatola, cercando qualsiasi documento che potesse chiarire la situazione.
Fino ad allora, aveva trovato solo un indice dei componenti dell'androide, infarcito di termini pressoché incomprensibili – cervello positronico, circuiti aperti, leggi della Robotica e via discorrendo – ma non un numero di assistenza clienti, un nominativo, uno straccio di recapito decente, insomma!
- Cercate qualcosa, signore? -
L'uomo sobbalzò, voltandosi verso l'androide ancora immobile in mezzo alla stanza.
Incerto su come rivolgersi ad un'apparecchiatura di quel tipo, anche se la letteratura fantascientifica insegnava che i robot ribelli e pericolosi in fondo erano eccezioni alla regola e... Oh, santo Dio, si parlava di fantascienza... Dominic optò per la sincerità.
- Sì, il numero di telefono del tuo padrone. -
- Siete voi il mio padrone, signore. - ribatté il robot, e all'uomo parve di cogliere della condiscendenza nel tono che aveva utilizzato.
Scuotendo il capo per scacciare quella sensazione, Dominic precisò: - Intendevo dire Thomas Kirk. -
- Thomas Kirk non è il mio padrone, ma il mio creatore. Sono stato appositamente assemblato per adattarmi alle vostre esigenze, signore. -
- Ah sì? Allora perché non hai le sembianze di una cubista ventunenne? - scherzò Dominic, anche se non aveva per nulla voglia di ridere.
La situazione era paradossale. L'ordine che aveva inviato non solo era arrivato a destinazione, ma era stato addirittura scambiato con un altro. C'era davvero una cyber-cubista bionda e popputa destinata a lui, quindi.
Babbo Natale e la fatina dei denti, a quel punto, dovevano per forza essere nascosti da qualche parte a ridere di lui.
- Temo di non capire la domanda, signore. - ammise con voce piatta l'androide.
Dominic si coprì il volto con entrambe le mani, stropicciandosi la faccia. Gli stava scoppiando la testa. Per l'ennesima volta nel giro di pochi minuti, si ritrovò a ripetere fra sé e sé: - È assurdo... -
Poi, decise che vedere il cyber-domatore di pulci in piedi con quell'aria ebete gli dava un fastidio immenso.
- Sai sederti, per caso? -
- Ovviamente, signore. Le mie giunture sono snodabili e... -
- Allora siediti, non mi va che tu stia lì impalato a guardarmi. -
Il robot si diresse verso il divano indicatogli da Dominic senza mostrare alcun risentimento nei suoi confronti per il tono adottato – dopotutto era una macchina. Eseguiva gli ordini, stop.
Il suo passo era un po' sgraziato, dondolante. Quando camminava, sembrava un grosso, ridicolo pinguino.
Cercando le Pagine Gialle – dannato il suo disordine! - Dominic lo teneva sott'occhio, un po' preoccupato ed un po' incuriosito.
Dopo cinque minuti durante i quali l'androide non aveva cambiato di un millimetro la sua posizione, l'uomo si schiarì la gola e domandò con tutta la noncuranza possibile: - Dunque... Hai un nome? -
- Sono il modello MB1978. -
- Intendo dire, un nome vero? -
- Di solito è compito degli assegnatari scegliere un nome per gli androidi, signore. -
Spiacente, ma da me non otterrai nulla di tutto questo.
In quel momento, lo stomaco di Dominic brontolò: era stato fuori tutto il giorno, a pranzo un panino ed ora non ci vedeva più dalla fame.
Gli venne un'illuminazione: perché non cercare di ricavare il più possibile da quella situazione?
- Dimmi un po'... Sai cucinare? -
- Il modello di base della serie 1978 possiede diverse applicazioni, ma i lavori domestici non rientrano fra le mansioni di default. È possibile espandere le conoscenze di qualsiasi robot della serie 1978 acquistando presso la UD Inc. ... -
- Va bene, va bene. - Dominic alzò le mani per fermare il fiume di spiegazioni di cui praticamente non gli interessava neanche una virgola.
Non sapeva neanche cucinare, perfetto.
Meglio tirare fuori qualcosa dal frigo alla svelta e ficcarlo nel microonde. A stomaco pieno avrebbe ragionato meglio, e forse si sarebbe ricordato dove diavolo avesse ficcato le strafottute Pagine Gialle.
Doveva assolutamente parlare con qualcuno della UD Inc. Assolutamente.
Si avviò verso la cucina, ma si arrestò prima di entrare.
Tornò in soggiorno, fermandosi di fronte all'androide seduto sul divano e che di certo non poteva lasciare lì tutto solo, senza sorveglianza: in più, gli sembrava anche un po' maleducato da parte sua. Così, lo invitò: - Io... Io vado a cena. Se vuoi venire... -
- Solo se desiderate la mia compagnia, signore. - rispose prontamente il robot.
Guardandolo negli occhi artificiali, brillanti come piccole biglie di vetro azzurro, Dominic esalò un breve: - Certo. - guidandolo in cucina.

