Aprì
gli occhi, era buio, lui
era steso su un manto di foglie secche, alzò il braccio e
portò la mano sul
volto per strofinarsi gli occhi, sentendo il crepitio delle foglie che
si
frammentavano ad ogni suo movimento. Una leggera brezza fresca lo
colpì provocandogli
dei brividi. Fu solo allora che si accorse di essere nudo, era sporco
di
terreno con alcune foglie attaccare addosso. Si strofinò
nuovamente gli occhi,
quando provò ad alzarsi, sentì un dolore alla
spalla sinistra, fece una smorfia
di dolore e si ristese. Guardando la spalla notò con
sgomento che c’erano tre
grossi tagli che partivano dalla clavicola e si fermavano poco sotto il
pettorale. Erano già cicatrizzate, ma gli facevano ancora
male. Eppure non
ricordava quando se le fosse procurate. Ricordava solo che il giorno
prima, non
c’erano... ma una notte era troppo poca per far si che delle
ferite del genere
si cicatrizzassero. Notò anche altro, il suo fisico era
notevolmente
migliorato. Il pettorali erano meglio definiti, comparve un accenno di
“tartaruga”
sulla pancia, i suoi polpacci erano più grossi e forti, e le
sue cosce erano
notevolmente più muscolose. Aveva un fisico perfetto, come
lo aveva sempre
voluto. Il suo fisico non era mai stato così bello. Ma
questo lo rendeva ancora
più perplesso, non aveva mai fatto palestra, non ne aveva
mai sentito il
bisogno, il suo fisico certo non era chissà che cosa, ma la
palestra era
superflua e costosa, specie per uno studente universitario che lavorava
in uno
squallido bar dove la paga bastava a malapena a pagarsi
l’affitto e le tasse
universitarie.
Si
guardò attorno, era in un
bosco, anche se non c’era bisogno di guardarsi attorno per
capirlo. Era tutto
silenzioso, tranne che per un gufo che emetteva il suo solito verso.
Cercò di
fare mente locale sugli ultimi avvenimenti, purtroppo aveva un buio
totale.
Fece un sospiro profondo, si fece forza e si alzò
sopportando il dolore. Era
sempre stato un ragazzo forte, non si lasciava abbattere o sconvolgere.
E
soprattutto aveva sempre preferito cavarsela da solo, senza aiuti. Sua
madre
gli aveva raccontato che da bambino, all’età di un
anno, l’aveva visto arrivare
camminando. I suoi primi passi li aveva fatti da solo, senza
l’incoraggiamento,
o i soliti “Dai piccolo della mamma, puoi farcela”.
Quelle smancerie non gli
erano mai piaciute. Una volta in piedi notò ancora
un’altra cosa, era cresciuto
almeno di una decina di centimetri. Doveva essere alto almeno 1.85. Si
passò
una mano fra i capelli neri. Erano lunghetti abbastanza da finirgli
sugli
occhi, voleva andare a tagliarli il prima possibile, erano difficili da
gestire
e si sporcavano prima. Si domandò perché in quel
momento gli venne da pensare
ai capelli quando aveva problemi ben più grossi.
Iniziò a farsi domande. Come
ci era finito li? Perché era nudo? Come aveva fatto a
crescere in quel modo, ma
soprattutto, cos’erano quei tagli?
Sospirò
di nuovo in cerca di
una risposta, ma come prima, nella sua testa c’era il vuoto
totale. Pensò che
forse, sarebbe stato meglio tornare a casa e ragionarci meglio e con
più calma,
dopo una bella doccia magari. Si avrebbe fatto così, sarebbe
andato a casa,
avrebbe fatto una doccia avrebbe mangiato un boccone, poi con calma ci
avrebbe
pensato. Sorgeva ora un’altro problema, come tornare a casa?
Non sapeva dove si
trovasse. Poteva essere vicino a casa, così come poteva
essere a milioni di km
di distanza. Scelse di andare dritto davanti a se, avrebbe camminato
fino a
trovare un corso d’acqua e l’avrebbe seguito fino a
trovare un centro abitato.
L’aveva sentito dire da un inglese piuttosto famoso, che
conduceva un programma
su come sopravvivere, gli aveva visto fare cose disgustose, ma in un
certo
senso lo stimava. Comunque, quell’uomo aveva detto che per
trovare un centro
abitato bisognava cercare un fiume, e sembrava funzionare. Sperava solo
che quel
programma non fosse finto. Si mise in cammino, scrutando e ascoltando.
