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Autore: RahizelRathalos    25/04/2011    0 recensioni
Si è risvegliato nudo nella foresta, il suo corpo è cambiato, quasi non si riconosce, ha tre tagli sulla spalla ma non sa da dove provengano. Degli incubi lo tormentano, fin quando non si trasforma per la prima volta, in un essere bestiale...
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Aprì gli occhi, era buio, lui era steso su un manto di foglie secche, alzò il braccio e portò la mano sul volto per strofinarsi gli occhi, sentendo il crepitio delle foglie che si frammentavano ad ogni suo movimento. Una leggera brezza fresca lo colpì provocandogli dei brividi. Fu solo allora che si accorse di essere nudo, era sporco di terreno con alcune foglie attaccare addosso. Si strofinò nuovamente gli occhi, quando provò ad alzarsi, sentì un dolore alla spalla sinistra, fece una smorfia di dolore e si ristese. Guardando la spalla notò con sgomento che c’erano tre grossi tagli che partivano dalla clavicola e si fermavano poco sotto il pettorale. Erano già cicatrizzate, ma gli facevano ancora male. Eppure non ricordava quando se le fosse procurate. Ricordava solo che il giorno prima, non c’erano... ma una notte era troppo poca per far si che delle ferite del genere si cicatrizzassero. Notò anche altro, il suo fisico era notevolmente migliorato. Il pettorali erano meglio definiti, comparve un accenno di “tartaruga” sulla pancia, i suoi polpacci erano più grossi e forti, e le sue cosce erano notevolmente più muscolose. Aveva un fisico perfetto, come lo aveva sempre voluto. Il suo fisico non era mai stato così bello. Ma questo lo rendeva ancora più perplesso, non aveva mai fatto palestra, non ne aveva mai sentito il bisogno, il suo fisico certo non era chissà che cosa, ma la palestra era superflua e costosa, specie per uno studente universitario che lavorava in uno squallido bar dove la paga bastava a malapena a pagarsi l’affitto e le tasse universitarie.

Si guardò attorno, era in un bosco, anche se non c’era bisogno di guardarsi attorno per capirlo. Era tutto silenzioso, tranne che per un gufo che emetteva il suo solito verso. Cercò di fare mente locale sugli ultimi avvenimenti, purtroppo aveva un buio totale. Fece un sospiro profondo, si fece forza e si alzò sopportando il dolore. Era sempre stato un ragazzo forte, non si lasciava abbattere o sconvolgere. E soprattutto aveva sempre preferito cavarsela da solo, senza aiuti. Sua madre gli aveva raccontato che da bambino, all’età di un anno, l’aveva visto arrivare camminando. I suoi primi passi li aveva fatti da solo, senza l’incoraggiamento, o i soliti “Dai piccolo della mamma, puoi farcela”. Quelle smancerie non gli erano mai piaciute. Una volta in piedi notò ancora un’altra cosa, era cresciuto almeno di una decina di centimetri. Doveva essere alto almeno 1.85. Si passò una mano fra i capelli neri. Erano lunghetti abbastanza da finirgli sugli occhi, voleva andare a tagliarli il prima possibile, erano difficili da gestire e si sporcavano prima. Si domandò perché in quel momento gli venne da pensare ai capelli quando aveva problemi ben più grossi. Iniziò a farsi domande. Come ci era finito li? Perché era nudo? Come aveva fatto a crescere in quel modo, ma soprattutto, cos’erano quei tagli?

Sospirò di nuovo in cerca di una risposta, ma come prima, nella sua testa c’era il vuoto totale. Pensò che forse, sarebbe stato meglio tornare a casa e ragionarci meglio e con più calma, dopo una bella doccia magari. Si avrebbe fatto così, sarebbe andato a casa, avrebbe fatto una doccia avrebbe mangiato un boccone, poi con calma ci avrebbe pensato. Sorgeva ora un’altro problema, come tornare a casa? Non sapeva dove si trovasse. Poteva essere vicino a casa, così come poteva essere a milioni di km di distanza. Scelse di andare dritto davanti a se, avrebbe camminato fino a trovare un corso d’acqua e l’avrebbe seguito fino a trovare un centro abitato. L’aveva sentito dire da un inglese piuttosto famoso, che conduceva un programma su come sopravvivere, gli aveva visto fare cose disgustose, ma in un certo senso lo stimava. Comunque, quell’uomo aveva detto che per trovare un centro abitato bisognava cercare un fiume, e sembrava funzionare. Sperava solo che quel programma non fosse finto. Si mise in cammino, scrutando e ascoltando. I suoi occhi si illuminarono quando poco dopo, vide un albero a lui familiare. Era una grossa quercia, sulla quale c’erano incisi due nomi dentro un cuore “Ryan & Linda”. Se lo ricordava bene quell’albero. Quei due nomi li aveva incisi lui a 15 anni. Linda era la sua prima ragazza, stava molto bene con lei, ci passava interi pomeriggi in quel bosco sotto quell’albero a fare cose da innamorati. Certo non gli erano mai piaciute la smancerie, ma Linda era speciale, diversa dalle altre. Ogni giorno passato con lei, era come un giorno passato in paradiso. Finché un giorno, la famiglia di Linda si trasferì in Nebraska per questioni di lavoro legate al padre. Quel giorno si dissero addio, promettendosi di rivedersi un giorno. Quel giorno lui pianse come un bambino. Si chiuse nella sua stanza, e solo l’arrivo del padre che con la sua saggezza e le sue parole riuscì a calmarlo. Ogni volta che ci ripensava si rimproverava chiamandosi femminuccia. I giorni più belli della sua vita voleva cancellarli.

