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Autore: Morea    26/04/2011    16 recensioni
Essere un Campione di Quidditch e ritrovarsi di punto in bianco senza un ingaggio e senza una squadra, stretto nei panni di un Ministro dello Sport dal passato glorioso soffocato in un grigio Ufficio di Sofia.
Amare e non essere corrisposto, mentre un altro Viktor prende beffardamente il posto che si vorrebbe occupare.
Amare ed impazzire senza controllo.
Amare e morire.
Insieme.
Questa storia ha partecipato al turno di Marzo dei Never Ending Story Awards, indetti da PrincesMonica. Si è classificata prima in quattro categorie (Best Author, Best Angst, Best Ficlet, Best AU) e ha vinto anche il premio Best Fanfiction.
E' inoltre in attesa di giudizio al contest La Coppa delle Case - Fidelity Card, indetto da Only.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Viktor Krum
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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La Ballata dell'Amore Cieco







La Ballata dell'Amore Cieco
Tema:
Viktor Krum;
« Tutti i moventi per l'omicidio sono riassunti esaurientemente in queste quattro parole: amore, lussuria, denaro e odio.
Ti verranno a raccontare, ragazzo, che la più pericolosa è l'odio. Non crederci. La più pericolosa è l'amore. » (Phyllis Dorothy James);
Ministero della Magia;
Bacchetta.





A Viktor Krum non era mai piaciuto il mare.
I suoi genitori l'avevano portato a Varna quando era piccolo, in quel Mar Nero piatto e monotono che a lui faceva venir voglia di scappare per avvicinarsi al cielo fin quasi a toccarlo: la sabbia lo faceva starnutire, il sole scottare, l'acqua gli si infilava nel naso e lo faceva respirare a fatica per un'ora o due, finché imbronciato non si trascinava dalla mamma a capo basso per soffiare in un fazzoletto con tutta la forza che aveva in corpo.
Poi si sedeva accanto a lei, all'ombra, appoggiandole la testa sul ventre fasciato dal costume. Si addormentava quasi subito, mentre qualche filo di vento gli scompigliava i capelli spiaccicati sulla fronte, impregnati di salsedine e di quell'umidità che lo infastidiva così tanto: metteva su quell'espressione aggrottata che pareva nata insieme a lui ed in poco tempo i suoi sospiri si facevano regolari, silenziosi, fino a sfumare nell'eco della risacca.
Quando lo svegliavano all'ora di pranzo, non salutava mai il mare prima di andarsene: schiacciando un piede dopo l'altro sulla sabbia irregolare trotterellava dietro al signor Krum, cercando di afferrarlo per il bordo del costume. Quando ci riusciva, si affidava totalmente a lui: non guardava più le zolle deformate dalle sue orme, ma sbirciava verso l'aria tersa, le nuvole sparute, il sole immobile ed era quell'aria a liberargli le narici, a stimolargli la mente, a guidarlo senza farlo inciampare, come una spinta invisibile nell'imprevedibilità del suo cammino.
C'era un campeggio magico, a Varna.
Tende su tende comprendevano metri quadrati inimmaginabili ad occhio nudo, suppellettili d'ogni genere intralciavano il percorso degli ospiti, accatastandosi in pile improbabili di calderoni e tappeti, celando oggetti che forse sarebbero andati persi, smarriti, dimenticati.
A Viktor piaceva girellare attorno alle tende dei vicini. Era taciturno, riservato e perennemente imbronciato: non amava la compagnia, né nessun bambino sembrava provare interesse nei suoi confronti. Era per questo che il suo massimo svago era quello di aggirarsi tra oggetti sconosciuti e – per lui – proibiti: allungare la mano a sfiorarli era il rischio che correva più volentieri, nell'attesa spasmodica che il congegno violato si ribellasse, si mettesse a suonare o lo inseguisse per metà campeggio, inveendogli contro.
Di un giorno d'estate dell'83, Viktor Krum ricorda ancora il profumo dell'olio di girasole che sfrigolava nella padella, l'odore delle salsicce, le risate del padre, la voce disturbata della radio ed il chiacchiericcio delle donne impegnate ad apparecchiare. La mamma e la zia non lo videro sfiorare una Scopalinda con la delicatezza di un petalo di rosa, e Viktor ricorda ancora il loro stupore quando con aria spaventata fissarono il suo volteggiare a mezz'aria e poi sempre più su, il manico rivolto al sole, le nuvole sempre più vicine, la brezza a staccargli dalla fronte quella dannata zazzera impregnata d'acqua e sale. E la picchiata, poi...
Viktor odia ancora il mare. Ma ama sempre di più l'aria, la brezza, la luce che si infrange sulle superfici più disparate, che indugia anche adesso sulla sua bacchetta - puntata verso di lei - che immortala ogni momento, ogni respiro, come se fosse l'ultimo – proprio perché è l'ultimo.


