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Autore: DarkFlame    08/02/2006    0 recensioni
la storia di un ragazzo, Daniel McBrie, che dovrà vedersela con un Destino molto accanito.
Genere: Azione, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Ladro...ma non per una scelta VMSM

…notte…

Per la strada passeggia un ragazzo; alto, possente e, da quanto il buio può lasciar intravedere, il volto coperto da un fazzoletto.

Il capo coperto da un cappello di cuoio scuro come nei vecchi film western ed un lungo giaccone gli sfiora i piedi avvolti da spessi anfibi da guerra.

Dal fianco destro gli pende un lungo e affusolato fucile che sembra quasi minacciare i passanti che, correndo, cercano riparo dalla pioggia che ora aveva cominciato a bagnare l’asfalto.

Il ragazzo non sembrava preoccuparsi troppo della pioggia e continuava a camminare tranquillo tra le spirali di fumo che si alzavano dai tombini ai lati della strada.

Si fermò solo per alzare uno sguardo al cielo plumbeo; i suoi occhi blu come il mare erano un’insieme di emozioni: paura per quello che doveva fare, la sfida che voleva verso se stesso e soprattutto tanta, tanta preoccupazione per le persone a lui care.

Abbassò lo sguardo ed una ciocca sfuggì al laccio che legava i lunghi capelli corvini dietro la nuca sfiorando la lunga e non del tutto guarita cicatrice che scorreva sulla parte sinistra del viso, ricordo di un conto non regolato.

Ricominciò a camminare affondando ancora una volta nei suoi pensieri e preghiere che ogni volta rivolgeva verso il suo Dio ‘‘proteggi le persone che amo e aiutami nel mio scopo- diceva il ragazzo fissando il vuoto e si rese conto di essere arrivato alla sua meta.

Sospirò per infondersi coraggio e si avvicinò.

Era ormai un anno che lo faceva e la sua coscienza non l’aveva ancora accettato; non che gli piacesse, era ovvio, ma se non riusciva a recuperare abbastanza soldi non sarebbe mai potuto tornare a casa.

Salì le scale di marmo verdognolo che introducevano alla Banca ed entrò nascondendo bene il fucile sotto il lungo giaccone.

Si accodò dietro l’ufficio dei prestiti ed aspettò il suo turno con calma.

Sapeva benissimo che la sua macchina lo stava aspettando fuori delle scalinate, suo fratello pronto per una fuga spericolata come piacevano a lui.

…Erik…come lui ce n’erano pochi o nessuno al mondo e quando gli aveva spiegato la situazione si era subito unito a lui, trascinando con se i suoi due amici, tutti più giovani di lui di circa sei anni, ma i pivellini se la sapevano cavare per essere dei novelli rapinatori.

Il primo che Erik aveva convinto a seguirli, si chiamava Ethan Cross o ‘‘Titan’‘ a causa della muscolatura.

Un po’ basso ma molto più muscoloso di lui, era il tuttofare della piccola banda; aveva i capelli castani spesso arruffati o coperti da una bandana, gli occhi blu tanto scuri da sembrare neri e la pelle abbronzata.

Il secondo delle reclute si chiamava Chris‘micciacorta’‘ Alark, soprannominato così per il carattere facilmente irascibile e per la grande specializzazione che aveva fatto come artificiere; occhi verde chiaro, alto, e sciolto, aveva una folta chioma di capelli biondo platino che, anche lui, legava in una coda di cavallo sempre scarmigliata. Come muscolatura non era delle migliori, ma non esisteva porta che scampasse ad una delle sue sempre nuove invenzioni esplosive.

Poi veniva Erik McBrie, suo fratello.

Il ragazzo detto ‘‘Mr. Rally’‘ era l’autista della banda e l’unico che riusciva a prendere una curva a gomito correndo a duecento l’ora.

Era tale e quale a lui e nemmeno lui riuscirebbe a capire chi era dei due se non sarebbe stato per i capelli corti e la mancanza della cicatrice…ed infine, veniva lui.

Daniel McBrie.

Definito ad unanimità ‘‘Boss’‘, gli sembrava sempre troppo quel titolo.

Si, era stato lui ad accennare agli altri il piano, ma non credeva che nessuno sarebbe riuscito a non pensarci.

Riuscì a sfuggire ai suoi pensieri abbastanza velocemente, quando l’ultima persona che aveva di fronte se ne andò lasciando a lui il compito di prelevare qualche spicciolo.

Si diresse a grandi falcate verso il piccolo sportello e si accostò all’interfono «buongiorno, in che cosa posso servirla?» disse l’impiegato avvicinando il microfono alla bocca.

Daniel porse un foglietto sotto la fessura adibita allo scambio di documenti «vorrei fare un prestito a lungo termine» rispose, allungando quantunque un sorriso malefico sotto il piccolo travestimento del foulard.

L’impiegato prese il foglietto e lesse, squadrando prima il tipo che gli si stagliava davanti ‘è UnA rAPInA DamMi TUtti I SOldI’ diceva il biglietto formato da lettere messe assieme da ritagli di giornale; l’impiegato alzò lo sguardo e vide il ragazzo scostare leggermente il giaccone per rivelare il pericoloso fucile appeso alla cintura.

La paura iniziò a percorrere strada nel cervello dell’impiegato che, lentamente, spostò la mano verso l’interruttore dell’allarme.

Daniel iniziò a sudare freddo e guardò in cagnesco l’uomo che fermò il movimento della mano verso l’allarme e prese a riempire una borsa con tutti i soldi della cassaforte accanto alla sedia dell’impiegato.

Quando la borsa fu piena, l’uomo la passò al ragazzo sfregiato attraverso uno sportello e quest’ultimo la prese facendo segno di rimanere in silenzio indicando il fucile e facendo notare all’impiegato il caricatore pieno di pericolose e mortali pallottole.

Si girò con uno svolazzo del giaccone verso la porta, quando, con la coda dell’occhio vide l’impiegato chinarsi leggermente per pigiare il bottone della sirena che, se avesse cominciato a suonare, sarebbero stati guai grossi; il più vicino distretto di polizia era a soli due isolati da li per questo aveva osato tanta gentilezza.

L’assordante allarme iniziò a suonare e tutti i clienti della banca si voltarono sconvolti dal rumore inatteso.

Daniel, in un unico movimento, lasciò la presa sulla borsa che cadde a terra con un tonfo sordo ed estrasse dal giaccone il fucile puntandolo verso il soffitto «TUTTI GIù QUESTA è UNA RAPINA! HO DETTO TUTTI GIù» urlò sparando un colpo per ripristinare l’ordine nella confusione che si era creata alle prime parole che aveva pronunciato.

La folla che, nonostante la tarda ora, c’era all’interno della Banca, si stese ventre a terra con le braccia alzate sulla testa come uno scudo nel tentativo di ripararsi da un’eventuale sparatoria.

Daniel sorrise sotto il fazzoletto, contento di non dover sparare a nessuno, e si diresse verso la porta prendendo la valigia con i soldi, credendo che ormai l’ultima rapina che avrebbe dovuto compiere fosse conclusa, ma arrivato dalla doppia porta di vetro opaco che lo separava dai suoi compagni, sentì le sirene della polizia farsi sempre più vicine e il sangue gli si gelò nelle vene.

Si affrettò ad uscire sulle scalinate e, a metà di esse fu inondato da una forte luce che un faro dell’elicottero della polizia gli puntava addosso.

Pochi secondi dopo inchiodarono davanti alla scalinata dove era rimasto impalato diverse Renault blu del distretto di polizia.

Da quella più vicina uscì un ragazzo che doveva avere la sua età ed una ragazza poco più giovane di lui.

Il ragazzo, da quanto la forte luce poteva lasciargli vedere, aveva i capelli biondo cenere ed era alto poco meno di lui.

Teneva in mano un megafono che portò alla bocca «Daniel McBrie lei è in arresto! Tenga le mani bene in vista e venga LENTAMENTE verso la signorina Greater e niente scherzi» disse indicando la ragazza accanto a lui.

Daniel, alzando le mani al cielo, s’incamminò, scendendo gli scalini con lentezza impressionante…umpf, sciocchi, non pensavano che in un anno avesse imparato a portare ben altre cose oltre al suo fidato fucile?

Posò il piede sull’ultimo scalino e si fermò fissando trucemente il poliziotto sorridendo perfidamente.

Chinò il capo in avanti e, veloce, estrasse un lungo e sottile pugnale da un comparto cucito all’interno del colletto del giaccone.

Come a comando, lanciò il coltello verso il vetro di una macchina che andò in frantumi distraendo i poliziotti.

Con uno scatto felino, scartò da un lato immergendosi nell’oscurità e cominciò a correre saltando i bidoni dei rifiuti capovolti da qualche animale affamato.

Il fucile sobbalzava nella corsa ed il ragazzo sentiva le urla dei poliziotti inseguirlo come le pallottole che gli sparavano addosso in un disperato tentativo di bloccare la sua fuga.

Scocciato da quella situazione si sottrasse alla sparatoria buttandosi dietro lo stipite di una porta incassata nel muro, probabilmente di qualche night club a loci rosse e ritrasse da sotto il cappello una piccola radio, che accese «Hey fratello dove sei?! Avresti dovuto essere qui molto tempo fa» disse, quando sentì Erik rispondere alla chiamata «stai calmo abbiamo avuto dei problemi, ma ora è tutto ok e…» venne dall’interfono interrotto dalla furia di Daniel «stare calmo!? MI STANNO SPARANDO ADDOSSO! Dimmi dove sei e tirami fuori di questo casino cazzo!» urlò al fratello prima di chiudere la comunicazione.

Dal suo braccio venne un leggero suono e, dal piccolo palmare che aveva legato all’avambraccio, comparve la mappa della zona.

La sua posizione era segnata da un cerchietto verde, mentre, quella della macchina, era segnata da uno rosso.

Fortunatamente, la macchina non era poi lontana come pensava, ma doveva tener conto delle pallottole che stavano ancora tagliando l’aria; prese il fucile e puntò alle gambe dei tre poliziotti che si stavano tardando a finire le munizioni tentando di colpirlo.

Sparò tre colpi che accasciarono gli agenti di polizia dandogli il tempo necessario per togliersi da quella brutta situazione di spalle al muro.

Cominciò a correre come un disperato verso il vicolo che lo separava dalla strada principale dov’era parcheggiata la macchina, ma, a volte, la sfortuna sta dalla parte sbagliata.

Vide l’ombra di qualcuno che lo inseguiva, si girò e vide la ragazza di prima corrergli dietro mentre l’elicottero gli stava volando sopra tentando di illuminare il vicolo dove i due si inseguivano.

La ragazza impugnò la Beretta da 9mm e prese la mira sbagliando però il primo colpo, distruggendo un sacco della spazzatura abbandonato contro il muro; Daniel affrettò il passo, ci mancava solo questa ragazzina che gli sparava e lui, da gentiluomo, non avrebbe mai risposto al fuoco della ragazza ‘‘merda!’‘ pensò adirato vedendo davanti a lui un muro che segnava la fine del vicolo.

Prese più velocità che poteva e si aggrappò per miracolo alla cima del muro tentando di issarsi per scavalcarlo.

L’agente ebbe l’istinto di fermarsi per poter prendere la mira, ma lo ignorò e mentre il ragazzo ricadeva dall’altra parte si cimentò anche lei nella scalata del muro.

Alla sommità di quest’ultimo si sedette a calcioni e, ringraziando i colleghi che puntavano i riflettori proprio sul ricercato, sparò.

Il sibilo della pallottola raggiunse le orecchie di Daniel che cercò di scansarsi invano e si vide ferito alla spalla destra.

Il sangue usciva a fiotti dal piccolo foro che il proiettile gli aveva creato trapassando tendini e muscoli e un bruciore irresistibile gli pervase il braccio e la spalla fino alla gola da dove scaturì un grido di dolore e Daniel cadde in ginocchio afferrandosi la spalla grondante di sangue.

La ragazza, soddisfatta, scese dal muro e s’incamminò verso il braccato prendendo le manette dalla cintura che le cingeva la vita «lei è in arresto» disse tranquilla chinandosi per afferrare il polso sinistro del ragazzo.

Daniel non si sarebbe di certo fatto catturare così.

Porse il polso quasi in maniera arrendevole finché la ragazza non fu abbastanza vicina da poterla colpire.

Alla manica del giaccone uscì un altro pugnale, questa volta più piccolo, che il ragazzo prese velocemente e colpì al ventre la ragazza senza però ferirla.

Quest’ultima, sorpresa, indietreggiò di scatto per evitare il colpo dando uno spazio sufficiente a Daniel per poter alzarsi e fuggire verso destra dove, duecento metri più avanti, poteva vedere la sua macchina con Chris ed Erik fargli segno di sbrigarsi mentre Ethan brandiva il mitra e sparava contro i riflettori dell’elicottero sopra di loro «accidenti spostatevi! SPOSTATEVI ERIK!» urlò Daniel vedendo i cecchini sull’elicottero mirare alle teste dei compagni sporti fuori dai finestrini.

Un ultimo scatto e fu di fronte alla macchina «coraggio Boss sbrigati! Sali in macchina!» disse Chris rientrando nella vettura ed aprendo davanti al ragazzo la portiera che però lui richiuse vedendo il quantitativo di esplosivo che Micciacorta si era portato appresso solo per il gusto di averla sempre attaccata alle chiappe accidenti! «se sparano alla macchina qui finiamo arrosto!  Datemi retta dobbiamo andarcene di qui SUBITO» disse Daniel tenendosi la spalla ma un sibilo lo interruppe ed alzò al cielo gli occhi; quei fottutissimi bastardi si erano portati appresso un lanciamissili!

Il missile toccò terra e la strada si illuminò a giorno; la dinamite dentro la macchina per fortuna non esplose ma in confronto, la macchina si ribaltò per lo spostamento d’aria e Daniel venne scaraventato contro il guardrail sentendo una fitta acuta percorrergli tutta la spina dorsale.

Ricadde al suolo con un tonfo sordo e rimase immobile steso ventre a terra sull’asfalto, privo di sensi.

Intanto l’elicottero atterrò sui detriti che il piccolo missile aveva creato e scesero gli agenti che avevano sparato poco prima al giovane cowboy compreso il ragazzo dai capelli biondo cenere e un uomo sulla quarantina, probabilmente il capo della squadra che allargò uno sguardo di malefica soddisfazione vedendo i quattro ragazzi privi di sensi e senza vie di fuga.

Quel sorriso venne interrotto dalle parole del ragazzo biondo accanto a lui, chino vicino al cowboy «signore, non crede che questo sia stato un po’ drastico?» disse indicando la macchina rovesciata ed il ragazzo svenuto accanto a lui «oh niente cazzate Tanelly, per gente come questa niente è drastico» e si diresse nuovamente sull’elicottero mentre, dal vicolo da dove era uscito Daniel, arrivò la ragazza che prima gli aveva sparato alla spalla, stupita anche lei della confusione che imperversava sulla statale «che è successo?» chiese avvicinandosi al ragazzo biondino che si alzò dalla sua posizione mentre due colleghi sollevavano senza troppe storie Daniel e i suoi amici, caricandoli su delle barelle e trasportandoli sul secondo elicottero che era atterrato poco prima «Contan ha di nuovo messo in atto la sua filosofia ‘‘più morti che vivi grazie’‘…quanto lo odio quando fa così…non voglio diventare un assassino» rispose il biondo «comunque spero per te che Jack non si sia accorto della tua sparizione…sempre a fare di testa tua vero Sabina?» continuò allargando un sorriso e puntando il dito contro il petto della ragazza che si spostò ridendo «e tu sempre a fare shopping dall’armeria eh? Nuovo acquisto nevvero…» rispose Sabina prendendo dalla cintura dell’altro una pistola a scariche elettriche «…non c’era una ragazza l’altro giorno che ti piaceva la dentro? Avanti Leo di la verità!» continuò la ragazza allontanandosi senza sentire la risposta imbarazzata dell’altro.

Salì sul secondo elicottero con i feriti e chiuse il portellone. Dal piccolo oblò vide Leo salire sull’altro elicottero che partì di tutta fretta verso il distretto.

L’elicottero sul quale era lei lo seguì inclinandosi in avanti e prendendo velocità; ora che non doveva faticare, Sabina potè vedere in volto l’inseguito.

Il fazzoletto che gli ricopriva il viso fino agli occhi era scivolato sotto la mandibola e la barba lievemente presente sul volto del ragazzo gli scuriva la pelle.

Per il resto non potè vedere molto del bandito svenuto se non il fisico che, sotto i suoi occhi, gli veniva rivelato dal giaccone aperto e dalla maglia mimetica senza maniche che indossava.

Al collo del ragazzo c’era una catenina con una coppia di piastrine di riconoscimento militare ed un proiettile mai caricato in un’arma da fuoco.

Avvicinò la mano ed afferrò lievemente una delle due piastrine voltandola.

Presentava una foto del ragazzo, rovinata da qualcosa di appuntito quasi volontariamente mentre, sull’altra, i particolari personali erano stati cancellati.

Nel sonno, il ragazzo girò il volto appoggiando la guancia destra alla superficie della barella rivelando a Sabina la lunga cicatrice che sfigurava la parte sinistra del volto.

Di scatto, la ragazza lasciò la presa sulla catenina e si allontanò di qualche centimetro dal corpo del giovane svenuto per paura di svegliarlo.

Non sapeva bene il perché di quella paura, ma non vi fece troppo caso e si avvicinò al ragazzo accanto al cowboy.

Aveva i capelli neri gellati all’insù e la pelle pallida; una grande bruciatura gli si estendeva sul collo e sulla parte sinistra del torace, dovuta all’esplosione del missile terra-aria che avevano lanciato dall’elicottero.

Al collo aveva anche lui una coppia di piastrine militari che ne rivelavano il nome: Erik McBrie, anni 19.

Giovane per essere in una banda di scalmanati così e sospettò che solo il cowboy superasse la ventina tra i quattro.

Sabina scrollò la testa pensando ancora a quando il bandito l’aveva minacciata con il coltello da caccia; avrebbe potuto benissimo ucciderla o almeno ferirla come aveva fatto con i suoi tre colleghi ma non l’aveva fatto.

«Hey Saby siamo arrivati preparati a scendere» disse il pilota ammiccando nella sua direzione «ok, grazie Max per il passaggio! Ti devo un volo» rispose la ragazza rispondendo al sorriso e scese chiamando quattro dei suoi colleghi per far smontare i prigionieri dall’elicottero e portarli giù nella centrale.

Giunti nel cuore del distretto, portarono il bandito nella sala interrogatori in attesa che si riprendesse mentre portarono i tre ragazzi verso le celle vedendo bene di dividerli in reclusioni differenti.

Sabina non si allontanò un attimo dalla sua preda che seguì fino alla sala interrogatori.

Daniel, dopo una buona mezz’ora, si svegliò trovandosi legato ad una dura sedia di metallo di fronte ad un tavolo dello stesso materiale e di fianco ad un vetro a specchio dove sapeva si stavano divertendo un mondo gli sbirri a guardarlo come dei bambini molesti davanti alla gabbia del leone dormiente.

Alzò lo sguardo e si trovò davanti il brutto muso del Capitano Jack Contan squadrarlo come un alieno «bastardo! Dove sono gli altri?! » urlò Daniel dimenandosi sulla sedia, ma questo gli provocò altro bruciore perché la spalla trafitta gli mandò una fitta acuta che il bandito non riuscì a trattenere un urlo di dolore «sei messo male e questo è un bene…ora, stronzo, dicci chi è coinvolto nel massacro di quattro giorni fa» disse il Capitano avvicinando il viso puzzolente di alcol a quello del ragazzo che, con disprezzo, restituì lo sguardo «non lo so…e anche se lo sapessi non direi di certo ad un alcolizzato come te fottuto pezzo di merda» rispose stringendo un poco gli occhi blu sull’uomo che aveva davanti.

Contan non parlò, ma spedì sul volto del giovane un pugno che gli fece sputare parecchio sangue «non mi hai capito…tu centri, lo sappiamo per certo e DEVI parlare» disse l’uomo crocchiando le nocche sporche sangue non suo.

Daniel non parlò e rimase a fissare il capitano con nuovo fervore; lui non sapeva niente per davvero, ma come poteva spiegarlo a quel grosso bastardo ubriacone di rum e tequila?

Un altro pugno colpì il bandito allo stomaco e Daniel sentì il fiato mozzarglisi in petto.

Un sottile rivoletto si sangue prese a scendergli ad un lato della bocca che di certo lui avrebbe aperto solo per lanciare spregevoli epiteti indirizzati al capitano.

Dopo molti altri pugni, il bandito si sentiva ogni centimetro del corpo dolergli, ma ne andava fiero, non avrebbe parlato.

Il Capitano capì le intenzioni del cowboy così si allontanò dal tavolo e aggirò la sedia e si mise alle spalle del ragazzo; si abbassò fino a sfiorargli l’orecchio con le labbra e sussurrò «da questo carcere non uscirai vivo» furono le parole del Capitano estraendo un coltellino a scatto dalla tasca posteriore dei pantaloni e aprendolo.

Lo passò piatto lungo la gola del ragazzo, sentendo il cuore martellare contro il metallo del coltellino.

Scivolò lungo la spalla e raggiunse il foro del proiettile lievemente fasciato e sulla via della guarigione.

Con un poderoso scatto, infilò la lametta del coltellino dentro il foro facendo gridare il giovane come mai in vita sua e sporcandosi ancora una volta di sangue non suo «…dicci chi è coinvolto…» disse a voce abbastanza alta da farsi sentire dal giovane urlante; non ricevette risposta così spinse più a fondo il coltellino, sentendo la punta grattare contro la pelle dall’altra parte della spalla «NON LO SO» urlò Daniel, inarcando la schiena per il dolore «risposta sbagliata…chi è coinvolto in quella carneficina stupido idiota» rispose Contan e trapassò la spalla del bandito sentendo il metallo della sedia sotto il coltello e cominciò a girare la lama dentro la ferita «VAFFANCULO STRONZO» urlò infine Daniel prima di superare la soglia di resistenza del dolore del corpo.

Ormai con i sensi altrove, il bandito si abbandonò sulla sedia «dannazione, gettatatelo in un buco assieme agli altri…non ci è utile per ora» disse il Capitano nell’interfono che permetteva di comunicare con le persone al di là del vetro a specchio e dalla porta accanto a quest’ultimo, uscirono Leo, Sabina e un terzo uomo che tolse le manette al bandito e lo sollevò.

Sabina odiava quegli interrogatori, gli sembravano disumani.

Ora quel ragazzo era veramente messo male e, se fosse stato per lei, lo avrebbe subito portato in infermeria, ma il capo era il capo e così lei e Leo lo persero sotto braccio e lo portarono verso le celle.

Quando entrarono e passarono davanti agli incarcerati, vi furono fischi, urla e maledizioni verso i due poliziotti;‘bastardi’‘ e ‘‘assassini’‘ erano i più ricorrenti dopo uno degli interrogatori di Contan.

Povero ragazzo, doveva aver veramente sofferto tanto.

