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Autore: Phantom of a Rose    25/04/2011    11 recensioni
"Kurt non era mai stato davvero colpito prima. Granite in faccia? Ovviamente. Gettato nel cassonetto? Sempre, anche se non recentemente. E la quotidiana spinta contro gli armadietti? Sicuro. Ma pugni… mai."
AU dopo la puntata "Furt" ma prima del trasferimento di Kurt. Klaine.
Avvertimenti: presenza di tematiche violente.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Un po' tutti
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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L’Unico Luogo Sicuro

 

Rieccoci qui, gente! Questa storia è davvero, davvero, davvero drammatica. E' anche un AU, un diverso modo in cui Kurt si trasferisce alla Dalton.

 
Kurt non li aveva visti arrivare. Stava camminando verso la sua macchina, prendendo la scorciatoia sul retro della scuola, e all’istante fu sballottato da braccia massicce.
Si ritrovò schiacciato contro una parete così forte che la sua testa girava. Di fronte a lui c’era un gruppo di almeno cinque giocatori; Azimio era quello che lo teneva contro il muro. Lo sguardo sul suo viso gli fece ghiacciare il sangue nelle vene.
Azimio disse cose che Kurt, anche con tutte le sue esperienze di bullismo, non aveva mai sentito. Le parole colpirono il suo cuore come proiettili.
E poi il primo pugno si abbatté sulla sua faccia. Un altro nel suo stomaco. Le mani di Azimio avevano lasciato le sue spalle e Kurt cadde a terra, senza fiato. Respirava affannosamente, l’aria toltagli dal pugno, ma anche in stato di shock.
Non era mai stato davvero colpito prima. Granite in faccia? Ovviamente. Gettato nel cassonetto? Sempre, anche se non recentemente. E la quotidiana spinta contro gli armadietti? Sicuro. Ma pugni… mai.
“Finocchio”, sibilò Azimio. Gli altri risero.
Kurt sperò che qualcuno passasse di lì. Era tardi, però. La scuola era finita più di un’ora prima. Lui era appena uscito dal Glee e loro erano in una parte più remota della scuola.
Guardando verso i suoi persecutori, Kurt era vagamente consapevole del fatto che Karofsky non c’era. Magari era finalmente rinsavito, pensò Kurt, speranzoso.
Questo però non lo avrebbe aiutato adesso.
Sembrò che fossero tutti su di lui nello stesso istante. Almeno uno lo stava tenendo in piedi mentre gli altri lo usavano come punching-bag. Ad un certo punto, si ritrovò sdraiato sul pavimento mentre veniva preso a calci e insultato.
Dolore. Era tutto quello che sentiva. Solo questo bianco e caldo dolore in tutto il suo corpo. Sperò quasi di svenire – ci si avvicinò una dozzina di volte, tra l’altro.
“Hey!”, udì un urlo, diverso dagli altri. Ci fu una pausa nei calci. Si fermarono. Una visione nuotava davanti ai suoi occhi; li chiuse  e appoggiò la fronte sulle piastrelle fredde.
Gli parve di sentire una conversazione, poi il pestare di piedi in allontanamento e delle risate. Dopo sentì una mano alzargli il mento, come a ispezionarlo, e un profondo sospiro.
Voleva aprire gli occhi. Provò, ma sembrava che il suo occhio sinistro fosse già tenuto chiuso dal gonfiore. Invece, gemette quando con il destro intravide una larga figura.
Poi, sentì il leggero suono di un telefono. Solo tre brevi rumori, così capì che la persona stava chiamando il 911. La figura si allontanò lungo la hall per parlare al cellulare.
Kurt doveva per forza aver perso conoscenza, perché la successiva cosa di cui si accorse era che qualcuno lo stava gentilmente risvegliando. Ancora, non riuscì ad aprire gli occhi. Mormorò solo nel dolore.
“Va tutto bene, siamo qui per aiutarti”, disse la voce di una donna. “Qual è il tuo nome, piccolo?”
“Kurt”, sussurrò. La sua mascella faceva male. Tutto faceva male.
“Okay, Kurt, ora ti portiamo in ospedale”, disse lei. “Ci puoi dare un numero di telefono per chiamare i tuoi genitori?”
“Cellulare”, disse Kurt. “Tasca.”
Mani gentili sondarono le sue tasche con leggerezza e trovarono il suo cellulare. La donna lo esaminò prima di trovare quello che cercava. “Sto chiamando il numero nominato ‘Papà’, okay piccolo?”
Kurt grugnì.
Suo padre. Oh, suo padre. Sperò che il suo cuore potesse sopportare questo.
Si rese conto che la donna stava parlando mentre pochi altri paramedici gli misero una cosa attorno al collo e lo caricarono su una barella. Cercò di non fare troppo rumore ma, o mio Dio, il dolore.
“Salve, è il padre di Kurt?”, disse la donna. Fece una pausa. “Sono Jennifer Grant del Lima Valley Hospital. Mi dispiace, signore, ma abbiamo trovato suo figlio in condizioni piuttosto brutte al Liceo McKinley. Lo stiamo portando al pronto soccorso proprio ora.”
Ci fu un’altra lunga pausa. Kurt era sicuro che si stessero muovendo giù per la hall ora. Realizzò anche che la donna, Jennifer, aveva una mano nella sua. “Sarò in grado di spiegarle meglio all’ospedale, signore. Tra l’altro non so molto. Kurt è cosciente, ma non esattamente consapevole, penso.” Un’altra pausa. “Sì, signore, starò con lui finché non arriverà. Lo prometto.”
Poi Jennifer riattaccò. Kurt fu caricato nell’ambulanza – riusciva a percepire le luci che vi erano all’interno e anche a vederle attraverso le palpebre. “Tuo padre sta venendo, Kurt”, disse la donna. “So che potrebbe farti male parlare, ma riesci a dirmi quello che è successo?”
“Bulli”, disse Kurt. “Mi hanno… preso. Azimio…” Era già senza fiato solo per aver detto poche parole.
“Perché ti hanno fatto questo?” chiese Jennifer. Kurt riusciva a sentire il dolore nella sua voce.
