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Autore: nemain    07/02/2006    1 recensioni
Dedicata a Rei, una mia interpretazione dei suoi ultimi istanti di vita la sera prima dell'attacco alla Nerv, i suoi pensieri, i suoi dolori, il ritrovarsi in nulla dopo un'eternità. Ispirata all'omonima canzone "Thanatos, if I can't be yours", che ho tenuto sotto durante la stesura. Per quanto breve, la vita vale davvero la pena di essere vissuta?
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Rei Ayanami
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La luna splendeva nel cielo

La luna splendeva nel cielo.

Appena coperto da un lieve velo di nuvole, il globo azzurrino splendeva nella sua unicità nel cielo notturno, coprendo con il suo chiarore le stelle accanto a sè.

Una notte tranquilla, una notte immersa nel ronzio delle cicale, che cantavano all’astro le loro melodie monotone, melodie ripetitive: melodie d’amore. Amore per chi cerca un compagno, amore perché sa che sarà ricambiato.

Una canzone di chi ha contatti con il prossimo, di chi ha una propria vita e decide di passarla con un altro che ha i suoi stessi sentimenti.

C’è invece chi è unico e solo.

Forse la luna le invidiava, poche volte si incrociava con il sole per un fugace attimo, ma non era un risplendere sul volto della terra: il cielo si faceva nero e solo il lugubre anello del loro matrimonio annunciava alla terra che Sole e Luna non sono estranei l’uno all’altro, nell’immensità del cielo.

Forse scrutando con il suo unico grande occhio la superficie della terra, oltre quel lacrimoso velo di nubi, l’astro cercò un essere come lui, solo e triste nel suo silenzio e nell’abbandono nel proprio universo.

Il lago dalle acque immote rispecchiò il grande occhio che, rifuggendo il proprio sguardo, lo posò sulla vicina città. Una città quasi abbandonata, eppure nuova.

Un grigio palazzo, quasi disabitato, eppure ancora eretto. Un piano rialzato, distante dalla terra, schifato dal contatto con le sue radici.

Una finestra lasciata aperta, un pertugio di insperata libertà?

Un letto disfatto, lenzuola arruffate, un sonno inquieto di un’anima senza dimora. La luce lattiginosa si fermò su due gambe abbandonate all’abbraccio del sonno, bianche e cadaveriche.

Pieghe di lenzuolo coprivano lo snello ventre, racchiuso tra due esili braccia, una disposta lungo il fianco, l’altra piegata con la mano sul cuscino.

Un torso da adolescente, le dolci forme del seno accennate sotto al largo pigiama che si apriva lasciando intravedere un eburneo ed indifeso collo che morbido, adagiava la testa sul cuscino.

Il volto di Rei Ayanami era piegato di lato, la bocca lievemente aperta in un sussurro del dolce respiro, i bianchi capelli arruffati e la frangia sugli occhi.

Le nuvole, quali enormi palpebre schiusero la bellezza di quel volto abbandonato all’abbraccio del cuscino, al candido sguardo dell’astro.

La luce rimase a lungo a guardare la ragazza, un angelo fra bianche ali, una creatura quasi innaturale, di celesti fattezze, eppure presente su questa terra brulla, soffocata dal cemento e devastata dalle esplosioni della guerra tra Dio e l’Uomo.

Un pesante sospiro, un lamento nel sonno, le labbra rosa si dischiusero in un gemito soffocato. La luce rimase interdetta, si fece più attenta: poteva provare dolore?

Eppure era inequivocabile, dopo una pausa le dita delle mani si mossero e si strinsero di scatto, le gambe fletterono appena, il lamento si fece risentire, le soavi sopracciglia si aggrottarono.

Il respiro si fece più veloce, ora inspirare sembrava più difficile, eppure nessun peso gravava sul petto della ragazza.

Se non quello della propria vita.

Si trovò in piedi su un mare di LCL, una luce filtrava dalle profondità del liquido, le onde riflettevano bagliori arancioni sul corpo di Rei.

-Chi sei tu?- Chiese Rei ad un’altra Rei che la guardava sorridendo, galleggiando beata sopra al livello del liquido.

-Io sono te, costituisco la tua fonte di vita, sono l’anima che risiede in te.- Rispose questa sempre sorridendo.

-La mia anima?-Chiese Rei.

-Finchè vivrai sì.- Rispose questa alzandosi ed andando a mettersi di fronte a Rei.