Gli anfibi del bandito strisciavano sul cemento e la testa ciondolava in avanti come se stessero trasportando un burattino senza fili.

Ogni tanto dal suo viso scendeva una gocciolina di sangue che cadeva tra la polvere e lo sporco del pavimento ruvido e Sabina notò che i suoi occhi non erano nemmeno del tutto chiusi, rivelando quel tesoro blu che poteva davvero essere bello se non fosse stato così dolente.

Quando passarono di fronte alla gabbia del fratello, Erik, che stava camminando davanti alle sbarre avanti e indietro, si fermò e sgranò gli occhi vedendo il fratello in quelle condizioni.

Si lanciò contro le sbarre afferrando il freddo metallo quasi volesse spezzarlo «cosa avete fatto a mio fratello!? Brutti figli di puttana!» urlò Erik contro i due agenti che non gli rivolsero la parola e posarono Daniel nella cella accanto a quella del fratello «Boss! Oddio che ti hanno fatto!? Sbirri andatevene a morire in un buco!» urlarono di risposta Ethan e Chris dalla gabbia di fronte a quella di Erik.

Sabina e Leo se ne andarono senza dire una parola e un silenzio tombale cadde tra le prigioni.

Appena chiusero la porta, Sabina si mise a sparare epiteti non molto piacevoli verso il loro capo dipartimento «è uno schiavista, nemmeno un’animale verrebbe trattato così dal peggiore dei padroni» disse mentre Leo le prendeva un caffé bollente per tentare di calmarla «non prendertela troppo, prima che lo ripeschino da lì dentro devono aspettare un po’, almeno un mesetto per la veridicità delle prove e poi, tu di solito non parteggi per i carcerati a meno che la bellezza non conti qualcosa vero? Allora non sono l’unico in vena di cotte» disse il biondo sorseggiando il suo caffé ammiccando verso la ragazza che diventò color porpora «n-non è vero! (O///O) Ma che dici deficiente! Per me quello è solo un altro prigioniero della mia immensa bravura stavo solo commentando il brutale modo di interrogare un sospetto da parte del Capitano…tutto qui» si difese Sabina senza però convincere più di molto l’amico che però tacque solo per cercare di finire in pace il suo caffé, senza il pericolo di ritrovarselo sulla testa.

Intanto, nel carcere, il vociare si era fatto più forte ed i prigionieri guardavano il nuovo arrivato con rabbia verso il trattamento che gli era dovuto capitare; Erik stava cercando di far passare la mano attorno al muro che separava la cella del fratello dalla sua, ma non ebbe molto successo visto che lo spessore del muro era, anche se non di molto, più largo dell’estensione del suo braccio così chiamò Chris con mezzo fischio e quest’ultimo si volse verso il ragazzo «Hey Micciacorta come sta il Boss?» chiese alludendo a suo fratello ricevendo solo uno sguardo mesto «avanti rispondimi! Ethan cazzo come sta!?» continuò guardando il ragazzo di rimpetto alla sua cella che, per fortuna o no, rispose «male Erik, sembra morto porca puttana…c’è sangue ovunque ed ha una cera peggio di un vampiro…se fossi in te e lo sono, pregherei un po’ per la salute del Boss che mi sembra più di là che di qua» finì il ragazzo tozzo e muscoloso passandosi una mano tra i capelli a spazzola.

A quelle parole, Erik sembrò barcollare sulle gambe e se non ci fossero state le sbarre dove si teneva ancora sarebbe caduto a terra; si riprese dopo alcuni istanti e sporse quanto più poteva il braccio verso la cella di Daniel, parlando sommessamente, quasi sull’orlo delle lacrime «Dan…Dan rispondi…dai mi vuoi dire che ti fai battere da questi sbirri? Sono solo dei ratti lo sai…lo hai sempre detto che non…valgono niente…DAN CAZZO RISPONDI TI PREGO!» urlò Erik e quella domanda rimbombò per tutto il corridoio ora silenzioso, anche gli altri carcerati intenti ad ascoltare notizie sulla vitalità forse ancora presente nel novello.

«Hey Rally si sta svegliando!» disse all’improvviso Chris agitandosi anche più del dovuto come al solito.

Erik si sentì stringere l’avambraccio posto ancora fuori dalle sbarre per alcuni istanti, poi sentì la presa farsi debole come una rinuncia e scivolare via lasciando dietro di sé una scia di sangue sulla pelle chiara di Erik «Agenti di merda! Qua ne sta morendo uno!» gridò uno dei prigionieri che potevano vedere chiaramente Daniel ora steso a terra «infermeria! Muovete il culo!» aggiunse un altro picchiando il catenaccio che aveva attorno al collo contro le sbarre di metallo laccato.

Dalla porta principale entrarono due agenti muniti di elettroshok per calmare la confusione che si stava creando «zitti pezzi di merda non avete il diritto di parlare» disse il primo dei due mentre il secondo passava tra le gabbie dando una piccola scossa a chi stava ancora parlando.

Durante il passaggio vide il bandito steso a terra e attirò l’attenzione del collega con un fischio «guarda, il cazzettone che sta male…poverino ci vuole qualcosa che lo svegli» disse il primo quando si fu avvicinato a Daniel.

Erik tentò di ribellarsi ma le sbarre non gli consentivano di avvicinarsi tanto da far seriamente male ai due agenti che, ormai, erano entrati dentro la cella del bandito che ora stava tentando di alzarsi per affrontare i due «ahah…guardalo che patetico…ti piace la scossa?» e durante l’ultima parola, vuotò mezza batteria della pistola ad elettroshok sulla pelle del ragazzo che gridò, la voce roca dalle urla che non era riuscito a trattenere nella sala interrogatori «direi di si!» continuò l’altro fulminando nuovamente Daniel, colpendolo in mezzo alle scapole nell’attesa che l’altro caricasse la batteria.

Ad ogni urlo del fratello, Erik si sentiva rabbrividire e cercava in tutti i modi di fare qualcosa per aprire quella maledetta gabbia e andare in soccorso del bandito, ma non vi erano vie di fuga.

Era irrimediabilmente separato dal fratello; né una crepa, né un foro permettevano la visuale dall’altra parte; d’improvviso, attirata dalle urla, entrò Sabina che vide i due agenti davanti al bandito steso a terra, raggomitolato su se stesso in un bagno di sangue «cosa state facendo?! Vi sembra il modo in cui due agenti dell’ordine dovrebbero comportarsi?! Prendersela con un ferito! Siate riconoscenti che non aprirò bocca con il capo! Ora…MARCHE!» disse la ragazza inviperita spedendo fuori i due agenti con un bel calcio nel sedere.

Poco più tardi, si avvicinò al ragazzo ancora steso a terra che la guardava stranamente: nei suoi c’erano un misto di gratitudine e rabbia che scurivano già il naturale colore dell’iride.

Sabina si chinò accanto a Daniel mettendo due dita al lato della gola per sentire il polso…dannatamente basso.

Di solito, un normale cittadino, sottoposto a quel tipo di trattamento sarebbe già morto ma quel criminale era come riuscito ad assopire parte del corpo por poter proteggere le parti vitali consentendo però al dolore di passare, purtroppo.

Guardò il resto del corpo del ragazzo e quello che vide fu solo sangue e lividi.

Ogni parte scoperta del corpo come viso e collo era completamente rivestito di questi due ed ogni centimetro di pelle sembrava pulsare di dolore «guarda quei bastardi…tutti appresso a Contan…» disse piano la ragazza senza curarsi del nuovo sguardo, questa volta sorpreso, di Daniel.

Sabina sfiorò la spalla del ragazzo e questi tentò di trattenere l’urlo di dolore che quel contatto gli aveva procurato facendosi sfuggire solo un piccolo gemito dalle labbra ed uno scatto repulsivo dalla mano ancora tesa della poliziotta «per una volta do retta ai tuoi colleghi, qui ci vuole l’infermeria» e detto questo in un sorriso, prese la radio attaccata alla cintura e chiamò due agenti per far trasportare il ferito con una barella fino all’infermeria.

Erik si slanciò ancora una volta verso le sbarre quando passò il fratello in barella, ma si calmò quando lo vide fare l’occhiolino e pollice alto verso di lui, cercando di nascondere quei segni dalle due guardie che lo portavano ‘‘sempre il solito…al chiuso non ci stai’‘.

 

…alba…

Nell’infermeria, Daniel era stato cucito e rammendato peggio di un calzino ma almeno era vivo e aveva tutto il tempo per pensare ad un piano per la fuga della banda.

Lo ammetteva, aveva avuto paura di morire in quella cella e aveva paura che un altro interrogatorio si avvicinasse.

Aveva gli occhi chiusi, steso sul lettino dove lo avevano abbandonato qualche ora prima e faceva mente locale per cercare delle vie di fuga sulla strada che aveva percorso in barella.

In ogni stanza c’erano almeno due prese di ventilazione, troppo piccole perché ci passasse; i muri erano spessi una ventina di centimetri in puro cemento ed ognuno era rinforzato con delle travi di acciaio quindi una semplice carica esplosiva avrebbe fatto il solletico alle pareti.

Anche le porte erano spesse lastre di acciaio che scivolavano sul pavimento facendo un grande rumore.

La porta principale che riconduceva alla libertà si poteva aprire sia dall’interno che dall’esterno con un codice fornito solo alle guardie; la soluzione era ovvia.

Avrebbe dovuto stordire un paio di custodi e utilizzare il solito trucchettino ‘‘vestiti da guardia’‘ e portare con sé la banda…aprì lentamente gli occhi perché, sebbene il cervello fosse lucido e scattante, il corpo rispondeva a malapena ai suoi comandi.

Nella stanza non c’era nessuno a parte lui, ma sapeva che dietro l’enorme specchio sulla sua destra stavano non meno di due sorveglianti con altrettanti piedipiatti armati sino ai denti nel caso si fosse ribellato.

Con una enorme fatica, si mise a sedere sentendo un dolore, più acuto che nel resto del corpo, all’altezza dell’inguine.

Gemette forte a denti stretti mormorando delle parole «lEPaLLE!» disse stringendo la lingua per non pronunciare quella sentenza; durante il pestaggio nella sua cella non si era accorto che uno degli sbirri gli aveva assestato un calcio nei gioielli «oHDiO! » si lamentò ancora quando tentò di reggersi sulle gambe tremanti.

Furente, mandò uno sguardo torvo che sembrò trapassare il vetro a specchio «SPERO CHE LO SPETTACOLO SIA DIVERTENTE» urlò contro quest’ultimo, tenendosi delicatamente una mano tra le gambe.

Questo era dannatamente un imprevisto…come cazzo faceva a scappare se a malapena si teneva in piedi?...accidenti aveva i coglioni che gli urlavano pietà.

Non sapeva che fare: sedersi gli faceva male, in piedi pure…gli veniva da piangere! Ç_Ç.

La porta accanto al vetro si aprì ed entrò la poliziotta che gli aveva salvato il culo nella cella (o almeno quello che ne rimaneva assieme ai gioielli di famiglia); la ragazza gli lanciò un sacchetto di ghiaccio che lui prese al volo di scatto.

I due si guardarono un attimo, studiandosi a vicenda.

Daniel potè finalmente guardare quella cacciatrice che non aveva mollato la preda per ben un anno ed ora poteva vedere un paio di occhi verdi, un fisico snello e capelli castani lunghi fino alle spalle.

Figura più che piacente ma non era proprio il momento di una lezione di fisionomia; il bandito rigettò il sacchetto ai piedi della ragazza e la guardò truce «non ho bisogno di compassione» disse ergendosi nella migliore postura d’importanza che un uomo con i coglioni in briciole possa assumere «ti devo un favore no? li restituisco sempre e non sarai di certo tu a farmi smettere» rispose la ragazza avvicinandosi a Daniel appena ebbe preso il ghiaccio «quindi poche storie con me…chiaro?» e sbattè con forza il sacchetto contro i genitali del ragazzo che gemette piegandosi in due dal dolore ma riuscì a parlare con lo stesso tono che aveva tenuto da quando era entrata «quanto un cesso della…stazione di servizio» disse mentre la ragazza se ne stava andando.

Quest’ultima si fermò per un momento volgendo appena la testa verso il bandito, ma se ne andò comunque senza spiccicare parola.

Appena ebbe chiuso la porta, Daniel si piegò nuovamente in due svuotandosi l’intero sacchetto nei pantaloni e gemette di godimento quando il ghiaccio raggiunse il punto che sembrava andare più a fuoco che ovunque altro, non si sarebbe sorpreso se avesse visto del vapore uscire dalle mutande. Si appoggiò al lettino sempre mugolando, gettando la testa all’indietro «Dio…Dio…» continuava a evocare, ma adesso non era il ghiaccio a provocargli piacere (vabbè quello contribuiva molto), ma era il pensiero di quella ragazza che gli scombussolava i pensieri e anche le zone basse. Stava diventando un ninfomane come Erik? Sperava di no…anzi, più che sperare lo pregava.

Poco dopo, lo condussero nelle celle, passando davanti all’ufficio di Contan che lo guardava dal vetro che dava sul corridoio.

Gli sguardi dei due si incrociarono infuocando l’aria: il viso sfigurato del ragazzo guardava con sfida il volto butterato del Capitano che lo fissava irato.

Il Capitano si alzò dalla sua scrivania e l’aggirò per uscire dalla porta e trovarsi davanti al ragazzo che gli mandava quel sorriso di furbizia snervante «che ci fa questo ratto fuori dalla cella? Voglio una risposta immediatamente» disse guardando i due agenti che lo stavano scortando che seppero solo balbettare ‘‘infermeria’‘.

Jack Contan si adirò ancora di più e il suo faccione sembrò diventare più rosso di quanto potesse permetterselo; prese i due agenti e li rispedì al loro posto di guardia dicendo a entrambi che  si sarebbero scordati lo stipendio quel mese così Daniel e il Capitano rimasero soli, con il solo svantaggio che il ragazzo era ammanettato e già dolorante per le botte subite il giorno prima «ascoltami, fottutissimo pezzo di merda» cominciò il Capitano, fissando il bandito negli occhi «non riuscirai a fuggire di qui…chiunque ti veda, ha l’ordine di ucciderti a vista…come ho già detto non uscirai vivo da qui» concluse, con il naso che sfiorava quello del bandito che scostò la testa sbuffando «grazie, me lo segno…ora mi lasceresti passare? Hai l’alito che puzza e non vorrei morire qui all’istante, togliendo il lavoro ai tuoi…» ma non finì la frase perché un poderoso pugno completo di guanti imbottiti di ferro lo colpì allo stomaco facendolo cadere a terra, senza fiato.

Accidenti perché non controllava la lingua ogni tanto? Sputò sangue che sporcò la maglietta già macchiata «ringrazia che non ti ho voluto spezzare le costole» disse il Capitano guardandolo dall’alto al basso.

Daniel non disse nulla, sputò solo altro sangue sulle scarpe del Capitano, si alzò e se ne andò verso le celle cercando in ogni modo di nascondere le manette aperte e le chiavi strette nella mano.

Entrò nel locale delle gabbie accolto da urla e fragore «grande Caimano» esclamò un carcerato dall’aspetto australiano alla sua sinistra.

Camminò finché non trovò la cella di suo fratello, il ragazzo seduto a terra che cercava di ripararsi gli occhiali da sole «Hey fratellino occupi il tempo?» disse Daniel appoggiandosi alle sbarre e tenendo le mani dietro la schiena fingendosi legato.

La reazione del fratello fu quasi una sorpresa per il bandito che se lo vide addosso se non ci fossero state le sbarre «DAN! Brutto idiota! Mi hai fatto cagare sotto! Ma ti sembra il momento di scherzare?» esclamò Erik fiondandosi contro le sbarre e così fecero gli altri due componenti della banda ululando come degli ultras «si se ho le chiavi» rispose Daniel senza farsi sentire dagli altri carcerati «però non stanotte…per ora non possiamo…sono ancora conciato male e…ho qualche..ehm…problemino» continuò il bandito raccontando poi del calcio nei gioielli e della reazione della ragazza ed Erik seppe solo venirne fuori con un ‘‘allora c’è vita laggiù’‘.

Daniel, da bravo finto prigioniero, entrò nella sua gabbia e si assicurò di avere bene assicurate le chiavi alla cintura, nascondendole all’interno di quest’ultima.

Passò il giorno tra schifosissimo pranzo che non sapeva di niente e una passeggiata all’aria aperta, tra lo smog e la pioggia che aveva preso a scendere a metà pomeriggio.

Tra il gruppo di carcerati, Erik aveva notato una ragazza, della sua età, e subito si era innamorato soprattutto della pettinatura corta e del tatuaggio che le prendeva tutta la schiena; il maestro del rally ormai era partito per il mondo dei sogni erotici -_-

La poliziotta che aveva dato il ghiaccio a Daniel era sempre presente ad ogni ora della giornata accompagnata dall’amico biondino che pareva dire qualcosa alla ragazza indicandolo e subito lei diveniva rossa come un pomodoro.

Capiva fin troppo bene…una dannata poliziotta si era presa una cotta per un dannato criminale.

E quel dannato criminale era lui…Cristo…e ora che doveva fare? Proseguire il piano è ovvio…naturalmente se fosse stato ancora vivo.

Il Capitano, ogni qual volta che lo vedeva lo obbligava ad un mini-interrogatorio privato, solo loro due, e non importava il luogo.

Essendo ammanettato, ogni volta che lo veniva a trovare in cella e durante l’ora d’aria, non poteva opporre resistenza e quindi prenderle di santa ragione fino a cadere a terra con la cicatrice in faccia ancora una volta aperta e sanguinante. Il fratello ed il resto della banda lo lasciavano per pochi secondi e quando tornavano lo trovavano in fin di vita.

La spalla era ancora fasciata ma il bandito ora poteva muoverla liberamente senza poter avvertire il lancinante dolore di prima, sostituito da un leggero pulsare.

Era ora di agire e fuggire da lì.

Durante le quattro settimane che aveva trascorso in carcere aveva potuto raccogliere abbastanza oggetti utili per la fuga: aveva rubato un coltello dalla cucina, Chris era riuscito a spulciare un po’ di dinamite da altri carcerati che avevano perso la voglia di andarsene, Ethan stava poco a poco scavando un piccolo foro nel muro dietro l’ufficio del Capitano per poter inserire la dinamite di Micciacorta ed Erik, quel grande imbecille, aveva fottuto la lingerie della poliziotta che in giro avevano sentito chiamare Sabina e i boxer a fiorellini del grande Capitano Contan «per appenderle come bandiera di guerra» aveva sostenuto il ragazzo…ingenuo…ma come idea lo stuzzicava!

Scese la sera della quinta settimana e il quartetto si preparò alla fuga.

Tutto era pronto…la dinamite (un candelotto solo non sono degli assassini) era a posto nel muro dell’ufficio, Erik aveva la macchina per dileguarsi in fretta e Daniel passava tra le dita le chiavi senza il minimo rumore, aspettando che tutti si addormentassero.

Nel frattempo, pensava ancora a quella ragazza…ogni secondo gli veniva in mente…che si fosse innamorato anche lui?...naaaa…non credeva molto nel suo diniego però.

Vennero le tre del mattino e tutti i carcerati erano crollati, chi più chi meno, sotto l’effetto dell’alcol bevuto.

Daniel scattò in piedi e si apprestò ad aprire la porta della cella, ma quando sentì la pesante porta che portava fuori dal locale delle gabbie fece un gesto veloce agli altri componenti della banda dicendogli di fingere di dormire…chi cazzo era a quell’ora che rompeva le palle?

Nel buio, Daniel vide di sottecchi una forma scura che veniva verso di lui ed apriva la sua gabbia, entrando piano, con passo felpato più silenzioso di un gatto.

La figura si portò fuori campo visivo, passando proprio davanti al bandito che, a causa del cappello sugli occhi, non poteva vedere frontalmente.

Sentì una mano fresca sfiorargli la cicatrice ancora pulsante per la visita che il Capitano gli aveva fatto nel primo pomeriggio, proprio davanti a tutti.

Non avrebbe mai dimenticato un’umiliazione del genere.

Contan lo aveva costretto a togliersi il giaccone e la maglietta anche se con qualche ostilità, rimanendo a torso nudo.

Non che fosse quello il drammatico della storia, aveva dei muscoli perfetti, o almeno se lo era sentito dire da delle ragazze del carcere durante gli allenamenti, ma dopo, Contan aveva fatto riunire tutta la prigione (prigionieri e guardie…insomma, tutti-tutti) e lo aveva fatto inginocchiare a colpi di randello sulla schiena.

Dopo molta resistenza era caduto a carponi sotto le risate delle guardie e gli schiamazzi dei prigionieri.

Il Capitano aveva ordinato alla guardia più vicina di legare le braccia del ragazzo con tre giri di filo spinato e di passargli un altro pezzo di filo spinato.

Quel pezzo lo legò attorno al collo del bandito senza soffocarlo ma abbastanza forte da poter vedere le piccole goccioline di sangue scorrere lungo il collo.

A quel punto, il Capitano parlò «voi, prigionieri, ora vedrete cosa porta la fedeltà verso il nemico» disse rivolto al pubblico carcerario mentre Daniel cercava di alzarsi invano.

Il Capitano gli assestò un calcio nelle costole per farlo stare steso da poterlo vedere bene.

L’uomo prese dalla tasca il coltellino a scatto e lo aprì con un sorriso malefico; si sedette a cavalcioni sulla schiena del ragazzo pressandolo contro il pavimento freddo e facendogli scricchiolare fortemente la colonna vertebrale.

Daniel sentì mancare l’aria sia per la pressione che per il filo spinato attorno al collo e tentò di dimenarsi da sotto il peso del Capitano che sembrò aumentare sempre di più…se avesse continuato gli avrebbe spezzato la schiena.

Nel movimento il filo spinato gli penetrò nella carne degli avambracci che cominciarono a sanguinare ed il ragazzo gemette.

Il Capitano, non soddisfatto dei tagli che Daniel aveva sulle braccia, prese a fare lunghi e profondi tagli nella schiena e nelle spalle del ragazzo che urlò per quanto i polmoni pressati glielo permettessero «il dolore è la lezione che ognuno di voi dovrà subire se non collaborate…» finì il Capitano girando col piede il corpo di Daniel che cercò di nuovo di liberarsi, ottenendo solo tagli più profondi alle braccia.

Durante tutta la procedura, Erik e la banda erano stati trattenuti dalle guardie presenti che avevano faticato molto a non cedere all’impulso di andare anche loro con gli amici di quel ragazzo.

Tra il pubblico c’era anche Sabina, perennemente fiancheggiata dall’amico biondo, e anche lei aveva faticato nel trattenersi nell’andare lì da quell’essere e fargli capire che gli uomini, ladri o guardie, sono uguali.

Come tocco finale, Contan gli aveva assestato un calcio in faccia che gli aveva riaperto la cicatrice.

Delle labbra che si premevano dolcemente contro le sue, quasi come il tocco di una farfalla, lo fece ritornare nella cella.

Non poteva crederci, era la poliziotta!

