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Autore: Awe    27/04/2011    1 recensioni
Si diverte a farmi arrabbiare, ma non oggi. No, oggi no. Oggi non è mio fratello, non lo riconosco. Troppo silenzio, troppo, troppo. Che fine ha fatto la sua collezione di dischi? Dov’è lo stereo, perché non è acceso a un volume così alto che non riusciamo a capire come mai non è ancora diventato sordo?
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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IL MURO CHE CI SEPARA








Ok, una piccola preghierina, nella speranza che non siate troppo cattivi nei commenti… So già che avrò scritto un mucchio di sciocchezze, siate

clementi!

Con disperazione, NEne








31 Agosto

“Little A”






È pronto da mangiare, vado a chiamare mio fratello. Salgo le scale e penso. Oggi la casa è stata dannatamente

silenziosa. In realtà mia madre si è messa a sbraitare appena è tornata a casa, come al solito, e verso le quattro

mia sorella ha cominciato a frignare per questo e per quello, come ogni giorno, e mio padre alle cinque e mezzo

ha cominciato a chiedere che cosa si sarebbe mangiato per cena, e stava già per urlare a Jimmy di abbassare il

volume di quel maledetto coso che se lo alza ancora un po’ mi fracasserà i timpani un giorno glielo affatturo o lo

Silencio ah sì! e giuro che lo farò
, quando si è improvvisamente accorto che quella cosa che io tra un secondo

vado e gli butto giù la porta alla babbana oh vedrai se non lo faccio e per Merlino perché ha tolto

l’insonorizzazione magica alla stanza un'altra volta?
non stava emettendo alcun suono.


Dalla stanza di mio fratello, solo silenzio.


Entrando in camera, lo vedo che termina di fare i bagagli. Tutti i vestiti sono ancora sparsi sul pavimento. «Hey,

Jimmy», gli faccio. Io lo chiamo sempre Jimmy. Talvolta può sembrare che gli dia fastidio, questo nomignolo, ma

io so che, sotto sotto, questo soprannome non gli dispiace. Per contraccambiare, lui mi chiama sempre…

«Hey, Little A» mi dice, perché io mi chiamo Albus e sono il suo fratellino. Spesso, invece, mi chiama “Russ”, da

Severus, il mio secondo nome. Io lo odio, voglio dire “Russ”. James invece lo trova esilarante, e me lo ripete ogni

volta che può. Si diverte a farmi arrabbiare, ma non oggi. No, oggi no. Oggi non è mio fratello, non lo riconosco.

Troppo silenzio, troppo, troppo. Che fine ha fatto la sua collezione di dischi? Dov’è lo stereo, perché non è

acceso a un volume così alto che non riusciamo a capire come mai non è ancora diventato sordo? Mi siedo sul

letto, e mentre Jimmy comincia a piegare gli abiti osservo la sua stanza. Tutto è innaturalmente vuoto, dalla

scrivania al pavimento, dal comodino alla libreria, che di solito sono ingombri di libri e robacce. Provo un

improvviso senso d’inquietudine: questa non è la stanza di mio fratello. La sua camera è… È un insieme infinito

di oggetti magici e babbani che si mescolano in armonia. La sua stanza è una calda e confortevole mescolanza di

colori e musica. La sua stanza è divertente e misteriosa; quand’ero piccolo Jimmy si era nascosto sotto un

mucchio di vestiti e la mamma si era spaventata a morte, e mia sorella gli aveva calpestato una gamba e aveva

urlato e Lily aveva cominciato a piangere, spaventata, e poi era entrata la mamma e a vederci lì così, buttati a terra

in mezzo a tutti quegli abiti, è scoppiata a ridere e si è tuffata anche lei.

Dov’è finita quell’allegria? Che fine ha fatto quella spensierata felicità?