A Viktor Krum era sempre piaciuto volare.
Era la cosa in cui si era applicato più fin dall'infanzia, che gli aveva strappato sudore e lacrime e mai un rimorso, neanche quando si era slogato un polso, una caviglia, rotto un dente ed ammaccato una spalla. Se aveva un'andatura zoppicante, lo doveva al Quidditch: se erano rare le volte in cui camminava a schiena dritta, assomigliando più ad una iena che ad altro, lo doveva al suo stare curvo su una scopa, quasi a volerla proteggere ad ogni costo, perché lui l'avrebbero aggiustato con qualche pozione o fasciatura, lei si sarebbe spezzata irreversibilmente, lasciandolo solo in mezzo al campo, inutile come una parete di paglia sferzata dal vento.
Lei non l'aveva mai tradito. Lei.
Il suo primo provino per entrare nella squadra di Quidditch di Durmstrang era stato atipico: in una folla di bambini tremanti, lui era l'unico pensoso e in disparte, rigido ed immobile, teso ma non preoccupato. Con la sua Tornado in mano non poteva essere preoccupato, così come non poteva essere timoroso nell'attesa di staccare i piedi dal suolo per volare seguendo le correnti, come una rondine emozionata per la sua prima migrazione.
Quando Herr Karloff pronunciò il suo nome, liberando prima il Boccino nella nebulosa aria fredda, Viktor si ripromise di non sbagliare neanche una virata: non si augurò un silenzioso buona fortuna, perché la sorte non c'entrava nulla con la buona riuscita di un'impresa.
Docile come un cane ammaestrato, la Tornado si piegò al suo volere: seguì i suoi gesti, forse addirittura i suoi pensieri, disegnando impalpabili ghirigori sottili e fragili come la brina. Viktor impiegò più o meno sessantacinque secondi ad individuare un lampo dorato nell'etere: gliene servirono altri venti per raggiungerlo, dieci per studiarlo, mezzo per prenderlo.
Fu in un attimo di gioia inenarrabile che urlò di soddisfazione, ed in quel grido ci furono anni di sacrifici, di allenamenti, di fatica: quello sfogo improvviso e caldo esplose in una bolla incontenibile ed effimera, morì nell'aria – perché era quello l'unico luogo in cui si poteva davvero vivere.
Viktor lo sa ancora, che si può vivere solamente nell'aria.
Non c'è gioia quando si tengono i piedi per terra, non c'è soddisfazione, se non a bordo di un manico di scopa.
Viktor guarda la sua bacchetta, e già sa che quella sarà l'ultima volta in cui la userà. Dopotutto, cosa può farsene di una bacchetta? Non è mai stata lei a dargli la vera gloria, neanche durante il Torneo Tremaghi.
Ma la scopa... in tutta la sua vita non si è mai sentito così bene, se non quando era con lei, su di lei.
I tornei, il Campionato, le Coppe del Mondo di Quidditch... forse tutto questo era il suo unico vero amore. L'unico possibile per lui, se non altro.
Di certo non lei.
Non lei che dorme e che neanche si è resa conto di non essere più nel suo letto, sotto un piumone ricamato di boccini.
Non lei con una nuvola morbida d'ebano attorno al volto, dormiente su una scrivania, su quella scrivania del Ministro dello Sport dove si ammucchiano targhe, medaglie, scartoffie e riconoscimenti senza più valore, vuoti e pomposi come architetture barocche.
Non lei che non si sveglierà più.