Da quando in qua le guardie svegliano i prigionieri con un bacio? Allora era vero…si era presa una cotta per lui…e lui non era da meno, visto che non fece resistenza e così continuò con la sua farsa, tenendo la testa leggermente bassa e il cappello sugli occhi.

Le sue labbra avevano un sapore che non sapeva descrivere…più che piacevole sarebbe stato un ottimo aggettivo.

La ragazza continuò, passando le mani intorno al collo del bandito e premendo le labbra sempre più contro le sue; doveva essersi accorta che era sveglio perchè quello non era una sveglia…era un’avance…mica male però la ragazzina.

Daniel si tolse il cappello, lasciando che dondolasse lungo la schiena, appeso con un laccetto al suo collo e si spinse verso la ragazza, afferrandole i fianchi di scatto e stringendola a sé.

Sabina sembrò destarsi da una trance in cui era caduta e ora fissava il bandito mordendosi il labbro inferiore in un chiaro segno d’imbarazzo «voglio andare via di qui» disse all’improvviso guardando il pavimento «non ci resisto più…adesso fuggirai, lo sanno tutti i prigionieri di questa ed altre prigioni e voglio venire anche io» finì tutto d’un fiato.

Daniel la guardò interrogativo inclinando leggermente la testa di lato, poi divenne cupo il volto e si alzò dalla brandina dove era seduto «e perché dovrei portarmi dietro uno sbirro? Ho imparato a non fidarmi, oggi più che mai» disse il bandito mostrando i segni lasciati dal filo spinato sul collo e sulle braccia «perché dovrei eh? Per poi farmi sbattere di nuovo qua dentro? Non penso proprio» disse ancora voltandosi e prendendo il giaccone posato poco più in la.

Lo indossò e uscì senza far rumore dalla cella (sebbene avesse dei carri armati ai piedi) e si fermò davanti alla gabbia del fratello e degli altri due «ragazzi…il massimo…silenzio» disse in un filo di voce quando li ebbe liberati.

Si girò e trovò la ragazza pericolosamente vicina al bottone vicino alla porta che metteva in funzione l’allarme «porca puttana non…» sussurrò all’indirizzo della poliziotta che, però, lo premette con un pugno e subito l’assordante sirena si mise a suonare, svegliando tutto il carcere, compreso il Capitano Contan «dannazione! Ragazzi via o ci rimettiamo il culo» urlò Daniel guardando i compagni dietro di lui e subito i quattro si misero a correre lungo il corridoio, verso la porta che dava sulla cucina.

Il bandito voltò la testa nella corsa e vide una mezza dozzina di agenti seguirli e stavano maledettamente guadagnando terreno…su di lui almeno.

Tornò a guardare, vedendo Erik e la banda lontani una decina di metri…accidenti al Capitano e alle sua stramaledette visite!

Ormai era tardi per recuperare il suo fucile, l’armeria dov’era stato deposto era troppo lontana e lui con i pugni non se la sapeva cavare più di tanto…era spacciato; una delle guardie gli era saltata addosso e ora stava riverso a terra tentando di togliersi da dosso quel fottutissimo sbirro e mettersi a correre più di quanto il suo corpo tutto tagliuzzato e sfinito potesse fare.

Nella colluttazione, miracolosamente riuscì a rubare la Beretta al poliziotto e puntò alle cosce di quest’ultimo sparando un colpo che lo liberò dalla stretta.

Si alzò un po’ barcollante e ricominciò a correre, più sicuro ora che aveva tra le dita il freddo metallo di un’arma, seguendo il tracciato previsto dal suo piano, finendo nelle cucine.

Si diceva in giro che quelle cucine fossero la base per esperimenti genetici…e forse quel qualcuno aveva ragione.

C’erano pentole e piatti sporchi ovunque, il pavimento era appiccicoso e nell’aria aleggiava odore di bruciato e di fritto.

Si rimise il fazzoletto sul viso per otturare quel fetore e si nascose dietro la cucina elettrica distante una quindicina di metri dalla porta che portava su un altro corridoio, dove si affacciava l’armeria, l’infermeria e l’uscita sospirata.

I cinque poliziotti entrarono guardinghi capeggiati però da Contan…Daniel rabbrividì al pensiero che se lo avessero preso, sarebbe veramente morto di dolore.

Il bandito, ancora nascosto dietro quel misero riparo della cucina, caricava silenziosamente la pistola, pronto a sparare a chiunque si fosse avvicinato.

All’improvviso, sbucato da dietro un tavolo, Erik si mise a sparare contro i poliziotti, ferendone parecchi alle gambe e alle spalle mentre Ethan strisciava verso di lui con il suo fucile…lo avrebbe baciato se non fosse stato un ragazzo.

Daniel, con nuovo vigore e ripreso quel suo sorrisino di sfida, sbucò da dietro la cucina elettrica e prese a sparare contro gli nuovi sbirri che entravano, richiamati dall’allarme.

Si sentiva rinato con la sua fidata arma in mano e mirava alle gambe e alle cosce dei nuovi arrivati, mietendoli come una falce col grano.

Contan era scivolato dietro un tavolo e stava rispondendo al fuoco con lo stesso vigore con cui gli aveva tagliato la schiena ore prima uccidendo, purtroppo, Chris e Ethan che stavano dirigendosi verso ripari più sicuri.

Erik aveva finito i proiettili e a lui ne rimaneva solo due: uno in canna e uno al collo, ma lui non li avrebbe mai usati, almeno per quel dannato ubriacone.

Dalla porta entrò Sabina, la pistola in mano e sguardo torvo verso il bandito.

I due si scrutarono fin troppo a lungo e Contan ne approfittò per sparare un colpo verso Daniel, ferendolo al fianco.

Quest’ultimo, quasi come un tic, sparò verso la persona che aveva negli occhi, ferendo la ragazza alla gamba.

Contan smise la sparatoria e si diresse verso la ragazza sanguinante a terra lasciando il tempo a Daniel ed Erik di fuggire verso l’armeria, dove si barricarono «spero di tornare qui» disse Erik con il fiato grosso «per poter uccidere quel bastardo e vendicarli» disse caricando gli Uzi che aveva adocchiato e comodamente preso.

Daniel non disse nulla, ma si diresse verso uno scaffale pieno di munizioni e ne prese quante ne poteva trasportare, assieme ad un mitra, nove caricatori da mille di quest’ultimo, e un machete che legò alla cintura.

Ora potevano affrontare tutto il carcere, non gli importava.

Erik guardò verso di lui aspettando un segnale i via libera quando gli vide il fianco sinistro sanguinante «se prendono me fa niente ma…se ti prende quel bastardo, ti uccide veramente questa volta» disse porgendogli un paio di bende che aveva recuperato poco prima dall’infermeria.

Il bandito si curò, pressandosi la benda sulla ferita e legandola stretta, poi, aprì la porta con cautela.

Una pallottola fischiò nell’aria, schivandolo per un pelo.

Accidenti a quell’ubriacone! Era tornato alla carica e non aveva intenzione di cedere! In fondo al corridoio, vide la ragazza a cui aveva sparato, medicarsi la gamba insanguinata con delle spesse bende che, probabilmente, le aveva dato Contan «McBrie, non riuscirai a fuggire!» disse il Capitano appoggiato al muro accanto alla porta, aspettando che uscisse il ragazzo sfregiato, il quale rispose «ancora questa storia Capitano? Provi a cambiare ogni tanto» furono le parole, intrise di un intenso senso di ironia e scherno.

Erano in una posizione di stallo: se fosse uscito sarebbe morto con una pallottola in testa, se fosse rimasto dentro l’armeria, sarebbe morto dissanguato a causa della ferita che, anche se fasciata, continuava a sanguinare.

Si guardò intorno, mentre la vista si faceva leggermente debole; in cima al muro dietro di loro, c’era una piccola finestrella, grande però abbastanza da poterci passare, anche se con qualche fatica.

Daniel la indicò al fratello che si affacciò e vide il terreno…venti metri sotto di loro ‘‘accidenti’‘ pensò il bandito, sistemandosi il cappello come era di solito fare quando pensava…maledizione, con quel dolore pulsante non riusciva a pensare molto!...si sforzò più che potè, chiedendo in un fil di voce a Erik se ci fossero sporgenze sul muro…niente da fare, liscio come una tavola «Allora, McBrie! Sei in trappola come un topo e come un topo morirai!» disse Contan dall’altra parte della porta chiusa e Daniel sparò un colpo attraverso la porta già forata dal precedente colpo del Capitano per farlo tacere, almeno per la sorpresa, e poter ragionare.

Si guardò nuovamente attorno, era in un locale armi, cosa avrebbe potuto usare per scalare un muro? Assolutamente niente…doveva inventarsi qualcosa…prese il machete ed il coltello che aveva rubato dalle cucine e fece segno ad Erik di cominciare a calarsi, ignorando lo sguardo sorpreso ed impaurito del fratello.

Il guidatore si sporse e rimase appeso con solo le braccia alla piccola apertura, guardando interrogativo il fratello «è rovinato il muro?» chiese Daniel trattenendo le braccia insicure del fratello che, intuendo cosa voleva che facesse il bandito, prese le due lame e le conficcò nelle crepe sottili che infuriavano sul muro esterno.

Suo fratello era a posto…ma lui? Non c’erano più coltelli né altri oggetti che gli assomigliassero lì dentro e Contan, stufo di aspettare, si stava accanendo contro la porta che non avrebbe retto per molto ancora.

Assicurandosi di avere con se fucile e mitra, scalò anche lui il muro e si lasciò dondolare fuori dalla finestrella, cercando di appoggiarsi a quelle millimetriche fessure e aggrapparsi ad esse.

Miracolosamente, le crepe erano abbastanza larghe da potercisi aggrappare con la punta delle dita e con il bordo delle scarpe così discese lentamente il muro, inseguito dalle urla del Capitano che aveva trovato l’armeria vuota.

Daniel pregò che non si affacciasse alla finestrella perché, se lo avesse fatto e se gli avesse sparato, sarebbe morto se non per la pallottola in testa, per la caduta se avesse messo un piede in fallo, ma a volte il Destino comprende male i desideri.

Il faccione butterato del Capitano sbucò dalla finestrella e, con un ghigno malefico, puntò la Beretta verso di lui. Erik, sotto di lui, stava intrattenendo i cecchini che stavano mirando al fratello con i piccoli ma pericolosi Uzi.

Improvvisamente, Daniel nella tensione, mancò un crepa e cominciò a scivolare all’indietro e tutto il mondo sembrò rallentare.

Il bandito sentiva i rumori come attraverso una sfera di plastica e le immagini erano sfocate.

Sentì il Capitano Contan caricare la piccola pistola che, alle sue orecchie, sembrò ovattato e molto vicino, vide la piccola fiamma che prevedeva l’arrivo della pallottola, sentì il fischio soffocato della cartuccia, avvertì la sensazione di freddo nel petto quando vide il proiettile passare davanti ai suoi occhi per poi sparire tra le pieghe del suo giaccone.

Sentì le targhette rovinate dalle sue stesse mani tintinnare l’una contro l’altra e gli sembrò di galleggiare nell’aria, sospeso tra più dimensioni.

Non sentì nemmeno il terreno quando lo toccò rovinosamente e nemmeno sentì la voce di Erik che lo chiamava e che gli indicava l’uscita dove, una grossa jeep nera blindata li aspettava.

Sentiva solo freddo e il dolore bruciante che si allargava nel petto, senza però scaldarlo, anzi, era proprio quel dolore lasciare sulla sua strada quel freddo pungente sulla sua pelle.

Non vide più niente…solo buio, nonostante gli occhi semiaperti. Non si alzò.

 

 

Ed è così che sono qui.

Certo non mi lamento sono vivo, ma se la ragazza che ora sta dormendo nella branda accanto alla mia non avesse fatto la prostituta con me, mi sarei risparmiato un po’ di dolori e un’anteprima dell’inferno.

Di una cosa sono sicuro…non mi è piaciuto.

Però, a pensarci bene, non è stata colpa sua, in fondo era il suo lavoro badare ai prigionieri…la colpa è solo mia che non sono capace a fare un piano decente e ancora di meno sono riuscito per colpa di quelle stramaledettissime visite di Contan; Chris ed Ethan ne hanno le conseguenze sulla loro pelle…povero Erik, erano i suoi migliori amici, come dei fratelli della stessa età che fanno i dispetti a quello più grande, però non credo che ce l’abbia con me, anche se mi sento lo stesso un verme.

L’ho fatto preoccupare come un cane quando sono caduto dal muro che mi separava dalla libertà.

Da quel momento fino a quando mi svegliai, un paio di ore fa, non ho ricordi miei.

Ho solo la vaga impressione di esser stato trasportato di peso verso la jeep e una voce, o forse due, sono confuso, cercava di tenermi sveglio, mentre il dolore e il freddo, poco alla volta, mi annegavano.

Prima di svegliarmi, ricordo solo un gran caldo improvviso, come se mi avessero puntato un lanciafiamme nella schiena e non riuscii a trattenere un grido di dolore che mi si smorzò in gola quando sentii il cuore smettere di battere. Dopo quello solo un buco nel cervello e nient’altro.

Adesso sono steso su una brandina, ad occhi chiusi…non ho voglia di affrontare Erik in un momento del genere.

Sento delle voci lontane, come dette dietro una porta, il che è molto probabile, e sento anche il respiro regolare della ragazza, Sabina, che dorme accanto a me…e sono qui da due splendide e noiosissime ore a chiedermi il perché di quel gesto.

L’ho rifiutata, allora perché non si va a cercare un elemento migliore di me? Quel biondino mi sembra alla sua portata…PErCHè mE?!

Sento il petto pesare ad ogni respiro, nonostante le coperte che mi ricoprono fino ad esso siano molto leggere…sarò fasciato come una mummia…evviva…ma non posso stare qui così mi credono morto e mi seppelliscono vivo in giardino come si fa col gatto.

Avanti Dan…un bel respiro profondo e tirati su…ecco così…ma il dolore alla schiena è troppo forte e non voglio svegliare la ragazza.

Stringo forte le coperte rischiando di strapparle con le mie unghie o di ferirmi in qualche modo le mani da quanto le sto premendo.

Le nocche mi diventano bianche ancora prima di potermi mettere seduto completamente…ecco, finalmente seduto…faccio per scostare una gamba di lato per poter scendere quando, il dolore supera davvero ogni limite e non mi resta altro che urlare, anche se con qualche tentativo di trattenimento.

Evviva due la vendemmia, ho svegliato la ragazza e le voci dietro la porta alla mia sinistra hanno smesso di dialogare «buongiorno» mi dice la ragazza…se se…buongiorno a tua sorella! Non rispondo per la paura di dire qualcosa di troppo e cerco di mettermi in piedi sulle mie gambe, ottenendo solo un’altra umiliante caduta che mi fece scricchiolare le ossa della colonna vertebrale e due lacrime mi scivolarono per le guance, scese per il dolore al labbro che mi sono morso nel tentativo di trattenere ogni singolo gemito.

Sento le sue mani fresche afferrare una delle mie e aiutarmi ad alzarmi, ma le rifiuto…non voglio compassione, non ne ho mai avuta, mai ne voglio avere.

Finalmente riesco a mettermi in piedi, anche se barcollo un po’ e mi guardo intorno per la prima volta.

Sembra una di quelle celle medievali nei sotterranei di un castello…Yuppieeee…da una prigione all’altra.

Le alte arcate che interrompono il soffitto di pietra sembrano riparate in alcuni punti col cemento…voglio sapere dove sono finito! «d-dove sono?» domando, con la voce arrochita dal dolore precedente che ora è solo un pulsare in tutto il corpo e la ragazza mi si avvicina, un po’ zoppicante «al sicuro» mi dice…anche se non ne sono molto convinto.

Mi accorgo con rancore che ha la gamba pesantemente fasciata «oh, s-scusa per…per quello…eh…ecco…cioè» balbetto, chinandomi leggermente in avanti per nascondere il rossore che mi imporpora le guance…sto arrossendo! Per una ragazza! «ne ho passate di peggio» mi dice, cercando di consolarmi.

Entrambi siamo molto vicini, quasi a sfiorarci nuovamente le labbra…ha un profumo così dolce…io, stufo di aspettare, prendo l’iniziativa…sempre più vicino…lei sembra starci.

Incredibile, mi sto baciando volontariamente con la persona che mi ha perforato la spalla un mese prima se non di meno. La faccio stendere sulla brandina, assaporando già quello che sarebbe venuto, ma un segno della ragazza mi scornò, ma al contempo, mi fece venire i brividi «un’altra volta, ora vieni qui e riposati, sei stanco» mi disse...sperai di guarire presto.

La ragazza rimase stesa sul materasso, invitandomi a fare lo stesso accanto a lei «sei una meraviglia della natura» mi disse dandomi un bacio, questa volta un bacio leggero, innamorato.

Ora che la stanza non era più riempita dai nostri gemiti, potevo distintamente sentire la voce di Erik, assieme ad un altro paio, che picchiavano contro la porta, chiamando sia me che la ragazza «ROMPIBALLE» grido per farmi sentire, facendo ridere la ragazza…quanto mi piace il suo sorriso…purtroppo, non so come, sento una nuova fitta alla schiena che mi fa leggermente gemere di dolore…chissà quante ferite mi si saranno aperte; ma ne è valsa la pena…Sabina mi guarda con fare preoccupato, ma subito la tranquillizzo con un altro bacio.

Lei, quando ci separammo, mi squadrò bene mentre tiravo sui nostri corpi la coperta leggera della branda «scusa se te lo chiedo…ma è da tanto che lo vorrei sapere…come ti sei fatto quella cicatrice? Se non sono affari miei dimmelo subito, posso lascia…» ma non fece in tempo a finire che la interrompo «è tanto che non parlo con qualcuno che non sia mio fratello, perché non dovrei raccontartelo? Però non t’impressionare» dissi, allungando un debole sorrisetto e lei annuisce «bene……allora, tutto è iniziato più o meno due anni fa…una volta abitavo in Scozia, come potrai ben sentire dal cognome, e lì ci sono alcune regole tra i clan di diverso tipo che sono molto rigide.

A quel tempo, anche io ero un poliziotto, proprio come te…determinato a dissipare la rete che la droga e l’alcol avevano tessuto nel mio quartiere.

Una sera, tornato dalla pattuglia e tornando a casa da nostra madre e da mio fratello, mi sorprese la cricca più malfidata del posto…roba di una trentina di ragazzi dai quindici ai trent’anni, tutti più o meno esperti nell’arte del picchiare a sangue; allora…» m’interruppe col suo viso d’angelo «scusa se t’interrompo…ma tuo padre? All’epoca dovevi essere molto giovane e pure lui» disse, posando la testa al mio petto…eccolo il punto debole…«mio…mio padre fu assassinato quattro anni fa, quando io avevo ventun’anni ed Erik quindici, dopo un anno che fui entrato nel corpo della polizia.

Comunque…venni accerchiato da tutti quei…bulli… e il capo di questi si fece avanti col randello in mano ‘‘hai catturato metà del mio gruppo’‘ mi disse…io non mi lascio intimidire e quindi ho risposto a tono e fu una scelta sbagliata.

I più vecchi mi si gettarono addosso, armati la maggior parte di mazze da baseball…immagina il dolore…ma riuscii a fuggire e salvarmi la pelle e a ferirne molti con la beretta che avevo nella fondina…ti devo confessare una cosa, odio uccidere, anche se è per difesa; solo uno morirà per mano mia e sarà quel gran figlio di puttana che mi ha fatto questa e ha ucciso la mia famiglia».

Lei mi guardò interrogativo e così dovetti spiegare…le immagini davanti agli occhi «tornato a casa, cercai mia madre ma non la trovai così andai sul terrazzo…vidi gli indumenti stesi macchiati di sangue e mia madre qualche metro più in la, con la gola tagliata…mio fratello era nella stanza vicino, chiuso a chiave e spaventato a morte; per un ragazzino può significare pazzia vedersi sgozzare la madre davanti agli occhi.

Lo convinsi ad uscire, provandogli che ero io e mi si buttò tra le braccia in lacrime, spiegandomi che la mamma era morta, che non aveva fatto niente e che quell’uomo era ancora in casa…dissi a mio fratello di chiudersi di nuovo nella camera e di non uscire.

Intanto estrassi la pistola per trivellare quel gran bastardo e mi diressi verso la cucina, seguendo le goccioline di sangue che il coltello aveva lasciato sul pavimento.

Non so come me lo ritrovai alle spalle e cominciammo a lottare, sbattendoci a vicenda contro muri e armadi.

Purtroppo, per la stanchezza, caddi in ginocchio e l’uomo si mise a ridere, beffandosi del mio poco polso e di quanto ‘‘ero un povero pivello senza palle’‘, ma sentii una voce che mi fece gelare il sangue.

Dannazione a mio fratello che non mi da ascolto! aveva preso la pistola SCARICA che nostro padre conservava in un cassetto infondo all’armadio e la stava puntando contro l’uomo che aveva ancora il coltello tra le dita.

Erik premette il grilletto ma non successe niente così il capo banda si avventò sul mio fratellino.

Non sapevo che fare, ma a costo di salvare l’unico membro della mia famiglia che era rimasto vivo, sarei morto io.

Rincorsi l’uomo superandolo per poco e mi gettai davanti a mio fratello come scudo.

La lama scattò aprendomi la faccia e sfigurandomi per tutta la vita.

Caddi in ginocchio e accanto a me, mio fratello mi chiedeva scusa…eheh, non ce n’era bisogno.

Il capo banda puntò nuovamente la lama contro di me, verso il mio petto, e rise…quando sentii il flebile suono delle sirene dei miei colleghi anche io sorrisi beffardo.

Quell’orribile mostro se ne accorse, dandomi il tempo di saltargli addosso e di bloccarlo…la vista mi si stava però annebbiando e le forze scemavano in fretta.

Riuscì a liberarsi da quel mio misero tentativo e fuggì, lasciando il coltello, piantato fra due piastrelle accanto a me.

Sparì dalla circolazione.

E la mia famiglia venne distrutta. Ecco il mio segreto signo…» ma mi fermai, vedendola profondamente addormentata; non me la presi, era stanca e anche io non ero il massimo. Mi appoggiai meglio sul materasso e mi addormentai al suo fianco, cullato dal suo dolce e naturale profumo odore di sesso disse la mia parte nera odore d’amore ribattè l’altra…un po’ tutt’e due pensai io.

Passammo così per almeno quattro ore, stretti l’uno all’altra e come al solito, non la smettevo un minuto di sospirare e di pensare che finalmente qualcuno mi aveva visto dentro, oltre quella dura scorza da duro che mi porto sempre dietro.

Lo speravo con tutto il cuore…fino a quel momento mi era stato tolto praticamente tutto…e ora che l’onore mi sta permettendo questo, non voglio di sicuro perdermelo.

Mi svegliai che era ancora buio fuori dalle grate che lasciavano lunghe ombre sul pavimento alla poca luce della luna piena.

Mi girai per cercare la ragazza che mi aveva rapito il cuore, ma con un certo sconforto, non la trovai sul materasso.