Ora erano indistinguibili, due esili figure a pochi centimetri l’una dall’altra, in piedi su un mare arancione, solo le espressioni differenti le contraddistinguevano, seria l’una e ilare l’altra.

-Ormai è tempo, ho rimandato troppo a lungo questo momento.- Disse decisa Rei.

-Qualcosa sta cambiando in te, l’ho notato, ed io sto cambiando con te.- Rispose l’altra, facendo scomparire il sorriso.

-Mi sento come non mi ero mai sentita, sembra che il dolore si faccia più intenso ogni volta che mi sveglio, ogni volta che incontro qualcuno, ogni volta che ti incontro.-

-…-

-Ho paura di poter essere qualcosa di diverso da ciò che ho sempre creduto di essere, qualcosa di diverso da te, questo pensiero mi spaventa, ma non riesco a scacciarlo. –

L’espressione della seconda Rei si fece più dolce, di compassione –Siamo entrambe di un mondo diverso, due forme differenti messe l’una dentro l’altra.-

-Io ogni respiro che faccio, lo respiro per te.- Disse triste Rei.

-Lo so. Io non posso affrontare la mia vita senza di te.- Rispose sorridendo l’altra.

-Tutto questo sta però per finire, lo sento, il mio corpo mi sta urlando che non vuole più vivere, ed anch’io non voglio più vivere, tuttavia sono tanto preoccupata.-

-Perché?-

-Perché al di là di questo dolore c’è il nulla, l’oblio, la solitudine, nuova solitudine e nessun conforto. –

Rei la guardò in modo severo – Tu non sei mai stata sola, ci sono sempre stata io.Con te, in te.-

Le palpebre di Rei sbatterono mentre guardò in basso un attimo, poi le pupille tornarono a fissarsi negli occhi dell’altra – E’ da molto, da sempre che vedo la sua ombra, un’ombra dalla quale trovare riparo dagli altri, una tenebra che mi rincuora, benché fredda e solitaria, ed in ogni luogo la vedo, occultata negli angoli o nel buio di una stanza, ma è sempre lui.-

-Lui chi?.-

Sospirò.

- Quella figura incappucciata, prima o poi verrà a prendermi.-

-…La Morte?- Bisbigliò appena percettibile l’altra Rei.

Il volto di Rei si incupì e divenne triste, tra i denti mormorò – Che ne sarà di me, se non potrò essere tua? Vienimi a prendere, Morte. Portami via di qui.-

E si accasciò sullo strato liquido.

Lentamente il fluido iniziò ad inghiottirla.

I suoi occhi si fissarono un’ultima volta in quelli dell’altra Rei, prima di sparire negli abissi dell’LCL e la sua ombra si confuse con i chiaroscuri dei riflessi. Qualche bollicina dalle profondità, poi più nulla. Buio. Ancora buio, un riparo dalla luce accecante.

Che stia dormendo? Senso del vuoto. Non provo niente, eppure mi sembra di galleggiare. Una sensazione già vissuta.

Non capisco, dove sono? I miei sensi sembrano non funzionare.

Una fitta al cuore, un cuore che non batte. Vorrei piangere, ma non posso neanche versare una lacrima. Apro gli occhi, e vedo me stessa, tante me stesse, che galleggiano come me in un mare arancione, sospese tra vita e morte, senza distinguere tra le due, proprio come Kaworu.

Adesso capisco. Noi non siamo uguali. Nonostante questi corpi accanto a me siano identici non possiamo dirci la stessa persona. Ciò mi rende triste. Perché ognuno di noi potrebbe avere dei sogni, che non potranno mai essere realizzati.

Provo a muovermi, ma il corpo lo sento appena, sono inerme, inerte come un manichino, una bambola. Io non sono una bambola. Vedo delle persone là fuori, sono vive.

Un ragazzo dai capelli castani, il viso affusolato "Ayanami, Rei!"

Mi volto, mi ha chiamato per nome. Non ne sono certa, ma so che quello è il mio nome. Gli sorrido.

Le altre me stesse gli sorridono. Eppure scorgo paura nei suoi occhi. Devo dirgli che non deve aver paura, dovrei aprir la bocca e parlare.

Una piccola scia di bolle. Tento di nuovo di versare lacrime, sento che montano dentro di me, eppure non escono. Lasciatemi libera, devo parlare, muovermi, vivere!