Quando l'osservatore ufficiale della Nazionale Bulgara volò per miglia e miglia solamente per vedere lui, Viktor Krum in cuor suo già sapeva che tutto sarebbe andato bene.
Niente poteva andare storto, non quando non aveva mai e poi mai fallito un solo colpo in quattro anni di tornei scolastici, accumulando una sfilza impressionante di punti per la propria Casa, riportandola allo splendore di decenni e decenni prima.
Non fu una sorpresa per lui ritrovarsi a stringere la mano del selezionatore, percependo in quel fugace sfioramento di dita tutto l'entusiasmo e l'emozione dell'uomo: anche lui riuscì ad accennare un sorriso, trattenendo quelle lacrime di gioia che i suoi occhi proprio non riuscivano a partorire.
Quel giorno, Viktor Krum divenne una sorta di divinità.
In tutta la Bulgaria non c'era nessuno che non conoscesse il suo nome: a Durmstrang, quegli stessi compagni che lo evitavano per il suo essere così schivo ed estraniato dal mondo si professarono i suoi migliori amici, gli unici in grado di capirlo, i suoi fedeli compari di allenamenti, compiti e lezioni.
Viktor scrollava le spalle, lasciandoli fare: tutto quel clamore, se non altro, lo divertiva, così come gli strappavano un sorriso le lettere spedite perfino dai suoi vicini di tenda di Varna, quelli a cui aveva fregato la scopa di sotto il naso, quelli che senza saperlo avevano strappato i suoi piedi alla sabbia per proiettarli verso il cielo.
Viktor Krum ha scoperto da poco più di un mese che quel giorno segnò l'inizio di un'altra grande avventura.
In quel giorno lui era sbocciato come un fiore prematuro, senza per questo essere destinato ad una vita difficile: la sua corolla era già la più appariscente e profumata ed accoglieva l'odore e la luce di una primavera anticipata, calda, promettente, tanto luminosa da contagiare perfino il suo animo gelido.
In quel giorno, era nato un altro bocciolo, ancora sigillato ed impenetrabile, che forse non conosceva neanche il colore dei suoi futuri petali, che forse non sapeva neanche di risplendere di un colore tanto acceso da abbagliare gli occhi di chiunque, non ultimi i suoi.
Viktor li vede ancora quei petali su di lei: le sue labbra, così rosse da sembrare papaveri baciati dal sole, le sue iridi turchesi, celate da palpebre del colore delle tee, delicate quanto una carezza segreta.
In un certo senso, erano nati insieme.
Forse era per quello che erano destinati anche a morire nell'arco dello stesso sospiro.


Quando il Calice di Fuoco sputò il suo nome, Viktor Krum non aveva ancora digerito la sconfitta della sua Bulgaria alla Coppa del Mondo.
Era la prima, in tutta la sua carriera: era giunta inaspettata e crudele come una pugnalata in mezzo alle spalle, tremenda ed insindacabile come una morte improvvisa.
Ed era così che si era sentito anche lui, per un momento: morto.
Morto mentre le pareti dello stadio parevano soccombere sotto il boato del pubblico, morto mentre le divise verdi degli avversari si univano in abbracci collettivi, morto mentre i suoi compagni prendevano a testa bassa la via degli spogliatoi.
Eppure Igor Karkaroff si fidava di lui: l'aveva praticamente costretto a candidarsi come Campione di Durmstrang e a lui non dispiaceva affatto. In fondo si era sempre sentito un po' superiore a tutti, autosufficiente nella campana di cristallo che l'aveva sempre separato dagli altri, isolato dalle loro chiacchiere e difeso dalle loro parole.
Quando la strisciolina di carta col suo nome emerse dalle fiamme bluastre, decise immediatamente che sarebbe stato lui a trionfare su tutti, a portare il Trofeo a Durmstrang ed a diventare celebre anche per quello.
Lui aveva sempre vinto – tranne quella volta. Lui avrebbe ancora vinto – soprattutto in quell'occasione.
Qualche mese dopo, fu Harry Potter a riemergere dal labirinto, la Coppa in una mano e Diggory nell'altra. Perfino con un cadavere di fronte agli occhi, Viktor non riuscì a fare a meno di pensare che aveva perso di nuovo.
Adesso Viktor Krum è convinto che non perderà mai più. Non ne avrà il tempo, pensa, mentre sorride amaramente.
E' forse una vittoria fittizia quella che uscirà dalla sua bacchetta, in quell'Ufficio così remoto sepolto nella parte più antica di Sofia.
Il Ministro dello Sport trovato morto nel suo Ufficio, non da solo.
L'ex-campione di Quidditch, l'ex-cercatore della Nazionale, l'ex-campione Tremaghi, l'ex-campione del mondo, l'ex-Miglior Giocatore del Mondo, l'ex.
L'ex non di lei.
Non ne aveva mai voluto sapere niente lei, di lui.
Lei che dorme e non sa di essere sempre stata sua. Che non sa che sarà sempre sua, in un'eternità che sarà sempre uguale a se stessa, immobile, fredda e priva di dolore.
Viktor non ha mai chiesto alla signora Krum cosa c'è dopo la Morte. Avrebbe potuto chiederglielo a Varna, mentre lei lo cullava all'ombra, al sicuro da quella dannata salsedine e da quel sole troppo caldo per non infastidirlo.
Non l'ha fatto.
Non ha fatto tante cose, Viktor Krum.
Non le farà più.