I suoi
occhi si illuminarono quando poco dopo, vide un albero a lui familiare.
Era una
grossa quercia, sulla quale c’erano incisi due nomi dentro un
cuore “Ryan &
Linda”. Se lo ricordava bene quell’albero. Quei due
nomi li aveva incisi lui a
15 anni. Linda era la sua prima ragazza, stava molto bene con lei, ci
passava
interi pomeriggi in quel bosco sotto quell’albero a fare cose
da innamorati.
Certo non gli erano mai piaciute la smancerie, ma Linda era speciale,
diversa
dalle altre. Ogni giorno passato con lei, era come un giorno passato in
paradiso. Finché un giorno, la famiglia di Linda si
trasferì in Nebraska per
questioni di lavoro legate al padre. Quel giorno si dissero addio,
promettendosi di rivedersi un giorno. Quel giorno lui pianse come un
bambino.
Si chiuse nella sua stanza, e solo l’arrivo del padre che con
la sua saggezza e
le sue parole riuscì a calmarlo. Ogni volta che ci ripensava
si rimproverava
chiamandosi femminuccia. I giorni più belli della sua vita
voleva cancellarli.
Il
fatto di aver trovato
quell’albero lo rese più sicuro di se, si
rilassò cercando di cancellare quei
ricordi e inizio a camminare a passo sicuro verso casa.
Sentì un rametto
spezzarsi, si voltò nella direzione del rumore, non
c’era nulla, se non un
cervo, a centinaia di metri di distanza che stava brucando. Come
diavolo era
riuscito a sentire un rametto che si spezzava a centinaia di metri di
distanza?
Riusciva perfino a sentire l’odore del cervo, era perfino
strano che riuscisse
a vederlo così nitidamente. Cosa cazzo gli stava succedendo?
Il battito del
cuore aumentò, stava iniziando a innervosirsi. Era tutto
troppo strano. Aumentò
il passo dopo aver ripreso la via di casa. Già un paio di
centinaia di metri
prima, vide il confine che delimitava la foresta dalla
città. La raggiunse di
corsa e si nascose dietro un cespuglio. Si guardò bene
attorno per assicurarsi
che non ci fossero sguardi indiscreti. Puntò ad un vicolo e
di corsa lo raggiunse,
lo percorse e guardò la strada. Un auto stava avvicinandosi.
Corse subito a
nascondersi dietro un cassone dei rifiuti. La luce dell’auto
si faceva sempre
più forte, poi passò, velocemente. Ryan
sospirò e uscì allo scoperto entrando
in un altro vicolo, poi un’altro ancora, fino a quando non
vide il condominio
dove alloggiava. Non aveva le chiavi, e passare per le scalinate nudo
non era
una buona idea, anche se era notte fonda. Gli inquilini
dell’ultimo piano erano
una coppia di giovani, novelli sposini che passavano tutta la notte in
discoteca e si ritiravano alle ore più disparate. Per sua
fortuna comunque,
abitava al primo piano, e arrampicarsi non era affatto difficile.
Controllò che
non ci fosse nessuno e fece una corsa per infilarsi nel vicolo accanto
al
palazzo. Osservò la sua finestra che doveva essere cinque o
sei metri più in
alto. I mattoni erano piuttosto sporgenti quindi semplificavano le
cose. Si
aggrappò al primo mattone, poi al secondo, usò le
gambe per salire, e così fino
alla finestra del suo appartamento. Si appese al cornicione della
finestra solo
per scoprire che era chiusa. Fece una smorfia per la stizza, proprio
quella
notte che doveva essere aperta, era chiusa. Era aperta praticamente
tutti i
giorni. Doveva essere passata la padrona di casa a chiuderla conoscendo
la sua
abitudine. Gli aveva già rimproverato varie volte di non
lasciarla aperta, che
potevano entrare i ladri. Quanto aveva odiato in quel momento la
signora
Dickins. Per la verità non era male, anzi,
tutt’altro, era una donna gentile e
dall’animo buono, ma quando si arrabbiava diventava una
serpe. Ryan non si
perse d’animo. Controllò la finestra ed
iniziò a tastarla cercando un modo per
aprirla. Si rese conto che si stava mantenendo con un solo braccio,
senza
alcuna difficoltà. E ora che ci pensava, non aveva fatto
alcuna fatica per
salire fino lassù. Non una goccia di sudore, e questo era
molto strano...