Il fatto di aver trovato quell’albero lo rese più sicuro di se, si rilassò cercando di cancellare quei ricordi e inizio a camminare a passo sicuro verso casa. Sentì un rametto spezzarsi, si voltò nella direzione del rumore, non c’era nulla, se non un cervo, a centinaia di metri di distanza che stava brucando. Come diavolo era riuscito a sentire un rametto che si spezzava a centinaia di metri di distanza? Riusciva perfino a sentire l’odore del cervo, era perfino strano che riuscisse a vederlo così nitidamente. Cosa cazzo gli stava succedendo? Il battito del cuore aumentò, stava iniziando a innervosirsi. Era tutto troppo strano. Aumentò il passo dopo aver ripreso la via di casa. Già un paio di centinaia di metri prima, vide il confine che delimitava la foresta dalla città. La raggiunse di corsa e si nascose dietro un cespuglio. Si guardò bene attorno per assicurarsi che non ci fossero sguardi indiscreti. Puntò ad un vicolo e di corsa lo raggiunse, lo percorse e guardò la strada. Un auto stava avvicinandosi. Corse subito a nascondersi dietro un cassone dei rifiuti. La luce dell’auto si faceva sempre più forte, poi passò, velocemente. Ryan sospirò e uscì allo scoperto entrando in un altro vicolo, poi un’altro ancora, fino a quando non vide il condominio dove alloggiava. Non aveva le chiavi, e passare per le scalinate nudo non era una buona idea, anche se era notte fonda. Gli inquilini dell’ultimo piano erano una coppia di giovani, novelli sposini che passavano tutta la notte in discoteca e si ritiravano alle ore più disparate. Per sua fortuna comunque, abitava al primo piano, e arrampicarsi non era affatto difficile. Controllò che non ci fosse nessuno e fece una corsa per infilarsi nel vicolo accanto al palazzo. Osservò la sua finestra che doveva essere cinque o sei metri più in alto. I mattoni erano piuttosto sporgenti quindi semplificavano le cose. Si aggrappò al primo mattone, poi al secondo, usò le gambe per salire, e così fino alla finestra del suo appartamento. Si appese al cornicione della finestra solo per scoprire che era chiusa. Fece una smorfia per la stizza, proprio quella notte che doveva essere aperta, era chiusa. Era aperta praticamente tutti i giorni. Doveva essere passata la padrona di casa a chiuderla conoscendo la sua abitudine. Gli aveva già rimproverato varie volte di non lasciarla aperta, che potevano entrare i ladri. Quanto aveva odiato in quel momento la signora Dickins. Per la verità non era male, anzi, tutt’altro, era una donna gentile e dall’animo buono, ma quando si arrabbiava diventava una serpe. Ryan non si perse d’animo. Controllò la finestra ed iniziò a tastarla cercando un modo per aprirla. Si rese conto che si stava mantenendo con un solo braccio, senza alcuna difficoltà. E ora che ci pensava, non aveva fatto alcuna fatica per salire fino lassù. Non una goccia di sudore, e questo era molto strano...

Si costrinse a concentrarsi sulla finestra. Si ricordò il motivo per cui non chiudeva mai quella finestra, era difettosa, e bastava un pò di vento per farla spalancare. Era successo così tante volte che decise di tenerla aperta e di bloccarla, così divenne un abitudine. Quante volte aveva detto alla signora Dickins di aggiustarla, ma lei lo aveva sempre congedato con un sorrisino e un “tranquillo, ci penso io” ma poi non aveva mai fatto niente. Ora però la ringraziava di non aver fatto niente. Fece un pò più di pressione con il braccio e la finestra, magicamente si spalancò. Grazie divina provvidenza, pensò . Entrò senza difficoltà e rischiuse la finestra. Lanciò un sospiro di sollievo per essere finalmente a casa. Andò in bagno e aprì la doccia, ma doveva accontentarsi di una doccia fredda, lo scaldabagno a quell’ora era spento. Si infilò sotto la doccia ed iniziò a levarsi il terreno di dosso. Abbassò il capo e lasciò che l’acqua scivolasse suoi suoi capelli. Poggiò una mano al muro e mise le dita sugli occhi cercando di ricordare. D’un tratto, come un flash, gli balenò nella testa un immagine, due occhi gialli, e delle fauci aperte. Aprì gli occhi di scatto e alzò la testa spaventato. Dopo essersi lavato chiuse la doccia e uscì, mettendo un asciugamano attorno alla vita. Andò a guardarsi allo specchio. Per un attimo vide nei suoi occhi gli stessi occhi gialli che aveva visto nel flash. Chiuse gli occhi e scosse la testa, riaperti gli occhi erano tornati normali. Osservò nello specchio la ferita che aveva sul petto, cavolo se era grande, sembrava aver ricevuto una zampata da un leone. I tagli erano solo tre, ma erano piuttosto larghi. Li toccò con la mano, come per accertarsi che la persona nello specchio fosse davvero lui. Alzò nuovamente lo sguardo, un altro flash, vide se stesso mentre apriva la bocca come in un ringhio, i suoi denti erano innaturalmente grandi e appuntiti. Dallo spavento indietreggiò fino a sbattere contro il muro. Aveva il cuore in gola, e il respiro si fece veloce e irregolare. Era spaventato, ma guardando di nuovo lo specchio, vide solo l’immagine di se stesso schiacciato contro il muro. Decise di andare a letto, magari una bella dormita gli avrebbe schiarito le idee, si infilò un paio di mutande e un paio di pantaloni e si mise a letto pensando e ripensando a quella strana notte. Gli occhi divennero pesanti, e la stanchezza prese il sopravvento...
  
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