Era stato sconfitto anche nel Torneo Tremaghi ma, dopo quel giorno, non perse mai più.
C'era un che di maniacale nel modo in cui Viktor Krum si preparava per ogni partita dei Vratsa Vultures, da cui era stato acquistato non appena diplomato per riportare la squadra agli ormai remoti splendori.
Ogni allenamento diventava un rito, ogni sudata un sacrificio: a Viktor Krum tutto questo non pesava, anzi adorava annullarsi in nome di quella passione che l'aveva visto crescere.
Ogni Boccino catturato era un trionfo, ogni mossa imparata un traguardo: i Vratsa Vultures non facevano che vincere, lui racimolava i suoi centocinquanta punti ad ogni incontro, senza un'eccezione... e poi c'erano il successo, i soldi, le donne.
Viktor Krum non aveva mai avuto così tante donne intorno. Si sentiva un po' una calamita per le ragazze più affascinanti: sapeva che il loro interesse non poteva essere dovuto al suo carattere burbero o alla sua figura non esattamente attraente, ma si beava della loro compagnia senza esigenze, senza domande, senza pretese. Le amava come preferiva, fin quando voleva: adorava avere intorno i loro chilometri di gambe, affondare nei loro seni profumati, quasi consumarle, mentre di fronte a lui si annullavano diventando corpi senza nome. Ripensava con un sorriso alla sua infatuazione per Hermione Granger: quasi non ricordava più il suo volto, seppellito da iridi ricercate, capelli perfetti e corpi formosi. Ricordava le sue insicurezze e la sua timidezza, però, come si ricorda una carezza antica: una sensazione dolce, addirittura zuccherina, lo schizzo di una ragazza che forse neanche esisteva più, trasformata dagli eventi e fortificata dalla vita. Hermione era il ricordo che gli faceva increspare le labbra, il profumo dell'infanzia che aveva perso: ora c'erano Aleksandra, Helga, Anastasia, Maria, impalpabili nomi su un taccuino, quando si prendeva la briga di appuntarseli.
A venticinque anni, Viktor aveva vinto cinque Campionati e due Coppe Europa, guadagnato più soldi di quelli che poteva spendere, posseduto più donne di quelle che poteva amare.
A venticinque anni, Viktor aveva la Bulgaria ai suoi piedi, tifosi in mezzo continente ed ammiratori perfino al di là dell'oceano.
A venticinque anni, Viktor era il Cercatore.
A venticinque anni, Viktor ne aveva altri dieci davanti. Cinque di vera vita, come amava chiamarla. E poi altri cinque di lei, che non era vivere.
Viktor li ha di fronte, gli ultimi cinque anni della sua vita.
Hanno un nome, un nome che non ha appuntato sul taccuino delle sue fiamme, perché non ne ha mai avuto bisogno.
Quei cinque anni si chiamano Ekaterina.
E hanno corso più velocemente di lui.


Quando le principali testate giornalistiche cominciarono ad insinuare qualcosa sulla forma non più eccelsa del ventottenne Viktor Krum, lui ci rise su. Sorseggiando del buon Whisky, attirò a sé una certa Franziska, lasciando che si accucciasse sulle sue gambe e cominciasse a baciarlo adorante.
L'anno successivo, i Vratsa Vultures si piazzarono – di nuovo – al secondo posto, surclassati – di nuovo – dai Sofia Swords. Viktor Krum incolpò i suoi compagni Cacciatori, accusandoli di essere improduttivi: per non crucciarsi troppo si concesse ad Anna, lasciando che il profumo della loro eccitazione neutralizzasse l'odore della sconfitta.
Ekaterina compì quindici anni l'anno successivo.
Viktor Krum raggiunse i trenta.
E i Vratsa Vultures non si premurarono di rinnovargli il contratto.
E' lei la stella dei Vratsa Vultures, adesso.


