Ed ecco il secondo capitolo; ringrazio le 36 anime che si sono fermate a leggere, e spero che non sia stata una lettura estremamente spiacevole :) Note sul capitolo: Derwent Shimpling è famoso soprattutto per essere sopravvissuto all’ingestione di una Tentacula Velenosa, ed è un personaggio talmente bizzarro da essere l’avventore medio perfetto per la Testa di Porco. Mundungus è stato bandito dalla locanda da Aberforth dopo una lite nel 1975; poiché nessuno sa con esattezza per quale motivo avessero litigato, ho ipotizzato che neanche lo stesso Albus conoscesse i motivi.
Capitolo II
Hogsmeade, 19 dicembre 1975
Nevicava da un po’ di giorni ormai, piccoli fiocchi lanuginosi che morivano prima ancora di toccar terra, dissolvendosi in acqua e fango. Il cielo, anche in quell’ora tarda, aveva la strana sfumatura luminosa e grigia che era propria di quel tempo gelido e infido; in quella notte di tempesta erano rimaste solo le decorazioni di Natale a illuminare un po’ le strade, e a tentare nel frattempo di prendere il posto delle stelle, almeno per quelle ore. Nel suo passaggio frettoloso per le vie di Hogsmeade, Albus quasi non le notò, preso a stringersi nel mantello per combattere il freddo pungente.
«È già orario di chiusura, o posso ancora entrare?»
Stava già ripulendosi le scarpe sullo zerbino – gli parve che diventassero stranamente più lerce – e da quella distanza non riuscì a cogliere del tutto il borbottio di Aberforth; suonava come ‘per te dovrebbe essere sempre orario di chiusura’, ma Albus decise allegramente di aver sentito male, e si avviò per il bancone attraverso il locale deserto.
«È... insolito vedere questo posto così vuoto. Normalmente c’è sempre qualche losco figuro incappucciato in un angolo,» commentò Albus.
«Se vuoi ti chiamo Derwent Shimpling dal piano di sopra, se proprio ti senti solo,» gli rispose ironicamente Aberforth. Tormentava con lo straccio un povero bicchiere, che a ogni passata sembrava acquistare nuovi millimetri di sporco.
«Credo di poter fare a meno di lui per questa sera,» gli sorrise Albus di rimando. «Ho sentito dire che tende a diventare leggermente infiammabile quando viene scosso dal suo sonno, e non ho particolare desiderio di provocarlo».
Si sistemò un po’ meglio sullo sgabello sbilenco, rassettandosi la tunica blu elettrico, prima di continuare discorsivo: «Ho sentito che il povero Mundungus è incappato nella tua ira funesta. Ho avuto modo di incontrarlo stamattina, e devo dirti che aveva davvero un’aria contrita. Anche se può aver influito il fatto che si trovasse davanti una squadra di creditori decisi ad avere giustizia, suppongo,» aggiunse allegro.
«Povero un corno,» mugugnò Aberforth accanendosi contro il bicchiere, che da parte sua non sembrava avere un’aria particolarmente felice. «Quella schifosa carogna meriterebbe di marcire ad Azkaban per il resto dei suoi giorni».
Non c’era più traccia di ironia e sarcasmo nella sua voce; il suo tono si era fatto brusco, rabbioso, quasi violento.
«Suvvia, Aberforth,» lo rabbonì il fratello con aria leggermente stupita, «non essere così severo. C’è sicuramente di peggio a questo mondo…»
«Aveva in mano il suo medaglione, Albus,» ringhiò. «Il medaglione che Ariana aveva al collo quando è morta. E lo toccava, quel bastardo ladro di tombe, se lo rigirava tra le sue manacce lerce! L’avrei ammazzato, quello schifoso figlio di…»
«È solo un medaglione,» lo interruppe Albus pacato. C’era una nuova tristezza nei suoi occhi, grave, posata. «Non la riporterà indietro».
«Lo so da me che non la riporterà indietro! È troppo chiedere che sia lasciata in pace, almeno da morta?»
La voce di Aberforth si era spezzata sulle ultime sillabe; aveva uno sguardo che Albus poche volte gli aveva visto addosso. Pensava di averlo dimenticato, anche: era lo stesso che aveva avuto durante il funerale di Ariana - furioso, distrutto.
«Non sto dicendo questo, e lo sai. Ma non è un motivo sufficiente per voler uccidere una persona,» replicò Albus con fermezza. «Per quanto infime e spregevoli le sue azioni possano essere, non valgono la sua vita. Dovresti saperlo bene».
«Certo, a te che ne importa? Non ti curavi di Ariana da viva, figuriamoci da morta!» sputò Aberforth con astio.
Negli occhi di Albus passò un lungo lampo di dolore, simile al riaprirsi di vecchie ferite mai cicatrizzate.
«Sai che non è vero. La amavo con tutto me stesso, lo sai,» disse, con una nota accorata che suonava quasi come una supplica.
«Oh, sì, la amavi così tanto da abbandonarla a se stessa per tutta l’estate! Proprio un grande amore, il tuo!» ribatté Aberforth sarcastico. «Ma certo, chi se ne importa della sorella storpia! Noi non eravamo abbastanza per il grande Albus Silente, non è così? Molto meglio dimenticarsi di averla, una famiglia!»
«Come puoi anche solo pensarlo? Siete sempre stati la cosa più importante, per me!» esclamò Albus.
«Come non crederci?» rispose Aberforth con una risata amara. «Mamma e io badavamo ad Ariana e tu pensavi solo a organizzare viaggi in giro per il mondo con i tuoi amichetti… Chi avrebbe mai dubitato della tua devozione?»
Albus parve quasi piegarsi su se stesso al suono di quelle parole, accartocciato come un foglio di giornale; aveva le spalle più curve e stanche, e sembrava improvvisamente vecchio, vulnerabile.
«Immagino che certi rancori siano duri a morire,» mormorò dopo qualche istante, più rivolto a se stesso che al fratello, per poi continuare con tono fermo: «Avevi ragione sin dall’inizio, non dovrei essere qui. È preferibile che vada».
Raccattò cappello e mantello con un unico movimento fluido della bacchetta; non rivolse neanche uno sguardo ad Aberforth, limitandosi a uscire a testa china, senza fare rumore. Quel silenzio grave che si era formato tra loro sembrò permanere anche dopo che Albus se ne fu andato, propagandosi nell’aria come una pestilenza. Il peso di tutte le parole che si erano detti – quelle parole che Aberforth stesso aveva vomitato addosso al fratello con la consapevolezza e il piacere di far male – pareva essersi posato sul suo petto, soffocandolo.
«Mi dispiace,» borbottò Aberforth troppo tardi, quando ormai non c’erano più orecchie disposte ad ascoltarlo.