Lo vedo guardare le altre due persone, una donna bionda in camice ed una mora. Di nuovo lacrime, non potrò mai essere quello di cui ha bisogno. Magari un po’ di compagnia, anche io ne avrei bisogno. All’improvviso tutto si fa rosso.

Chiudo gli occhi. Io odio il rosso.

Avverto una lieve spinta idrostatica verso l’alto e faccio fatica a respirare. Il liquido deve essere aumentato di densità. Sento un gran calore, che in breve tempo inizia a farmi formicolare le membra ed il corpo. La prima volta che sento davvero il mio corpo. Prima volta che sento il dolore.

Prendo un profondo respiro, mi sembra di fuoco, mi brucia la gola e le narici, sento i polmoni sfrigolare. Un odore acre ed acido, le labbra mi si consumano, la mia pelle la sento disgregarsi nel liquido attorno a me. Questo dolore, si, l’avrei vissuto mille volte, se poi avessi potuto vivere là fuori.

Ma un sogno impossibile da vivere. Apro gli occhi. Vedo membra ed organi uscire dai corpi accanto a me che leggiadramente, si scomponevano volteggiando nel liquido.

La vista mi si offusca rapidamente, vedo salire a galla sopra a me lunghi filamenti di un rosso livido, mi sembra stiano uscendo dal mio ventre. Mai prima di adesso mi ero resa conto di quanto ero simile ad una bambola. Mi sto svuotando, di nuovo quella sensazione, il mio corpo si dissolve.

Gli occhi ormai ciechi non riescono più a vederti.

Cosa sarà di me, se non potrò essere tua.

Le palpebre si aprirono di scatto, due iridi rosse si strinsero lentamente al chiarore della luce lunare che irraggiava il volto.

La testa si voltò a guardare il soffitto, il solito soffitto spoglio, la biancheria appesa sopra il cuscino.

Sospirò triste, desiderando forse di non svegliarsi e ritrovarsi in quella stanza, in quel mondo cui era estranea un mondo in cui provava solo sofferenze.

Un forte dolore le prese allo stomaco ed un orribile formicolio le affiorò insistente sottopelle, una sensazione disgustosa, come se fosse immersa in un termitaio.

Ebbe un brivido nonostante la temperatura estiva, si alzò a sedere e si strinse le braccia alla pancia, digrignò i denti in preda ad un forte dolore. Chinò la testa sulle ginocchia.

- Perché…- si chiese mentre fu scossa da altri e violenti tremori - perché?-

Improvvisamente la salivazione aumentò di colpo ed una vertigine le si aprì nello stomaco, mise velocemente le gambe giù dal letto e tentò di avviarsi al bagno. Ma appena il peso si spostò dal letto agli arti, questi rimasero come addormentati e non riuscirono a sostenere il peso della ragazza.

Cadde brutalmente in avanti, sbattè la testa, gli occhi si velarono di bianco formicolante, miriadi di puntini bianchi le occultarono le mattonelle del pavimento.

-Svieni, fa che io svenga, concedimi tregua da questo dolore!- pensò in una frazione di secondo, ma il desiderio non fu esaudito, la fitta alla testa si fece lancinante, la bocca si aprì.

Rimettè con violenza, i conati si susseguivano a convulsioni ed un orrido vociare si sparse nell’etere intimo del solitario appartamento.

Una figura angelica stava ora riversa al suolo, tradita dal suo corpo umano, il volto schiacciato nell’espettorato, sul freddo pavimento. Stette qualche minuto immobile, ansante ed appoggiata ai gomiti, con la gola che bruciava e l’odore acre nelle narici.

Si alzò a fatica, prima appoggiando un ginocchio e poi l’altro, barcollò nel raggiungere la posizione eretta, ma vi rimase. Si avviò verso il bagno, pochi passi e la sua immagine fu catturata dallo specchio polveroso appeso al muro, che mai era stato pulito.

-A che serve? - Si domandò Rei. -Perché devo vederti ogni volta che ci passo davanti?-

Si tolse la camicia del pigiama macchiata e si tolse il reggiseno, poi le mutandine e l’occhio le ricadde sulle sue forme riflesse sullo specchio. Le costole iniziavano ad intravedersi sotto alla pelle, non aveva mangiato quasi niente in quei giorni, da quando era morto Kaworu.