Ansimò quando un ago fu piantato nel suo braccio. Sapeva che probabilmente serviva ad aiutarlo, ma odiava gli aghi.
Dopo un profondo respiro – anche questo faceva male, i suoi polmoni sembravano andare a fuoco – rispose alla donna. “Gay”, sussurrò.
Jennifer boccheggiò. Kurt sentì una mano sulla sua fronte che poi gli lisciò i capelli. “Poverino”, sussurrò lei.
Sentì la sua voce spostarsi. Era sicuro che ora stesse parlando ad un’altra persona nel veicolo. “Odio la criminalità”, disse, cattiveria nella sua voce.
Probabilmente Kurt si assopì per un po’, perché la prossima cosa di cui si rese conto era che stava venendo di nuovo trasportato su una barella. “Va tutto bene”, disse Jennifer. Era sobbalzato in malo modo al movimento.
Fu tutta una sfocatura di luci e voci per un bel pezzo. C’erano mani su tutto il suo corpo. La sua maglia gli fu tagliata via, e lui sperò che l’avrebbero ripagata. Era una Mark Jacobs. Delle persone gli stavano prendendo le pulsazioni e gli facevano domande. Jennifer rispose per lui un paio di volte, menzionando che gli faceva male parlare.
Iniziarono a fargli una flebo e lui fu grato di essere così tanto dolorante. In quel modo non poteva protestare. Non sarebbero mai riusciti a fargliene una se fosse stato in sé, poco ma sicuro.
“Kurt! Oh mio Dio, Kurt!” L’occhio buono di Kurt si spalancò. Quella era la voce di suo padre.
“Signore, devo chiederle di allontanarsi e-”
“Quello è mio figlio!”, la voce di suo padre s’incrinò. “Il mio ragazzo! Lasciatemelo vedere!”
“Lasciatelo entrare”, disse la voce calma di Jennifer. “Hai più o meno finito di bendarlo. È suo padre.”
Una persona vicino a Kurt sospirò. Subito suo padre comparve nel suo campo visivo. Riusciva a vedere delle lacrime brillare nei suoi occhi. “Oh Dio Kurt, chi ti ha fatto questo?”, la sua voce era lacerata dal dolore, dalla preoccupazione e dalla rabbia.
“Papà, il tuo cuore”, disse Kurt il più forte possibile.
“Non m’importa del mio cuore”, disse Burt. “Tu sei il mio cuore”, strinse la sua mano in quella di Kurt. “Se tu sei a pezzi, io sono a pezzi”, la sua voce tremava.
Suo padre stava piangendo. Suo padre non piangeva. Il massimo che Kurt aveva visto per anni era stato il matrimonio pochi giorni prima. I suoi occhi erano bagnati, ma le lacrime non erano traboccate. Lui aveva pianto a sufficienza per entrambi. Era sempre stato così.
Ora, comunque, delle lacrime stavano scivolando lungo il viso di Burt.
“Burt, sta bene?” Era Carole.
“Oh merda”, sussurrò la voce di Finn. Kurt non riusciva ancora a vedere nessuno dei due. Non poteva girare la testa.
“È la madre di Kurt?”, chiese Jennifer.
“Sono la sua matrigna”, rispose assente Carole, prendendo l’altra mano libera di Kurt. Ora era per metà nel suo campo visivo. Il suo viso era arrossato. Delle lacrime stavano iniziando a percorrere anche la sua faccia. “Oh Kurt”, mormorò, lisciandogli i capelli come aveva fatto Jennifer.
Jennifer deve essere una madre, pensò Kurt pigramente. Il gesto dei capelli doveva essere una roba da madri. Poteva quasi ricordare la sua vera madre fare la stessa cosa quando lui era malato o ferito.
“Amico”, Finn apparve al fianco di sua madre. Ingoiò un groppo in gola. Kurt riusciva a vedere le sue labbra tremolare. Oh mio Dio, Finn non poteva piangere. Non anche Finn.
“Cos’è successo?”, chiese Burt.
Kurt era stanchissimo. Non riusciva a pronunciare le parole. Fortunatamente, Jennifer intervenne per lui. “Kurt ha detto che c’erano alcuni bulli a scuola. Uno si chiama Azimio, penso. Gli hanno fatto questo perché… è gay”, concluse cautamente. Probabilmente non era sicura che lui lo avesse già detto alla sua famiglia.
“Quei bastardi”, sibilò Finn. Carole non gli disse nemmeno di controllare il suo linguaggio. “Li ammazzo.”
“Gli hanno fatto questo”, disse Burt. “Per qualcosa di così stupido?”
“Oh tesoro”, mormorò Carole dolcemente. “Hai detto che stavi avendo dei problemi. Perché non hai detto che erano così gravi?”
“Non lo erano”, rispose Kurt debolmente. “Fino ad oggi.”
“Li faremo finire in prigione”, dichiarò Burt fermamente.
“Ovviamente”, disse Jennifer. “Stavo giusto per dirvi di denunciarli. Dovrò compilare un rapporto, prima. Faremo anche delle foto di tutte le ferite di suo figlio.”
Jennifer disse a Burt un altro paio di cose. Kurt non le ascoltò per la maggior parte. Poi realizzò che la donna se ne era andata. “Dov’è Jennifer?”, domandò, il dolore che lo ripercorreva. Aveva bisogno di lei.
“È solo andata a compilare delle cose e a chiedere a qualcuno di farti delle foto”, disse Carole gentilmente. Lui sospirò.
“L’infermiera vuole sedarti per un po’, Kurt”, disse suo padre. “Per il dolore. Ti inietteranno della morfina. Va bene?”
Kurt annuì leggermente.
“C’è qualcosa di cui hai bisogno prima che ti addormentino?”
La mente di Kurt turbinò, e subito nella sua testa comparve un viso. “Blaine”, mormorò.
“Chi?”, chiese Burt, confuso. Ovviamente lo era. Mercedes era l’unica a cui aveva mai menzionato Blaine.