Mi tirai su con i gomiti ricadendo però sulla schiena per una fitta che mi aveva trapassato in mezzo alle scapole e un piccolo gemito mi uscì dalla gola senza che io potessi intervenire.

Prontamente tappato da una pesante e ruvida mano, il suono soffocò tra le mie labbra ancora semi-aperte «taci, brutto pezzo di merda» disse una voce che riconobbi fin troppo bene…bastardo! Che ci faccio qui!?  urlarono le mie due metà dell’anima, all’unisono, ma riuscii solo a bofonchiare quelle parole, contro la mano grossolana del Capitano.

Ora che mi guardavo meglio attorno, mi ero accorto di non essere più nelle segrete dove avevo fatto l’amore con la poliziotta…ero steso su un letto a baldacchino con le tende rosso sangue e la coperta dello stesso colore, mentre un lenzuolo nero perlato ne ricopriva un lembo.

Facendo ancora vagare lo sguardo, vidi due alte finestre con delle spesse inferriate alla mia destra e due statue demoniache mi si specchiavano negli occhi.

Un caminetto spento rendeva quel luogo ancora più lugubre ed ero vestito.

Cercai di muovermi ma il dolore alla schiena mi bloccò ancora, facendomi cadere senza forze sul materasso morbido «ci rivediamo per la terza volta povero idiota» mi disse il Capitano, avvicinando il suo brutto faccione puzzolente di alcol al mio…non resistevo, dovevo ribattere «noto con piacere che non sai contare…questa è la seconda brutto imbecille figlio di puttana» dissi, mentre la mia parte nera esultava come un ultras. Ricevetti un potente pugno nello stomaco che mi bloccò il respiro e sgranare gli occhi «la numero tre è molto lontana…oppure hai la memoria corta, stupido, povero pivello senza palle?» ringhiò con un sorriso malevolo sulla faccia…quella frase…mi aveva risvegliato i ricordi che avevo confessato alla poliziotta…come poteva sapere quello stronzo…?

Lo squadrai meglio da vicino e riconobbi un piccolo tatuaggio a forma di serpente sulla spalla destra, appena dopo il bordo del colletto della maglia che indossava…«sei…sei…!? » balbettai arrancato quanto più potevo lontano da quell’essere…dannazione era cambiato moltissimo! Come avevo fatto a non riconoscerlo? Quel bastardo rise con voce roca e burbera alla mia paura «che hai bandito? Non vuoi rivedere un vecchio amico? Si sono un po’ cambiato ma se vuoi le coccole te le faccio ugualmente» disse prendendomi per la maglietta…cazzo muoviti! Mi incitarono insieme le mie due parti ma i muscoli non rispondevano del tutto ai comandi…dovevano avermi drogato.

Ricevetti un altro pugno nello stomaco che mi fece piegare in due mentre sentivo le ossa scricchiolare minacciosamente e continuò…continuò…ogni colpo sembrava sempre più forte.

Mi sollevò come un peso morto, all’altezza dei suoi occhi e mi rise in faccia mentre io lo fissavo truce…mossi una mano…forse l‘effetto della droga stava svanendo.

Con uno scatto, diedi n calcio nei gioielli dell’assassino facendolo mugugnare di dolore così lasciò la presa su di me…

Scesi dal letto e fuggii verso la porta, sbattendola dietro le mie spalle e appoggiandosi sopra…non avevo mai avuto così paura da due anni a questa parte.

Potevo sentire lo stomaco pulsare di dolore e del sangue mi usciva dalla bocca…se mi prendeva disarmato sarei morto dopo tre secondi che ero tra le sue mani…non mi sarei stupito se prima mi avesse stuprato…quell’essere era capace di tutto.

Ero in un lungo corridoio che dava su una porta e sentii il rumore del mare in lontananza. Mi diressi velocemente a quella porta e vidi una pista d’atterraggio per elicotteri, l’unico accesso per il castello…ero fottuto…ma dovevo anche trovare Erik e Sabina…così tornai sui miei passi e vidi Jack uscire dalla camera, tutto dolorante e con una mano sui genitali in fiamme «volevi loro? Prendili» mi disse, lanciando verso di me Erik e Leo, imbavagliati, legati e pestati a sangue, ma pur sempre vivi «la ragazza! Dove sta! » urlai all’uomo mentre aiutavo i due ragazzi a slegarsi «chi? Ah..già…bè lei è mia, vorresti portarmi via mia figlia?» disse abbracciando la ragazza che ora avanzava verso il padre a testa bassa e intravidi un grosso livido sulla guancia sinistra di lei.

Ero scoccato, non poteva essere sua figlia…quale donna avrebbe potuto amare un essere così spregevole? Sabina alzò gli occhi lacrimanti e guardò verso di me «mi dispiace…scusa» disse, stringendosi il petto mentre il padre afferrava un pugnale e lo puntava alla gola della figlia per fami retrocedere su suo ordine…fu come un flash e rividi mia madre, morta con la gola tagliata…i suoi bellissimi capelli castani…gli occhi verdi spalancati dall’orrore…gli assomiglia…DANNAZIONE LE ASSOMIGLIA TROPPO!! Pensai ancora sotto shock…nel frattempo avevo camminato all’indietro verso la pista d’atterraggio che dava sul mare scintillante, a cinquecento metri dalla sua superficie.

Ah, il mio fucile…quanto mi manca in questo momento; l’assassino parla ancora…ridendo al mio terrore «eh già, mia figlia non le assomiglia molto? A tua madre? Potevi dirmelo che era una bomba a letto! Me la sono dovuta prendere con la forza però perché non voleva…ed è pure un peccato perché ho privato di una madre la mia figliola…ma non voleva accettarmi e quindi…è andata così due anni fa» disse indicando il mio petto con la punta del lungo pugnale, come quella volta «e mi sei sfuggito troppe volte».

Vidi Erik con la coda dell’occhio, estrarre una pistola da un posto che sarebbe di certo scampato ad ogni controllo e se la tenne nascosta, ammiccando dalla mia parte…tenni il gioco.

Mi girai facendo finta di accettare il mio destino allargando un braccio come un simbolo di resa mentre, lentamente mi staccavo il proiettile dalla collanina dove il mio passato non sorrideva di certo «avanti, uccidimi…non ho più niente che tu non mi abbia già rubato» dissi, abbassando la testa e girandomi verso Erik «prima, però, lasciami salutare mio fratello come si deve…altrimenti che stronzo saresti se non fai rimanere l’amaro in bocca a qualcuno? » domandai, ottenendo un sorriso malefico da parte dell’uomo e le prime lacrime della figlia che si avvicinò a me e mi baciò…Dio la amo ma non posso di certo obbligarla a rivoltarsi al padre «ti…prego non…non farlo» mi disse gettandosi tra le mie braccia ma io non parlai…ero sicuro di uscirne vivo…la mia mira era infallibile e quell’uomo troppo sicuro di sé «non succederà niente vedrai…» dissi e, senza farmi vedere né dalla figlia, tantomeno dal padre, caricai la pistola con l’unico proiettile che avevo….quello con su scritto il nome di quel gran figlio di puttana.

Mi scostai dal gruppetto di una decina di metri e mi fermai, la schiena verso l’assassino e la punta dei piedi distante un metro, forse meno, dal bordo dell’altissimo precipizio «avanti! Fai la tua mossa» io farò la mia dissi e pensai, ghignando al suono della risata che mi riempì le orecchie.

Aspettai qualche secondo per poi girarmi e puntare al petto scoperto dall’azione di lanciare il pugnale e sparai.

Il mondo rallentò ancora una volta per me e, questa volta anche per il mio carnefice.

Vidi il proiettile tagliare l’aria, con un fischio improvvisamente assordante, mentre l’altro abbassava il braccio per tirare il coltello verso di me.

Una debole brezza marina iniziò a soffiare sulla pista e Jack venne colpito dalla pallottola in pieno petto, cadendo a terra con un rantolo e il coltello ancora in mano….sospirai di sollievo e ringraziai i geni da cecchino che mi aveva lasciato mio padre.

La ragazza aveva leggermente urlato quando avevo scoccato lo sparo, ma ora, che stava tra le mie braccia e mi baciava passionalmente, mi sembrava che non le importasse molto del padre steso a terra.

Sembrava che io avessi vinto e così feci un po’ lo scemo per tirare su il morale a tutti quanti, inventando un piccolo balletto…ero felice…per una volta da quando era morto mio padre, potevo davvero dirmi felice e rilassato.

Sentivo le risate dei due ragazzi e soprattutto della ragazza che mi aveva colpito al cuore e ridevo anche io e avevo buttato la pistola giù dal dirupo, facendola inghiottire dalle onde del mare.

Sentii improvvisamente un rantolo dietro di me…dannazione, era duro a morire quel bastardo! Stava puntando il coltello verso la figlia, la più vicina, e lo aveva lanciato con tutta la forza che gli rimaneva prima di morire.

Non potevo crederci, Sabina, se quel coltello l’avesse colpita, sarebbe morta sul colpo o sarebbe morta a causa della caduta dal bordo del dirupo, molto vicino.

Mi misi a correre come un pazzo verso di lei, sperando di raggiungerla prima della punta della lama vogliosa di sangue.

Eccola, l’avevo tra le braccia…la strinsi un momento poi la gettai lontano, verso Erik che la prese al volo.

Sentii la punta della lama conficcarsi nel mio petto e sentii il cuore andare in frantumi.

Sabina urlò d’orrore mentre Erik e l’altro ragazzo si lanciarono verso di me per afferrarmi e non farmi cadere dal precipizio, ma ormai era tardi.

Sbilanciato all’indietro per il rinculo del coltello, barcollai e caddi inesorabilmente oltre il bordo, sentendo le urla della ragazza chiamarmi, sempre più lontane.

Sentivo il mio corpo prosciugarsi di ogni forza e galleggiare nell’aria come una piuma che all’improvviso, divenne di pietra.

Scontrai contro la parete rocciosa, sentendo un forte dolore alla gamba destra e alla schiena, rotolai lungo il piccolo pendio che mi aveva rallentato per poi proseguire la caduta, oltre gli appuntiti roccioni che sbucavano dalla spuma bianca del mare che s’infrangeva sotto di me.

Avvertii il freddo e duro impatto con l’acqua del mare, calmo nonostante l’orrore a cui egli era stato presente e poi il mio corpo affondare, sottraendosi alla vitale aria della superficie.

Scivolai, sospinto dalla corrente, i polmoni in fiamme per la mancanza d’ossigeno, ma non avevo forze per risalire, per respirare, per vivere; mi lasciai andare e una serie di minuscole bollicine uscirono dalla mia bocca...le ultime che quelle labbra avrebbero soffiato.

Andai sempre più a fondo e sempre più a largo, lasciando dietro di me delle nuvolette sempre più piccole e più rare di sangue.

Mi sembrò quasi di sentire le labbra della ragazza che avevo amato in quella segreta, col cuore e col corpo.

Rividi tutta la mia vita...quando ero piccolo, quando andavo da mia madre a portarle i fiori che avevo preso in giardino mentre Erik le dormiva in braccio...rividi mio padre, col cappello che avevo ereditato io che allora mi stava troppo largo e mi cadeva sugli occhi, circondato dalle risate di mia madre e mio padre...rividi il giorno in cui ritrovai mio padre in garage, morto a suon di botte, col collo rotto e il cranio schiacciato in un lago di sangue.

Io e mio padre eravamo inseparabili, era lui che mi aveva insegnato a usare il fucile, era lui che mi aveva detto che la vita è una sfida...e lui l’aveva persa per colpa di quelli che giocavano sporco.

Rividi mia madre e poi Sabina, le due gocce d’acqua...le avevo amate entrambe....

Il mio cuore si fermò di colpo.

Inesorabilmente fermo....

Tristemente fermo..........

E non avrebbe pulsato...

Mai........ più..........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

‘‘oggi è stato ritrovato il cadavere del Capitano J. Contan, il capo del distretto di Polizia di New York.

Rinvenuto a largo della costa, il Capitano è stato ucciso da un unico colpo di pistola, non ancora ritrovata, diretto al petto, probabilmente sparato dal famoso e screditato Daniel McBrie e dal fratello, Erik R. McBrie. I due non sono stati ancora trovati e si sospetta il rapimento della figlia del Capitano che…’‘........Stupidaggini...........’‘E’ stato trovato, sulle coste poco lontano da New York, il cadavere del presunto Daniel McBrie, il famigerato più ricercato della città ucciso da una coltellata al cuore. Esami più approfonditi hanno assicurato che la morte è sicuramente dovuta al coltello ritrovato nel petto del bandito ma è stata facilitata da lesioni interne molto gravi, una frattura in più punti della colonna vertebrale e parecchie ecchimosi interne…’‘………Purtroppo…………..’‘Oggi è stata ritrovata la figlia del Capitano J. Contan, Sabina. Ha confessato di aver visto con i suoi occhi l’omicidio del padre e del bandito da parte del padre e le impronte digitali del manico del coltello lo dimostrano apertamente.

La ragazza afferma ‘il ragazzo si stava difendendo’ e non abbiamo potuto registrare altro poiché la ragazza è scoppiata in lacrime, sicuramente ancora scossa per la morte del padre…’‘………Umpf…….’‘questa notte la tomba del Capitano J. Contan è stata deturpata e la lapide è stata crivellata di colpi.

Una scritta vicino ad essa non sembra rivelare il colpevole ‘un assassino resta un assassino, anche da morto’ dicono le crude parole del colpevole, il quale ha lasciato, accanto alla scritta, una bandana o un fazzoletto macchiato di sangue…’‘……grazie Erik………’‘ Questa mattina, due ragazzi e una ragazza sono entrati di soppiatto nella sala criogenica della polizia e hanno portato con sè il corpo del bandito Daniel McBrie…i tre ragazzi sono fuggiti con una macchina e ora la polizia ne sta cercando le tracce’………………………………………………………………………………………………………non rattristatevi…………………………………sarò sempre con voi……………………………Erik……………………………………………………………………………………Sabina…………………………………………………non vi abbandonerò…………………………………............................................... ……………………………………basta che……………………………………………………………………………………………………………………non mi dimentichiate…………………………………………………………………………………………e io vivrò sempre……………………………………………Grazie..............................

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La macchina sfrecciava sull’autostrada quasi volesse prendere fuoco, seguita da poca distanza da una trentina di macchine della forza d'ordine, tutte a sirene spiegate.

Colpi di mitraglietta cercano di distanziarle il più possibile, ottenendo soltanto lo sbandamento di alcune di esse, mentre ne sopraggiungevano altre.

L’arma era imbracciata da un ragazzo con i capelli biondo cenere e da una ragazza, gli occhi smeraldini lucenti di rabbia e i capelli castani che svolazzavano al vento che veniva dal finestrino aperto del furgoncino.

«ERIK! PORCA PUTTANA FAI CAMMINARE QUESTO CATORCIO!» urlò la ragazza appena sopra la sua spalla senza però guardare il ragazzo che manovrava il volante «Più-DI-COSì-NON-VA» scandì quest’ultimo ad alta voce per contrastare il rumore della mitraglietta che il biondo aveva messo in azione contro una delle Renault troppo vicine «ALLORA FAI QUALCOSA! UNA MANOVRA EVASIVA, FATTI UNA SEGA, QUALSIASI COSA!» urlò adirato il biondino guardando il guidatore negli occhi «ok...ok.....» disse l’autista, concentrandosi sulla guida e su qualche via di fuga.

Dietro al guardrail che separava le due corsie dell’autostrada c’era a destra ovviamente l’altra corsia e a sinistra, uno sterminato campo coltivato...gli sembrava grano.

Sfondare il guardrail a quella velocità avrebbe tranciato il furgone a metà e non si vedevano ancora uscite disponibili...accidenti erano in trappola.

Poi, come nulla fosse, gli venne un’idea «grazie Dan....» sussurrò prendendo un cipiglio serio e si voltò leggermente verso gli altri due «RAGAZZI SMETTETE DI SPARARE E TENETEVI!» urlò a quelli dietro che si sedettero sul triplo sedile, stando attenti a non urtare il corpo che era con loro.

La ragazza gli prese al testa e la posò sulle sue gambe, scostando una ciocca di capelli che sfiorava la cicatrice che prendeva tutto il viso.

Subito, divenne triste e sentire la pelle che una volta l’aveva scaldata così fredda sotto le sue dita le faceva male al cuore; le labbra che adorava mordicchiare erano diventate del colore dell’inverno che serrava tutto il corpo del giovane nella sua morsa gelida, quasi blu e gli occhi chiusi lo facevano sembrare addormentato.

Il guidatore spostò violentemente il lato sinistro del furgone contro una barriera provocando molteplici scintille che inondarono le auto dalle polizia, poi andò a destra per continuare l’operazione.

Molte macchine degli agenti sbandarono, non vedendo più la strada e fermarono la corsa, lasciando alle quattro che erano rimaste il compito di catturare quei delinquenti.

Il pazzo autista, non contento del risultato ottenuto, girò ancora il volante di scatto, più e più volte, e facendo compiere al furgone diversi testacoda e facendo fumare le gomme.

Il fumo nerastro andò a ricoprire la visuale dei restanti poliziotti facendogli fare la stessa fine dei colleghi più indietro.

Erano liberi di proseguire la loro corsa quasi senza totale pericolo, al momento.

Il ragazzo al volante emise un forte urlo di gloria, seguito dai due sul sedile posteriore «ho capito perché ti chiamavano ‘‘Rally’‘» disse il biondino picchiando sulla testa dell’autista che si spostò velocemente «mi rovini le punte» disse ridendo e la ragazza si unì alla risata, che si spense subito quando ritornò sul volto del ragazzo sulle sue ginocchia «spero che questa tua amica sappia cosa fare» disse mestamente accarezzando con tocco gentile le guance bianche del ragazzo «ma certo! Quelle tre non sbagliano mai! Fidati» disse il biondo facendo passare un braccio attorno alle spalle della castana.

Da quando aveva visto quel bandito cadere dal dirupo, tre giorni prima, non si era data pace...lo rivoleva con tutto il cuore «sono le migliori nel loro campo» aggiunse stringendola un po’ «coraggio Sabina! Manca poco all’aeroporto! Basta salire sul loro aereo ed è fatta» disse il guidatore girando appena la testa sopra la sua spalla e guardando la ragazza attraverso lo specchietto retrovisore.

Continuarono la loro corsa sull’asfalto e la sera, ormai al termine, stava colorando di rosso il cielo.

La ragazza dai capelli castani si addormentò tenendo il corpo del bandito fra le braccia, come una promessa che lo avrebbe rivisto, il biondino aveva appoggiato la testa al finestrino e il ragazzo al volante stava tentando di tenere gli occhi aperti, pensando a tutto quello che era successo da quando il fratello era entrato nell’ultima banca che dovevano rapinare...avrebbe voluto tornare indietro fino al momento tragico su, al castello dei Lenning, dove avevano visto la morte lui e colui che aveva distrutto la sua famiglia.

Dopo mezz’ora di quel pensiero il ragazzo vide, davanti a sé, un posto di blocco della polizia, che sbarrava completamente la strada...volevano la guerra e guerra sarebbe stata.

Aumentò vertiginosamente di velocità, pigiando al massimo l’acceleratore svegliando i due sul sedile posteriore con un sussulto del furgone.

Le luci rossastre delle sirene degli agenti dell’ordine lo accecavano anche dietro gli occhiali da sole che si era calato quando aveva visto il blocco.

La velocità aumentava sempre di più e la forza di gravità faceva stridere le gomme...sempre più vicino...l’autista sorrise di malvagità e di furbizia, ricordando il fratello che lo faceva sempre...quello sguardo pervertito che faceva quando era sicuro di riuscire e lui sarebbe stato come lui.

Mancavano pochi metri dalla prima macchina che li separava dall’entrata della città.

Girò bruscamente il volante poco prima di poter toccare la Renault così da scontrarla col fianco del furgone.

Grazie alla forza di gravità che aveva accumulato attorno alla macchina, essa, scontrandosi, si staccò da terra e volò nell’aria girando su se stessa e atterrando per poco sulle ruote.

Erik ringraziò la fortuna che saliva sempre a bordo assieme a lui e diresse la macchina verso la città, nuovamente inseguita dagli ultimi agenti di polizia che avrebbero potuto inseguirli «MA TI SEI COMPLETAMENTE BEVUTO IL CERVELLO?!» gridò Sabina, dando un colpetto dietro la nuca del ragazzo «ma non ci hanno ancora preso» rispose ridendo beffardo quest’ultimo «...ma non ci hanno ancora preso...uff odio darti ragione» sbuffò la ragazza, appoggiando stancamente la schiena al sedile e incrociando le braccia.

Le sirene della pula si persero nella sera inoltrata quando raggiunsero l’aeroporto.

L’autista inchiodò bruscamente davanti a un piccolo jet privato e dalla forma sembrava avessero usato lo scheletro di un caccia militare.

I due ragazzi scesero velocemente dal furgoncino e aprirono le porte scorrevoli ai lati per prendere il corpo del terzo ragazzo.

La ragazza prese una borsa e rimase dietro di loro, imbracciando saldamente la mitraglietta e proseguendo cautamente, guardandosi attorno ogni tanto.

Il portello del jet era già aperto e una serie di scalette conducevano al suo interno.

Non vi erano sedili una volta superata la soglia, solo un enorme tappeto persiano che ricopriva ogni angolo di pavimento e dei divani grandi e all’apparenza soffici dello stesso colore del tappeto rosso.

Al centro dello spazio c’era un tavolino inchiodato alla pavimentazione con sopra un secchio di ghiaccio, una bottiglia di champagne e dei calici di cristallo.

Il biondino, entrando, venne quasi soffocato da un bacio di una delle tre proprietarie dell’aereo «benvenuti, vi stavamo aspettando...ci avete messo parecchio» disse una voce velata dietro ad una lunga tenda che divideva la cabina di pilotaggio dal ‘‘vano passeggeri’‘ «ovviamente avete i soldi» disse un’altra voce, proveniente dallo stesso luogo.

La ragazza che si era avventata sul biondo guardò truce verso la tenda «non oserete farli pagare vero? Hanno passato...» disse venendo però interrotta dal gesto brusco dell’autista che, con una mano, afferrò il borsone che reggeva la ragazza armata «si abbiamo i soldi, quanti ne volete...ve li consegneremo a due condizioni» disse il guidatore avanzando di un passo, lasciando il compito di reggere il fratello alla ragazza e al biondo «che rispettate i termini dell’operazione...e che ci ospitiate in un luogo sicuro per un po’» riprese, guardando la tenda dove ora si stagliavano due ombre sinuose «certamente, non c’è problema...» disse una delle due ragazze dietro la tenda, uscendo dal suo nascondiglio.

Era circa alta un metro e settanta, aveva dei lisci e lucenti capelli ramati e indossava un completino nero tutto uno splendore composto da un bikini e un copricapo sormontato da lunghe e sottili piume dello stesso colore del bikini, coperto dalla vita in giù di un sottilissimo velo «ma non abbiamo fatto le presentazioni...credo che abbiate fretta, visto il modo in cui voi avete recuperato l’operante» disse la seconda ragazza, uscendo anch’essa da dietro la tenda.