Ekaterina Smirnenska era stata ribattezzata La Bambina.
Quando a quattordici anni e mezzo era entrata in Nazionale – sette mesi prima di lui – era alta un metro e cinquanta, piatta come una lastra di ghiaccio e filiforme come un colibrì.
Ma quel che era peggio, era il fatto che di lì a poco sarebbe subentrata a lui.
Viktor non poteva ancora saperlo, quando si trovò ad allenarsi con quello scricciolo dallo sguardo brillante e sveglio, magnetico, come lo definivano tutti. Ekaterina non sembrava ambiziosa, semmai bramosa di imparare il più possibile riguardo al nuovo mondo in cui si era ritrovata: scoperta per caso da un osservatore Smaterializzatosi per sbaglio nel villaggio in cui viveva, stentava ancora a credere di essere ad allenarsi vicino ad uno dei più grandi Cercatori di tutti i tempi e pendeva letteralmente dalle sue labbra.
Viktor Krum cominciò a temerla a maggio, durante un'amichevole con la Lettonia: preferì non giocare per un fastidio alla spalla sinistra, e lei si presentò al suo posto in mezzo al campo, sgambettando emozionata.
Quel giorno, La Bambina catturò il Boccino in duecentosettantaquattro secondi.
A settembre, La Bambina divenne Cercatrice titolare dei Vratsa Vultures e della Nazionale.
Costava meno, ripetevano gli amministratori della squadra.
Era più veloce, più abile e soprattutto più giovane, scrivevano gli Editori.
A settembre, Viktor Krum si ritrovò senza ingaggio, scavalcato da una novellina; a settembre, Viktor Krum si sentiva vecchio dentro, barbaramente torturato dal tempo e definitivamente dilaniato dagli eventi.
E a niente servirono interviste, biografie autorizzate e non, camei in partite celebrative o un posto assicurato come Ministro dello Sport in uno sperduto ufficio di Sofia: Viktor sorrideva al mondo e digrignava i denti allo specchio.
Almeno fino a quando Ekaterina non compì diciassette anni ed i vertici dei Vratsa Vultures colsero l'occasione dei festeggiamenti per celebrare anche la recente vittoria di Campionato e Coppa Europa: anche Viktor fu invitato, come vecchia gloria e Ministro dello Sport, due titoli che non avrebbe potuto odiare di più.
Fu la prima volta in cui Viktor vide Ekaterina senza tuta o completo da gioco.
Fu la prima volta in cui si rese conto che era alta quindici centimetri in più e che non era assolutamente piatta: La Bambina assomigliava a una donna, nel suo vestito color pervinca che le delineava forme non più impalpabili.
Pervinca, come Hermione, si ritrovò a pensare stupidamente verso metà serata.
Si versò da bere quattro volte, per togliersi dal petto un'opprimente sensazione di déjà vu. E non per il vestito, non per l'aspetto fisico – forse neanche ricordava come apparisse il volto di Hermione -: Viktor Krum tentò di affogare in quei calici il tocco di una carezza antica, un velo di dolcezza e tenerezza, il profumo dell'infanzia.
Riusciva quasi a specchiarsi, nelle iridi turchesi della Bambina.
Ed era perfino buffo, perché non riusciva più ad odiarla davvero.
La odia adesso, Viktor Krum.
E' per questo che accarezza la bacchetta con fare cospiratore, senza decidersi ad usarla davvero.
Cos'ha fatto Ekaterina, per morire a vent'anni?
Lui si chiede il contrario, cosa non abbia fatto.
E la risposta è una, beffarda, inevitabile.
Non l'ha amato.
Non gli ha concesso di starle accanto, di brillare – di nuovo – nella sua luce. Viktor lo sa, il motivo del suo affetto malato.
Non ha saputo vivere senza Quidditch, senza la gloria, senza i successi. Non ha potuto avere neppure chi quella gloria gliel'ha rubata.
Viktor se la prenderà con la forza, come non è riuscito a prendere la Coppa Tremaghi, come non è riuscito a ribellarsi alle decisioni di chi lo vedeva troppo vecchio per giocare ancora.
Non ha mai vissuto davvero in quei cinque anni.
Non c'è più motivo di continuare a fingere di farlo.