Inconscio del mio turbamento, guardingo, James tira fuori da sotto il letto gli oggetti a cui tiene di più: la serie

completa del fumetto “Fantastic Four”, anno 1961, degli autentici pezzi da collezione; la sua maglietta con scritto

a caratteri cubitali HITCHHIKING TO LOS ANGELES, ormai logora e più volte rammendata; e, infine, una piccola

foto babbana, immobile, incorniciata, raffigurante due ragazzi.

Sbircio quest’ultima, anche se so già chi sono i giovani nell’immagine. Uno è Jimmy, ovviamente. Il suo sguardo è

felice, e sorride alla ragazza che tiene stretta a sé.

Con attenzione, James ripone i suoi tesori in fondo al baule, coprendoli poi di mutande bianche, calzini a righe,

camicie ben stirate, pantaloni pesanti, di velluto nero, la divisa, anche quella ben stirata, e jeans, felpe e poi

sciarpe, scarpe, il mantello e qualche cianfrusaglia. La vera essenza di mio fratello si cela sotto un mucchio di

abiti che odorano di pulito.

James fissa per un attimo il baule ormai pieno, tentenna un po’, e poi con un gesto deciso infila la mano tra i

vestiti e cerca qualcosa a tentoni. Poco dopo estrae la foto con difficoltà, la cornice dev’essersi impigliata da

qualche parte.

Fissa l’immagine, e ad un tratto goccioloni salati cominciano a fuoriuscire dai suoi occhi verdi. “Gli occhi di Lily”

direbbe mio padre.

«Lizzy, Lizzy», piange Jimmy. Io mi scosto, imbarazzato. Mi guardo le mani. La mia stessa reazione mi disgusta.

Sto fuggendo.

Anche quando lei è morta sono fuggito da mio fratello.

Lizzy abitava vicino a noi. Era una di quelle famiglie che dovevamo Confondere, una volta la settimana, perché

non si accorgessero della magia che sprizzava dalla casa accanto alla loro. Anche Lizzy veniva Confusa.

E James era innamorato di lei. La amava da tantissimo tempo. Mi ricordo che per qualche tempo la sera non

mi faceva dormire, parlava di Lizzy e Lizzy e ancora Lizzy, e io ero geloso. Prima parlavamo di magie, Quidditch, di

che cosa avremmo fatto quando saremmo andati a Hogwarts.

Poi, Lizzy.

E poi, Lizzy è morta.

«Jimmy.» Mio fratello non si volta. «Jimmy», ripeto. James ancora non gira, singhiozza piano, l’uggiolìo

sommesso di un cane che vede il corpo freddo del suo padrone scomparire per sempre sotto la dura terra.

«Jimmy, è pronto da mangiare.» In questo preciso istante, comprendo al cento percento cosa significhi sentirsi

una merda
. Inutile. Impotente.

Distante.

«Vieni presto, eh.»

«Mh.»

Sto per uscire dalla camera quando ad un tratto ho un impulso fortissimo, irrefrenabile. Vorrei abbracciare Jimmy

e dirgli che va tutto bene, che andrà tutto bene, e fargli sentire che io sono qui. Io sono qui.

Invece mi blocco sulla soglia. ‘Sono un uomo. Sono forte. Anche lui è forte’, penso.

Mi giro. «Jimmy, è pron…», ma mi blocco nel bel mezzo della frase, perché vedo che mio fratello mi guarda,

sorridendomi triste.

«È pronta la cena. Ho capito, non sono sordo», dice sempre sorridendo.

Anch’io gli sorrido debolmente, di rimando, mi volto e chiudo la porta alle mie spalle.

Non lo so ancora, ma questa è l’ultima volta che vedo mio fratello vivo.











Ok, lettori, scatenatevi!

La qui presente scrittrice moooooooolto dilettante è un’autentica masochista, per cui… Sfogatevi pure!







Sto scherzando, eh. Mi basta un commentino, critiche bene accette: è da lì che si migliora, no?

Un bacio, Nene, la Zebubba


P.S. A Nonoko, come al solito. Speriamo che vada a buon fine! ☺

  
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