Anche lei era vestita nello stesso modo dell’altra, solo in una tonalità più calda, tendente all’arancione; aveva dei capelli lunghi fino alla vita, neri con dei leggeri riflessi rossi «io sono Erik McBrie, il fratello...dell’operante» disse il guidatore, mettendosi in una postura più onorevole «e...gli altri due?» disse la ragazza vestita di nero «loro sono l’ex agente Leo Tanelly e Sabina Greater la...» disse ancora Erik, allargando leggermente un braccio verso i suoi due compagni venendo però interrotto da una risatina delle ragazze «non credevamo di conoscere finalmente il sospirato agente di nostra sorella...» disse la ragazza vestita di sole indicando la sorella col vestito color del cielo «...e la figlia di un carnefice» finì osservando scrupolosamente Sabina che s’impietrì «non certo per una mia scelta» disse, rispondendo allo sguardo della ragazza «saremo stravaganti ma non siamo razziste, tantomeno prostitute.

Siete venuti da noi per un motivo e noi quel motivo lo valutiamo molto alto.

Tenetevi i soldi, per una volta potremmo fare uno sconto. Gli amici di nostra sorella sono nostri amici» disse la ragazza vestita di nero, presentandosi «io sono Samantha, la più vecchia delle mie sorelle, e forse la più bella» disse, scostandosi una piuma dietro la spalla «io sono Virginia, la figlia del sole e la più raggiante...e lei...» intervenne la seconda, presentando lei e la ragazza che non accennava a scostarsi dal biondo «è la figlia del mare Sarah, tutte e tre siamo qui per farvi un favore molto...molto grande, che pochi hanno il privilegio di avere...ma, come ha gia detto mia sorella, gli amici della nostra sorellina sono anche nostri amici, venite, prima che la polizia vi trovi e vi porti via.

Potete posare l’operante su uno dei divani, scegliete voi quello più comodo e sedetevi, l’aereo non ci metterà molto a decollare» disse Virginia, facendo un largo sorriso ai tre.

Un po’ riluttanti, si sedettero, posando il corpo del bandito sul divano accanto a loro.

Sabina, vedendolo così arrendevolmente sciolto, si voltò e si trovò a tuffare la testa nel petto di Erik «è colpa mia» diceva, facendosi stringere dal ragazzo che le accarezzava leggermente la testa e cercava di consolarla.

Tirò lievemente su il viso della ragazza e non si sorprese a vederlo inondato di lacrime, glielo fermò con due dita sotto mento e si chinò a baciare i due petali di rosa che aveva come labbra.

La ragazza si sciolse il quel bacio...in quel fulgido attimo le sembrò che fosse Daniel a baciarla, dato la fisionomia simile del fratello.

Con ancora l’immagine del bandito davanti a lei, Sabina si sporse di più verso il guidatore...è più basso disse la sua mente che la illudeva.

Fece scivolare le mani sul petto del ragazzo per poi allacciarle dietro il collo di Erik, che ora teneva la ragazza per i fianchi e la stringeva a sé.

Dietro il collo non trovò la coda di cavallo che di solito, quando lo baciava, adorava accarezzare e subito, all’improvviso, una serie di flashback la colpì: la segreta...il castello...il dirupo...di nuovo la segreta...il dirupo...il corpo che spariva, ingoiato dai flutti del mare...il corpo che ora era posato sul divano alle sue spalle...

Si staccò violentemente dal bacio e l’immagine del bandito che l’aveva fino a quel momento illusa ritornò quella del fratello minore del ragazzo che amava.

Si distanziò bruscamente dal ragazzo guardandolo male e una mano andò a colpire con un poderoso schiaffo la guancia sinistra di Erik.

Lo sguardo della ragazza bastò più di mille parole che avrebbe potuto urlargli contro; l’aveva ferita, lo sapeva...ma aveva aspettato troppo e doveva darle quel bacio...

Sabina, con nuove lacrime che scendevano, si andò a sedere accanto al bandito abbandonato sul divano e lo guardò.

Non sopportava più la vista del suo viso dannatamente pallido e rilassato, come se stesse dormendo un sonno normale e non quello eterno.

Le labbra socchiuse non emettevano respiri come avrebbe voluto la ragazza...quei respiri che l’avevano eccitata fino allo sfinimento nella segreta del castello dei Lenning.

Le palpebre chiuse nascondevano quegli zaffiri color del mare...lo stesso mare che glielo aveva rubato per così tante ore...quegli occhi che l’avevano fissata molte volte, con dolcezza, con sfida, con paura...

Avrebbe voluto cancellare dalla sua mente lo sguardo che l’aveva avvolta la prima volta che si erano visti chiaramente...era lo sguardo di una preda che non sa come scappare dalle grinfie del cacciatore.

Sabina si chinò sul viso del ragazzo e lo prese tra le mani, e accarezzando leggermente le guance del bandito con i pollici, scostò un’altra ciocca di capelli corvini che gli ricadeva sul volto.

Dio quanto detestava la freddezza della sua pelle.

Si avvicinò ancora e diede un delicato ma lento bacio sulle labbra semi aperte del bandito.

Rimase in quella posizione a lungo, sperando che il calore delle labbra potesse risvegliare il suo adorato principe misterioso.

Alla fin fine, si tolse dal bacio e si alzò, andando verso l’amico biondino che stava parlano alla ragazza vestita di turchese, Sarah «scusate...non potete fare...l’operazione adesso?» disse Sabina, guardando la ragazza con uno sguardo supplichevole «sono spiacente, ma abbiamo pochi attrezzi a bordo e manca soprattutto il pezzo più importante...però, potrei chiedere alle mie sorelle, aspetta un attimo solo» disse pensierosa Sarah, per poi dirigersi oltre la tenda gialla che divideva i due alloggi «Hey saby andrà tutto bene...» disse Leo guardando comprensivo la ragazza, che aveva ancora gli occhi smeraldini arrossati dal pianto «sono sicuro che te lo riporteranno meglio di prima» continuò, prendendo una mano della ragazza che la ritrasse come se avesse toccato del fuoco «lo rivoglio come prima, niente di meno...niente di più» rispose, guardando il pavimento tappezzato di morbido tessuto.

Il biondo non seppe che ribattere così diede un piccolo buffetto sulla guancia sulla ragazza per darle un po’ di coraggio e guardò verso la ragazza che era arrivata con la sorella Virginia e due scatole per ognuna tra le braccia «sei fortunata ragazza» disse la ragazza vestita di sole, sorridendo ancora «dall’ultima operazione abbiamo dimenticato alcuni oggetti importanti sull’aereo e nostra sorella Samantha mi ha detto di aver portato il cuore che serviva al vostro operante...» riprese Virginia «...senza però dircelo! Avrebbe dovuto per far soffrire così tanto la ragazza...cioè tu, Sabina» continuò Sarah, guardando Sabina con uno sguardo tra la felicità e l’imbarazzo.

Ad un battito di mani di Virginia, che aveva posato le scatole su un altro tavolino saldato alla parete di sinistra, le luci si spensero, lasciando che un forte raggio al neon bianco brillasse al centro del vano da dove uscì un lungo tavolo rettangolare, due computer e un altro piccolo tavolino.

La ragazza vestita di turchese si avvicinò al tavolino e vi posò sopra una scatolina argentata grossa come tutta la mano della ragazza, dei bisturi alla vista molto affilati e un panno bianco, tutti gli oggetti tirati fuori dalle scatole che aveva portato precedentemente.

Virginia invece si avvicinò ad uno dei due computer e collegò tra di loro e aggiunse un altro piccolo strumento, piccolo come un pollice e munito di centinaia di piccoli tentacoli metallici.

Sabina guardò con paura e curiosità il piccolo marchingegno che teneva in mano la ragazza vestita di sole «quello che cos’è?» domandò non resistendo alla curiosità e Virginia rise alla domanda «non ha un nome, solo uno scopo. Manda piccole ma potenti scariche elettriche nella pelle e all’interno del corpo, un’invenzione della nostra Samantha...è lei che costruisce, io e Sarah operiamo soltanto» disse ridendo ancora.

La sua voce aveva una strana risonanza, come se avesse le corde vocali fatte di sottili fili d’argento e di cristallo «ma come fate a ridare la vita a persone già...morte?» domandò ancora Sabina, un po’ riluttante sull’ultima parola «a seconda del modo in cui muore una persona, il corpo reagisce diversamente...» rispose Virginia e Sarah afferrò la scatolina d’argento «una coltellata distrugge un cuore...lo rende irreparabilmente inutile...per questo ce n’è sempre bisogno di uno nuovo...ovviamente compatibile.

Abbiano già esaminato l’operante in questione è...come dire...il suo cuore non è molto reperibile, quindi siamo state costrette a costruirne uno in fibra sintetica...» finì la ragazza e aprì la scatolina davanti agli occhi strabiliati di Sabina.

Dentro il contenitore stava un cuore argentato, composto da una miriade di fili argentati e dorati.

La ragazza lo prese in mano e lo sollevò alla luce dei riflettori al neon; sotto la luce sembrava che quei fili fossero di seta e Sarah lo strinse un poco tra le dita «affidabile, elastico e quasi indistruttibile...naturalmente ogni cosa ha i suoi limiti» disse quando il cuore si adattò alle fessure tra le dita aperte della ragazza «vi prego, procedete...» disse Sabina, guardando nella direzione del corpo del bandito e le due ragazze annuirono.

Chiesero a Erik e Leo di portare l’operante sul tavolo rettangolare, dopodichè, una volta che lo appoggiarono sulla superficie liscia del tavolo, legarono polsi e caviglie con delle spesse cinture di cuoio.

Gli strapparono la maglietta e lasciarono il torso scoperto.

La pelle cerea del ragazzo, al centro del petto, era interrotta da un taglio da dove la lama del pugnale lo aveva trafitto.

Sabina rivide i muscoli possenti del bandito sotto gli occhi e la sua parte perversa iniziò a ricordare con particolare piacere di quando, nelle segrete, l’avevano pressata sul materasso della brandina e l’avevano posseduta con la violenza che lei aveva chiesto.

Le due ragazze avevano indossato un paio di guanti ciascuna e Virginia ora teneva in mano il bisturi più lungo della serie sul tavolino «se volete vedere siete liberi» disse, lasciando vagare la lametta poco sopra la pelle del bandito.

Erik si avvicinò un poco mentre Leo pendeva Sabina per le spalle e la allontanava, sapendo che non poteva sopportare la vista del ragazzo che amava venir tagliuzzato come un merluzzo.

Virginia affondò la lametta nella carne gelida del ragazzo e cominciò a tagliare per il lungo metà del petto e iniziando ad allargare la carne.

Quando finalmente le due ragazze videro il vecchio cuore del ragazzo, pigiarono una parte del cuore nuovo che brillò per qualche secondo, pronto a ricevere nuova energia.

La ragazza vestita di sole asportò il vecchio cuore, facendo particolare attenzione a depositarlo nella scatolina senza che il ragazzo dietro di lei potesse vedere più del necessario.

Sarah posò il cuore nuovo nella cavità e, con uno speciale apparecchio simile ad una pistola, iniziò a fondere insieme carne e metallo e le vene si mescolarono ai fili sottilissimi del cuore artificiale.

Chiusero la ferita con dei normali punti di sutura e presero il piccolo oggetto di cui aveva parlato poco prima Virginia.

Lo posarono sulla ferita e premettero alcune sezioni dell’oggetto, che si mosse: i minuscoli tentacoli addentrarono nella pelle e continuarono a passare per tutto il corpo del bandito, facendosi notare appena sottopelle.

All’improvviso si fermò e prese a vibrare lievemente contro la ferita ed emise un leggero bip.

Improvvisamente, delle scariche elettriche attraversarono tutto il corpo del ragazzo, facendolo inarcare più e più volte.

Erik, che era rimasto a vedere il tutto, stava sbiancando violentemente e ad ogni scossa che l’aggeggino mandava, lui stringeva gli occhi senza però chiuderli, come se soffrisse per il fratello.

Dopo pochi minuti si fermò e il corpo del ragazzo si rilassò sulla lettiga di metallo.

Aveva gli occhi aperti e vacui, come spenti, forse per l’effetto delle scariche elettriche.

Ogni suo muscolo si irrigidiva ogni tanto e una mano si spostò lievemente «ora dobbiamo solo aspettare» disse Virginia.

........................................................................................................................ero circondato dalle tenebre ghiacciate, senza possibilità di fuga.

Il mio fiato si trasformava in spesse nuvolette di condensa che si dileguavano nel vento gelido che aveva cominciato a soffiare.

Erano tre giorni che camminavo in quella valle oscura, senza trovare qualcosa che avrebbe potuto svegliarmi da quel sonno in cui ero caduto e ogni qual volta che mi giravo vedevo un essere canino, composto interamente da fiamme che divoravano qualsiasi cosa lo incontrasse.

Più volte avevo visto delle forme umane che si agitavano emettendo agghiaccianti lamenti per sfuggire a quella lingue di fuoco che li lambivano.

Quell’essere mi seguiva imperterrito, aspettando il momento migliore per attaccarmi, e lasciava sull’erba secca del prato in cui camminavo delle tracce nere di bruciato.

In più, ero indifeso, non avevo il mio fucile e il petto mi doleva in continuazione, non sapevo il perché.

Dopo tanto camminare, mi ritrovai all’improvvisamente in una stanza con le pareti completamente nere che mi davano l’illusione fosse uno spazio infinito e una sottile linea rossa che la divideva per il lungo.

Mi avvicinai alla crepa e subito avvertii un grande calore provenire da quest’ultima, che stava lentamente allargandosi.

Dalla crepa uscirono delle colonne di fumo nero che aleggiarono nella stanza chiusa e intossicandomi più di quanto avessi pensato; oltre al fumo, uscirono molti esseri perlacei, simili a fantasmi, che mi si pararono davanti e bloccandomi sul posto.

Non riuscivo a sentire la loro pelle, sostituita da una nebbiolina gelida, che creò sulla mia delle miriadi di minuscole goccioline bianche che andavano a formare le mani o le braccia di chi mi teneva «lasciatemi andare» urlai e la mia voce rimbombò nella stanza varie volte e di diverse tonalità, come se lo avessero pronunciate persone diverse «c-chi siete?! Dove s-sono?» domandai, dimenandomi ancora per liberarmi ma senza successo e si avvicinò uno degli esseri, tanto vicino che il mio fiato si stava quasi per congelare contro di lui «non devi resisterGli» disse, indicando dietro di me l’enorme cane di fuoco che si stava avvicinando, con la bava alla bocca e gli occhi fissi su di me «resistere a c-chi?» domandai, fissando spaventato l’uomo davanti a me «al Destino, decide lui chi di noi deve andare» riprese l’uomo prendendomi per il collo e sollevandomi «il purgatorio non è eterno» mi disse, guardandomi con quei suoi occhi spenti e lanciandomi con forza verso la crepa che si stava ancora allargando.

Per fortuna non ci caddi dentro, ma per un solo metro sarei stato inghiottito.

La folla di persone che si stava di nuovo radunando decise di mandare verso di me le uniche due creature a cui avrei dato ascolto, mio padre stava aiutandomi ad alzarmi mentre mia madre mi sorrideva malinconica «n-non capisco...» sussurrai quando mia madre mi abbracciò stretto «figliolo, hai fatto la nostra fine purtroppo» mi sussurrò di risposta la donna, lasciando la presa e guardando verso il marito «sei morto Daniel, ci hai raggiunto e non so se questo sia un bene» disse mio padre, guardandomi torvo come una volta, quando ero restio ad ubbidire.

All’improvviso mi ritrovai a precipitare dalla scogliera del castello dei Lenning e caddi nella stessa acqua gelida che mi aveva accolto la prima volta.

I polmoni mi stavano andando in fiamme e volevo risalire per poter respirare ma qualcosa mi trattenne, per trascinarmi sempre più giù.

Abbassai lo sguardo dalla superficie ormai lontana e guardai dove ora sentivo un tremendo formicolio: un pugnale era conficcato nel mio petto fino al manico e da esso sgorgava molto...troppo sangue.

Ritornai alla stanza appena in tempo per vedere il brutto muso di Jack Contan venirmi contro, i contorni tremolanti per il calore che emetteva «ci si rivede...andiamo a farci un bagnetto nel fuoco, che ne dici? » mi disse digrignando i denti.

Io feci per tirargli un pugno, ma appena raggiunsi l’aura di calore attorno a lui, gridai di dolore e mi guardai la mano rossa e tremante «sono un po’ caldo vero? Benvenuto all’Inferno» disse quel bastardo afferrandomi per il collo e sollevandomi dal pavimento.

Una fitta al cuore e un lampo mi fecero girare la testa...sembrava che il mio corpo fosse stato attraversato da della corrente elettrica.

Rividi ancora una volta tutta la mia vita...io da bambino, l’assassinio di mio padre che ora mi guardava con fare triste...quello di mia madre che ora era tra le braccia del marito per non guardare la fine che suo figlio avrebbe fatto.

Il calore della mano di Contan mi stava attraversando il collo e mi seccava la gola in una maniera quasi dolorosa.

Non riuscivo a respirare...volevo la fredda aria che aveva soffiato prima su di me...la desideravo con tutto il cuore.

Contan mi lanciò verso il cane di fuoco che mi stava aspettando a fauci aperte e potei sentire i denti bollenti dell’animale afferrarmi e sbattermi a terra, prima di darmi il morso finale, quello del dolore eterno perché quello era il mastino degli inferi che procurava le vittime dal purgatorio.

Un’altra fitta mi colpì al petto, questa volta più forte e mi inarcai dal dolore, gridando quanto riuscissi con i denti aguzzi del cane nella mia gola.

Un ultima fitta e divenne tutto bianco.

‘‘Tutto era sparito e avevo solo quel candido davanti agli occhi.

Nel mio torace sentivo battere un cuore, mi faceva male sentirlo tamburellare contro le pareti e mi accorsi di essere steso.

Feci per alzarmi, ma il cuore che pompava sangue alle vene iniziò a battere più forte, come se bramasse a rompermi le costole.

Urlai con quanto fiato avevo per il dolore che mi provocava quel battito e caddi di nuovo sulla schiena, portandomi le mani al petto sentii vagamente dei punti di sutura.

Un altro lampo e vidi di nuovo nero, mi trovavo nel vano passeggeri di un aereo, sembrava militare dalla forma ed ero steso su un tavolo chirurgico.

Balzai improvvisamente a sedere respirando affannosamente e posandomi una mano sul petto dove ora potevo vedere e sentire nitidamente i tanti punti di sutura che mi chiudevano un lungo taglio in mezzo al petto.

I miei occhi vagavano follemente da una parte e dall’altra del vano buio.

Fuori da un oblò alla mia destra potei vedere le stelle della notte «sono vivo....» sussurrai a me stesso, cercando di controllare i battiti.

Un computer all’improvviso cominciò a sibilare a scatti regolari, simmetricamente al mio cuore e da una mascherina legata al mio viso uscì un leggero fumo bianco che respirai a pieni polmoni.

Dopo alcuni secondi da un monitor potei vedere il mio cuore battere velocissimo e il suono amplificato mi rimbombava nelle orecchie.

Mi girai e vidi Sabina addormentata su una sedia accanto a dove ero steso...doveva avermi sorvegliato per tutto questo tempo...mi girai di lato per scendere dal tavolo e mettermi in piedi quando le mie gambe non resistettero e caddi come un sacco di patate sul pavimento soffice...il mio cuore fece uno scatto e per un secondo si fermò, per poi ripartire normalmente «ma c-che diavolo» sussurrai ancora, sentendo nuovo vigore espandersi nelle vene e raggiungere il mio cervello.

Era come rinascere.

Sentivo i muscoli andare a piena potenza e l’energia affluire in tutto il corpo ad una maniera quasi sfrenata, ma le costole non ce la facevano più a reggere quel ritmo.

Mi alzai tenendomi saldamente al tavolo d’acciaio e mi ci sedetti sopra, tenendomi il petto.

Levai la mano e la vidi sporca di sangue...i punti di sutura stavano cedendo pure quelli...sentii le costole scricchiolare e la pelle squarciarsi appena la cassa toracica iniziò leggermente ad allargarsi per far spazio al cuore nuovo che, inconsapevolmente, mi avevano messo.

Mi lasciai andare con la schiena contro il freddo metallo del tavolo, tenendomi al bordo tanto forte che le nocche mi diventarono subito bianche.

Non potevo farcela...almeno, non da solo...così decisi di chiamare con quanta voce avevo, la ragazza accanto a me, sperando di non morire...di nuovo -_- «SABINAGREATERTIPREGOSVEGLIATIOQUICREPOUN’ALRTAVOLTA!» urlai tutto d’un fiato, sentendo il dolore farsi sempre più forte e il battito tremendamente forte...ma la ragazza non si svegliò, si limitò a girarsi dall’altra parte e continuare il suo sonno «SABINA! APRI QUEI CAZZO DI OCCHI SE MI VUOI...» ma non riuscii a finire la frase.

Il respiro mi si bloccò nei polmoni quando vidi il mio petto aperto in due come una sardina...un cuore grosso il doppio del normale stava ancora pulsando e da esso sgorgava un liquido biancastro che si mischiava al sangue che defluiva dalle arterie aperte...’‘.

Aprii debolmente gli occhi e rimasi accecato dalla grande luce che veniva da una lampada posta sopra di me «Sabina! vieni si sta svegliando» urlò una voce alla mia sinistra...maledetto sogno pensai e, piano, cercai di tirarmi a sedere.

Non feci in tempo che due labbra che ormai conoscevo bene si premettero contro le mie e potei sentire le sue lacrime bagnarmi le guance.

Rimanemmo così per molto; sentire le sue dolci labbra fresche dopo l’incubo di prima mi rilassavano, così mi abbandonai tra le sue braccia che mi cingevano il collo e accarezzavano la mia coda di cavallo.

Baciarla per me era tutto...avrei volentieri dormito così, ma ero sicuro che gli sarebbe venuta una tachicardia alla ragazza «Daniel McBrie brutto stronzone anche tu restituisci troppo i favori! Non farlo...mai più» disse Sabina affondando il viso nell’incavo della mia spalla e cominciando a piangere convulsamente.

Io, ancora un po’ confuso, abbracciai solo la ragazza e le accarezzai la testa, mormorando parole di conforto.

Vidi Erik dietro la ragazza, che si passava le mani tra le ciocche puntute dei capelli, messo di spalle alla scenetta «ciao fratellino» gli dissi...la mia voce mi parve stranamente roca.

Mio fratello si girò rivelando un debole rossore sulla guancia sinistra mentre il resto era bianco come il gesso «bentornato tra i vivi Dan» mi disse sorridendo e avvicinandosi per darmi una pacca sulla schiena che mi fece quasi cadere «sta attento» gli disse Sabina guardandolo un po’ truce per poi sciogliersi di nuovo quando salvai mio fratello in extremis con un bacio alla ragazza.

Quando mi separai mal volentieri dalle sue labbra, cercai di rimettermi in piedi, ma le gambe mi tremavano talmente forte che per poco non caddi a terra...come nel sogno...nel tentativo di tenermi al tavolo andai a sbattere la mano destra contro una borchie delle mie cinture e sentii la pelle bruciare per il contatto.