Quando La Bambina catturò il Boccino decisivo per la vittoria della Coppa soffiandolo di sotto il naso a Juan Fernandez, Viktor Krum era in tribuna in qualità di Ministro dello Sport e con una smorfia indecifrabile sul volto.
Mormorò qualcosa con la bacchetta in mano, mentre scendeva dalla tribuna e si avvicinava al centro del campo, lì dove si sarebbe svolta la premiazione, dove lei lo aspettava con denti bianchissimi incorniciati da labbra chiare e poco carnose, che di certo aveva screpolato mordicchiandole per l'agitazione. Viktor Krum volle vedere quel sorriso come diretto a lui, ignorando del tutto il Boccino ormai inerte stretto da dita troppo emozionate perfino per tremare: le fu di fronte con una tea Evocata dalla sua stessa bacchetta, che le consegnò facendola arrossire.
Poi ci furono un Primo Ministro spagnolo con un sorriso falso sul volto, una Coppa passata nelle mani di Ekaterina, un urlo di liberazione e una confusione quasi sommessa, alle orecchie di chi non la calcolava affatto. Viktor Krum non sentì neanche migliaia di spettatori urlare in quelle remote lande andaluse, non percepì gli applausi sportivi degli sconfitti, l'ammirazione dei neutrali, l'orgoglio vanitoso dei vincitori: si incantò nell'udire una risata di soddisfazione simile a un cinguettio, nel vedere riflessi dorati dentro iridi cerulee ed umide, nell'ammirare braccia ancora acerbe innalzare al cielo un trofeo di sudore, rabbia e agonismo.
Ma mentre La Bambina sorrideva e piangeva insieme, Viktor Krum sentì anche una punta gelida conficcarsi nello sterno. Trattenne le proprie braccia impedendo loro di rovinare tutto e stritolò la bacchetta fino quasi a spezzarla.
Non era lui a dover tenere quella Coppa in mano, non sarebbe stato lui a strapparla da quelle mani candide e sbucciate in un impeto d'egoismo fine a se stesso e patetico quanto il canto di un gallo.
Quella sera stessa, lei disse no.
No, no, no.
Viktor Krum lo sente ancora quel no. Lei provò a dirglielo sorridendo mentre cenavano vicini, ospiti del Primo Ministro spagnolo insieme a tutta la squadra. Gliel'aveva detto mentre litigava con un pisello della paella, cercando di catturarlo con la forchetta ma senza riuscirci: l'aveva fatto divertire anche mentre si tratteneva per non imprecare contro le lumache che le facevano così schifo, mescolate al riso, e lui l'aveva aiutata a farle Evanescere tutte, dalla prima all'ultima.
Le aveva chiesto di poterla andare a trovare agli allenamenti della settimana successiva, e lei aveva risposto di sì, senza pensare.
Le aveva chiesto di cenare insieme subito dopo, e lei aveva risposto che lei e il resto dei Vratsa Vultures andavano sempre a mangiar fuori dopo le quotidiane sessioni di Quidditch, quindi non ci sarebbe stato alcun problema.
Aveva specificato di voler cenare da solo con lei, e ad Ekaterina era sfuggita la forchetta di mano. Si era grattata nervosamente la testa, maledicendosi poi per averlo fatto nonostante gli avvertimenti di sua madre su quanto fosse maleducato toccarsi i capelli a tavola.
E poi aveva detto di no.
Sorridendo, che le riusciva così bene.
Fu lui a non sorridere.