- Com'é andata la vostra giornata, signore? -
- Senti... Perché non mi dai del tu, eh? Non sono “signore”, sono solo... Dominic. -
L'androide - o forse avrebbe dovuto chiamarlo con il suo nome per ricambiare il favore... Cioè, il suo numero di serie, perché non gli apparteneva e non avrebbe potuto assegnargli un nome vero – annuì, commentando: - Se lo desiderate... Anche se la sostanza non cambia poi di molto. -
- In che senso? -
- Il tuo nome deriva da un termine di origine latina che significa, per l'appunto, “signore” inteso come “padrone”. -
In qualche modo impressionato, Dominic non poté lo stesso trattenersi dal borbottare: - Maschio, bruttino e pure secchione... Grandioso, signor Kirk. -
MB1978 non diede mostra di accorgersi di quanto appena detto dall'uomo: continuò a fissarlo mentre sbocconcellava la sua monoporzione di lasagna fin quando Dominic, imbarazzato, non sbottò: - Sai, non è necessario che continui a fissarmi con quell'aria un po'... Ecco... -
- Ti chiedo scusa, Dominic. So che fra gli esseri umani questo comportamento può essere interpretato in maniera negativa, ma è il mio modo di raccogliere informazioni sull'ambiente circostante e migliorare la qualità del servizio. -
- Non serve che tu lo faccia... Non sono il tuo padrone. -
- Va bene, Dominic. - lo assecondò il robot, e di nuovo l'uomo ebbe la sottile sensazione di venire preso per il culo da lui. Il che non era molto piacevole, visto che si trattava di un ammasso di circuiti senz'anima.
Nonostante tutto cercò di proseguire la conversazione, lamentandosi caustico: - Comunque... La mia giornata è stata uno schifo, come tutte le giornate che ho passato allo studio da quando mi hanno assunto. Ho portato almeno una dozzina di caffé ed imbucato una decina di lettere e risposto a non so quante telefonate... Sono cose che sapresti fare anche tu. -
- Ovviamente, Dominic, sebbene l'ambito nel quale sono stato progettato per esprimermi al meglio non comprenda questo genere di attività. -
- Ah no? E cosa sai fare? -
- Suono il pianoforte e la chitarra. Canto. So muovermi a ritmo di musica, anche se non ho un'attitudine spiccata per la danza come la intendono gli esseri umani. Posso intrattenere dibattiti politici, sebbene non al livello di un politico di mestiere, e su svariati altri argomenti. -
Nello stesso istante in cui l'immagine di quell'affarino ridicolo che si dimenava a tempo di musica si andò a formare nella sua mente Dominic desiderò cancellarla.
- … direi che non fai per me. - mormorò, squadrandolo con ironia.
- Domani telefonerò al signor Kirk e sistemeremo la faccenda... Tu dormi o roba del genere?-
- Dopo ventiquattr'ore di inattività, se non vengo spento manualmente tramite interruttore, vado in stand-by ma se vuoi puoi regolare questo intervallo di tempo secondo il tuo desiderio. -
Dominic annuì e si alzò da tavola, iniziando a sparecchiare. Lavò le stoviglie, le asciugò e poi uscì dalla cucina per andare in soggiorno a prendere il manuale delle istruzioni.
Trovò una levetta nascosta sulla nuca del robot, fra i capelli, e tirandola sussurrò a mo' di saluto: - A domani. -

Dominic non passò una notte serena.
Oltre ad aver bisogno di riflettere su quanto era accaduto poche ore prima, ogni tanto tendeva l'orecchio per captare eventuali rumori provenienti dalla cucina.
Tutto taceva. Nessuna mano meccanica cercava di aprire la porta chiusa a doppia mandata, nessun fracasso di pentole e piatti lanciati in aria, niente di niente. Solo la radiosveglia, alle sette in punto, venne a turbare il silenzio altrimenti perfetto del piccolo appartamento.
Alzandosi controvoglia, Dominic recuperò la chiave dell'uscio della cucina e lo aprì.
MB1978 – decise che lo avrebbe chiamato solo MB, da allora in poi – stava proprio lì dove l'aveva lasciato, seduto al tavolo della cucina con le palpebre abbassate e le mani conserte sul piano.
Un po' a disagio, l'uomo tossicchiò e riattivò l'androide che ebbe un minuscolo sobbalzo, per poi voltarsi verso di lui.
- Buongiorno, Dominic. - lo salutò con la consueta e compassata gentilezza.
L'uomo si schiarì di nuovo la voce, lisciandosi i capelli biondi ritti sulla sommità del capo.
- Buongiorno. -
- Hai dormito bene? - chiese MB, mentre Dominic caricava la caffettiera.
- Non troppo. -
In seguito, la colazione si svolse nel più totale silenzio: l'androide stava evidentemente prendendo nota di ogni movimento di Dominic e quest'ultimo non aveva proprio un bel niente da raccontargli.
Entro l'ora di pranzo avrebbe telefonato a chi di dovere, sperando che riuscisse a risolvere il problema il più presto possibile – non perché MB fosse stato particolarmente di peso fino ad allora, ma... Oh, insomma.
Faceva quasi tenerezza, in quel momento – così ligio al dovere ed educato, sarebbe stato la gioia di chiunque l'avesse ordinato.
Proprio in virtù di quel sentimento un po' ridicolo di senso di colpa - e per via del fatto che... Insomma, non si fidava di certo a lasciarlo solo, interruttore o meno - pensò che magari non sarebbe stato poi così grave se invece di tenerlo segregato in casa lo avesse portato fuori per qualche ora.
- Vuoi uscire? -
MB inclinò il capo da un lato, replicando: - Se me lo permetti e se lo vuoi. -
Dominic ponderò la questione ancora per qualche istante, prima di esclamare: - Ma sì, dai! Ti porto a dare un'occhiata in giro... Tanto posso fidarmi, vero? Non tenterai di scappare o cose del genere? -
- Assolutamente no, Dominic. -

Andare in giro con MB era come portare per la prima volta al parco giochi un bambino che non avesse mai messo nemmeno la punta del naso fuori casa. Ogni passerotto, ogni automobile, ogni minimo particolare che colpisse il suo cervello elettronico si traduceva puntualmente in una domanda – cos'é questo, cos'é quello, perché questo è così, perché quello non è colà.
Stranamente, Dominic non era irritato come credeva di doversi sentire, visto il suo senso paterno prossimo allo zero assoluto: MB era sì curioso, ma come poteva esserlo un ragazzino dal QI fuori dalla norma. Apprendeva molto facilmente – o meglio, incamerava i nuovi dati molto più velocemente di quanto non facesse la sera prima. Forse era un po' intontito dal viaggio, o forse doveva prenderci la mano.
Scesero dalla metro – altro luogo che non mancava di affascinare l'androide, nonché di disgustare Dominic – e camminarono fino ad arrivare a destinazione.
- Questo è il posto dove lavoro. - Dominic indicò un portone incassato dentro un arco a sesto acuto di un palazzo molto elegante, avvicinandosi poi ulteriormente ad una targa d'ottone che indicava l'elenco dei vari esercizi che avevano l'edificio come sede.
Seguendo il dito dell'uomo, MB lesse: - “Warner Studios”. -
Restò in silenzio per un secondo, prima di avanzare una richiesta: - Posso vederne l'interno? -
- A che ti serve? -
- A raccogliere più informazioni possibili per esserti utile, Dominic. -
- Te l'ho già detto, non serve... Non sei mio. -
Da quel punto di vista, il robot restava un po' zuccone.
MB tacque, annuendo ed aspettando una risposta: alla fine Dominic cedette con un sospiro, e si raccomandò: - Va bene... Ma cerca di dare nell'occhio il meno possibile e non ficcanasare troppo in giro, ok? Non voglio perdere il posto. -