“Nel mio cellulare”, disse. “Blaine. Chiamalo. Ho bisogno di lui”, delle lacrime iniziarono a scivolare dai suo occhi. “Ho bisogno di lui.”
“Shh”, lo cullò Carole. “Lo faremo venire per te. Ora calmati.”
E poi Kurt iniziò ad andare alla deriva. Le voci della sua famiglia divennero ancora e ancora più leggere finché non ci fu null’altro che il viso di Blaine e il silenzio.
 

 
Blaine vide il nome della persona che lo stava chiamando e sorrise. Era Kurt. “Ciao, Kurt”, cinguettò felice.
“Uh, parlo con Blaine?”, chiese una voce burbera che decisamente non apparteneva a Kurt.
“Sì, sono io.”
L’uomo tossì. “Non so esattamente chi tu sia”, disse onestamente. “Ma Kurt a chiesto di te.”
La paura attraversò Blaine come un razzo. “Cosa intende con ‘ha chiesto di me’?”
Ci fu una pausa. “Kurt è all’ospedale. Alcuni ragazzi lo hanno ridotto piuttosto male. Ha chiesto di te prima che lo sedassero.”
“Sarò lì il prima possibile”, disse Blaine all’istante. La sua mente stava correndo. Saltò in piedi e iniziò a tirare fuori le sue chiavi dalla tasca.
“Grazie”, disse l’uomo. “Solo… grazie.”
E poi agganciò. Blaine corse nel parcheggio e s’infilò frettolosamente nella sua macchina. Kurt aveva bisogno di lui.
 

 
“Non posso credere che sia successo”, disse Mercedes con un’espressione vuota.
“Non posso credere che noi non siamo là fuori a cercare i bastardi che hanno fatto questo per sfigurarli”, ribatté Puck arrabbiato.
“Vogliamo loro in riformatorio”, rispose Artie. “Non te, Puck.”
L’altro non disse niente, continuò solo a fare avanti e indietro nella sala d’attesa.
Tutti quelli del Glee club erano stati chiamati da Finn e informati che Kurt era in ospedale. Arrivarono a pochi minuti l’uno dall’altro, riempiendo la sala d’attesa. Anche il signor Schuester era lì, il dolore visibile nelle sue espressioni. Quando Finn lo aveva visto, si era precipitato nelle sue braccia e si era messo a piangere, ignorando le persone che li circondavano.
Era come quando aveva scoperto che Quinn era incinta. Quando pensava che lui fosse il padre.
Il professore era come se fosse un loro genitore. Di tutti loro. Non sempre pensavano a lui in questi termini, ma lo era veramente.
Il gruppo stava aspettando da oltre un’ora. Finn gli aveva detto che Kurt era ancora sedato. Era stato spostato in una camera fuori dal pronto soccorso così che dopo avrebbero potuto vederlo.
Diversi tra i ragazzi del Glee erano un casino. Mercedes aveva pianto per mezz’ora dopo essere arrivata all’ospedale. Tina stava ancora singhiozzando e Brittany sembrava essere una di quelle più traumatizzate. Era accoccolata contro Santana, stringendo la mano di Artie.
Tutti quanti sobbalzarono quando un ragazzo fece irruzione nella sala d’attesa. Indossava una cravatta lasciata sciolta intorno al suo collo. I suoi capelli erano in disordine, come se ci avesse passato le mani attraverso ripetutamente. I suoi occhi passarono al setaccio la stanza fino a posarsi su Mercedes.
“Mercedes”, disse, senza fiato. “Sta bene? Ho cercato di arrivare prima, ma non volevo nemmeno guidare oltre il limite.”
La ragazza si alzò dalla sedia e fu presto al suo fianco per poi abbracciarlo stretto e ricominciare a piangere forte. “Gli hanno fatto questo perché è gay, Blaine”, pianse. “Gay.”
Il ragazzo, Blaine, diede qualche pacca sulla sua schiena. “Cosa gli hanno fatto?”, chiese, il dolore nei suoi occhi. “L’uomo che mi ha chiamato non ha detto molto. Ha detto solo che Kurt ha chiesto di me.”
“Era Burt, il padre di Kurt”, disse Finn. “Sei Blaine?”
Blaine annuì.
“Quella non è un’uniforme della Dalton?”, chiese Rachel, che ora era in piedi e accigliata.
“Sì”, rispose Blaine. “Dov’è Kurt? Posso vederlo?”
“È ancora sedato”, gli spiegò Finn. “Stiamo aspettando.”
Blaine sembrava distrutto. Mercedes lo trascinò verso una sedia vicino alla sua.
“Sei un Usignolo?”, chiese Rachel sospettosa.
“Non è il momento, Rachel”, sbottò Mercedes.
“Sì”, rispose Blaine.
“Cosa ci fai qui?”, chiese ancora l’altra, ignorando Mercedes.
“Perché Kurt lo vuole qui, Rachel”, sospirò Finn.
“Perché Kurt dovrebbe volerlo?”, domandò Rachel, muovendo comicamente le braccia. “È un nemico!”
“Kurt è un mio amico”, spiegò Blaine lentamente. “Lo è da dopo il suo debole tentativo di spiare gli Usignoli”, ridacchiò al ricordo. “Era pessimo come spia”, si accigliò. “E ho cercato di aiutarlo con un bullo. Ma… non pensavo che le cose andassero così male.”
“Lo hai aiutato con un bullo? Nella nostra scuola? Cosa ti rende così qualificato?”, chiese Rachel.
Blaine cercò di far presente a sé stesso che questa ragazza, Rachel, stava solo essendo protettiva nei confronti di Kurt – ma era così seccante. “Perché sono gay anch’io”, ribatté. “So cosa vuol dire essere presi di mira in quel modo dai bulli, non si riesce nemmeno a mangiare. O dormire. O sentire qualsiasi cosa eccetto la paura. Sono stato esattamente dove ora è Kurt – sbattuto a pochi centimetri dalla morte senza troppi ringraziamenti da parte di ragazzi che pensavano che essere gay fosse la cosa peggiore che avessi mai offerto all’umanità.”