Mi guardai la mano e mi sorpresi nel vederla rossa come se l’avessi passata sul fuoco.

Il sangue sotto la pelle ribolliva come una pentola a pressione e non mi sarei stupito più di tanto se la pelle stessa avesse iniziato a ribollire e scoppiettare «che succede?» mi domandò Sabina dolcemente all’orecchio, tenendo il mento sulla mia spalla e accarezzandomi il petto con un dito, disegnando forme astratte sul mio torace nudo.

Scossi la testa in un diniego e distolsi lo sguardo...sarà successo mentre non‘c’ero’‘...mentre stavi annaspando nel buio e morivi ancora sotto la mano di Contan...ammettilo...mi sussurrò una voce nella testa che cercai di ignorare ma quella voce rauca come quella che era uscita dalle mie corde vocali si faceva strada tra i tralci del mio cervello, divorando, impazzendo....desiderando.

Il respiro caldo della ragazza sul mio collo mi faceva venire i brividi piacevoli che provi quando...solo un pochettino...mia figlia vale tanto sesso quanto pesa...è uguale a sua madre...mi disse ancora la voce rauca nella testa che io scrollai per scacciarla...taci viscido essere senza anima!  Ribatté il mio pensiero, adirato con la voce che mi perseguitava...grazie per...iniziò la voce nella testa per poi finire nella gola da dove uscì piena di rabbia, ironia «...il passaggio idiota» disse la voce non mia che spaventò Erik e Sabina per quanto era profonda e roca...Scrollai la testa e la voce sparì.

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Le tre zocco…ehm…ragazze mantennero la promessa di un posto sicuro dove passare quelle tre settimane che ci occorrevano perché io mi riprendessi del tutto dall’intervento e perché si calmassero le acque…dopotutto ero morto e qualcuno che mi avrebbe visto camminare per strada avrebbe avuto sicuramente un colpo al cuore anche se non esattamente uguale al mio.

Appena scesi dall’aereo pieno di moquette e tendine, Erik volle sperimentare un altro dei suoi piccoli trucchi da rallysta, facendo venire a me un colpo al cuore.

La pista d’atterraggio era posta su un lungo prato che andava leggermente in salita, verso una villa enorme dall’aspetto antico.

Per arrivare alla casa avremmo dovuto prendere la macchina che le tre ci offrivano…purtroppo per me.

Erik non vedeva una macchina così da quando aveva dieci anni, quando nostro padre ci aveva portato ad un raduno di quelle vecchie automobili decappottabili lunghe tre chilometri e larghe uno e mezzo…un bel macchinone non c’è che dire.

Il solo problema è che, un’auto con una stazza simile, con certe acrobazie non va proprio d’accordo, ma questo mio fratello non lo capisce proprio…difatti, dopo l’ultimo testacoda l’asse ha scricchiolato parecchio e ho dovuto dirne alcune a Erik tipo ‘‘PORCA PUTTANA A TE E AL TUO CERVELLO BACATO CI FARAI AMMAZZARE!!!’‘…ehhh i fratellini minori…sempre più deficienti ogni anno che passa.

Arrivammo davanti all’enorme portone di legno scuro, alto più o meno due metri e mezzo o forse tre, e rimanemmo un attimo a fissarlo...perchè darci una villa tanto grande che, dopotutto, occuperemo per solo un mese? Molte domande si stavano affollando nella mia testa e quella maledetta voce iniziò di nuovo a parlare...questa volta più melliflua...fai come se fossi a casa tua, stupido idiota senza palle...ma sarà mai possibile? Mi doveva tormentare anche da morto? Scrollai la testa con gli occhi stretti ed estrassi la chiave che mi aveva dato la ragazza vestita di nero, guardandola bene; era lunga quanto tutto il mio palmo, spessa quanto un dito e ad una estremità si poteva vedere chiaramente la forma di un’animale felino, seduto sulle zampe posteriori e la coda che le avvolgeva...sembrava una pantera «dai entriamo che sono curiosa di sapere com’è questa villa» mi disse Sabina dal fianco destro, mentre mi teneva il braccio e così, sotto lo sguardo curioso della ragazza e di mio fratello, inserii la chiave nella toppa gigantesca che sembrava troppo per quel misero bastoncino, la girai e un sonoro scatto metallico fece aprire l’enorme anta destra del portone.

La hall era immensa, quanto una sala da ballo, e il pavimento era interrotto da un tappeto rosso che si divideva in tre rami; due salivano le scalinate che portavano ai piani alti mentre il terzo continuava tra di esse, verso una sala che, da quanto potessi vedere a causa del buio che era ancora calato a causa delle spesse tende che coprivano le finestre, completamente rivestita di legno.

Sabina si staccò un attimo dal mio braccio e andò verso un mezzobusto accanto alla scalinata di sinistra, mentre io ritiravo due tende per far entrare un po’ di quel sole che stava appena sorgendo.

Quel gesto mi sembrò più pesante del solito, forse perché erano tre giorni che il mio corpo non muoveva un muscolo, per questo eravamo in quel posto tanto lussuoso...almeno, per chi era stato abituato a cavarsela come meglio poteva come me ed Erik.

Improvvisamente, Erik emise un fischio quando vide la statua che aveva in mano la ragazza e si avvicinò per guardare meglio, le mani nelle tasche e la sua camminata baldanzosa «wow, siamo nella mistica villa dei Von Almasy, non credevo di finirci un giorno» disse, guardando la statua di pallido marmo di un ragazzo sulla ventina come il fratello, capelli tirati all’indietro e un ciuffetto più corto che accarezzava la fronte...lo guardai storto con fare sbalordito «che c’è?» mi disse diventando rosso «a volte mi informo anche io su certe cose scusa» finì e io scrollai nuovamente la testa, non per la voce che ora taceva, ma per il fatto che Erik leggesse qualcos’altro oltre alle riviste porno...mi diressi verso la sala centrale della hall e accesi due candelabri con l’accendino che di solito usava mio fratello per fumare (di quelli a scatto, ma poi, visto che l’ho obbligato a smettere gliel’ho fottuto...bwahahaha!) che poi sistemai uno nel corridoio che separava l’entrata dalla stanza e uno all’entrata di quest’ultima.

Per poco non mi ressi sulle gambe...era una stanza completamente adibita a palestra, con tutti gli attrezzi possibili al mondo...il mio paradiso.

Entrai titubante nel vano e mi avvicinai a dei pesi che erano accuratamente sistemati su uno scaffale...avevano diverse misure e pesantezza, alcuni piccoli quanto una mano e laggiù, all’ultimo scaffale, quelli da 500kg e più, quelli che adoravo di più.

Se in quella stanza dovevo risvegliare i muscoli, non ne sarei più uscito, senza aver provato tutti quegli attrezzi...ero ammaliato.

Nonostante tutto, decisi che era meglio fare il giro di tutta (o cercare di farlo) la villa per prendere confidenza con scale, scalette, terrazzi e quant’altro.

Tornai nella hall e abbracciai da dietro Sabina, dandole un leggero bacio sul collo «andiamo a farci un giro?» chiesi e lei annui, restituendomi il bacio «ok...ma poi a dormire un po’» mi disse dandomi un piccolo colpetto sul naso.....«Benvenuti nella mia umile dimora»...una voce alle nostre spalle ci fa trasalire.

Mi girai di scatto che quasi feci cadere la ragazza ancora tra le mie braccia.

A metà scalinata sta un ragazzo sulla ventina, capelli biondo platino pettinati meticolosamente all’indietro e un ciuffetto che sfiora la cicatrice che ha tra gli occhi.

Era vestito di un lungo cappotto grigio con delle rifiniture rossastre sulle spalline sfrangiate che dondolavano appena al suo respiro, un paio di guanti grigio perla gli adornavano le mani affusolate, una maglia nera a coste si stirava sul suo petto assieme al bavero sempre grigio perla, una cintura di cuoio e oro gli stringeva la vita e indossava dei comunissimi pantaloni neri di fustagno e un paio di anfibi neri ai piedi «spero che l’arredamento sia di vostro gradimento, non abbiamo avuto il tempo di sistemare alcune cose a causa del poco tempo d’avviso» continuò il ragazzo, scendendo un paio di scalini e avvicinandosi ad Erik «è lei il signor Daniel McBrie? » chiese il padrone di casa, porgendo la mano a mio fratello che la guardò come se mordesse «sono io» intervenni, facendo un passo avanti, senza però avvicinarmi più di tanto all’estraneo ed esso sorrise a me e a Sabina, dietro di me «piacere di conoscerla signor McBrie. Il Trio mi ha raccontato di lei, la sua storia e delle pene che ha dovuto soffrire, nevvero? » disse, stringendo la mano alla mia con una forza impressionante, doveva allenarsi ogni giorno probabilmente, oppure ero io che avevo i muscoli ancora intorpiditi, oppure tutt’e due «già» dissi ritraendo la mano come se me l’avesse bruciata «Io sono Seifer von Almasy, il proprietario forse ultimo di questa casa, appartenuta ai miei avi da generazioni...purtroppo non riesco a trovare una sposa che possa darmi degli eredi» disse quasi in un fiato, come un discorso imparato a memoria, con lo sguardo di chi ti sfida a chiedere...perchè?...si avvicinò a Sabina e le fece il baciamano, sfiorando appena le labbra alla sua pelle...brutto...stronzo...allontanati da lei...pensai ribollendo di rabbia e la bile mi stava schiumando in bocca dalla gelosia «signorina Greater conosco bene anche lei, una brava agente dell’ordine e una stupenda ragazza» disse Seifer, scostandosi appena dalla sua posizione china sulla mano della ragazza.

Sabina stava arrossendo violentemente, sentirsi chiamare con quei titoli la faceva imbarazzare come tutto, ma era sollevata che non l’avesse definita figlia di un carnefice «grazie» balbettò appena, abbassando il viso ma senza togliere lo sguardo dagli smeraldi che Seifer aveva al posto degli occhi.

In quel silenzio statico, l’unico fu Erik a parlare, distogliendo il mio sguardo furioso e quello imbarazzato di Sabina dal ragazzo «a....allora? questo giro si fa o no?» disse, avvicinandosi a me e guardando Seifer che sembrò destarsi da una trance e si tirò ritto, impettito in una postura d’importanza «certo, seguitemi» disse con voce suadente e prese a salire le scale seguito da Sabina e da noi due poco più indietro.

Sentivo che Erik doveva dirmi qualcosa...quando è teso lui si tende il mondo e puoi avvertire l’aria diventare quasi rarefatta così mi girai verso di lui «cosa c’è?» domandai in un sussurro e a mio fratello dovevo esser sembrato piuttosto arrabbiato in quel sibilo perché si distanziò leggermente prima di mettersi a parlare, anche lui a bassa voce per non farsi sentire dai due davanti a noi «Dan calmati, stai esplodendo e in questi periodi l’hai fatto un po’ troppe volte...datti una calmata e allenta i pugni» disse, indicando le mie mani che stavo chiudendo spasmodicamente mentre guardavo quel dannato damerino da quattro soldi spiegare qualcosa a Sabina che pochi secondi dopo si mise a ridere.

Rilassai i muscoli quel poco che mi bastava per non farmi male «lo so che ti sembra gli faccia il filo, ma vedrai che fra mezz’ora si dimenticherà chi è quel tipo e ti starà appiccicata come la colla» continuò Erik dandomi una pacca sulla schiena e superandomi per raggiungere Seifer e Sabina e così mi lasciò da solo con i miei pensieri, non ancora del tutto sbollentati...stavo fissando il ragazzo e vedevo solo lui, il tutto contornato dall’alone rosso dell’ira...lo uccido se lo vedo ancora che le gironzola attorno...pensai nel pieno della rabbia, facendo il giuramento che ero solito fare, prendendo le piastrine e girandole tre volte attorno alle dita per poi nasconderle sotto la maglia.

Velocizzai l’andamento e raggiunsi il gruppetto che ora stava per dirigersi alle nostre future camere da letto «nell’ala ovest, come ho già detto, è vietato l’ingresso, sono spiacente ma laggiù ci sono cose personali che terrei che nessuno le vedesse...poi, l’ala Est è completamente vostra, la palestra è dopo la hall e la divideremo poiché l’altra è in restauro.

L’ala Nord è sede delle terme, piscina e quant’altro di simile e anche quella sarà a vostra completa disposizione...l’ala Sud dà sul giardino e sulla serra dove potrete rilassarvi...ah, un’ultima cosa, spero che nessuno di voi sia allergico ai gatti» stava dicendo il padrone di casa, guardando i tre ospiti che negarono l’allergia «bene, sono un’amante degli animali e nel giardino potrete trovare delle specie non proprio autoctone, ma in casa i gatti sono la mia unica compagnia» finì Seifer e dall’angolo sbucò appunto un gatto.

Pelo corto color del tramonto, occhi verdi che luccicavano maliziosi e una folta coda all’insù «questa è Down, la più vecchia della casa si può dire» disse il damerino, porgendo la gatta a Sabina che impazzì letteralmente per quell’essere peloso a quattro zampe che iniziò a far le fusa e a strusciarsi contro il petto della ragazza «a quest’ora saranno giù nelle cucine che mangeranno» disse Seifer soprappensiero, poi scrollò la testa e aprì una porta alla sua sinistra, rivelando una stanza color del mare, con le tende turchesi, una scrivania con una sedia all’apparenza soffice, un armadio a quattro ante bianco e un letto a baldacchino con le coperte blu e il lenzuolo bianco faceva un certo contrasto «Signor McBrie, questa è la sua camera, spero sia di suo gradimento» disse Seifer, sorridendo cordiale, per poi proseguire con Sabina al fianco che gli teneva leggermente il braccio ed Erik leggermente più indietro che guardò la mia reazione...non mi aveva mai visto così adirato, arrabbiato, irato, furibondo, infuriato, furioso, irritato, furente e geloso in tutta la sua vita...sentivo il sangue ribollire nelle vene e il mio cuore nuovo iniziò a battere più forte, sempre più forte, come nel sogno che avevo fatto prima di riprendermi dall’operazione...è come tua madre...una bella puttanella...disse la familiare voce roca nella testa che colpii con un pugno per farla sparire...non la sopportavo più quella situazione.

Mi girai verso la mia camera e mi ci addentrai, sbattendomi la porta di legno scuro dietro le spalle.

Mi diressi con una certa furia verso la doppia finestra che dava sul parco dietro la casa ed ebbi una certa voglia di spaccarla, ma non sarebbe stato molto educato il primo giorno di permanenza lì così mi girai verso il letto e mi ci buttai a faccia in giù e a braccia aperte, sperando di morir soffocato dall’ira.

La rabbia, poco a poco, cominciò ad affievolirsi e la stanchezza mi colpì come un martello in testa...crollai addormentato sul letto, ancora vestito e con la testa voltata verso il muro.

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Sabina, non trovandolo in coda al gruppetto che ora stava attraversando il giardino per la fine del ‘‘tour’‘, iniziò a preoccuparsi...che si fosse sentito male?

Daniel era l’unica persona che si fosse permessa di sfidarla ed era riuscito nella sua impresa...e a lei, questo fatto piaceva molto, quanto quella notte nelle segrete «...scusi ma...potremmo tornare indietro?» disse alla fine la ragazza al suo accompagnatore che annuì cortesemente «certamente mia bella signorina, sente per caso freddo?» disse Seifer, guardandola con preoccupazione «no, ma vorrei vedere come sta Daniel» disse Sabina, voltandosi verso la villa.

Sembrò quasi vedere un’ombra da una finestra sfuggire al suo sguardo «è in camera sua mi sembra» intervenne Erik, piuttosto preoccupato anche lui per il fratello.

Sapeva benissimo che fisicamente non aveva problemi...erano le emozioni che stavano facendo i capricci e anche tanti.

Così, i tre tornarono alla villa e risalirono le scale che portavano all’ala Sud della casa.

Dopo aver superato l’ennesimo portone, arrivarono al corridoio che dava sulle loro camere da letto.

Sabina aumentò il passo, lasciando il braccio di Seifer che stava ancora tenendo e si avviò verso la porta della camera del bandito.

L’aprì di scatto e rimase leggermente congelata con la mano sul pomolo della maniglia.

Il bandito era steso sul letto completamente vestito e dormiente.

Il cuore della ragazza si sciolse dal nodo che la opprimeva.

Si avvicinò cauta al letto a baldacchino e si sedette accanto al ragazzo addormentato «dovevi essere tanto stanco vero?» sussurrò piano, accarezzando la guancia sfregiata del bandito «ok, ti lascio dormire» disse infine, vedendo il ragazzo girarsi nel sonno «riposati bene» e baciò il bandito leggermente sulle labbra.

Poi si alzò e sistemò una coperta sulle spalle dell’amato, andò verso la porta e la richiuse piano.

La ragazza sospirò e scrollò la testa prima di girarsi verso Erik, che l’aveva appena raggiunta «sta dormendo» gli disse sorridendo «ed era ora, è tutta la notte che sta in piedi» rispose Erik scrollando la testa e mettendosi una mano su un fianco «e forse sarebbe meglio che anche tu dormissi un po’, io ho dormito sull’aereo e Leo è tornato in città» continuò, indicandola con un dito e seifer s’intromise, dicendo a Sabina che sarebbe veramente stato meglio che anche lei andasse a riposare.

Senza possibilità di negare, anche lei andò a dormire nella sua stanza, poco più lontana da quella del bandito.

Rimasero così da soli Seifer ed Erik...immersi in quel silenzio imbarazzante che di solito cade quando non si sa cosa dire.

All’improvviso, Seifer guardò fuori dalla finestra il cielo che ora si stava illuminando dei deboli ma prepotenti raggi del sole novello.

Erik, sentendosi poco desiderato, fece per andarsene verso la sua stanza quando il damerino lo fermò con la voce «potrebbe ricordare alla ragazza e a suo fratello gli orari dei pasti? Nel giro della casa mi sono perso e mi sono dimenticato di riferirvelo» e il guidatore annuì per poi tornare sui suoi passi.

Seifer si potè dire soddisfatto di quel giorno e andò verso l’ala Ovest, dove risiedeva la sua camera...e la sua vita.

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Mi svegliai che il sole filtrava attraverso le finestre e mi colpiva il viso semi nascosto a una coperta...una coperta?

Mi misi a sedere e una fitta mi colpì alla cervicale...vidi le stelle...così impari a dormire con la testa storta...dissi a me stesso, adirato.

Con gli occhi che ancora dormivano, mi alzai e barcollai per la stanza come un’anima in pena, per raggiungere l’attaccapanni dove avevo lanciato il cappello prima di buttarmi sul letto e nel tragitto diedi un colpo alla gamba del letto più esterna con un piede «cazzo» sibilai e mi presi il piede...non avevo le scarpe, qualcuno doveva averle tolte, e difatti erano accanto alla porta.

Presi i miei anfibi con rabbia e li indossai, allacciando le stringe con un doppio nodo, per poi uscire dalla stanza...il cappello...tornai sui miei passi e presi il cappello ancora appeso all’attaccapanni pigiandolo bene in testa.

Ero da solo, in una casa enorme, con il rischio di perdermi dopo due corridoi...l’unica strada che conoscevo era quella che portava verso la hall e così decisi di iniziare l’allenamento che sarebbe perdurato per tutto il mese.

Attraversai il corridoio con le mani in tasca e l’andatura rilassata, il cappello basso e lo sguardo perso erano i segnali che stavo pensando...va bene, ci ospita ed è stato gentile...ma avrei preferito un padrone menefreghista ad un dongiovanni che corteggia tutte le donne che gli capitano appresso...soprattutto alla mia Sabina...non si deve azzardare o gli spezzo il collo...pensai ancora adirato e incontrai le scale prima del previsto, meglio, mi sarei distratto da quei pensieri prima del previsto.

Le scesi mestamente, sempre pensando a quali mali potevo fare se Seifer si avvicinava alla ragazza che amavo e mi diressi verso la palestra, spegnendo con un soffio le lanterne appese visto che ormai il sole entrava in tutta la sua forza nella villa.

Appena entrato, mi diressi allo spogliatoio, mi levai il cappello e mi tolsi lentamente la maglia per non farla scontrare contro i punti ancora freschi.

Guardai la ferita allo specchio che interrompeva il muro alla mia sinistra; una linea così sottile e appena arrossata che però mi aveva procurato la morte...ricordai quei fulgidi istanti prima di sentire l’acqua gelida contro la schiena...il dolore troppo forte per sembrare vero, il freddo improvviso dell’acqua, la pesantezza di tutte le membra che mi portava a fondo, le ultime bollicine d’aria che sfioravano la mie labbra e quell’orribile sensazione di confusione che mi attanagliava...la morte la si vive una sola volta e io avevo infranto questa legge.

Sfiorai il leggero filo nero di seta che allacciava i due lembi della pelle del mio petto e mi lasciai sfuggire una smorfia, non per il dolore, ma per il fatto che la pelle attorno alla ferita fosse completamente senza sensibilità.

Qualsiasi persona mi avrebbe comodamente strappato i punti durante il sonno che io non me ne sarei minimamente accorto.

Ricordai ancora quelle orribili settimane alla mercè di Contan, nel carcere di massima sicurezza di New York.

La spalla destra stava benone, ma presentava ancora la piccola e rotonda cicatrice del proiettile e del coltellino che il Capitano mi aveva conficcato nella ferita...oh, Dio! Quanto godevo della sua morte.

Diedi le spalle allo specchio e uscii dallo spogliatoio a torso nudo.

Ora si che potevo rilassarmi come volevo io.

Mi diressi verso i pesi più grossi e tolsi un paio di dischi per non rischiare di finirci schiacciato sotto e mi sedetti sulla panca prendendo i pesi.

Così subito mi sembravano pesanti come un tir, ma poi, dopo averli passati da una mano all’altra, i miei muscoli cominciarono a svegliarsi dal torpore che li serrava e il sangue iniziò lentamente la sua corsa attraverso la fibra, inebriando carne e anima.

Aggiunsi sempre più pesi, fino a che non mi dovetti stendere sulla panca per poterli sollevare.

Stavo grondando di sudore ma per me e la mia ferita era una manna.

Dopo alcuni minuti appoggiai i pesi al supporto e mi tirai a sedere con uno scatto degli addominali e mi tastai gli avambracci dolenti...stavano già iniziando ad indurirsi come la roccia che erano una volta.

Mi alzai dalla panca e andai verso dei paletti di legno alti un metro che di solito si usano per allenare gambe e cosce.

I paletti, disposti in cerchio, erano stretti sulla sommità da alcuni giri di stoffa già consumata che impediva il contatto diretto della gamba al legno che avrebbe potuto spezzare le ossa...perfetto...pensai tra me e me, vedendo un’asta di metallo appoggiata al muro...l’afferrai e la vidi graffiata in molti punti...la strinsi forte in mano e iniziai a farla roteare piano tra le dita, rilassando il corpo e chiudendo gli occhi, precisando i punti esatti nella disposizione dei paletti.