Ci rivedremo presto, le aveva sussurrato con lo sguardo, davanti alle gigantesche fattezze di Lilith, prima di sparire nel palmo dell’Eva 01, prima che le sue costole si frantumassero e gli organi interni, strizzati in un orrido ribollire di carne uscissero dalla labbra sottili, prima che la testa cadesse tra mille spruzzi nel lago di LCL del Terminal Dogma.

Si rivide, nuda e scarna e bianca, troppo bianca: era un cadavere che camminava. Il rumore delle cicale, portato da un soffio di vento riempì la stanza. Guardò i suoi seni: un altro peso inutile. Il suo giovane ventre: una cosa inutile, che non funzionava.

Eppure erano i simboli della vita: i simboli di una madre.

-A che mi servono?- si chiese. -A cosa servo?- rispose.

Gli occhi si fecero umidi, e lo stomaco sembrò voler riaprirsi. Proseguì oltre e entrò nel bagno, salì sul piatto della doccia, la sua meta preferita, tirò la tenda e aprì il rubinetto dell’acqua fredda, dopo qualche secondo l’acqua della conduttura di superficie, tiepida per conduzione, lasciò il posto a quella fredda della falda.

I capelli si appesantirono ed il fresco ristoratore passò fino al cuoio capelluto, scese poi sulle spalle, regalandole un piacevole brivido ed infine iniziò a scorrere su tutto il corpo. Rei rimase immobile sotto il getto, sentendolo su ogni centimetro della pelle.

-Vale la pena vivere per poter passare questi momenti?-

-No, questa è solo assenza del dolore.-

-Ti piace?-

-Si.-

-Allora rimani qui, per sempre.-

-No, devo tornare alla Nerv domani.-

-Perché?-

-Perché senza le cure della Dottoressa Akagi non posso vivere.

-E perché vivi?-

-…-

-…-

-Per quell’uomo?-

-Il comandante Ikari …-

-E’ lui che ti ha donato questa vita, ma tu desideri veramente vivere?-

-No, la mia vita non ha senso né valore, non mi appartiene, per questo voglio morire.-

-Per lui resteresti in vita?-

-Si, è quello che hanno fatto le me stesse prima di me.-

-E loro invece? Volevano che tu vivessi o morissi? –

-Io…non lo so.-

-Nel tuo inconscio lo sai…-

-Il comandante Ikari si è sempre preso cura di me, ci tiene affinché io rimanga in vita.-

-Egli tiene solo alla tua vita, e questo non vuol dire amare una persona, ma amare ciò che rappresenta.-

-Cosa sono io?-

-Sei un involucro vuoto con me dentro, perfettamente sostituibile, una conserva per le anime, per me.-

-Ma io non sono vuota, dentro.-

-Sei una bambola, con un’anima che non ti appartiene.-

-Io…non sono una bambola…-

-Coma fai a dirlo?- Rei esitò, a bocca aperta, con il respiro lieve, l’acqua scrosciava su di lei, come il tempo.

Le dita si contrassero in un pugno, iniziò a respirare con più veemenza, freneticamente, sembrò stare per essere sopraffatta dai singhiozzi. Ed infine fu.

Il pianto scorse, liberatorio e opprimente nello stesso momento, poche altre volte lo aveva fatto, se lo ricordava, ma mai così intensamente: stavolta piangeva per se stessa.

Immagini delle passate esperienze si concentrarono mentre avvertiva i suoi deboli lamenti arrivare patetici alle sue orecchie: immagini di Gendo che le sorrideva, l’entry plug, i medici che le si affannavano attorno, le mani della dottoressa Naoko che si serravano sul suo collo, i suoi lineamenti sconvolti, le labbra morse a sangue.

E poi ancora il soffitto, la scuola, il suo tesserino, il maggiore Katsuragi, la dottoressa Ritsuko, il vicecomandante Fuyutsuki, la second children, un’anima scossa quanto la sua.

Un concitato ronzio di voci si insinuarono tra i singhiozzi e il rumore della doccia, voci che aveva sentito da sempre, ma che per la prima volta trovò insopportabili.