Respirava affannosamente. Non diceva quelle parole da così tanto tempo. Non ne aveva avuto bisogno. Pensava che forse, un giorno, avrebbe detto a Kurt quello che aveva passato, ma era un pensiero così lontano nel futuro che non lo aveva nemmeno davvero considerato.
Ora, Kurt era dov’era stato Blaine quasi un anno prima.
“Mi… Mi dispiace”, disse Rachel sommessamente. “Non… lo sapevo”, Si inginocchiò e strinse la mano di Blaine. Forse lui si sarebbe tirato indietro se ne avesse avuto la forza.
Rachel parlò piano così che solo lui e Mercedes potessero sentirla. Il resto del Glee club intuì che quella non era una conversazione da ascoltare, comunque, e continuarono a parlare tra loro.
“Mi dispiace”, ripeté. “I miei padri hanno avuto le stesse esperienze quando erano più giovani. A uno di loro ruppero un braccio quando era al nostro anno per quello stesso tipo di odio. L’altro non è mai stato attaccato fisicamente, ma gli sono state dette più brutte cose di quante chiunque ne possa sentire in tutta la vita.”
Blaine guardò la ragazza chiassosa in fronte a lui. Due padri, huh? Aveva le lacrime agl’occhi. “Non ho mai detto a Kurt che doveva sentirsi libero di venire da me per qualsiasi cosa. Che lo potevo far parlare con i miei papà se avesse avuto bisogno di consigli o avvisi. Ho sempre sentito che io e Kurt potessimo condividere qualcosa di speciale, ma…”, inciampò nelle sue stesse parole. “Non gliel’ho mai detto e non so perché.”
Blaine deglutì, la sua bocca asciutta. “Ma ne hai ancora la possibilità”, le ricordò. “Kurt sta bene. Deve stare bene.” Rachel annuì.
“Finn”, chiamò Carole, camminando nella sala d’attesa.
“Mamma”, il ragazzo saltò in piedi e si precipitò verso sua madre. “Sta bene? Che succede?”
“È okay. Si è appena svegliato ed è stato trasferito in una stanza.”
“Possiamo vederlo?”, chiese Mercedes.
“Sì, vuole vedervi tutti quanti”, rispose Carole. “Va contro le regole dell’ospedale, ma Jennifer ha fatto in modo che chiudessero un occhio.”
L’intero gruppo si alzò e seguirono Carole un paio di piani più su. Finn spinse Blaine verso sua madre. “Mamma, questo è Blaine.”
“Oh, grazie al cielo”, sospirò lei. “Kurt ha chiesto di te nell’istante esatto in cui si è svegliato”, il cuore di Blaine sobbalzò nel suo petto a questa notizia. “Non so chi tu sia, ma devi essere importante per lui.”
Quando arrivarono davanti a una camera e Carole entrò, Blaine era agitato. Seguì Finn e Mercedes nella stanza.
Il suo cuore si spezzò un migliaio di volte quando mise a fuoco quello che aveva di fronte. La faccia di Kurt era viola e contusa. Il suo occhio sinistro sembrava tenuto chiuso dal gonfiore e attorno a quello destro si stava formando un’ombra nera. Era avvolto in una tunica da ospedale, così poco da lui. Sembrava così fragile.
Mercedes fu la prima ad arrivare al suo fianco. Baciò la sua guancia e la sua fronte dolcemente. “Oh, piccolo”, sussurrò.
“Mercedes”, disse lui. La sua voce era debole. Blaine sapeva che probabilmente gli faceva male parlare.
“Due delle sue costole sono rotte”, spiegò Burt al gruppo lì riunito. “Il suo polmone sinistro era quasi schiacciato. E ovviamente ci sono lividi ovunque.”
Tutti fissarono Kurt in un silenzio attonito.
“Blaine.”
Il modo in cui Kurt disse il suo nome fece sentire Blaine speciale. Raggiunse il fianco del suo letto. “Kurt”, singhiozzò. Le lacrime stavano incominciando di nuovo a scendere, cadendo più rapidamente di quanto credeva possibile. “Oddio, Kurt.”
Con una mano tracciò le ferite sul viso di Kurt. Poi si abbassò e gli baciò una guancia, appoggianto la sua fronte contro quella dell’altro. Non gli importava che tutti gli occhi della stanza fossero su di lui. Non gli importava della sua decisione di cercare di restare solo un amico il più a lungo possibile prima di magari provare con una relazione.
“Non avrei mai voluto che ti accadesse questo”, disse. “Non volevo che anche tu provassi questo dolore.”
“Cosa intendi?”, chiese Kurt.
Blaine tolse la fronte dalla sua e gli accarezzò il volto con una mano. “Ricordi che ho detto che avevo dei bulli alla mia vecchia scuola e per questo mi sono trasferito alla Dalton?”, Kurt annuì e poi trasalì. “Non ho detto esattamente quanto mi avevano preso di mira.”
Gli occhi di Kurt si spalancarono. “Intendi…?”, domandò.
“Sì”, rispose Blaine. “Mi hanno fatto questo”, chiuse gli occhi per ricordare. Il dolore. Un pugno dopo l’altro che colpivano la sua faccia. Le parole che dicevano. Poi immaginò questo su Kurt.
“Come può qualcuno fare questo a te?”, sussurrò. “Tu sei Kurt Hummel. Sei bellissimo e una terribile spia. Sei originale e generalmente favoloso. Puoi semplicemente essere tutto ciò che c’è di buono al mondo. Come possono delle persone odiarti abbastanza da farti questo?”
Kurt non aveva una risposta. Si limitò a fissare con le lacrime agli occhi Blaine, che tirò su col naso e rimase lì impalato. Poi si abbassò e baciò ancora la fronte dell’altro. “Lascio che il resto dei tuoi amici ti parlino”, disse. “Non voglio stressarti.”
Si allontanò e finì col restare al fianco di Finn, che riconobbe come il nuovo fratellastro di Kurt.
“Sei il fidanzato di mio fratello?”, chiese quello dopo un lungo momento. Ora una cheerleader bionda era al fianco del letto di Kurt con un tipo su una sedia a rotelle.