Come al solito, per i corridoi c'era un gran casino: dirigenti tronfi e perennemente incazzati inseguiti da un codazzo di yes-men frustrati che si rifacevano su chiunque fosse un loro sottoposto, come in una spietata catena alimentare che si concludeva sempre con un solo anello: gli assistenti come lui, e come Christopher Wolstenholme che gli stava venendo incontro con un muso lungo chilometri.
- Ehi, Dom! -
- Ehi, Chris! -
Si salutarono con una veloce pacca sulle spalle, e quando Chris posò gli occhi su MB Dominic improvvisamente realizzò che non aveva la minima idea di come presentare l'androide al suo collega e compagno di sventura e soprattutto che era stato un idiota a non pensarci prima.
- Ehm... Questo è... Un mio amico. - instintivamente, Dominic spinse MB di un passo indietro come ad evitare ciò che successe subito dopo: Chris si fece avanti con la mano tesa, sorridendo.
- Mi chiamo Christopher... Piacere di conoscerti! -
Dominic incrociò le dita dietro la schiena, confidando nel savoir-faire di default del robot.
Non rimase deluso. - È un piacere anche per me. -
Perfetto. Assolutamente perfetto.

anche se effettivamente restava un particolare di non poco conto che avrebbe potuto mandare all'aria tutto quanto.
- E il nome sarebbe...? -
Ecco. MB non aveva un nome e aveva dimostrato di non saperlo nemmeno improvvisare, cazzo.
- Sono il m... -
- Matthew, Matthew. Lui è Matthew. - affermò concitato Dominic, fissando il robot come ad intimargli di tenere a freno la lingua; per giustificarsi, si chinò verso Chris e bisbigliò con un sorriso un tantino nervoso: - È un po' timido, quindi... -
- Niente affatto, Dominic. - lo smentì candidamente spietato l'androide, e per dargli prova di ciò si rivolse direttamente al suo collega: - Come va, Christopher? Tutto bene? -
Un po' confuso, l'uomo saettò un'occhiata verso Dominic prima di rispondere: - Più o meno, sì... -
Sbuffò, rivolgendosi – grazie a Dio o chi per lui – del tutto all'amico nel lamentarsi: - Il regista di questo nuovo video ci ha schiavizzato, sono sul set da stamattina alle sette. -
- Cazzo! -
- Sì... Comunque devo portare questo – Chris sollevò un bicchiere di plastica colmo di caffé fumante - a quel bastardo prima che mi faccia venire a cercare... Ti giuro, è un pazzo. Ci vediamo domani, se sopravvivo. -
- A domani, bello. -
- Buona giornata, Christopher. - computò affabilmente MB, prima di informarsi: - Credevo che i pazzi venissero trasferiti in apposite strutture. Per quale motivo questo regista viene lasciato libero di attentare alla vita di altri esseri umani, se posso chiedere? -
- È un modo di dire, non è davvero... Oh. Andiamo, su. - Dominic afferrò il robot per una manica e lo trascinò in direzione dell'ufficio del suo capo.
Durante il tragitto, il robot chiese: - Dunque il mio nome è “Matthew”? -
- È il primo che mi è venuto in mente, non farci caso. -
- Credevo non mi volessi dare un nome, visto che dici di non essere il mio legittimo proprietario. -
- Non lo sono, infatti, e tu non ti chiami Matthew. Dimentica tutto. -
- Non posso, Dominic. Riformattare la mia memoria è un'operazione che richiede di essere svolta manualmente dal mio padrone. -
- Mi stai rendendo le cose difficili, lo sai? -
- Mi dispiace, Dominic. Cosa vuoi che faccia per renderle più facili? -
- Chiudi il becco e basta, ok? -
- Non ho un becco in dotazione, Dominic. Se chiudo la bocca è lo stesso? -
L'uomo si fermò di botto, guardandosi attorno per poi avvicinarsi a MB e sibilare sottovoce: - Se non fossi un androide direi che mi stai prendendo per il culo... Ed è un modo di dire, ok? Non ti avvicinare alle mie chiappe! -
- Come desideri, Dominic. -
Ripresero la loro marcia lungo gli intricati corridoi degli uffici della Warner prima che MB si bloccasse, mandando quasi per terra Dominic che gli stava ancora stringendo una manica della giacca.
L'uomo si voltò per rimproverarlo ma si arrestò quando vide il robot con il naso all'insù, le braccia inerti lungo i fianchi: ne imitò la posizione, cercando di capire cosa potesse aver colpito l'attenzione dell'androide.
- Cosa stai fissando? -
MB tese un braccio verso una parete, indicando qualcosa con un dito.
- Quella Manson Glitterati. Perché si trova appesa lì, se posso chiedere? -
Oh, certo... Era un musicista, in fondo, doveva aver particolarmente a cuore la sorte di ogni strumento musicale.
- Oh, quella... È rotta. Apparteneva ad un coglione che ha pensato bene di chiudere uno dei concerti della sua band sbattendola a terra fino a demolirla del tutto. -
MB non disse nulla per parecchi secondi, tanto che Dominic iniziò quasi a preoccuparsi prima di sentirlo parlare con qualcosa che somigliava a... Ad una sfumatura diversa, nella voce melodiosa. Qualcosa che somigliava ad una nota di incredulità sgomenta.
- Perché lo ha fatto, Dominic? -
L'uomo fece spallucce, commentando: - Ah, non saprei... Perché è un coglione? -
Per la seconda volta, l'androide non ebbe nulla da dire. Scrutava attentamente il corpo della chitarra rossa cosparso di brillantini e sfregiato da un'evidente, profonda crepa, il viso inespressivo ma allo stesso tempo perfettamente in grado di comunicare un che di inaspettato.
Sembrava costernato.
Dominic temette che ci fosse davvero qualcosa che non andava.
- Che ti prende? - gli sussurrò, sfiorandogli dopo qualche incertezza la schiena – come si consolavano i robot? E esistevano dei momenti in cui bisognasse consolare un robot?
MB reagì subito dopo. - Non capisco perché si voglia distruggere una chitarra. Sono confuso. -
Dall'alto della sua scarsissima esperienza nel campo, Dominic intuì vagamente che la cosa fosse normale. Probabilmente i processi cognitivi di una mente robotica seguivano un rapporto di causa-effetto: sei un chitarrista? Allora ti prendi cura delle tue chitarre.
Alcune minuzie che sfuggivano a quella tipologia di ragionamento – come i sentimenti e l'infinita idiozia della razza umana – non potevano essere concepite da MB e dagli altri esemplari della sua specie.
Dominic provò a spiegarglielo sbrigativamente: - Be', sei un robot... A certe cose non ci arrivi, è normale. - e poi continuò, nel tentativo di scuotere l'androide: - Ehi... Riprenditi, ok? Non è nulla. Ci sono altre chitarre in sala di registrazione e sono tutte integre e funzionanti. -
MB reclinò lievemente il capo, distogliendo lo sguardo dal relitto della Manson.
Non sapeva incassare una cattiva notizia con la stessa classe con la quale gestiva i rapporti interpersonali, decisamente.
A Dominic venne un'idea.
- Vuoi vederle? - propose al robot, che finalmente diede un segno di ripresa: lo guardò e come suo solito ribatté: - Solo se tu vuoi, Dominic. -
L'uomo sorrise, sollevato.
Sarebbe arrivato in ritardo dal capo, ma non poteva rischiare che MB cominciasse a perdere colpi – e se fosse andato in corto-circuito o roba del genere proprio lì? Era decisamente un'eventualità da evitare.
- Certo che sì. - gli concesse, dolcemente.

