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Autore: Zils    28/04/2011    0 recensioni
«Mi piacciono le storie».
Si presentò così, semplicemente, come se un suo particolare interesse fosse un’informazione decisamente più rilevante del proprio nome di battesimo.
Eppure, ripensandoci adesso col senno di poi, quell’insolita presentazione rimase impressa nella mia memoria probabilmente più di quanto lo sarebbe stata un “mi chiamo Chiara” o un “piacere, il mio nome è Francesca”.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Contesto generale/vago
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A te piacciono le storie?
 

 
 
 
 
1.    1. Prologo
 
«Mi piacciono le storie».
Si presentò così, semplicemente, come se un suo particolare interesse fosse un’informazione decisamente più rilevante del proprio nome di battesimo.
Eppure, ripensandoci adesso col senno di poi, quell’insolita presentazione rimase impressa nella mia memoria probabilmente più di quanto lo sarebbe stata un “mi chiamo Chiara” o un “piacere, il mio nome è Francesca”.
Ricordo che alzai lo sguardo e il primo particolare che notai furono due pezzi di cielo incastonati in due orbite di un viso perfettamente ovale, paffuto e roseo, nel quale delle labbra rosso carminio si aprivano in un sorriso. Un sorriso singolare anch’esso, perlomeno per una bambina. Non era ridente né canzonatorio, ma sembrava piuttosto risplendere di una consapevole serenità.
La bambina mi studiava nel frattempo che io pensavo a cosa si dovesse rispondere a una simile frase, e dopo che optai per un semplice «ciao», si sedette accanto a me sulla panchina verde scuro, dove i miei pastelli colorati stavano sparpagliati.
Presi il giallo e lo pigiai sul quaderno che tenevo in grembo, calcando e trascinandolo sul foglio con mano impacciata. Tentando di ignorare la silenziosa presenza al mio fianco continuai la mia occupazione per parecchi minuti che mi parvero ore, con la fastidiosa sensazione di esser seguito attentamente in ogni mia mossa.
Non dovetti combattere a lungo col desiderio irresistibile di voltarmi, perché parlò lei per la seconda volta.
«A te piacciono le storie?»
La guardai, spiazzato ancora una volta. Era seria. Mi osservava attenta, evidentemente in attesa di una valida risposta.
«Non ne conosco …»
Sorrise lei, ma stavolta in modo diverso. Sembrava saperla lunga, come se avesse a che fare con un bimbo che ha ancora troppo da imparare. «Ma certo che ne conosci, tutti ne conosciamo. Prima di tutte, conosci la tua».
«La mia
La bimba annuì, convinta. «Tutti quanti hanno una loro storia. Siamo tante piccole storie che camminano, e, spesso, ci raccontiamo». Sbuffò impaziente dopo essersi specchiata nel dubbio dei miei occhi. «Me l’ha detto un barbone con cui ho parlato prima. Mi ha raccontato la sua. La sua storia, intendo».
«Era bella?» chiesi.
Lei assunse un’espressione pensosa, prima di rispondere che sì, era davvero molto bella, ma anche e soprattutto triste.
Le chiesi di raccontarmela. Ricordo che accettò con entusiasmo, come se non aspettasse altro che condividere con qualcuno qualcosa che le era tanto piaciuto. Mi colpì la dovizia di particolari con cui condì il suo racconto, la passione con la quale ne parlava, le pause che inseriva nei punti più toccanti.
Fu verso la fine della narrazione che arrivò mia madre, ansimante dopo aver corso per raggiungermi. Era in ritardo per il lavoro e, stringendomi la mano, mi trascinò via con sé. Fu solo quando stetti per salire in macchina che mi ricordai di aver lasciato sopra la panchina i miei pastelli e il quaderno. E, ancora peggio, avevo lasciato una storia incompleta.
«Hai fatto amicizia?»
«Più o meno» risposi a mia madre. «Quella bambina mi ha chiesto se mi piacciono le storie. A te piacciono?»
Si allacciò la cintura di sicurezza e mi sorrise. Per un attimo il suo volto si distese e parvero scomparire da esso le ombre di preoccupazioni e affanni che ultimamente sembrava si cibassero di lei, giorno dopo giorno. «Ma certo che mi piacciono, Davide. Mi piacciono tantissimo. E a te?»
Ancora una volta il racconto che avevo ascoltato attraversò la mia mente, e mentre realizzavo che col tempo la mia memoria l’avrebbe fatto scappare come in autunno un ramo d’albero si lascia abbandonare dalla foglia secca, mi chiesi se esistesse un modo per fissarlo. Per non farlo mai andar via.
Annuii in direzione di mia madre. Sì, mi piacevano.
 
 
 
 
 
  
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