Blaine alzò lo sguardo su Finn. Era così alto. “No”, rispose lentamente. Guardò Kurt. C’era un piccolo sorriso sulla sua faccia mentre la ragazza bionda gli diceva qualcosa. “Ma mi piacerebbe esserlo, se è okay.”
“È molto okay”, lo rassicurò l’altro. “Sembri giusto per lui.”
“Lo spero”, disse Blaine.
Finn mise una mano sulla sua spalla e la strinse. Blaine si limitò a guardare mentre il resto del Glee club di Kurt faceva singhiozzanti riunioni con il ragazzo che, solo poco più di un’ora prima, stava lasciando il Glee club sereno e sorridente.
 

 
Burt aveva offerto a Blaine un letto a casa Hummel. Anche lui lo aveva preso da parte e gli aveva chiesto se era il fidanzato di Kurt. Gli diede la stessa risposta che aveva dato a Finn. Burt sembrò accettarlo.
Blaine non rifiutò l’offerta di rimanere a Lima. Non voleva lasciare Kurt ora. Così chiamò la Dalton e comunicò che non sarebbe stato lì per un paio di giorni. Era un Mercoledì, così c’era ancora un bel pezzo di settimana da venire. Quando gli spiegò la situazione, gli augurarono buona fortuna e di essere forte.
Blaine restò con gli Hummel il più a lungo possibile. Erano quasi le nove di sera quando gli ultimi membri del Glee se ne andarono. Mercedes e il professor Schuester, che le offrì un passaggio.
Infine, Carole decise che sarebbero dovuti andare a casa. Burt disse che sarebbe rimasto per la notte. L’ospedale aveva un divano nella camera. Blaine salutò Kurt, come Finn e Carole, e poi li seguì fuori.
Andò dietro a Carole con la sua macchina – sorprendendosi di riuscire a guidare, era così esausto e stressato.
Entrò con gli altri due in casa. Era accogliente, pensò. Era sicuro che Kurt avesse aiutato con l’arredo. “Finn, caro, puoi prendere una delle tue maglie per Blaine?”
Finn annuì e scomparve dall’entrata. Carole portò Blaine giù per le scale nella camera di Kurt nel seminterrato.
Il ragazzo rimase in piedi a disagio nel centro della stanza. Si guardò intorno nella camera di Kurt. Era molto… Kurt. Pulita, anche se sulla scrivania c’era un po’ di disordine. Decorata con gusto. L’unica cosa che non centrava con l’arredamento era un enorme poster di Lady Gaga. Blaine sorrise.
“Ecco un paio di pantaloni del pigiama”, disse Carole, allungandogli un paio di pantaloni grigi. “Immagino che ti vadano bene. La maglia di Finn però ti potrebbe stare un po’ grande.”
Finn scese le scale con una maglietta rossa in mano, che diede a Blaine.
“Grazie”, disse subito quest’ultimo.
“Perché non ti cambi e poi vieni su? Farò un po’ di the.” Carole e Finn risalirono le scale.
Blaine si guardò in giro per un momento, poi trovò il bagno in un angolo della stanza e rapidamente si tolse la sua uniforme della Dalton. La appese a una sedia e indossò gli altri vestiti. La maglia di Finn era enorme per lui, ma comoda, e i pantaloni di Kurt erano leggermente lunghi.
Salì al piano superiore e seguì dei rumori verso la cucina. Carole stringeva già una fumante tazza di the mentre lo aspettava vicino al forno. Gli chiese se voleva dello zucchero o del latte. Gli rispose solo dello zucchero. Poi Blaine bevve cautamente il liquido caldo così da evitare di bruciarsi la lingua.
Finn entrò nella cucina pochi minuti dopo, anche lui si era cambiato indossando vestiti più comodi per andare a letto. Si prese un’enorme tazza di the.
“Da quanto tempo siete amici tu e Kurt, Blaine?”, chiese Carole.
“Quasi un mese”, rispose lui tranquillo.
“Ah”, disse Carole. Blaine era sicuro che si stesse domandando perché Kurt non glielo avesse menzionato.
“È un po’ complicato”, disse cercando di calmare i suoi nervi. “Vivo distante da lui e vado in una scuola avversaria. Abbiamo pensato che fosse meglio non… pubblicizzare la nostra amicizia.”
Carole annuì e nella cucina cadde il silenzio mentre le tre persone prendevano sorsi dalle loro tazze. Il the era buono. Il liquido caldo che colpiva lo stomaco di Blaine gli dava una sensazione di tranquillità.
“E tu sei, huh, gay?”, chiese Carole a disagio. Non era una domanda che si faceva ad una persona appena conosciuta.
Blaine sorrise debolmente. “Sì, signora Hummel.”
“Carole”, lo corresse, poi gli diede una lunga occhiata da sopra la tazza fumante. “Tratterai bene mio figlio, vero?”
Blaine vide Finn sorridere con la coda dell’occhio. La donna aveva rapidamente dichiarato Kurt come suo.
“Sempre”, rispose. “Se me lo permetterà”, aggiunse. Carole annuì, soddisfatta dalla risposta.
Blaine finì il suo the e poi tornò al piano di sotto. Carole gli aveva detto che avrebbe dovuto dormire nel letto di Kurt. Gli sembrò strano sdraiarsi dove aveva dormito lui. Quando appoggiò la testa sul cuscino, quello aveva ancora l’odore di Kurt.
Questo gli ricordò perché lui era in quel letto e Kurt no. I suoi occhi si inumidirono. Sapeva che Kurt sarebbe stato bene, fisicamente perlomeno, ma sapeva anche come ci si sentiva dopo l’attacco. La paura costante. Saltare ad ogni rumore. Gli incubi, anche.
Sospirò e provò a smetterla di pensarci. Chiuse gli occhi e si obbligò a dormire.
 

 
Blaine aveva cercato di tornare indietro, per evitare il gruppo di ragazzi malintenzionati, ma fu come se sapessero quello a cui pensava. Subito, il trattamento fu quello di sempre. Lo spinsero in tutte le direzioni e lo insultarono. Poi, uno di loro lo spinse troppo forte e lui cadde a terra.