Viktor Krum ci riprovò una settimana dopo.
No.
Un mese dopo.
No.
No, no, no, no.
La vide tremare, mentre la avvicinava per la quinta volta: Ekaterina non sorrideva più.
La lasciò in pace, amandola da lontano.
Finché...
Finché non fu troppo.
Il suo volto è sereno come allora. Disteso, pacato, tranquillo. Forse gli occhi le brillerebbero come quella volta, se solo non fossero nascosti da palpebre addormentate.
Viktor riconoscerebbe quello sguardo tra mille.
Lo sguardo di chi ama – un Boccino, una Coppa, un uomo -, lo sguardo di chi si abbandona perché appartiene a qualcosa – un Boccino, una Coppa -, a qualcuno – un uomo.
Ekaterina si era abbandonata ad un insignificante ex-compagno di scuola, un volto di quelli che dimenticheresti se solo non ritrovassi di punto in bianco sulla tua strada, un corpo acerbo che ha raggiunto la primavera, qualcuno che neanche riconosceresti, se solo non notassi in lui quello zigomo appena più sporgente dell'altro, quel sopracciglio spezzato verso la metà, quei capelli che non vogliono saperne di restare al loro posto neanche se tagliati corti, con quella macchia più chiara vicina alla nuca.
Viktor Krum aveva ancora la copia del giornale su cui era uscita per la prima volta l'indiscrezione su una possibile relazione tra Ekaterina ed un altro Viktor, quello sbagliato, quello che mai l'avrebbe amata come lui fa tuttora.
Ne aveva bruciato gli angoli, finché le pagine non si erano accartocciate intorno ad una foto scattata di nascosto, dalle tinte fosche come il vicolo di Sofia in cui Ekaterina e Viktor avevano girato abbracciati, rubandosi un bacio sotto un balcone senza qualche pezzo d'intonaco.
Viktor Krum quella foto ce l'ha davanti anche ora. Perfetta nei suoi dettagli, chiara e vera nella sua mente come un quadro analizzato nei minimi particolari. Era sicuro come non mai che l'altro Viktor non si fosse accorto del gatto dalle orecchie mozzate nascosto dietro un cestino, della pietra più scura delle altre incastonata nel muro alla sua sinistra, del vaso di fiori ridotto a un cumulo di cocci e terriccio, caduto forse dalla finestra più in alto dell'edificio sulla destra.
Vorrebbe dirlo anche a lei, che quel gatto ha spiato in silenzio quel fittizio momento d'amore. Che quel vaso l'avrebbe volentieri fatto cadere in testa a lui, se solo si fosse trovato lì al momento giusto. Che quella pietra scura assomiglia meravigliosamente al neo che lei ha sul mento, impreciso e casuale come un pop corn bruciato in mezzo alle nuvolette bianche degli altri ben riusciti.
Vorrebbe dirle anche che ha sbagliato ogni cosa, quando gli ha detto un no sorridendo, tre no senza scherzare, ed altri no avendo paura.
Eppure non glielo dirà.
Ekaterina non merita di sapere perché tutto finirà in quell'Ufficio, dopotutto... è solo colpa sua. Se solo avesse detto sì, almeno una volta...
Avrebbero avuto la gloria, insieme. Passato, presente e futuro del Quidditch, e lui... lui avrebbe vissuto attraverso di lei. Sarebbero stati un'unica essenza, se solo lei l'avesse permesso.
Sarebbero... vivi.



Quando un inserviente entrò nell'Ufficio di Viktor Krum alle sei e mezzo, come ogni mattina, il Ministero della Magia era ancora silenzioso ed immobile nella bruma che filtrava da poche finestre, cristallizzato nella luce insicura di un'alba ancora troppo recente.
La prima cosa che percepì fu un odore pungente, ferroso, marcato fino ad essere fastidioso.
Poi, in quei pochi spiragli biancastri che si riflettevano qua e là, intravide forme particolari, più tondeggianti o più allungate, più lucenti o più opache, e fu sicuro solamente di una cosa: l'ultima volta che aveva pulito l'Ufficio del Ministro dello Sport tutte quelle Coppe non erano lì.
C'erano delle teche appositamente costruite per ospitarle, perché mai quel fanatico di Krum voleva spostarle a suo piacimento? Come se lui avesse poco da fare con le pulizie ordinarie...
L'ultima imprecazione gli morì in gola.

Ekaterina Smirnenska pareva addormentata su quella scrivania di mogano ricoperta di trofei, di quei trofei che lei e lui avevano vinto insieme e che Viktor Krum aveva collezionato con cura maniacale.
Si era spenta senza neanche svegliarsi, stroncata da un Avada Kedavra partorito dalla stessa bacchetta che le aveva regalato dozzine e dozzine di tee, sperando che tra i petali di una delle tante fosse nascosto il che non era mai arrivato.
Viktor Krum era disteso accanto a lei, in quel quadro che forse aveva immaginato di vedere davvero, prima o poi. Potevano essere una coppia felice, stretta nel ricordo dei trascorsi sportivi, seduta su un tappeto a raccontare ai bambini la storia nascosta dietro ogni Coppa. Viktor avrebbe dato voce alle emozioni del primo Campionato vinto, Ekaterina avrebbe forse preferito parlare di una Coppa Europa e dei centimetri che per troppi secondi l'avevano separata dal successo: avrebbero insegnato insieme a Lazar ad impugnare un manico di scopa, l'avrebbero aiutato a dominarlo, l'avrebbero reso un campione.

