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Autore: Leireel    28/04/2011    4 recensioni
Frammenti di un rapporto sempre pronto a spezzarsi, in bilico, teso e sfuggente; frammenti di un affetto fraterno spesso nascosto e dimenticato. Quattro frammenti di vita di Albus e Aberforth Silente.
“C’era da chiedersi anche come avessero fatto a sopravvivere a quei rancori e rimorsi che sembravano sempre aspettarli al varco, pronti a divorarli a un loro passo falso.”
Storia partecipante al contest La Coppa delle Case indetto da Only_ nel forum di Efp.
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Silente, Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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∙Autore: Leireel.
∙Titolo: Frammenti.
∙Personaggi: Albus Silente, Aberforth Silente.
∙Pairing: //
∙Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico.
∙Rating: Verde.
∙Avvertimenti: //
∙Prompt: Uno o più membri dello staff di Hogwarts; "Un uomo è vecchio solo quando i rimpianti in lui, superano i sogni." (A. Einstein); Hogsmeade; Whiskey Incendiario.
∙NdA: Tutte le note che seguono (in ordine sparso) sono solo cavilli che la mia indole pignola mi ha impedito di lasciar perdere; si possono comodamente ignorare, la storia dovrebbe risultare comprensibile anche senza.
Non si sa con esattezza quando Aberforth sia diventato il barista della Testa di Porco; per mia comodità ho supposto iniziasse nel 1956, lo stesso anno in cui Albus diventa Preside di Hogwarts. Delle rivolte dei goblin (che talvolta nelle traduzioni italiane si trasformano misteriosamente in folletti – ho preferito lasciare il termine anglosassone per evitare ambiguità) parla Hermione ne ‘Il prigioniero di Azkaban’; pare che la Testa di Porco ne sia stata il quartier generale. Il nome della capra di Aberforth, Ghiozza, è un omaggio a Ghiozza la capra zozza, che Albus ci dice essere la fiaba preferita del fratello.
La storia partecipa al contest La Coppa delle Case di Only_, ancora senza risultati. Dedicata alle mie compagne di Casa: Payton_, whateverhappened, mazza94, vogue e Joey Potter, nonché a Mia, perché sì.

Frammenti

Capitolo I

Hogsmeade, 25 settembre 1956

Era ancora il crepuscolo; nell’aria della sera si mescolavano confusamente oro, rosso e blu, in mezzo a un vento gelido che sapeva già d’autunno. Se ci fosse già qualche stella, Albus non avrebbe saputo dirlo: il cielo era macchiato di nubi e foschia, tanto che già vedere uno spicchio di luna sembrava quasi una benedizione. Non che ci fosse qualcuno a parte lui, in quelle strade deserte, che fosse interessato a guardarla; era solo un pigro martedì di Settembre, dopotutto, e i pochi avventori si erano già messi al riparo dalla pioggia incombente dietro le porte dei Tre Manici di Scopa.

La Testa di Porco era vuota e grigia come nei suoi ricordi di gioventù, identica a se stessa; Albus era sicuro che un po’ di quella polvere risalisse ancora alle rivolte dei goblin del Seicento. Era bello rivederla, sudicia come nei suoi giorni migliori. Sembrava quasi di ritornare al passato.

«È permesso?»

Aberforth, intento a passare lo strofinaccio sul bancone consunto, lo degnò appena di una mezza occhiata.

«Perché, un no ti ha mai fermato?» borbottò a mezza voce. Albus lo prese bonariamente per un invito a entrare e si fece strada tra le sedie sbilenche, appollaiandosi infine con grazia su uno degli sgabelli al bancone. Di nuovo, Aberforth non ritenne necessario sprecarsi a rivolgergli uno sguardo.

«Così mi offendi, Aberforth. Ho sempre considerato la cortesia uno dei miei pregi maggiori – insieme a saper scegliere i momenti meno opportuni per presentarmi, ovviamente,» replicò Albus sorridendo e porgendogli quella che sembrava una bottiglia di Ogden Stravecchio d’annata. Con quello, se non altro, aveva ottenuto l’attenzione di suo fratello: aveva interrotto la sua opera di pulizia e lo stava osservando interrogativo, in attesa di una qualche spiegazione.

«L’inaugurazione è oggi, giusto?» domandò Albus; poi, senza aspettare la sua risposta, continuò: «E mi pare sia consuetudine portare in dono un piccolo omaggio, per allietare la serata e augurare buoni auspici. Chi sono io per esimermi?»

«Non si può dire che ti manchi l’originalità, di certo. Portare alcolici all’inaugurazione di un pub,» sottolineò Aberforth, riprendendo a passare lo straccio.

«Avevo pensato di portarti una scatola di Api Frizzole, a dire il vero, ma temevo che risultasse un presente gradito solo a me,» si scusò allegramente; poi, con un colpo di bacchetta, fece apparire dal nulla due bicchieri da whisky. Sembrava aspettare che Aberforth aprisse la bottiglia, o almeno fu quella l’interpretazione che diede lui dello sguardo di Albus, paziente e divertito.

«Un preside non dovrebbe dare il buon esempio ai suoi studenti?» sbuffò, ma si chinò ugualmente a prendere un cavatappi da sotto il bancone.