Il suo viso fu graffiato dal pavimento. C’era caldo sulla sua pelle.
“Oh, guarda”, rise uno dei ragazzi. “Il finocchio non sanguina arcobaleni.”
“Sorprendente”, disse un altro. Gli diede un calcio nello stomaco e Blaine tossì di dolore. “Fa male?”, rise. Lo calciò ancora.
Sembrò come la frenesia degli squali. La vista del sangue li aveva mandati fuori di testa, o così sembrava. C’erano così tante mani su di lui, picchiandolo e togliendogli la sacca dalla spalla. La aprirono e fecero cadere i libri sul suo corpo. Quello di storia avanzata fu particolarmente doloroso.
Sapeva che quel corso lo avrebbe distrutto un giorno.
Sembrò durare in eterno. Poi, uno dei ragazzi suggerì di andare al McDonald. Iniziarono ad allontanarsi, ma uno di loro prima gli sputò sul viso.
Blaine desiderò di avere la forza per pulirsi, ma tutto quello che poteva fare era restare lì sdraiato a fissare il cielo. Era di un blu acceso mentre le nuvole passavano oltre senza preoccuparsi di nulla. Era come se non fosse successo niente.
Rimase così finché il cielo non diventò arancione. Le lacrime si erano fermate un bel po’ prima. Non c’era nient’altro dentro di lui. Non riusciva ad alzarsi. Tutto faceva male.
Dolore. Imbarazzo. Gli scottavano in gola.
Blaine sobbalzò sul letto, cadendo giù con le coperte avvolte attorno a sé. “Blaine, caro, stop!”, sentì la voce di Carole e le sue braccia tranquillizzanti su di lui. Il viso di Blaine era bagnato.
Non aveva avuto un incubo per oltre sei mesi. Pensava che fosse andato avanti.
Si accoccolò tra le braccia della donna. Lei gli diede qualche carezza sulla schiena e gli sussurrò cose per calmarlo. Blaine si ritrovò a mormorare tutta la sua storia. Disse a quella donna tutto. Le disse che un bidello lo aveva trovato mentre usciva dalla scuola. Le disse che sua sorella fu la prima ad arrivare all’ospedale e che non l’aveva mai vista piangere così tanto in tutta la vita.
“Va tutto bene, caro”, disse Carole. “Sei al sicuro ora.”
“Ma Kurt”, sussurrò Blaine. “Questo è successo a lui. Perché è successo a lui?”
“Non lo so, tesoro”, disse la donna, lisciandogli i capelli. “Le cose brutte accadono alla brava gente.”
Lo aiutò ad alzarsi. Lui era un po’ imbarazzato dalle sue stesse lacrime. Carole afferrò la sua mano e lo tirò verso il bagno. Lasciò scorrere l’acqua nel lavandino mentre afferrava un asciugamano da uno scaffale, per poi bagnarlo e dirgli di sporgersi. Glielo mise sul collo per qualche istante. Era piacevole. Blaine aveva sudato come un matto durante il suo incubo.
Si bagnò tutto il viso e accettò l’asciugamano che Carole gli porse. Lei gli disse che si sarebbe dovuto fare una doccia e vestirsi. Sarebbero presto tornati all’ospedale. “Guarda tra i vestiti di Kurt. Sono sicura che ci sarà qualcosa che ti sta.”
Blaine trovò un paio di vecchi jeans nell’immenso armadio di Kurt e una maglia blu a maniche lunghe. Si fece una breve doccia. Non gli importò di sistemarsi i capelli. Era inutile senza nemmeno uno dei suoi gel e non osava provare a cercare qualcosa tra la roba di Kurt. Non era un fan dei suoi ricci, ma ci si sarebbe dovuto adattare.
Prima di salire su per le scale, si infilò le sue scarpe dell’uniforme della Dalton e una felpa rossa dall’armadio di Kurt. Quando raggiunse il piano superiore, Carole gli offrì una vasta scelta di cibi per la colazione. Finn stava mangiando dei cereali, così anche lui scelse quelli.
Dopo aver mangiato, salirono sulla macchina di Carole e si misero in strada verso l’ospedale. Quando entrarono nella stanza di Kurt, questo era seduto nel letto e stava mangiando la sua colazione. Gli sorrise quando entrarono. Sembrava stare un po’ meglio quel giorno. Meno a pezzi, anche se i lividi sulla sua faccia erano più pronunciati.
“Sembri star meglio”, disse Blaine dopo aver salutato il padre di Kurt e occupato la sedia al fianco del letto. Burt stava per prendere la macchina e andare a casa a farsi una doccia, per poi tornare lì.
“Sembro una schifezza”, lo corresse Kurt. Anche la sua voce era più forte. Era un bene. “I tuoi capelli.”
Blaine si passò una mano attraverso i riccioli. “Sono da pazzi, lo so. Non avevo niente con cui sistemarli.”
“Sono belli”, disse l’altro dolcemente. Poi i suoi occhi scesero giù per il suo corpo. “I miei vestiti?”, sorrise.
“Spero non ti dispiaccia.”
“Per niente. Ti stanno bene”, disse ghignando.
“Successo qualcosa di nuovo, Kurt?”, domandò Carole.
“Jennifer è stata qui circa mezz’ora fa”, rispose lui. “Mi ha chiesto di identificare i ragazzi che…”, fece una pausa. “L’ho fatto. Stanno andando ora nelle loro case per arrestarli.”
La camera era silenziosa. Blaine mantenne i suoi occhi sulla mano di Kurt mentre parlò. “Saranno messi in riformatorio?”, chiese.
“Sì”, rispose l’altro. “Abbiamo più prove del necessario.”
“Kurt”, disse Blaine lentamente, guardandolo dritto in faccia questa volta. “Uno di loro era… Karofsky?”
Kurt si accigliò. “No, non era lì.” Blaine annuì. Era già qualcosa. “Ma penso che lui…”, Kurt esitò. “Penso che lui sia quello che li ha fermati dal proseguire. E Jennifer mi ha fatto sentire la chiamata al 911. Era lui, penso. Mi ha aiutato”, delle lacrime si stavano facendo strada nei suoi occhi.