- Eccole qua. -
Dominic, dopo essere entrato in una delle sale d'incisione vuote dell'edificio – l'unica cosa positiva del suo lavoro alla Warner era l'aver accumulato piccoli favori qua e là da utilizzare al momento giusto – indicò con un gesto da prestigiatore un lungo sostegno ingombro di chitarre di ogni tipo. Attorno a loro erano accumulati ordinatamente strumenti di diverso genere, ma MB era attratto solo dalle chitarre.
Ne prese in mano una dal corpo color arancio chiaro, con tutta la cura possibile, e si sedette su di uno sgabello. Pizzicò una corda con il polpastrello, ed il suono ricavatone echeggiò nel silenzio denso del momento: dopodiché il robot sentenziò: - Gibson Les Paul DC Lite. Manico e corpo in mogano, tastiera in palissandro. -
Dominic batté le mani, con espressione scherzosamente ammirata.
- Sei un intenditore. -
Ovviamente MB non colse l'ironia: continuò a lambire le corde con accortezza, la testa vicina al manico per saggiare il suono delle note.
Sollevò il volto per affermare pianamente:
- Ha bisogno di essere accordata. -
- Non credo ci sia tempo. - Dominic sollevò le braccia in un gesto d'impotenza.
MB era tornato quello di prima, e lui aveva accumulato dieci minuti di ritardo che Bill non gli avrebbe perdonato tanto facilmente. In più, non potevano farsi beccare là dentro senza un permesso specifico... Era il caso di andare via.
L'androide lo guardò senza fiatare, per un attimo; poi domandò: - Quindi non posso? -
Aveva trovato il suo punto debole: chiunque lo avesse progettato si era premurato di renderlo servizievole, educato e discreto, ma la sua specializzazione nel ramo musicale doveva prevalere in una qualche misura sul suo naturale rispetto nei confronti del padrone.
Dominic diede un'occhiata al suo orologio.
Dodici minuti di ritardo.
L'uomo sospirò, e poi fece cenno di sì con il capo.
- Fallo. - gli ordinò, sperando non vi impiegasse troppo tempo.
Mentre MB maneggiava le chiavette con efficienza, Dominic volle sapere: - Che canzoni sai suonare? -
- Il mio repertorio spazia dal blues al rock. -
- Hai una canzone che ti riesce meglio delle altre? -
- So eseguire ogni brano del mio repertorio alla perfezione. -
Quindici minuti di ritardo tondi tondi. Il quarto d'ora di tolleranza, già di per sé inesistente, era appena scaduto.
Si sedette a terra, di fronte all'androide.
- Ti va di suonarmi qualcosa? -
Anche sotto l'impassibilità che lo contraddistingueva, a Dominic parve di notare una nuova variazione di tono nella sua risposta, una vibrazione appena percettibile e simile ad una lieve corrente di contentezza.
- Solo se ti va di ascoltarmi. -


Il modo di suonare di MB era strabiliante.
Le sue mani si spostavano senza sforzo alcuno lungo il manico, producendo accordi perfetti, senza ombra di sbavature e senza che il suo volto mutasse espressione.
D'altronde, era stato costruito per questo... Ma costituiva lo stesso uno spettacolo incredibile, ed una gioia per i timpani.
Quando ebbe portato a termine il brano prescelto, un blues di Robert Johnson, si ricompose e rimase in attesa di ulteriori istruzioni – o forse di un complimento, chissà.
Dominic non fece nulla di tutto ciò: si distese all'indietro, appoggiandosi sugli avambracci, e sorrise.
- Avevo un amico che sapeva suonare bene come te... Voglio dire quasi bene, ovviamente. Da giovani avevamo formato una band... Una band del cazzo, in realtà, con un nome del cazzo... Rocket Baby Dolls. Abbiamo vinto qualche concorso, ci divertivamo... Volevamo che diventasse un lavoro a tempo pieno. -
Abbassò lo sguardo sulla sua maglietta, riprendendo a voce più bassa: - Credo che lui faccia l'imbianchino, ora. E io sono lo sguattero d'ufficio del manager di una major discografica. -
La triste storia di un sogno infranto come ce n'erano tanti al mondo, pensò sarcastico, tutti differenti e tutti uguali fra loro.
Il suo sogno, ormai, faticava persino a richiamarlo alla mente. L'aveva rinchiuso da qualche parte insieme ai suoi ricordi d'infanzia - la sua batteria-giocattolo di latta, le grida della mamma di fare più piano e di studiare invece di stare lì a fare lo scemo con i tamburi – pochi mesi dopo essere venuto a Londra in cerca di fortuna... O meglio, di un contratto discografico.
Poco male. In fondo, certe volte era importante sapere dove e quando fermarsi. Sapere che c'erano cose che semplicemente non erano destinate ad essere.
Dominic rise fragorosamente.
- Anche noi non eravamo adatti a quel tipo di attività, visto? Come te. Forse sei destinato a qualche etichetta che vuole trasformarti nella prossima rockstar di grido dello showbiz, o ad una band che desideri il frontman perfetto... E invece sei capitato ad un batterista fallito. -
Il silenzio si fece troppo lungo, troppo denso – MB era di nuovo sconvolto, forse?
L'illuminazione in sala era troppo fioca. Il profilo del robot era scuro ed impenetrabile.
Dominic balzò in piedi, spolverandosi i pantaloni.
- Adesso però andiamo, sennò mi ritrovo davvero nella merda. -