Senza preavviso aprii di scatto gli occhi e colpii il paletto alla mia sinistra con un potente calcio, senza smettere di far roteare l’asta di metallo...poi ne centrai un altro...un altro...e un altro ancora, facendomi passare l’asta dietro la schiena e prendendola al volo mentre girava su se stessa.

Posai l’altra mano sull’asta girevole e ne aumentai i cerchi che creava, sempre più veloci, continuando a calciare i paletti in ordine puramente casuale.

All’improvviso, saltai all’indietro e ricaddi sulla cima del paletto dietro di me e rimasi stupito nel vedere che riuscivo a stare facilmente in equilibrio su un piede mentre l’altro era teso nel vuoto.

Fermai il movimento della sbarra e scesi dal palo atterrando senza il minimo rumore.

Strabiliato della mia nuova potenza, provai un trucchetto che raramente mi riusciva. Alla mia destra c’era un ring da combattimento come si usa nel wrestling.

Ci salii sopra camminando lentamente per saggiarne la robustezza, e con un altro salto salii su uno dei quattro angoli, dando le spalle al centro del quadrato.

Feci una capriola all’indietro e atterrai di schiena, prestando attenzione a non farmi male e iniziai a girare, tenendomi ritto sulle braccia e roteando le gambe.

Di scatto fermai la trottola che si era creata per spingermi con le braccia verso un altro angolo dove mi sostenni un attimo per riprendere fiato...avevo superato un po’ troppo il limite...così decisi di finire l’allenamento e di dirigermi verso gli spogliatoi per rivestirmi.

...Non mi accorsi che la pelle attorno ai punti di sutura stava diventando color argento...

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Erik si stava annoiando a morte...era steso supino a braccia aperte sul letto e fissava come un’idiota il soffitto bianco della sua camera.

I suoi hobby erano le macchine e le belle ragazze...lui non era come suo fratello che può stare tranquillamente stare senza far niente, di solito era quello sempre in movimento, quello che scassa sempre le scatole, quando può...ma non è proprio il tipo di ragazzo che sta a pensare troppo.

Il guidatore si mise a sedere sbuffando pesantemente e guardò fuori della finestra...ancora pieno pomeriggio...pensò tristemente.

Tutti stavano dormendo e quel Seifer proprio non aveva voglia di vederlo; lui era stato abituato che nessuno è mai così gentile nei confronti della gente e aveva supportato quella tesi come vera nei due anni scorsi.

Erik, stufo di quella situazione, si alzò dal letto e uscì dalla stanza socchiudendosi la porta alle spalle, deciso a farsi un giro del parco e magari scoprire un garage in quella villa.

Dopo molto camminare, non riuscì a trovare l’uscita che dava sul parco così pensò di dirigersi verso la palestra a fare due sollevamenti, ma con molta sorpresa, girandosi non riconobbe il corridoio in cui era...si era perso in quel dannato labirinto.

Inoltre, le enormi arcate di legno che padroneggiavano sul soffitto e le finestre rigorosamente chiuse da assi di legno e tende gli davano un’aria spettrale e lugubre come di una casa abbandonata.

Decidendo di sfidare la sorte che di solito lo accompagnava, il ragazzo riprese a camminare lungo il corridoio e scese le scale che gli si presentarono alla sua sinistra, sperando di finire al piano terra.

Le scalinate si trasformarono in strette scale a chiocciola che scendevano fino alle viscere della casa, piene di polvere che sembrava nessuno toccasse da anni.

Il guidatore scese l’ultimo gradino con il sangue raggelato: si trovava nelle cantine dove, tra filari di enormi botti, si trovavano scheletri d’animali di ogni tipo, dai topi ai cani fino a quelle che sembravano delle capre e qualche mucca...in mezzo a quelle ossa, ogni tanto, dei teschi umani facevano capolino in un orrendo avviso «che diavolo di posto è questo?!» disse spaventato, e indietreggiando inciampò nelle scalette di metallo, creando un grande rumore.

Subito, dietro di lui, oltre le scalette, dei ringhi presero a minacciarlo.

Erik, dopo che si fu ripreso dallo spavento, si alzò e, curioso, andò a vedere quale animale poteva provocare un simile suono.

Camminò per del tempo che gli sembrò eterno e finalmente girò l’ultimo angolo della cantina sconfinata nel buio.

C’era un’alta porta di legno e oro piena d’intarsi; era socchiusa e dall’interno della stanza dietro il portone venne un altro ringhio, misto alle lamentele di un’altro animale, probabilmente morente a dirsi dal suono gutturale che emetteva.

Erik appoggiò cautamente una mano sulla porta e l’aprì leggermente per vedere l’aguzzino di quella povera bestia; niente, il buio più completo.

Accanto alla porta c’era una vecchia torcia mai utilizzata e inzuppata di olio; la prese piano e la sfregò contro l’apposito strumento allegato alla sua postazione per accenderla.

La puntò tremante appena dopo la porta e quel che poco potè vedere furono due occhi rossi come il sangue voltarsi di scatto a guardarlo prima di sentire un peso opprimente sul petto e un dolore acuto alla base del collo. Non riuscì nemmeno a gridare dal dolore che si stava espandendo ora in tutto il corpo come un veleno.

In un disperato tentativo di liberarsi da quella bestia gli diede un colpo alla testa con la torcia che aveva ancora in mano, sbalzando via la creatura che si era avventata sul suo collo.

La belva si schiantò contro il muro e atterrò in ginocchio, col capo chino, una mano a terra e una sul ginocchio alzato da terra.

Aveva una forma umana...Erik iniziò a sudare freddo e si tastò il collo: due fori dalla base destra del collo stavano ancora colando del sangue che l’essere aveva voluto bere.

Di scatto l’uomo si tirò in piedi e guardò verso Erik: la sua faccia era storpiata in un ghigno divertito e malvagio mentre due canini lunghi fino al mento gocciolavano di sangue suo.

Il guidatore riconobbe la fisionomia e i capelli biondi del vampiro davanti a lui «S-Seifer?» domandò, cercando di strisciare il più lontano possibile dal pipistrello e al contempo di bloccare la fuoriuscita di sangue «ma che bravo...mi hai scoperto...e ora come faccio mio Dio» disse beffandosi del diciannovenne dopo aver leggermente ritirato i denti per parlare meglio «semplice...di qui non esci più» si rispose, alzando una mano artigliata e sorridendo malvagiamente.

Si buttò a capofitto sul ragazzo, estraendo i denti in tutta la loro lunghezza e piantandoli nuovamente nella carne giovane del ragazzo che urlò di dolore e s’inarcò sotto il vampiro, chino su di lui.

Erik, poco a poco, cessò di combattere e sentì il corpo esser prosciugato d’ogni forza...è così morire...Dan...?...pensò nel fulgido attimo in cui tutto il suo corpo si spegneva, il cuore cessava di battere e tutto diventava freddo «che ne dici di diventare come me? » disse Seifer, allontanandosi dal corpo del ragazzo e lanciando un incantesimo che lo avvolse «ti accompagno verso la tua vita nuova» ridacchiò il vampiro ed Erik si svegliò di scatto, urlando come un ossesso e contorcendosi dal dolore che gli stava trapassando le scapole.

Dalla sua schiena spuntarono un paio di ali da pipistrello che si fusero con la pelle della schiena e delle spalle, diventando un tutt’uno con Erik.

Dalla bocca, poi, gli uscirono i lunghi canini cavi, facendo sanguinare le gengive «eh, lo so, la prima volta fa male» disse tra una risata e l’altra Seifer, guardando comprensivo il novello vampiro di casa «passerà...ahahahah» rise Erik, la voce roca per gli strilli ma con il volto piegato nello stesso ghigno dell’altro, mentre si leccava le goccioline di sangue che aveva sulle labbra «...buono» esordì poi, fissando la carcassa della capra che prima Seifer stava assaggiando e il biondo rise «non sai quanto» gli disse e gli fece passare un bracco attorno alle spalle guidandolo verso la stanza buia; tutte e due ridevano della sorte che sarebbe capitata alla ragazza e al bandito.

La fiaccola, già tenue, si spense nel filo d’aria che la porta d’oro, chiudendosi, aveva creato.

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Dopo aver tentato di vestirmi, e dopo molti fallimenti a causa dei dolori ai muscoli, mi diressi verso la scalinata di sinistra dell’hall che portava alla sala da pranzo, alle cucine se si scendevano un paio di scale in più e alle terme.

Guardando l’orologio a pendolo in cima alle scale, decisi di spiccare un salto alla sala da pranzo per vedere se ci fosse stato qualcuno, e magari inghiottire qualcosa.

Stancamente, mi avviai, sempre con le mani in tasca e questa volta senza cappello, abbandonato lungo la schiena nuda.

Pensai alla reazione di Sabina se mi avrebbe visto così...non tanto per il fisico anche un po’ malconcio, ma per la vista dei punti di sutura che m’interrompevano i muscoli e che tenevano insieme la carne.

Stranamente, la sensibilità in quel punto stava iniziando a tornare, non so se sia un bene o no poiché ad ogni movimento brusco che faccio sento una fitta acuta attraversarmi il petto, come se un altro pugnale me lo attraversasse ogni volta.

Ignorando a fatica il dolore, entrai nella sala e non vidi nessuno...devono essere ancora tutti addormentati...pensai e così mi diressi verso la tavola imbandita di ogni ben di Dio, pronti per essere divorati da qualche povero ‘‘sperduto’‘.

Avevo una fame da lupi, anzi, mi sarei mangiato un lupo a quel punto e così mi ritrovai avventato su metà dell’arrosto che padroneggiava la tavola, su un piatto di patate al forno, una decina di costolette d’agnello e cinque cosce di tacchino.

Divorai tutto talmente in fretta che per poco non mi rimase di traverso un pezzo di carne che ingoiai solo con l’aiuto di un abbondante calice di vino rosso.

Mi accasciai sazio sulla sedia, tenendo le mani dietro la nuca e con stampato in faccia un sorriso di compiacimento e anche un po’ da ebete...

Potevo dirmi soddisfatto e giurai a me stesso che una mangiata così non l’avevo mai fatta, nemmeno dopo il più duro degli allenamenti.

Guardai il tavolo: avevo combinato un bel casino e i piatti semi vuoti erano miracolosamente ancora in piedi...forse era meglio dare una pulita prima che arrivasse qualcuno.

Così presi tutti i piatti che avevo usato e li portai via, seguendo uno stretto corridoio alla mia destra e depositandoli poi su un vassoio che sparì dietro il muro, probabilmente diretto alle cucine.

Tornai sui miei passi e vidi, appena oltre la soglia della stanza, Sabina che parlava con Erik, più pallido del solito, quasi cereo «ciao! Come stai?» disse improvvisamente Sabina e appena mi scostai dal corridoio dietro di me la ragazza mi saltò al collo e dandomi un bacio pieno d’affetto, interrotto solo dal mio mugolio soffocato di dolore che mi aveva creato involontariamente «oh scusascusascusa» disse allontanandosi un poco e fissando tristemente la ferita sul petto «fa niente, piuttosto, perché non mangiate? Spero di avervi lasciato abbastanza roba, ho mangiato come un lupo» dissi sorridendo e indicando il tavolo.

Erik mi guardò strano, come se all’improvviso avesse avuto paura di me, prima di tornare normale «ma si che basta, tranquillo» mi disse, avvicinandosi a me, dandomi l’ennesima (e noiosa ormai) pacca sulle spalle e dirigersi verso il tavolo accompagnato da Sabina.

Io uscii salutandoli e andai verso camera mia per prendere degli asciugamani e andare fino alla sauna, a questo punto la casa mi sembrava piccolissima e capivo dove andavo.

Non so come successe, così all’improvviso, ma ringraziai quel Dio che mi mise in testa l’intera piantina della casa.

Sul letto turchese vidi una maglia e dei pantaloni di ricambio: entrambi neri, avevano l’aspetto antico, stile pirateria.

Le maniche erano tempestate da dei lacci che chiudevano i due lembi di stoffa sugli avambracci e i bottoni di madreperla facevano netto contrasto nella camicia scura.

I pantaloni erano neri con delle sfumature più chiare sulla gamba, ed erano abbastanza aderenti...non avrei mai avuto il coraggio di metterli quei pantaloni, così mi misi solo la camicia e presi dall’armadio candido due asciugamani della stessa tinta e un laccio per i capelli che quello che indossavo era all’estremo delle forze.

Uscendo, incontrai Seifer che passeggiava con le mani dietro la schiena e la mente altrove che, incontrandomi, sembrò ripiombare alla realtà «che bella sorpresa, signor McBrie, dormito bene?» chiese cortese, fermandosi senza però slacciare le mani da dietro la schiena «si» risposi semplicemente per tagliare il discorso sul nascere «bene, vedo che ha accettato il piccolo regale dono che le ho fatto ed ho indovinato la misura a quanto pare» disse ancora il padrone di casa, squadrandomi attentamente «e anche la cucina non è affatto male, ora andrei fino alla sauna per poter rilassarmi un attimo» dissi senza un valido motivo; le parole mi erano uscite di bocca, porca merda io non volevo farmi trovare da nessuno a parte Sabina e io che faccio? Lo vado a dire a questo damerino « se vuole rilassarsi la prego di seguirmi, penso di avere il posto che fa per lei» disse Seifer, allungando un braccio verso il corridoio da dove era venuto. Decisi di seguirlo, in fondo conosceva la casa meglio di me (se ci abitava, per forza)e camminammo, perdendo la cognizione del tempo...questa casa è davvero enorme...pensai e vidi da fuori una finestra, il paesaggio già buio dava una sensazione spettrale di un cubetto di ghiaccio che scivola lungo l’esofago per poi bloccarsi prima dello stomaco.

Nel cielo la figura pallida della luna quasi piena veniva nascosta da pesanti nuvole grigie; quando passai davanti ad un raggio lunare non del tutto nascosto dalle nubi mi senti male, come mille coltelli piantati nelle tempie e nella spina dorsale.

Un dolore improvviso, che passò in un attimo com’era venuto e fu un miracolo che il mio corpo rimase in piedi.

Come un corvo sulla finestra di un malato, sentii la paura crescere dentro e non riuscivo a trovare il motivo di quello spavento.

Poi, la paura aumentò, quando, scendendo un paio di scalette, mi ritrovai in una cantina buia.

Seifer accese un paio di torce e me ne porse una, facendomi segno di stare attento poiché avrei trovato più topi che gatti in quel posto «molto rassicurante» dissi ironicamente e lo seguii con passo pesante e annoiato, dove diavolo mi stava portando?

Alla mia destra c’era un portone di legno e piccoli intarsi d’oro che Seifer aprì senza accorgersi molto del fetore che venne, quando si furono schiuse...odore di morte, questo mi sembrava e non potevo sbagliarmi, lo conoscevo molto bene «Dove stiamo andando? » chiesi finalmente, ingoiando il nodo che mi opprimeva la gola «le mie terme private sono nei sotterranei della casa, l’acqua viene direttamente dal sottoruolo, già calda e così ho voluto portarla qui» mentì il vampiro, senza girarsi per nascondere i canini che stavano scendendo dal desiderio di mordere il collo del cliente...che bello un altro banchetto!

Seifer arrivò davanti ad un enorme piatto d’oro contenete dell’olio che accese con la torcia che poi spense. Io cercai d’imitarlo, ma non ce n’erano altri in tutta la stanza.

Le terme erano costituite da due piscine, di solito di acqua fredda e calda, a dipendere da cosa si voleva « prego, può scegliere la vasca che più preferisce, se vuole un consiglio però, io sceglierei quella sulla destra, l’ho riempita di olio come mi avevano raccomandato le tre che l’hanno come dire portata in vita, fa rilassare i muscoli e li rinvigorisce al tempo stesso» disse il damerino, stando controluce cosicché io non potei che vedere la sua sagoma e nient’altro.

Seguii i consigli, un po’ riluttante sulle prime, ma quando la mia pelle accaldata sfiorò la superficie del liquido freddo, cominciai a pensare che, dopotutto, non dovesse essere così male il carattere del ragazzo. Dalla mattina in poi non aveva più guardato Sabina, per mia fortuna.

M’immersi fino al petto con un lieve mugolio di piacere...sentire l’olio infilarsi in ogni crepa della ferita mi dava uno strano sollievo misto al bruciante dolore che normalmente era presente.

Appoggiai la schiena al bordo della piscina e mi rilassai, parlando sommessamente al padrone di casa che non aveva accennato a scansarsi dal buio che lo circondava «lo sai...? Non sei poi così male una volta fatta conoscenza...pensavo fossi solo un damerino donnaiolo da quattro soldi» dissi allargando un debole sorriso che si perse nel piacere che provavo in quella vasca «non conosci nemmeno la metà di me» disse Seifer, avvicinandosi, mentre i denti gli crescevano sempre più avidi e assetati di sangue.

Subito non capii il senso di quella risposta, rimasi solo zitto a fissare la luce della luna che ora mi sfiorava appena...sentivo un lieve formicolio nella parte colpita dalla luce.

All’improvviso sentii un dolore incredibile alla base del collo e tutte le energie cominciare a scemare, come se mi fossero risucchiate.

Girai la testa quanto potei e vidi Seifer con il volto arricciato in una smorfia di felice malignità mentre i suoi canini mi stavano lacerando la carne, in cerca dell’arteria.

Rimasi pietrificato da quella vista orripilante...un vampiro...ma i vampiri non esistono! La luce della luna m’investì del suo chiarore e un altro dolore si aggiunse a quello sul collo.

Inarcai la schiena e aprii la bocca in urlo muto che si trasformò in un lungo e potente ululato.

Le ossa mi scricchiolavano e la cassa toracica s’ingrandì come le spalle, la schiena, le braccia, le gambe, le cosce, i piedi, la testa.

Tutto pareva in subbuglio e le ossa sembravano impazzite all’interno del mio corpo.

Il vampiro si scansò dal mio corpo in muta «finalmente, il sangue di un lupo scorrerà nella mia gola, e una nuova razza nascerà. lupo, né vampiro, una creatura superiore alle altre» disse e accese il resto delle lampade affinché io mi vedessi completamente: un lungo e fitto pelo nero mi ricopriva interamente, un paio d’orecchie dritte sovrastavano la mia testa allungata in un muso canino e le mani erano diventate grosse zampe dai lunghi artigli.

Il mio petto si alzava e si abbassava velocemente, mentre la vista mi si oscurava per poi aumentare improvvisamente di grado «lo senti quest’odore? » chiese Seifer mentre teneva tra le mani la carcassa di un’animale e il sangue colava lento sul pavimento formando già larghe pozze scure.

L’odore del sangue mi pervase le narici e incominciai a fiutare l’aria, ormai non ero più me stesso.

Con un possente ringhio mi gettai sulla carcassa e iniziando a sbranarla mentre Seifer si avvicinava a me per mordermi un’altra volta il collo.

Senza preavviso lo sbalzai via con una potente artigliata al petto e il vampiro cadde a terra, tenendosi la ferita sul torace, dalla quale sgorgavano miriadi di goccioline di sangue nero «fai il difficile eh? » sussurrò Seifer, prendendo da sotto il mantello che portava una lunga pistola, forse una Colt, e mirando alla mia spalla.

Sparò una pallottola d’argento che mi colpì senza troppi complimenti.

Caddi a terra con un guaito, il muso contratto in una smorfia di dolore, mentre la lingua penzoloni di lato alle fauci aperte si muoveva velocemente al ritmo del mio cuore «l’argento che ti scorre nelle vene è prezioso, ti ha donato la vita, ma può anche ucciderti se ti somministrassi una certa dose in più di quello che tu, misero animale potresti sopportare» disse il vampiro, mettendo a posto la pistola e chinandosi davanti ai miei occhi spalancati e vuoti «a quanto pare ci sono arrivato vicino...brutto cattivo Seifer» disse, dandosi dei buffetti sulla guancia e io mi mossi appena verso la sua gamba per morderla ma ricevetti un potente calcio che mi fece guaire ancora «lo sapevo che non ti saresti arreso subito, stupido animale» mi disse il vampiro ridendo di gusto e sparando ancora alla mia coscia e gemetti di dolore «vediamo se impari a ribellarti...vieni pure!» urlò alle sue spalle e dal buio spuntò Erik; era molto pallido e i suoi occhi luccicavano vermigli «Erik...Aiutami...!» annaspai, mentre sentivo la saliva iniziare a schiumare nella gola «credi che io sia il sempre e solito ubbidiente?» mi disse mio fratello facendo no con un dito mentre posava l’altra mano su un fianco «i tempi cambiano» finì Seifer, passandosi la lingua sulle labbra gustando il sangue che vi era ancora sopra.

Erik in un balzo mi fu addosso, rinchiudendomi nel guscio delle sue ali che spuntavano dalla schiena; Seifer si unì ringhiando e soffiando, mentre potevo sentire da entrambe le parti del collo, i quattro denti penetrarmi la carne e raggiungere le vene preziose.

«ERIK!!» il mio ululato si perse nella cantina rimbombando sulle pareti di pietra.

Poco a poco, il lamento si affievolì, morendo lentamente nella mia gola e tra i denti dei due vampiri che succhiavano avidi.

Come di colpo sentì le forze tornare per un attimo,così morsi i due vampiri ad una gamba e ad un braccio per poi scappare dalla finestrella da dove spuntava la luce lunare, tanto cara per me ormai.

Corsi per i prati poggiando tutti e quattro gli arti a terra e raggiunsi un boschetto arrampicato su una collina dove le fronde degli alberi arrivavano quasi a terra, ottimo nascondiglio per ora.

La vista mi si stava indebolendo troppo e la terra girava vorticosamente sotto i miei piedi...crollai a terra, mentre la schiuma prendeva a scendere dalla bocca, bagnando il terreno del suo colorito argenteo. I tremiti convulsi del mio corpo si fermarono solo molto tempo dopo.

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Seifer scorreva i cieli per cercare di trovare quel dannato lupo; era così vicino alla messa in opera della maledizione che non si sarebbe certo fermato adesso.

Erik era dietro di lui, lo sguardo basso e pensieroso, e volava più ad alta quota.

Le sue due parti duellavano con gran forza: la parte buona, che gli urlava di aver tradito il fratello e la parte malvagia di lui, continuava a ribadire il contrario, che aveva fatto bene, che ora aveva la vita eterna.

La vita eterna però che senso ha se non si hanno amici né parenti? Non era una vita, era un inferno.

Sotto di lui, all’improvviso, vide luccicare qualcosa alla luce della luna.

Silenziosamente scese a terra e s’inginocchiò di fronte ad una larga pozza di sangue argenteo «hai trovato qualcosa? » urlò Seifer dall’alto, facendo larghi circoli sopra di lui «niente d’importante» rispose Erik, nascondendo la voce fasulla che tentava di uscire «allora proseguiamo, abbiamo tempo fino all’alba per ritrovarlo» urlò Seifer e riprese la marcia.

Erik lo guardò andare via; prima però, rimase stranamente attratto da un boschetto in cima alla collina che padroneggiava alla sua destra...le macchie portavano lì...il vampiro si avvicinò e scorse un lembo di pelliccia nera come l’oscurità che padroneggiava la notte, mentre leggeri fasci di luce lunare illuminavano la pelliccia sporca di sangue.