“Karofsky?”, chiese Finn. “Sul serio? Ti ha aiutato?”
“Non puoi immaginare quanto sia sorprendente questo fatto”, disse Blaine seccamente. Guardò verso di Kurt. “Forse è nei dintorni?”
“Forse”, rispose l’altro. Sembrava di nuovo esausto. Finn accese la televisione della stanza e tutti rimasero seduti in relativo silenzio. Non si parlò più dell’aggressione.
Più tardi quel pomeriggio, Kurt fu rilasciato dall’ospedale. Gli vennero prescritte delle medicine contro il dolore.
“Posso uscire da solo”, borbottò. “Ho dovuto girare su una di queste cose per più di una settimana. Ci ho cantato e ballato sopra!”
“È la politica dell’ospedale”, disse Blaine mentre lo spingeva all’aperto su una sedia a rotelle. Venne aiutato a salire sulla macchina da Finn e Burt e tornarono a casa. Quando arrivarono, Finn portò in braccio Kurt giù nella sua stanza. Quest’ultimo aveva protestato, ma alla fine aveva cautamente messo le sua braccia attorno al collo del fratello per non rischiare di cadere.
Blaine e Carole portarono un sacco di cuscini giù per le scale da sistemare sul letto di Kurt. La donna andò a preparargli della zuppa, lasciando Finn e Blaine con lui.
Finn tirò fuori una sedia, mentre Blaine si sedette semplicemente sul letto vicino a Kurt. Quest’ultimo appoggiò la testa sulla sua spalla e sospirò. Dopo che Carole gli ebbe portato la zuppa, misero su un film. Quando anche questo finì, Finn disse che alcuni dei membri del Glee club volevano passare a trovarlo. Kurt gli diede l’okay.
Nei successivi trenta minuti, tutti arrivarono nella sua stanza. Mercedes si era piazzata sul letto all’altro suo lato. Rachel era venuta con i suoi padri. Il più vecchio dei due, un uomo con la pelle scura e lo sguardo gentile, stringeva un mazzo di fiori. Lo mise sul comodino di Kurt e gli prese la mano, stringendola.
“Sii forte”, disse risoluto.
L’altro uomo sorrise vedendo le mani intrecciate di Kurt e Blaine. “Divertiti, Rachel.”
“Grazie papà”, rispose lei, baciandogli la guancia. Poi abbracciò l’altro. “Ciao papà.” I due uomini scomparirono al piano di sopra. Kurt udì suo padre fermarli e chiedergli se gli andava un caffè.
“Sono gentili”, commentò Blaine. Rachel sorrise e si sedette sul bordo del letto.
Ancora e ancora arrivarono membri del Glee club. Finn trasportò anche Artie giù per le scale e lo fece sedere vicino a Brittany. Tutti presero posto sul divano o sulle sedie, alcuni sul letto di Kurt.
Carole ordinò pizza per tutti. Dopo aver parlato per un po’, decisero che un film sarebbe andato bene. Lasciarono che Kurt scegliesse “Sound of Music” anche se la maggior parte dei ragazzi detestava la scelta.
Kurt si appoggiò a Blaine durante il film e questo gli mise le braccia intorno alla vita. Mercedes mantenne una mano in quella di Kurt. Erano a metà film quando quest’ultimo si addormentò. Blaine sorrise a Mercedes da sopra la sua testa.
Lasciarono che i ragazzi togliessero il film ed al suo posto misero alcuni cartoni. Dopo un’altra ora, tutti iniziarono ad andarsene. Salutarono Finn e pure Kurt, anche se era addormentato. La maggior parte delle ragazze posarono un bacio sul suo viso rilassato.
Infine rimasero solo Blaine, Finn, Rachel e Mercedes. Finn e Rachel salirono al piano di sopra, dove i padri di quest’ultima stavano ancora conversando con Burt. “Burt probabilmente gli sta chiedendo tutto quello che gli passa per la mente sull’essere gay”, disse Mercedes. “Forse vuole qualche avvertimento da due uomini esperti.” Blaine annuì.
Sentirono la porta aprirsi e richiudersi un’altra volta dal piano superiore. Rachel doveva essersene andata. Però nemmeno Finn era ritornato.
Blaine e Mercedes parlarono per un bel po’. Lei scoprì che Blaine era davvero un buon ragazzo con cui parlare quando non era fuori di testa della mancanza delle crocchette.
Poi chiamò la madre di Mercedes, dicendo che era lì per portarla a casa. Baciò Kurt sulla guancia e salutò Blaine.
A quest’ultimo non importava di essere rimasto da solo con il ragazzo addormentato. Era in grado di restare a fissare il suo viso per tutti il tempo che voleva. Kurt sembrava tranquillo mentre dormiva. Senza preoccupazioni. Come se non gli fosse accaduto niente di brutto.
Capì che qualcosa non andava dopo un paio di minuti. Kurt mormorò nel sonno. Subito, Blaine pensò che fosse per il dolore. Poi gemette: “Smettetela.”
“Kurt, svegliati”, disse Blaine, la paura che gli scorreva nelle vene. Lo scosse leggermente – non voleva ferirlo.
Gli occhi di Kurt si spalancarono, almeno uno. L’altro si poteva appena aprire a metà. Un mezzo urlo uscì dalla sua bocca e sobbalzò tra le braccia dell’altro.
“Va tutto bene”, disse Blaine rapidamente, cercando di far si che Kurt lo guardasse. La sua espressione era piena di terrore. “Era solo un incubo.”
I suoi occhi si riempirono di lacrime. “Ma è successo. È successo.”
Lo stomaco di Blaine si attorcigliò. Kurt aveva avuto il suo stesso incubo, quello in cui riviveva ogni istante della propria aggressione. Lo strinse in un abbraccio.
“So che fa paura”, disse. “Ma è solo un ricordo. Solo un ricordo.”
Lasciò che Kurt piangesse contro la sua spalla, come aveva fatto Carole con lui quella mattina. Quando le lacrime si fermarono, Blaine lo scostò leggermente e strinse le sue mani nelle proprie.