MB trascorse il resto della mattinata al fianco di Dominic o attendendo di poterlo fare – l'intento era quello di passare inosservati, anche se il robot attirava diversi sguardi curiosi quando stazionava in corridoio o seguiva diligentemente l'uomo al quale era affidato.
Fortunatamente, Bill era troppo impegnato a star dietro con la stessa dedizione che MB rivolgeva nei confronti di Dominic al regista pazzoide del video menzionato da Chris, ergo non trascorse molto tempo a curarsi dell'operato del suo segretario-assistente-schiavetto o a porre domande inopportune sull'omino strambo che aveva portato agli studios.
Quando fecero ritorno a casa, in serata, Dom notò che c'era qualcosa di strano nell'atteggiamento di MB. Preparò la cena come se niente fosse, la mise in tavola ed attese il momento in cui il robot avrebbe sollevato qualche questione delle sue.
Dato che ciò non accadeva, volle sapere: - Non parli da quando siamo usciti dallo studio, sai? Che ti succede? -
MB, seduto dall'altro capo del tavolo della cucina, replicò laconico: - Elaboro i dati raccolti. Ci vuole del tempo. -
- Per l'ultima volta... Risparmia i positroni del tuo cervellone, non ne ho bisogno. -
- Sono stato appositamente creato per raccogliere dati ed ordinarli. -
Dominic sospirò, versandosi del vino rosso.
- Si, vabbe', come ti pare. -
Mentre beveva, MB domandò: - Domani mattina devi andare agli studios? -
- Sì, perché? -
- Posso venire con te? -
L'uomo aggrottò le sopracciglia, perplesso: - Devi raccogliere altre informazioni su quella merda di posto? -
MB non batté ciglio, continuando a fissarlo con quei suoi occhietti azzurri penetranti come un laser.
Doveva essere un “sì”.
- Va bene, puoi venire. Basta che non fai casini. - acconsentì Dom, non vedendo nulla di male nel desiderio dell'androide di tornare agli studios – giusto un filo di masochismo.
Dopo cena mise sotto sopra l'intero appartamento senza riuscire a scovare l'elenco telefonico – era in momenti come quello che sentiva la mancanza di un computer che gli risolvesse i problemi in un solo clic. Insomma, di un computer che non fosse il suo ospite.

La mattina dopo, Chris venne loro incontro con un muso lungo chilometri e due ingombranti borse sotto gli occhi.
Prima ancora di salutarlo, Dom non si trattenne dall'apostrofarlo: - Ehi, che faccia. -
- Se lavorassi con quel tizio e a casa avessi un bambino che non dorme mai l'avresti anche tu... Ciao, Matthew. -
- Buongiorno, Christopher. -
MB fissò lo sguardo verso la fine del corridoio, laddove si apriva la porta del set dove si girava il famigerato videoclip.
Senza un briciolo di discrezione, puntò un indice verso un omone corpulento, vestito di lino beige – nel complesso, sembrava una balla di stracci semovente.
- Lui è il pazzo? -
Dom cercò di fulminarlo con lo sguardo, il che non gli risultò facile poiché l'androide non lo degnava d'attenzione.
- Uh? Oh, sì. Stavo andandogli a comprare, cito testualmente, un panino di segale ripieno di fesa di tacchino, rucola e crema di formaggio. Non ho la minima idea di dove diavolo trovarlo, ma non fa niente... Farei di tutto per uscire da qui. - sbuffò Chris, massaggiandosi la nuca stancamente.
- Immagino... Guarda Bill come se lo sta allisciando. - Dominic indicò con un cenno del mento l'uomo che parlava con il regista, non meno corpulento e poco più alto.
Chris annuì sospirando, e si congedò poi con un rassegnato: - Vado... A più tardi. -
Quando l'assistente se ne fu andato, MB propose, dal nulla: - Potrei parlargli. -
Dom si voltò verso di lui, stupito, per ritornare in seguito a guardare il suo principale e poi di nuovo il robot.
- Come, scusa? -
- Potrei parlare a Bill della tua insoddisfazione, e convincerlo a rimediare a questo stato di cose. -
L'uomo, sempre più sorpreso e per nulla convinto, scosse il capo.
- Perché mai? Bill è un vecchio squalo senza cuore e con le palle quadre, come puoi... -
- Immagino che siano solo dei modi di dire. Comunque, la risposta è che io sono un robot, Dominic. Esisto allo scopo di semplificare la vita degli esseri umani e, per quanto tu asserisca che non dovrei perché non ti appartengo, sento il dovere di adempiere al mio compito in qualsivoglia maniera richiedano le circostanze. -
Dom si rifiutò di leggere anche solo un pizzico d'orgoglio nelle parole di MB – sarebbe stato troppo, troppo strano.
- Io... - cominciò, dubbioso, e l'androide lo interruppe subito: - Ma se non vuoi, non lo farò. -
Rimaneva da capire se lo volesse o meno, dunque.
Se MB appariva tanto certo di poter fare qualcosa per lui e se in più lo sentiva come un obbligo nei suoi confronti... Avrebbe seriamente potuto creare disastri?
- Credi di avere una possibilità di... -
- Le probabilità di successo sono buone. Se mi dai un istante posso quantificartele sotto forma di percentuale. -
- Non serve, non serve. -

tanto, peggio di così, si disse Dom nell'incrociare lo sguardo di Bill da lontano.
Dopodiché, si fece da parte ed improvvisò una scherzosa riverenza.
- Prego, hai il permesso di cercare di migliorarmi l'esistenza... Bada solo a non fare casini, come al solito. -
MB annuì rigido, partendo in quarta con il suo usuale trotterellare sgraziato verso il datore di lavoro di Dom, il quale trascorse i dieci minuti che il robot impiegò a confabulare fittamente con Bill di chissà cosa mordendosi l'interno della guancia e spiando il suo orologio da polso.
Finalmente, i due smisero di parlare e Bill iniziò ad avvicinarsi a Dom a passi lunghi e veloci.
Il cuore dell'uomo accelerò improvvisamente le sue pulsazioni.
Bill era sorridente. Sorridente.
Era andata bene?
MB era riuscito in... Qualsiasi cosa avesse in mente di fare?
- Dominic! -
Il vocione tonante di Bill quasi lo rintronò, quando gli cinse le spalle con l'entusiasmo e la forza di un orso bruno.
Continuando a sorridere, esclamò allegramente: - … ci sono dei problemi con la scenografia e Franz ha assolutamente bisogno di iniziare le riprese entro un quarto d'ora. Potresti dare una mano alla troupe? Grazie. -
Dom non reagì che dopo una decina di secondi, restando a bocca aperta ed emettendo un piccolo gemito sconvolto.
Sulla soglia del set, in fondo al corridoio, MB stava ritto ed immobile, le mani intrecciate in grembo e gli occhi fissi sul suo affidatario.