Eppure a Viktor Krum restava solo del sangue ancora fresco sgorgato dai polsi. Restava una bacchetta lasciata cadere da dita diventate troppo deboli per reggerla.
Restavano tagli profondi sulle braccia, macabra allegoria dei mancati tagli col passato che avevano stroncato ogni speranza nel futuro.
Restava il sorriso olimpico di lei, che aveva voluto vedere a lungo, lasciandosi morire il più lentamente possibile.
E restava quello che credeva fosse amore per La Bambina.
E che invece era un amore riflesso in uno Specchio, crudele perché narcisista, insano perché innaturale, macabro perché irrazionale.
Quella notte, Viktor Krum si uccise due volte.

« Tutti i moventi per l'omicidio sono riassunti esaurientemente in queste quattro parole: amore, lussuria, denaro e odio. Ti verranno a raccontare, ragazzo, che la più pericolosa è l'odio. Non crederci.
La più pericolosa è l'amore. »
(Phyllis Dorothy James)













NOTE:
- Il titolo viene da una canzone di Fabrizio De Andrè (meravigliosa), che ha come tema un amore insano, malato ed autolesionista, lo stesso che ho voluto vedere in Viktor Krum. Ekaterina non è la stessa crudele donna cantata da De Andrè, ma la vittima innocente di quell'amore così cieco. L'ultima immagine (il sangue, le vene tagliate) riprende il finale della canzone.
- Varna è realmente una città bulgara ed una località balneare piuttosto celebre, da quanto ho letto.
- Sulla questione “Viktor Krum donnaiolo” mi sono ispirata ad una frase che lui pronuncia nei Doni della Morte, al matrimonio di Bill e Fleur. Quando punta Ginny, mentre parla con Harry sotto Polisucco, dice qualcosa del tipo: “A che serve essere un famoso giocatore di Quidditch se le ragazze più carine sono tutte occupate?”. Ho ipotizzato che la fama avesse cominciato a dargli un po' alla testa, e che non gli dispiacesse affatto sfruttare la sua fama per racimolare un po' di successo con le donne.
- La squadra dei Vratsa Vultures è stata creata dalla Rowling. I Sofia Swords sono una mia invenzione.
- Forse è esagerato collocare temporalmente il declino di uno sportivo già a trent'anni. Ma ispirandomi agli sport 'Babbani', è anche vero che una squadra di spicco ha bisogno sempre di atleti al massimo delle loro possibilità, e immagino che un Cercatore, che ha bisogno di essere agile, scattante e di avere riflessi più che pronti, cominci a 'invecchiare' un po' prima degli altri componenti della squadra. Non mi è parsa esagerata neanche una pazzia così dilaniante divampata subito dopo l'allontanamento dal Quidditch: al di là dell'amore non corrisposto per Ekaterina, Viktor ha perso in un istante tutto ciò in cui credeva e per cui si batteva ogni giorno, fino a sviluppare una vera e propria fissazione per gloria e successo perduti.
- Il vestito pervinca di Hermione è quello indossato al Ballo del Ceppo.







Questa storia ha partecipato al turno di Marzo dei Never Ending Story Awards, indetti come al solito dall'efficientissima PrincesMonica. 
Si è classificata prima in quattro categorie (Best Author,  Best Angst, Best Ficlet,  Best AU) e ha vinto anche il premio Best Fanfiction. E io non so che dire, se non che sono rimasta più che sorpresa ed emozionata per questo risultato. Grazie davvero, PrincesMonica, e complimenti anche a tutte le altre partecipanti!

Questa storia, in origine, è stata scritta per il torneo La Coppa delle Case - Fidelity Card, indetto da Only (finora il contest più lungo e mastodontico a cui io abbia mai partecipato :D). Ahimè, il Cappello Parlante più bastardo del mondo mi ha Smistata a Tassorosso,  marchio indegno che mi porto dietro ormai da mesi: la mia Casa comprende anche  ross_ana, lilyblack, Julia Weasley e Somochu. 

Ancora questa storia è in attesa del giudizio di Only, che riporterò assieme alla classifica non appena sarà possibile.


  
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