“Mi dispiace che sia successo a te”, disse dolcemente.
“Posso… posso dirti quello che è successo?”, chiese Kurt. Sembrava un bimbo spaventato.
“Solo se lo vuoi”, rispose Blaine.
E così Kurt iniziò a raccontare. Descrisse ogni emozione che provò e ogni azione che fecero gli altri. Gli disse come si era sentito quando lo avevano chiamato in quei modi. “Era quasi la cosa che feriva di più”, sussurrò.
Concluse la sua storia. Non aveva più lacrime da piangere a quel punto. “Come posso tornare là?”, chiese Kurt con voce esile.
“A scuola? Kurt, loro non saranno più lì”, disse Blaine. “Sono stati arrestati.”
“E se venissero rilasciati? Cosa succederebbe se uscissero – in una settimana o sei mesi – e provassero a farlo ancora?”, i suoi occhi erano spalancati dalla paura. Blaine lo strinse tra le sue braccia e chiuse gli occhi.
“Oh Kurt”, mormorò.
“Cosa è successo a te?”
Blaine riaprì gli occhi per vedere il ragazzo a pezzi davanti a lui. Erano entrambi a pezzi. Fatti a pezzi dall’odio che c’è al mondo.
“Loro non sono stati incriminati”, disse Blaine. “Come ti ho detto, alla scuola non importava davvero. Uno dei padri dei ragazzi era un avvocato. A me non è andata così”, continuò, tracciando con il pollice un cerchio sulla mano di Kurt. “Così sono andato alla Dalton.”
“Dalton”, ripeté piano Kurt.
“Era il mio luogo sicuro”, spiegò Blaine.
Gli occhi di Kurt non incrociarono i suoi mentre parlò in tono sommesso. “Tu sei il mio unico luogo sicuro.” Strinse la mano dell’altro nella sua.
“Oh, Kurt”, mormorò Blaine. Alzò una mano – tremante – e la passò sui lividi sul viso di Kurt e quest’ultimo vi si appoggiò contro.
Blaine si avvicinò al suo viso. Gli occhi di Kurt si chiusero. Blaine baciò con dolcezza ogni livido che riuscì a trovare sul viso dell’altro ragazzo. I suoi occhi, le sue guance e la sua fronte. Poi, con solo un momento di esitazione, baciò le sue labbra teneramente. Si scostò dopo un attimo, per capire se quella era la cosa giusta da fare.
Gli occhi di Kurt si aprirono per un istante. Il suo sguardo comunicò a Blaine tutto quello che c’era da sapere. Quest’ultimo prese gentilmente il volto dell’altro con entrambe le mani e lo baciò più a fondo, anche se con la più piccola dose di pressione che riusciva a mantenere. Non voleva fargli male.
Era perfetto, tutto quanto. Le labbra di Kurt erano proprio come le aveva immaginate. Morbide, dolci e magnifiche. “Kurt”, sussurrò quando si separarono. “Sei perfetto.”
“Penso che quello sia tu”, disse Kurt con un sorriso sul volto. Blaine si limitò a ridere e ad accarezzargli il viso.
Alcuni minuti dopo, Blaine era sdraiato con Kurt accoccolato sul suo corpo. Ogni tanto, si abbassava per baciare il suo viso. Dopo un po’, Kurt riuscì addirittura a trovare il coraggio di alzare la testa e baciarlo.
“Blaine?”, domandò Kurt dopo qualche altro minuto. Sembrò incerto se continuare o meno. Blaine baciò le sue labbra per un momento, incoraggiandolo a continuare. “Mi dici com’è andata a te?”, chiese esitante. “Se non ti dispiace…”
“Certo”, rispose Blaine. Avvolse le sue braccia strette intorno a Kurt, che lo strinse altrettanto forte.
Gli raccontò tutto. Era quasi più facile ora, dopo averlo detto a Carole quella mattina.
Dopo aver finito, Kurt lo baciò sonoramente. Rimasero sdraiati lì, aggrovigliati l’uno all’altro, cercando di mantenersi interi. Si addormentarono.
Il giorno dopo Kurt chiese ai suoi genitori se si poteva trasferire alla Dalton. Loro accettarono. Il McKinley pagò agli Hummel un bel po’ di soldi per l’incidente, dato che era accaduto nel perimetro della scuola. I genitori di uno dei giocatori si sentirono così male da spedire a Kurt un assegno che lui non accettò. Il loro senso di colpa verso le azioni del figlio era abbastanza.
Quando Kurt arrivò alla Dalton, ancora livido e spaventato, cercò rapidamente Blaine. Fece scivolare la propria mano nella sua e la strinse con tutta la forza che aveva. Disse a sé stesso che ora era in un luogo sicuro.
No, si disse dopo un istante. Era con il suo luogo sicuro. Guardò verso di Blaine, che gli sorrise e gli baciò la fronte in via di guarigione e poi le labbra.
Kurt sentì che forse sarebbero riuscito a stare senza i suoi amici. Forse sarebbe riuscito a passare oltre il dolore e la sofferenza degl’incubi. Con Blaine, Kurt pensò che magari sarebbe potuto di nuovo tornare intero.
 


Note della traduttrice:
Salve a tutti! Mamma mia, questa traduzione è stata impegnativa. Lunga, soprattutto. Personalmente però questa è una delle storie che preferisco nonostante tutta la parte strappalacrime, perchè il lietofine è davvero magnifico. Mi fa piangere e sciogliere ogni volta. *-*
Spero di non aver fatto troppi errori anche se sicuramente sarà così. Comunque, spero vi sia piaciuta! Phantom è un GENIO e si merita miliardi di complimenti. U.U
Uh, stavo per dimenticare: questa ff è anche basata su diversi disegni di Muchacha10 su DeviantART. Non so se li conoscete o meno, comunque i link sono questi:
http://muchacha10.deviantart.com/gallery/?offset=72#/d35i8e3
http://muchacha10.deviantart.com/gallery/?offset=72#/d33wqfc
Alla prossima! JulsCullenMeyer.

 
 
 

  
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