I due si rincontrarono solo in pausa pranzo, quando Dom si accasciò letteralmente sulla prima sedia disponibile del set, con apparentemente ogni singolo muscolo del suo corpo dolorante per aver spinto in lungo ed in largo enormi e pesantissimi amplificatori ed altri pezzi di scenografia.
Mancava mezza troupe per solo Dio sapeva quale motivo, e “giustamente” Bill aveva proposto a Franz il Sanguinario l'aiuto del suo schiavetto personale.
MB gli venne incontro, sbucando fuori da qualsiasi anfratto avesse scelto come nascondiglio – non aveva potuto tenerlo d'occhio, c'era da pregare che non fosse successo nulla in sua assenza.
Quando gli fu accanto, Dom sbraitò: - Gran bell'aiuto, eh? Ho la schiena a pezzi e non mi sento più le braccia. -
Il robot si avvicinò ulteriormente, tastandolo come se lo stesse sottoponendo ad una visita medica.
Dom si ribellò, contorcendosi: - Ma che...! -
- Dovresti tonificare gli addominali. Ad un esame superficiale i tuoi bicipiti e tricipiti sembrano in condizioni ottimali. - elaborò MB, come se si trattasse appunto di una diagnosi clinica.
Profondamente irritato, l'uomo lo scacciò in malo modo ringhiando: - Piantala! Cristo, sei una piaga! -
Il robot distese le braccia ossute lungo i fianchi, stringendo le gambe come per mettersi sull'attenti.
- Cercavo di aiutarti, Dominic. -
- Lo so, ma hai peggiorato solo le cose... Quindi trovati un posto dove sedere e fammi il favore di non intercedere per me presso chicchessia, ok? - berciò Dom, prima di distendersi mollemente sulla sedia.
- Oh, eccolo qui... Dominic! Perché non mi hai mai parlato del tuo amico? È... Straordinario! Un musicista eccezionale! - esclamò, indicando MB entusiasticamente.
- Sono nato per questo. - affermò pianamente il robot, e Bill interpretò la frase nell'unico modo ragionevole possibile: - Eh, be', certi doni o ce li hai dalla nascita o puoi sognarteli e basta! Dico bene? -
Interpellato, Dominic chiuse la bocca ed emise un mugolio d'assenso, senza capire molto di quello che gli stava succedendo attorno.
MB doveva aver trascorso la mattinata con Bill... Ma perché?
Doveva recuperare un minimo di controllo sulla questione, e alla svelta.
Alzandosi in piedi e trattenendo un sibilo di dolore quando fece forza sui polpacci indolenziti, Dom gorgheggiò letteralmente, prendendo MB per un polso: - Bill, posso rubartelo per un minuto? -
Il vecchio manager sembrò spegnersi improvvisamente: poi alzò una spalla, borbottando: - Se proprio devi... -
L'umano ed il robot si allontanarono di qualche metro, ed arrivati ad una certa distanza da Bill Dominic lasciò il braccio di MB, sibilando: - Stai facendo un casino. Te ne rendi conto, vero? -
- Lui ha voluto sentirmi suonare. - spiegò in maniera stringata l'androide.
Sorpreso, Dom proruppe: - … cooosa?! E perché? -
- Gli ho detto che sono un musicista, stamani, e che desideravo tanto poter fare un provino con lui. -

quindi era questo che aveva detto a Bill poche ore prima? Consisteva in ciò il suo tentativo di aiutarlo – cercare di strappare a Bill un provino?
- Non posso crederci... - bisbigliò Dominic, infilandosi le mani fra i capelli.
Inopportuno e candido allo stesso tempo, come sempre, MB lo informò: - Penso che mi proporrà un ingaggio. -
La sensazione di essere stato bellamente raggirato si fece strada fra i pensieri di Dominic.
Qualcosa gli suggeriva che il robot stesse lavorando ad un disegno ben più complesso di quanto volesse ammettere; l'idea era semplicemente terrificante e gli ricordava decisamente troppo il contenuto di alcune delle più cupe pagine di fantascienza che aveva letto in passato.
Non seppe trattenersi dal notare: - Sei sveglio per quello che cazzo ti pare, eh? - prima di ghermire con forza il polso fragile di MB ed intimargli: - Chiaramente, semmai ciò dovesse accadere tu dovrai rifiutare categoricamente... Mi sono spiegato? -
- Devo rifiutarmi di suonare per lui? -
- Esattamente. -
- Se posso permettermi, Dominic, questo andrebbe a discapito del mio target. -
- Io ti sto ordinando di non accettare alcuna offerta di lavoro. Sono stato chiaro? -
- Se posso permettermi, Dominic – la voce del robot sembrò calcare sul concetto già espresso in precedenza – questo andrebbe a discapito del mio target. -
Dunque, era vero. Quell'ammasso di circuiti, quell'agglomerato di cavi e silicone stava davvero dando di matto – non poteva tenerlo con sé un minuto di più. Lo avrebbe riportato a casa ed avrebbe trovato il modo di disattivarlo ed si sarebbe procurato lo stramaledetto numero della UD Inc. e si sarebbe fatto passare Thomas Kirk in persona al telefono e... E poi boh, cazzo ne sapeva?
- D'accordo. Tu adesso vieni con me. - annuì Dominic, ed aveva appena mosso un passo verso la porta prima di ritrovarsi Bill alle calcagna, che lo richiamava all'ordine.
- Dominic, dove stai andando? Hai ancora molto da fare sul set. -
Sotto lo sguardo esterrefatto del suo assistente, il manager cinse le spalle di MB con un sorriso.
- … mi prenderò cura io del tuo amico. -

Se ne prese cura fino alle sei del pomeriggio, l'ora in cui Dominic potè finalmente riagguantare il suo cruccio principale degli ultimi giorni e tornare a casa.
Spese un'ora di tempo a setacciare l'appartamento alla ricerca dell'elenco telefonico, e quando finalmente riuscì a ritrovarlo ed a rintracciare il numero del servizio clienti della UD Inc. trovò solo un messaggio preregistrato che lo invitava ad attendere lo smistamento della sua chiamata al primo operatore libero.
Attese ventiquattro minuti, secondo il suo orologio da polso, prima di riattaccare con un ringhio frustrato.
Seduto sul divano, MB assisteva alla scena con la consueta impassibilità.
Dominic non si attendeva certo che partisse in quarta con il resoconto della sua giornata, ma non si sentiva nemmeno in grado di porre qualche domanda mettendo a tacere l'impulso di rinchiudere il robot nella cassa dalla quale era uscito.
Quel pezzo di ferraglia ormai gli dava i brividi.