-Questa è Rei, la figlia di un mio conoscente.-

-Sigh…hh…-

-E’ una brava ragazza, ma non è adatta a vivere.-

-Sigh…-

-EGLI TI PREFERISCE A ME SOLO PERCHÉ PUOI SEMPRE ESSERE SOSTITUITA!-

-Sigh…ghh…-

-Tu fai tutto quello che ti dicono di fare? SEI SOLO UNA BAMBOLA!-

-Sigh.h…nho..no…-

-Ricordati che è grazie a me che puoi mantenere quel corpo.-

-..sigh…-

-Abbiamo finito Rei, andiamo a mangiare.-

-Sigh…-

-Stai bene Rei?-

-..sigh…n.no…a..aiutho..-

-Fate uscire Rei, in fondo non è ancora morta.-

-Ghgh…sniff…-

-Tu sei esattamente come me.-

-…-

Il petto si sollevò, gli occhi si strizzarono in un impeto di rabbia che non aveva mai conosciuto ed inaspettatamente gridò con quanta voce aveva in corpo: -BASTA, BASTA, BASTA!! IO non sono una bambola!!Non sono il vostro giocattolo!! Ho dei sentimenti, io provo dolore, provo pene che poche persone possono sentire! Non posso più sentire le vostre dannate voci, IO VI ODIO! VI ODIO, MALEDIZIONE!-

E cadde in ginocchio, un pianto sotto alla pioggia, lacrime che nessuno avrebbe mai visto, un dolore solo suo. Dopo diversi minuti si rialzò, chiuse il rubinetto della doccia, scostò delicatamente la tendina ed uscì dal bagno. Mentre si asciugava con l’asciugamano, vide la propria immagine riflessa sullo specchio.

Stavolta rimase a guardarla con interesse, scambiando lo sguardo con l’immagine rischiarata dalla luce lunare iniziò col fissare i suoi occhi rossi, che le facevano ribrezzo, che odiava profondamente, eppure quel rosso ormai era solo un rimpianto.

Fissò la sua figura snella, il bianco pallido della pelle, i tratti soavi del viso ed improvvisamente si riconobbe, per la prima volta credette di conoscere la persona riflessa dallo specchio. Nella sua mente apparve l’immagine sfocata di Shinji in lacrime, sul portellone della sua Entry-plug, dopo la battaglia contro il 5° angelo e le sue parole rimbombarono nella testa di Ayanami.

Sospirò profondamente, lo sguardo si distese ed abbracciò con gli occhi l’immagine dello specchio, un dolce sorriso si distese sulle labbra, tanto prezioso e puro quanto raro, e disse con un tono malinconico: -Ciao Rei.-

Andò a vestirsi, non aveva più bisogno di dormire, ormai. Altre immagini si accavallarono ora nella sua mente: le immagini di Shinji quando era tornato dalla sua fuga, di quando erano in treno assieme, della scuola, non più della Nerv, il volo di un uccello, una eclissi.

Vestì l’uniforme scolastica e nell’allacciarsi i bottoni ebbe un mancamento, si ritrovò di nuovo a terra.

-Mi resta ormai poco tempo.- sussurrò.

Si rimise in piedi e finì di allacciarsi i vestiti, infilò le scarpe e guardò un’ultima volta il suo spoglio appartamento, impolverato e disordinato come sempre.

La finestra aperta, il comò, il becher pieno d’acqua e le medicine…gli occhiali di Gendo. Si avvicinò lentamente al comò e prese in mano gli occhiali, li guardò intensamente, i ricordò dei sorrisi che egli le rivolgeva, delle carezze e degli sguardi profondi al suo volto.

Rei sentì una nuova fitta allo stomaco e gli occhi riempirsi di lacrime, girando le lenti versò di sé si vide nuovamente riflessa.

–Mi dispiace..-mormorò- ..ma io non sono Yui. Non sono tua.-

La porta sbatté e non rimase chiusa, nessuno sarebbe mai più tornato in quell’appartamento. Nessuno avrebbe mai più sofferto in quel letto, nessuno avrebbe mai più bevuto medicine da quel becher.

Ora la luce della luna, illuminava solo i frammenti degli occhiali rotti sul pavimento. Ho cercato di dare toni alquanto tristi, rispecchiando in pieno il testo della canzone, ho tentato di esplicitare i motivi che l’hanno indotta a rompere gli occhiali ed a spezzare il legame con Gendo.

Quanto alle figure retoriche, il futuro cupo nel quale si svolge Evangelion mi ha fatto pensare al film "Blade Runner" del quale ho citato una scena, forse quella che mi ha colpito di più, in quanto anche l’attore aveva i capelli albini ed era un umanoide, proprio come Rei.

  
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