«Oh, ma devo ancora festeggiare l’incarico, sai,» replicò con leggerezza Albus. «E sono sicuro che i ragazzi già sappiano che sono molto più adatto come modello da non seguire,» continuò ridacchiando.

Aberforth si limitò a lanciare un’occhiata scettica al cappello del fratello, viola con piccole stelline gialle che scintillavano e si muovevano allegramente. Ci fu qualche secondo di silenzio mentre versava il Whisky Incendiario nei due bicchieri che oscillavano a mezz’aria davanti ai suoi occhi.

«A ogni modo, Aberforth, trovo che tu abbia scelto un giorno oltremodo curioso per inaugurare il tuo locale,» riprese Albus, guardando con affetto le mura impolverate. «In un banale martedì sera non puoi di certo aspettarti una grande compagnia».

«Forse non ne volevo, di compagnia. Non ho invitato nessuno, io,»  lo rimbeccò Aberforth, ma nella sua voce c’era la minuscola traccia di un sorriso. Prese un lungo sorso e continuò: «E poi non è una vera inaugurazione. Questo posto ha più di quattrocento anni».

«È davvero un peccato, mi sono sempre piaciute le feste. Questa locanda, poi, ha sempre ospitato gente così interessante…»

«Taglia corto, Albus. C’è sicuramente un motivo ben preciso per cui sei qui, e lo sappiamo entrambi, quindi sputa il rospo,» lo interruppe Aberforth, fissandolo per la prima volta negli occhi. Albus sembrò per un attimo sul punto di replicare qualcosa, ma dovette ripensarci, perché la sua espressione da placida si fece meditativa.

«D’accordo,» disse infine ricambiando il suo sguardo. «Avrai sentito parlare di quel mago, Lord Voldemort; ci sono stati un paio di omicidi, giù a Wakefield, e un attentato contro alcuni Babbani a Birmingham. Stiamo organizzando una resistenza, come abbiamo già fatto contro Grindelwald. Ho pensato…»

«Cosa, che vista la mia accorata partecipazione alla prima, mi sarei unito a voi questa volta?» ribatté Aberforth sarcasticamente. «Scordatelo. Non ci tengo a finire ammazzato, te l’ho già detto. E per una volta dovresti tenerti fuori dai guai anche tu».

«Non ti sto chiedendo di partecipare alle nostre missioni, Aberforth – per Merlino, sai che non lo farei! Ma il tuo aiuto potrebbe esserci prezioso anche da qui: un paio di occhi e orecchie in più fanno sempre comodo, e potresti arrivare dove noi non possiamo».

«Inizia sempre così con te, non è così? Un piccolo aiuto qua, niente di pericoloso… com’è che alla fine ci ritroviamo sempre in mezzo a una guerra, eh? Sono morte delle persone la scorsa volta, Albus! Te lo sei già scordato? Ma certo, cosa sono delle vite innocenti in confronto al Bene Superiore

Se Albus fu in qualche modo ferito da quella risposta, non lo diede a vedere; nei suoi occhi azzurri c’era solo ira.

«Delle persone stanno già morendo per colpa di Voldemort! Pensi davvero che potrei starmene qui a guardare, mentre là fuori i suoi seguaci trucidano poveri innocenti? Pensi sul serio che riuscirei a starmene fermo?» replicò con rabbia, alzandosi di scatto. Lo sgabello oscillò in bilico per qualche secondo prima di schiantarsi al suolo con un tonfo secco. Nessuno dei due vi badò, troppo presi a fronteggiarsi.

«Non ti sta obbligando nessuno, Albus! Smettila di comportarti come se il peso del mondo fosse tutto sulle tue spalle!» urlò Aberforth in risposta.

«Non me ne starò fermo ad attendere che intervenga il Ministero, se è questo che intendi,» replicò freddamente Albus. «Se posso far qualcosa per fermare quell’uomo, allora è mio dovere farlo. Non rimarrò di nuovo ad aspettare che sia troppo tardi».

La risposta di Aberforth non giunse che qualche istante dopo; i sottintesi di quelle frasi sembravano aleggiare nella stanza come macigni sulle loro teste.

«Finirai ammazzato così,» disse infine, piano. L’espressione del fratello si addolcì lievemente.

«Non credo ti sarà così facile liberarti di me,» gli rispose con un sorriso, abbassando la voce. «Tendo ad avere una discreta dose di fortuna in battaglia».

Si era già alzato, il mantello che svolazzava dietro di lui sotto gli spifferi settembrini; gli rivolse un’ultima, lunga occhiata e si voltò per andarsene.

«E va bene, ti aiuterò. Ma non mi muovo da questa locanda, sia chiaro. Anche Ghiozza ha bisogno di me,» borbottò infine Aberforth, quando già la mano di Albus era sul pomello della porta.

«Puoi dirle che non le ruberò tanto di quel tempo che solitamente le dedichi,» replicò l’altro con un sorriso. «Grazie, Aberforth, davvero».

«L’hai sempre vinta tu, alla fine,» sbuffò lui. Il cappello viola con le stelline era già scomparso dietro la porta, ma gli parve di sentire, attutita dalla lontananza, un’ultima risata.

   
 
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