Solo a cena, MB sembrò scuotersi.
- Dominic... -
Il suo tentativo di fare conversazione non venne accolto nel migliore dei modi.
- Sta' zitto. -
L'uomo digrignò i denti, alzando gli occhi dal piatto per scandire freddamente: - Non vedo l'ora che tu te ne vada e che questa storia assurda finisca. -
L'androide, come se non avesse sentito nemmeno una parola, comunicò a Dominic: - Ho un appuntamento con Bill, domani. Dovrò di nuovo venire con te agli studios. -
MB era stato decisamente più bravo di Dominic nel lasciarlo senza parole.
Infatti, fu solo dopo qualche istante che Dom ritrovò la capacità di esprimersi verbalmente.
- Tu. Sei. Fuori. Di. Testa. - sillabò, prima di esclamare: - … ti scoprirà! Scoprirà che sei un robot e io finirò in mezzo ai casini! -
- Perdonami, ma non vedo perché ciò debba accadere. -
- Tu non capisci, non... Fai parte di un programma segreto, non puoi andare in giro a giocare alla rockstar e pensare di poter farla franca! -
- Non è un gioco. Io devo andare. -
- Ti ordino di non farlo. -
- È comprensibile che tu abbia paura, ma ho calcolato ogni cosa. Il margine di rischio è minimo, e a risponderne non saresti tu ma la UD Inc. Verresti coinvolto in un eventuale scandalo in misura minima. -
- No. -
- Il tuo atteggiamento è insensato, se posso permettermi. -
- No, non puoi! Non puoi permetterti! - esplose alla fine Dominic, battendo una mano sul tavolo.
Spinse la sedia indietro violentemente, alzandosi in piedi e seguitando a sbraitare, l'indice puntato in avanti come un'arma: - Sei un robot, chiaro? Non puoi prendere iniziative, sono io che detto legge! È a me che devi obbedire! -
Probabilmente a MB sembrò necessario prendere un po' di tempo per cercare di ammansire l'uomo nella giusta maniera: lentamente, argomentò: - Dominic, io posso rendere la tua vita migliore. -
- Sì, tornandotene da dove sei venuto. -
- Il mio target... -
- Lo so, lo so! Sei un musicista, sei stato inventato per suonare eccetera eccetera...! -
- Sono stato creato per migliorare la vita delle persone. - ribadì ancora una volta.
- Ti ho ascoltato, in questi giorni. Ho immagazzinato ed elaborato i dati uno ad uno. -
- E quindi? -
- Credo che alla luce del materiale che ho raccolto tu sia un uomo infelice, Dominic. -
Finalmente, l'automa sembrò aver premuto il tasto giusto: Dominic aggrottò le sopracciglia, cercando di controbattere ma MB non gliene diede modo.
- So che per voi umani è molto importante stabilire e raggiungere dei traguardi, e tu non lo hai fatto. So che per voi umani è importante avere un partner, e tu non ce l'hai. È importante che il posto di lavoro sia stimolante e gratificante, ed il tuo non lo è. -
- E tu come potresti cambiare tutto questo? Diventando la next big thing targata WMG? - chiese l'uomo in tono sarcastico.
- Se mi lasciassi andare all'appuntamento con Bill, potrei aiutarti. Se davvero non vuoi, però, io non mi opporrò. -
Il solito convenevole - “se tu vuoi, se tu non vuoi...” - ma stavolta era diverso. Suonava più come una scappatoia, o forse un ultimatum.
Se avesse concesso al robot ciò che voleva, come avrebbe potuto affrontare le conseguenze di un fallimento? La UD Inc. si sarebbe fatta davvero carico di ogni responsabilità?

e se il fallimento non fosse consistito nella rivelazione al mondo intero che MB era un androide? Se semplicemente il piano non avesse funzionato – almeno per lui, perché cosa diavolo avesse in mente quel robot per sé stesso e... E perché diamine avesse in mente qualcosa per sé stesso, effettivamente, restava un mistero probabilmente inaccessibile, viste le premesse.
Ancora in piedi, Dominic si coprì la bocca con una mano, passandosela poi su tutta la faccia.
- Hai un piano? -
- Ho elaborato una strategia, sì. -
- E... Funzionerà? O sarà un fiasco come oggi? -
- Non è stato un fiasco, oggi. -
Certo che no – aveva ottenuto una giornata intera passata con Bill a fare chissà cosa, mentre lui lavorava come un mulo per Franz.
- Come posso fidarmi di te? - mormorò l'uomo, ed il robot rispose: - Io farò solo ciò che vuoi e ciò che mi porterà a centrare il mio target. -
Molto rassicurante, come no.
Dominic non poteva liquidare la faccenda tanto facilmente... Doveva riflettere.
Doveva riflettere, e lo fece da quell'esatto momento fino alle due meno un quarto di notte, quando infilò l'uscio del soggiorno e riattivò MB, seduto immoto sul divano.

Conosceva quell'edificio da anni, ormai. Centinaia di mattinate con lo stesso odore nelle narici, le stesse voci nelle orecchie, le stesse facce e stanze di fronte agli occhi.
Quello era il suo microcosmo, monotono ed asfissiante ma suo, in ogni minimo centimetro e ogni minima molecola.
Poche ore prima, aveva deciso che valeva la pena perdere tutto ciò per seguire i piani di un robottino ridicolo che però – stando a quanto stampato sul manuale d'istruzioni e dalla notte precedente nella sua memoria, a caratteri cubitali al neon – non gli avrebbe mai fatto del male, neanche indirettamente.
Questo doveva tenere a mente, durante la sua marcia lungo i corridoi della Warner con a fianco il suo domatore di pulci personale – forse avrebbe dovuto prestargli un paio di jeans ed una maglietta, da giorni ormai indossava quel completo ridicolo e... Oh, ma cosa importava. I robot non puzzavano.
Sforzandosi di mantener ferma la voce, Dominic bisbigliò all'indrizzo di MB: - Dunque, ricapitolando tu saresti...? -
Con fare molto professionale, l'androide sciorinò per l'ennesima volta la versione definitiva della storiella preparata e limata accuratamente mentre il sole sorgeva nel cielo grigiastro della città.
- Matthew Bellamy. Nato a Cambridge, il nove giugno di trentadue anni fa. Padre inglese, ex-musicista. Madre irlandese, casalinga con tendenze new-age. Un fratello maggiore, Paul. Chitarrista. Cantante. Ex-imbianchino. -
Dominic sorrise – o, più probabilmente, fu scosso da un tic all'angolo destro della bocca.
Erano in anticipo per l'appuntamento di cinque minuti, quando arrivarono di fronte alla porta dell'ufficio di Bill.
Dominic si voltò verso MB, non sapendo bene cosa dire. Mormorò solo: - … ok. Allora, in bocca al... -
Si fermò, tacendo per un attimo: poi si lasciò andare fino a sfiorare una spalla del robot con un buffetto leggero.
- … insomma, fai un buon lavoro. -
- Lo farò. - confermò MB; ci sarebbe stato bene un accenno di sorriso, da parte sua.
Si poteva insegnare a sorridere ad un androide?

Dominic attese nella sua parte d'ufficio separata da quella riservata al capo per troppi, lunghissimi minuti.
Ogni secondo era scandito da un ripensamento o da una nuova speranza.
La sua vita era fra le mani meccaniche di una macchina.
Il cuore gli fece una capriola in petto quando vide MB uscire dalla porta di Bill, ma non fece in tempo a chiedergli nulla perché il suo capo si affacciò subito dietro il robot, pronunciando cinque parole che gelarono il sangue nelle vene di Dominic.
- Puoi venire un momento, Dom? -
Bella domanda... In senso puramente fisico, forse sì – se fosse riuscito a reggersi in piedi ed a muoverli fino a destinazione, il che non era per nulla scontato nelle sue condizioni.
Dominic si sentì sorridere ed annuire, prima di – oh! - alzarsi ed entrare nell'ufficio del capo.
Bill gli offrì una sedia, prima di tornare al suo posto dietro la scrivania.
Dominic sbirciava il suo viso dal basso verso l'alto, come un ragazzino mandato dal padre a rendergli conto di una marachella.
- Da quanto tempo lavori qui, Dom? -
La domanda fu inaspettata e pronunciata con gentilezza.
Facendo rapidamente il conto, Dominic deglutì e disse: - Saranno cinque anni. -
Bill annuì, apparentemente ponderando l'informazione.
- Cinque anni... E di te so a malapena nome e cognome. - constatò, scuotendo poi il capo con un sorrisetto sul faccione rubicondo.
Cambiò argomento, tornando serio.
- Il tuo amico... Si tratta di roba forte. -
Dominic trattenne il fiato inconsapevolmente, mentre il suo capo si alzava a fatica sulle gambe grassocce, andando alla finestra che dava sul panorama cittadino.
- Vedi, io sono del giro da molto tempo, da quando i discografici erano metà affaristi e metà... Sognatori, mettiamola così, e facevano funzionare il registratore di cassa ed il naso – diede un paio di colpetti su di una narice per enfatizzare l'idea - di pari passo. Oggi si scopre di meno e si progetta di più a tavolino... Delle volte cogliendo i mutamenti della fetta più larga del pubblico, altre suggerendoli pian piano. -
Seguendo il discorso con trepidazione, Dominic sorrise brevemente ed mosse il capo in un cauto cenno d'assenso.
Bill non lo guardava, per fortuna: guardava ancora fuori dalla finestra, mentre discorreva.
- Il discorso è che oggi ci piace pensare che sia più stupida, ma in realtà la gente non è cambiata: vuole idee. Persino la tredicenne infoiata non è poi così facile da infinocchiare. -
Quando finalmente si voltò verso di lui, il luccichio nei suoi occhi non dava adito a fraintendimenti: Bill lo Squalo era lì, ed aveva in mano qualcosa di grosso.
- Matthew Bellamy è un'ottima idea. È abbastanza brutto da risultare credibile e “genuino” ma anche abbastanza attraente da risultare appetibile agli occhi del giusto destinatario, ha una preparazione più che solida ed una personalità eccentrica ma non così sopra le righe da farti pensare che ti stia prendendo per i fondelli. -
Dominic dovette riprodurre la frase del suo capo in testa per un paio di volte, prima di afferrare l'esatto significato di ogni vocabolo.
Bill era interessato a... Matthew Bellamy. Si era andato a chiudere a chiave nel castello di fandonie che aveva costruito assieme ad un fottuto androide.
- … ed è anche uno che sa il fatto suo. - stava dicendo il manager, grattandosi il doppiomento con aria divertita.
- Ci ha tenuto a precisarmi che non ha alcuna intenzione di firmare alcun contratto con noi...-
Il castello di fandonie perse qualche mattone, nella testa di Dominic.
Non intendeva firmare alcun contratto? Gli era saltata qualche rotella? Cosa voleva di più, cazzo?! Si era rigirato un mostro come Bill tra le dita come fosse niente e...!
- … non come solista, almeno. -

come?
Bill sembrò rispondere alla domanda che Dominic stava per porre.
- Sì, ha proposto l'idea di un duo, o di una band. Massimo tre membri, comunque, non di più. Lui ovviamente verrebbe ad occupare il posto di leader... -
Il manager tacque, fissando l'altro con l'ombra di un ghigno sul volto.
- … e, qualora volessi, in teoria il batterista del duo o band che sia saresti tu. -
Dominic non replicò subito.
Se poco prima il suo cervello aveva incamerato con difficoltà le informazioni ottenute da Bill, ora sembrava lavorare a velocità doppia.
Come nel domino, le tessere erano state predisposte con cura per cadere l'una sull'altra, dando inizio ad un moto inarrestabile che si stava concludendo di fronte a quella scrivania di mogano, di fronte ai dischi d'oro e di platino appesi alle pareti ed alle foto degli artisti gestiti da Bill nel corso degli anni.
MB... Il suo target non era suonare per Bill.
Il suo target era far sì che Dominic suonasse per Bill, in modo tale che le sue condizioni lavorative migliorassero... E non solo quelle.
Come se si trovasse in un sogno, Dominic mormorò: - … io? -
- Matthew ha fatto il tuo nome. Ovviamente devo prima sentire cosa sai fare, eh... E, ti dirò, sono piuttosto curioso di saperlo. -
Il suo capo – il suo... Il suo futuro manager, forse – abbandonò di nuovo la sedia e gli si accostò, battendogli un colpo amichevole sulla spalla; poi aprì la porta, congendandolo: - Stasera, appena avrai finito, mi mostrerai di che pasta sei fatto... Buon lavoro. -

L'androide era seduto su una delle poltroncine di fronte al suo tavolo, praticamente in bilico sul bordo.
Il fatto che, in quell'occasione, sembrasse mostrare un atteggiamento fin troppo simile a quello di un essere umano non disturbò affatto Dominic, per la prima volta da quando lo conosceva.
L'uomo gli si parò davanti, con un sorriso a trentadue denti.
- Non so cosa dire... Grazie? -
MB non disse nulla, alzando solo il capo e fissandolo con la solita assenza di espressività.
Doveva molto, a quel piccolo ammasso di circuiti, sia che fossero riusciti a sfondare nel mondo della musica o meno.
- Grazie... Matthew. -
Era il caso che cominciasse a prenderci la mano, dopo tutto.
- Ho già pronta una lista di nomi per la band. Se vuoi posso… - si offrì Matthew, ma Dominic lo zittì con un buffetto scherzoso sui capelli.
- Quando saremo a casa, ok? Non c'è fretta. -

   
 
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