Quasi automaticamente Erik avvicinò una mano artigliata alla pelliccia e l’accarezzò lievemente...fredda come il ghiaccio che regnava ora nel suo cuore e quest’ultimo ebbe un minimo di battito, prima di tornare una pietra nel petto.

Chiamò Seifer col pensiero dicendo di aver trovato l’obbiettivo e che se non si fosse sbrigato lo avrebbero perso definitivamente.

Il vampiro più anziano arrivò subito e rise alla vista del lupo in fin di vita «buon lavoro Erik, ti meriti una buona parte di ricompensa» disse Seifer dando dei colpi sulla spalla del ragazzo ed esso sembrò rabbrividire a quel pensiero.

Si era reso conto di tutto il male che stava facendo al fratello, quando questi aveva urlato il suo nome e di come lo aveva guardato supplichevole...i vampiri ci sono anche buoni...giusto?

Questo pensiero però fu surclassato da uno più malvagio e avido, lo stesso che gli aveva annebbiato la mente, quando aveva affondato i canini nel collo del fratello.

Con un po’ di fatica, portarono via il corpo del lupo quasi morto in volo, attraversando i campi che esso aveva tinto di sangue e che ora la luna faceva risplendere.

Inconsciamente Erik stava guardando i morsi sul collo del lupo e si sentiva colpevole e al contempo appagato del sangue che ora scorreva sebbene lento nelle sue vene.

L’argento, per i vampiri, è come una ventilata di vita, rende invincibili alle tradizionali armi come paletti di frassino nel cuore e acqua benedetta, e gli unici animali che ne possiedono nelle loro viscere sono gli unicorni e i lupi mannari.

I primi sono troppo schivi e veloci persino per le ali di un vampiro, ma assolutamente meno pericolosi e feroci dei lupi mannari che però possono essere comodamente abbattuti durante la trasformazione, l’essere né lupo né uomo non possiede alcuna difesa e quindi, con un paio di buoni morsi è possibile ucciderlo.

Il fratello però sembrava esser più forte di quanto Erik avrebbe previsto. Lo avevano morso sia lui sia Seifer in contemporanea, mentre era sotto l’effetto dell’overdose che il vampiro biondo gli aveva iniettato sparandogli.

Ma ora che era crollato finalmente potevano prelevare il prezioso argento e poter continuar a vivere senza la paura dei forconi, paletti e acqua benedetta...e finalmente uscire alla luce del sole per un determinato periodo senza diventare cenere...questi erano i pensieri del vampiro biondo che volava tenendo il lupo con gli artigli che penetravano pelliccia e carne, non voleva lasciarselo scappare.

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Sabina stava stesa sul suo letto a baldacchino color del mare e si crogiolava nel calore che le coperte donavano...le piaceva da impazzire quel posto.

E soprattutto quel ragazzo...Seifer, il padrone della casa.

Era molto cordiale certo, ma le dava una certa scossa dentro che...brrr!...le metteva i brividi di freddo come un cubetto di ghiaccio nello stomaco.

Ma poi ripensava a Daniel, a quello che aveva passato per lei e quello che soffriva ancora per lei, sicuramente tanta gelosia e tanto dolore per le ferite che gli stavano procurando al cuore...

Stava pensando così, quando sentì un rumore provenire da fuori, come un verso di qualche animale...un ululato.

Scese dal letto e si diresse verso la finestra: da un lato nascosto della casa spuntò un’enorme ombra nera che corse via verso i prati vasti che circondavano la villa; dietro di se lasciava una serie di macchie che luccicavano sotto la luce della luna.

Sembrava un lupo da quanto poteva vedere e anche piuttosto grosso.

Decise di andare a controllare se non fosse scappato dallo ‘‘zoo’‘ del padrone così si mise un maglione di lana più pesante sopra il top e infilò un paio di pantaloni di fustagno scaldati accanto al camino acceso.

Uscì dalla camera chiudendo piano la porta e scese gli scalini che portavano alla hall della casa.

Sopra di lei sentì un altro rumore, un ringhio che si espanse per tutta la villa accompagnata da un forte battito d’ali.

Che notte strana, doveva assolutamente controllare che stesse succedendo.

Uscì dal portone e vide due figure volare sopra la casa per poi dirigersi nella stessa direzione del lupo di poco prima. Sparirono nella luce lunare.

Sabina prese a camminare verso un’altura dove aveva notato che i due esseri volanti si erano soffermati, volando in cerchio sopra di essa.

Sulla cima della collinetta stava un boschetto che movimentava la superficie altrimenti liscia del colle.

I due grossi volatili ripartirono verso la casa trasportando qualcosa di grosso. Dovevano aver trovato il lupo che era scappato. Il problema era perché era scappato...e chi o cosa lo stava riportando indietro?

I due esseri atterrarono leggiadri nonostante il peso dell’animale sul tetto della villa alle sue spalle e sparirono.

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Mi svegliai a stento.

Sentivo la testa pulsare minacciosamente e credetti di perdere i sensi nuovamente da un momento all’altro.

Non mi sentivo più le braccia e le gambe, ero solo un busto indolenzito di un lupo mannaro.

Aprii debolmente gli occhi e vidi di essere incatenato ad un macchinario strano, le cui cinture mi cingevano le gambe per le cosce e le caviglie, gli avambracci, i polsi e lo stomaco.

Ero finalmente in forma umana, forse la mancanza di sensi mi aveva fatto tornare normale.

Davanti a me si ergeva Seifer, la sua forma di vampiro mostrata con orgoglio, ed Erik, anche lui nella forma vampira, ma più indietro, come se non volesse farsi vedere.

In un moto di rabbia, mi dibattei dai legami che mi bloccavano e urlai verso Erik, che alle mie parole si rattristò «TRADITORE! COME HAI POTUTO! SIAMO FRATELLI! » furono le parole che però mi morirono in gola quando vidi Seifer scattare verso di lui e trafiggerlo con gli artigli nel petto «hai ragione, è un traditore...allora, per tutto questo tempo avrebbe potuto tradire anche me, meglio eliminare le mele marce dal cesto» disse Seifer sorridendo maligno mentre il ragazzo si afflosciava, finendo a terra in un lago di sangue nero «bella la vita vero?» mi chiese Seifer, tornando verso di me e leccandosi gli artigli sporchi di sangue «MALEDETTO!» urlai, anche se sapevo che nulla avrei potuto fare.

Se Erik era morto, Sabina dov’era? Era da tanto che non la vedevo...se le fosse successo qualcosa? Non mi sarei perdonato per quanta vita avrei potuto avere; un secondo o cento anni che fossero.

Seifer mi lesse quasi il pensiero e rise «la ragazza sta bene, per ora...lo sai che pregusto già il tuo adorato fluido vitale chiamato volgarmente sangue? Sono secoli che non n’assaggio una goccia come si deve... » disse Seifer, avvicinandosi a me e mi tolse una cinghia dal braccio.

Un dolore lancinante mi colpì e vidi che, attaccato alla cintura, stava un lungo e cilindrico coltello, affilato come un rasoio, che mi aveva trapassato il braccio da parte a parte.

Seifer appoggiò le labbra e bevve il mio sangue, leccando le goccioline che gli scappavano di tanto in tanto.

Le forze stavano scemando e mi ritrovai con la testa ciondoloni sul petto, le braccia allargate in quella morsa che mi trapassava i muscoli, come crocifisso, mentre Seifer continuava a cibarsi del mio sangue.

All’improvviso si alzò e mi guardò maligno «vedo che ti stai arrendendo...perfetto» disse e mi alzò la testa con due artigli posati sotto il mento.

Lo guardai con gli occhi quasi socchiusi, uno sguardo arrendevole di chi è convinto che gli è stato tolto tutto.

Seifer s’impossessò delle mie labbra tanto rudemente e fortemente che li per lì mi svegliai da quello stato di trance e cercai di ribellarmi, ma la mancanza di sangue mi aveva tolto ogni forza e così dovetti subire un’altra tortura di quel maledetto essere.

Sentire i suoi denti mordermi le labbra mi faceva venire la nausea e il sapore metallico del mio stesso sangue mi faceva venire i capogiri.

Seifer mi graffiò il collo e iniziò a mordere in quel punto, come un segno che tutto era ancora iniziato.

Ero allo stremo, non potevo resistere più di tanto tempo in quello stato, e fu una voce familiare che già una volta mi aveva salvato il culo, nella cella del carcere.

Sabina era spuntata da una scala a chiocciola dietro al macchinario e stava appoggiata all’entrata, mentre guardava tutto il laboratorio del vampiro «SABINA! SCAPPA è UNA TRA...» gridai, ma Seifer si avventò ancora sulle mie labbra già martoriate per farmi tacere; inoltre, il rumore elettrico che regnava nel laboratorio non aveva permesso alla ragazza di sentire le mie parole.

La vidi riflessa in uno specchio di lato a me avvicinarsi cauta al macchinario per l’estrazione del sangue.

Al contempo, sentii Erik rantolare dal suo angolo, morente, mentre cercava di alzarsi e avvicinarsi a Seifer.

Il vampiro biondo se n’accorse e si girò, dando un’altra artigliata a mio fratello che volò parecchi metri più in là, addosso ad un tavolo pieno d’ampolle.

Sabina sobbalzò all’improvvisa comparsa del ragazzo e si avvicinò veloce a controllare come stava.

Cinque profondi tagli interrompevano il suo petto da dove sgorgava lento del sangue nero come la pece «Sabi...na» rantolò, alzandosi a stento e tenendosi il petto «vai...via» disse ancora e Seifer si avvicinò ai due «ma che bella coppietta» disse.

Si scagliò verso la ragazza, che, però fu riparata da Erik ed entrambi i vampiri caddero a terra, dandosi pugni e potenti artigliate.

Seifer non credeva che potesse essere ancora vivo...gli aveva trapassato il petto, aveva potuto sentire l’aria dall’altra parte del suo corpo che sfiorava gli artigli bagnati di sangue...e allora come...?

Mio fratello si staccò dallo scontro è volò verso l’ampio soffitto e si appese a testa in giù per riprendere fiato «scendi giù» disse Seifer, tenendosi una ferita, dolorosa, sebbene leggera, al braccio «non avrai mica paura...vero? » disse ancora, e si voltò verso Sabina, che si era diretta verso il macchinario dove ero prigioniero e cercando una qualsiasi leva per liberarmi.

Sentii Seifer soffiare come un gatto, mentre si alzava in volo verso me e la ragazza, prontamente attaccato da Erik che gli piombò alle spalle e facendolo sbattere a terra.

Altri graffi si formarono su entrambi; Seifer però si liberò dalla stretta che l’altro vampiro gli pressava attorno al collo e si diresse il più velocemente possibile verso Sabina, ancora concentrata attorno alla macchina.

Erik lo inseguì e fu tutto questione di un istante.

...

Seifer caricò una potente magia che, se fosse stata scaglia contro la ragazza, l’avrebbe spazzata via.

Erik era a pochi centimetri dal raggiungerlo, ma bloccarlo non avrebbe di certo fermato la magia.

Il vampiro biondo scagliò la magia.

I lampi violetti quasi accecavano e le scariche elettriche lambivano lo spazio attorno alla ragazza.

Erik aumentò bruscamente la velocità tanto da giungere a Sabina appena in tempo per attutire il colpo della magia.

Il potere di essa sembrò quasi venir filtrata dal corpo di mio fratello che ora la teneva stretta a terra, mentre Erik urlava di dolore sentendo un tremendo calore trapassargli la schiena.

Dopo quello schianto che illuminò tutta la torre, il buio tornò sovrano e Erik si accasciò di lato, fumante e senza forze.

Temetti veramente per la sua vita in quel momento.

Sabina stava bene, non aveva ricevuto alcun danno dalla magia, anzi, sembrava averne tratto vantaggio.

D’improvviso le spuntò da dietro la schiena una lunga e sinuosa coda affusolata che terminava in una leggera punta triangolare, un paio di corna le spuntò tra i capelli e delle ali strapparono la maglia, facendo intravedere la pelle color delle ombre.

Gli occhi si scurirono come quelli di uno squalo e degli artigli affilati presero il posto delle mani.

In quel momento, non sembrava spaventata dalla trasformazione e non degnò di uno sguardo né me né Erik, steso a terra.

Si diresse solo verso il vampiro biondo che cominciò a soffiare inviperito «come hai fatto, brutta puttana!» urlò Seifer, caricando un’altra magia verso la ragazza.

La magia, arrivata appena poco prima del corpo di Sabina, si disintegrò, lasciando nell’aria solo delle leggere e allegre scintille «che cazzo...?» mormorò seifer, ora spaventato dalla potenza che inconsciamente aveva trasmesso alla ragazza.

I due cominciarono a combattere con la seguente perdita di Seifer, che volò su per tutta la torre, cercando di fuggire alla demone, con molte profonde ferite e scomparve, senza però mancare uno sguardo glaciale verso i tre che avevano osato resistergli.

Sabina, dopo aver seguito non per molto il vampiro, era discesa a terra e aveva grattato gli artigli su un muro per affilarli di più «S...Sa...bin...a...» sussurrai appena con la lingua impastata del mio stesso sangue che quel dannato vampiro mi aveva fatto assaggiare «come osi rivolgerti a me in quel modo, stupido animale...» Mi disse la ragazza che amavo, con voce dura e tagliente «m.....ma...?» dissi ancora in un filo di voce e ricevetti una profonda unghiata che mi fece sputare sangue e che mi scavò il viso come la mia vecchia cicatrice aveva fatto una volta «TACI! Chi ti ha chiesto di parlare? » disse la demone incrociando le braccia sul petto e guardandomi con quegli occhi neri come il carbone «Sa....by....ti...preg...o....non...mi...rico...nos...ci? » dissi a stento, mentre il dolore alla mandibola si faceva sempre più grande e il silenzio di lei mi parlò «S....a....by.....? » dissi ancora e non mi accorsi che delle lacrime si mischiarono al sangue che mi colava sul petto «Sa...b...y...ti....pr...ego....!.....n-non....pu...oi....dim...ent....ic...re..» annaspai e ricevetti un’altra artigliata...e ancora...e ancora...sul petto, sulle braccia, sulle gambe, ovunque il suo sguardo capitasse lei colpiva «se quel vampiro ti ha ridotto così dev’esserci un motivo» disse e mi prese rudemente il viso tra due artigli, stano attenta però a non graffiarmi «che hai di così importante, eh? » mi domandò, ma io non risposi, appoggiai solo il volto contro il palmo aperto della sua mano e chiusi gli occhi.

Una luce strana avvolse la ragazza, mentre si allontanava stupita: stava tornando umana.

Una volta finito l’incantesimo, la ragazza si guardò in giro spaesata, ma appena vide me, lanciò un piccolo urlo e si diresse verso di me con sguardo spaventato.

Forse, vedermi legato ad un macchinario per estrarre sangue come se mi avessero appeso ad una croce e grondante di sangue, era una vista abbastanza scioccante.

Mi accarezzò una guancia e vide il sangue ricadere sulla sua mano già sporca.

Un improvviso rumore di vapore interruppe i pensieri della ragazza e vide Erik accanto ad una leva nascosta dietro una miriade di tubi.

Caddi a terra, sentendo la forza di gravità attirarmi verso il pavimento e il mio sangue argentato si sparse su di esso.

...

Sabina era pietrificata sul posto, mentre Erik cercava di rimanere in piedi appoggiandosi alla leva e alla parete vicino a lui «D-Daniel...? » mormorò Sabina, avvicinandosi al ragazzo lentamente «Daniel? » disse più sicura allungando una mano verso il bandito «DANIEL! » urlò la ragazza e si gettò sul ragazzo afferrandolo per le spalle «DANIEL! DANIEL RISPONDI! DANNAZIONE APRI GLI OCCHI! » urlò ancora scrollando le spalle del bandito che alzò appena il capo, per poi abbandonarlo contro la fredda pietra del pavimento «Ti...prego...non url...are....» mugugnò, aprendo debolmente gli occhi per guardare la ragazza; con gli occhi appannati poteva ancora vedere la parte demoniaca di Sabina «MALEDIZIONE A TE!...ho avuto paura che fossi morto...un’altra volta» disse piano Sabina, abbracciando il bandito senza forze per rispondere «scu....sa....» rispose, alzando una mano per posarla sulla schiena curva della ragazza «ero...un...po’...sta...nco....» disse ancora, stringendo appena la presa sulla schiena di Sabina «D-Dan? » balbettò Erik dal suo angolo «mi...dispiace...di...averti....coin...volto....» rantolò Daniel, girando la testa appena verso la direzione del fratello «come ti senti? Cioè...non ti senti un tantino...strano? » chiese il ragazzo più giovane osservando le profonde ferite che il bandito aveva nelle braccia e nelle gambe, nei polsi, nelle caviglie e nell’addome «no...solo...u..n...formicolio...» rispose Daniel, cercando di alzarsi ma senza successo, ricadendo tra le braccia della ragazza che lo teneva «oh, mio Dio! Daniel! » urlò improvvisamente, quando vide la luce della luna picchiare contro i fori che la ragazza non aveva ancora visto «Ti pre...go....Saby...allontanati....» supplicò all’improvviso Daniel, mentre sentiva la trasformazione farsi strada attraverso le sue viscere.

Sabina non gli diede retta, anzi, si strinse ancora di più al suo petto sentendo il sangue bagnare il suo petto; il fitto e ispido pelo nero cominciò a crescere per ricoprire tutto il ragazzo, un muso lupino prese il posto del viso e delle piccole e puntute orecchie spuntarono sulla sua testa.

Al contempo, file d’affilatissimi denti crescevano nelle fauci del lupo mannaro che stava cercando di arrivare alla finestra trascinandosi come meglio poteva e poter completare la trasformazione «Sabina...» disse con voce roca il mezzo lupo, guardando la ragazza «ti...prego...allontanati!» continuò e si alzò faticosamente in piedi, mentre dai polpacci zampillò altro sangue.

Erik si lanciò fulmineo verso il fratello e lo bloccò a terra impedendogli di arrivare alla bramata luce della luna «ERIK! LASCIAMI» ululò il mezzo lupo e cercò di alzarsi ricevendo un potente graffio da parte del vampiro «nemmeno per sogno fratello, devi ritornare normale almeno tu» disse Erik che schiacciò giù il lupo mannaro sul pavimento macchiato di sangue.

Sabina diede una mano a Erik e prese il muso di Daniel tra le mani facendosi guardare dagli occhi blu del lupo...i pensieri di Sabina vagarono indietro nel tempo.

Tanta sofferenza in quegli occhi color degli abissi l’aveva vista solo quando, nella cella del carcere, l’aveva rifiutata, anche se quel sentimento era nascosto sotto tanto orgoglio.

Daniel si stava dibattendo disperatamente e ringhiava, ululava, guaiva (insomma stavo soffrendo come un cane NdDan T_T) in un altrettanto disperato tentativo di raggiungere la luce lunare che ora stava lentamente svanendo mentre la luna calava oltre le colline per lasciare il posto al sole suo fratello «ERIK!...Ti...prego...lasciami...LASCIAMI» urlò ancora Daniel abbandonandosi però contro il freddo pavimento, ormai privo di forza.

Sentiva il corpo diventare sempre più pesante e senza energie, sentiva il sordo dolore diventare simile a mille punte di mille coltelli affilati come rasoi in tutto il corpo «Sa....BY........» disse in un ultimo tentativo, poi, si lasciò cadere a terra, steso su un fianco.

Il pelo, col calar della luna iniziò a scomparire sotto la pelle, la folta chioma nera ricomparve sommergendo le orecchie canine e il viso ritornò quello che Sabina adorava guardare.

Il sangue ritornò rosso, mischiandosi in giravolte e disegni astratti a quello argentato nelle pozze sul pavimento.

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Vagavo ancora una volta nel buio, vi confesserò, stavo iniziando a stufarmi.

Le mie orme erano color del sangue e spiccavano come se fossero fuoco...fuoco che ancora una volta mi aveva bruciato le ossa.

La mia forma di lupo era sparita, in confronto ero sicuramente messo male...

Le gambe mi tremavano per le profondissime ferite ai polpacci e alle caviglie e mi tremavano vergognosamente.

Camminavo curvo a causa del forte dolore alla schiena che sentivo, come un mattone sui polmoni, e per la pesantezza che le braccia ferite mi provocavano.

Gocciolavo sangue da ogni parte e ancora adesso potevo sentire distintamente il sapore metallico del liquido che mi aveva fatto assaggiare il vampiro in quel bacio disgustoso...lo sapevo che era un buliccione...BLEAH!

Ma ormai sono qui.

Ho perso la mia Sabina per colpa di quello stronzo e del suo maledettissimo incantesimo.

NON ERA Più LEI ACCIDENTI!...sento le sue ferite bruciare più di qualsiasi altra e da quelle non esce sangue ma solo dolore.

Il mio cuore ormai è a pezzi e mi manca la colla...non potrò più vederla...sono piombato nel buio quando sono stato liberato dalla macchina...non mi ricordo nemmeno più chi ha avuto tanto cuore...da liberare il sacco vuoto che sono diventato.

Laggiù c’è qualcosa...un vicolo...che sia uscito da questo buio?

...Sabina...Erik...siete tutti e due vivi? Dov’eravate finiti? Sabina amore che cosa hai da piangere? Sono qui e sto bene! Guarda, sto bene! Saby?...Hey ma che c’è da....

E vidi uno scenario tanto strano quanto macabro.

C’ero io, pochi metri dietro di me, attaccato da delle guardie armate fino ai denti.

L’altro me ricevette un forte calcio nello stomaco che lo fece crollare addosso ad una parete già macchiata di sangue.

Il mio sosia iniziò ad urlare ai due di scappare, che si sarebbero rivisti al Quartier Generale, che sarebbe tornato intero, e mentre diceva tutto ciò una lancia acuminata gli trafiggeva il ventre e Sabina crollò in ginocchio moltiplicando le lacrime «SABINA! CORRI! CORRETE! » continuava a dire il mio sosia e intanto un’altra lancia seguì la prima, strappando il ragazzo urla di dolore.

Crollò dopo aver ucciso altre cinque guardie, con il ventre squarciato e ancora le punte delle lance conficcate nella ferita.

Sabina corse verso il mio sosia ignorando le altre guardie che ora bramavano di colpirla con dei pesanti spadoni ricurvi «No! Saby ferma! » urlammo io e il sosia di mio fratello all’unisono e mi lanciai nella stessa direzione della ragazza, deciso a levarla da quella brutta situazione.

Il sosia di Erik era poco dietro di me ma venne ucciso nella corsa da due guardie che gli conficcarono le due sciabole in pieno petto.

Nel cadere, Erik si era fatto scappare dalla mano un rotolo di pergamena che le due guardie avevano raccolto, ridendo di gusto.

Non sapevo che fare.

Sottrarre il rotolo alle guardie o salvare la ragazza che amavo? Ovviamente preferii la seconda.

«SABINA! » urlai, ma era troppo tardi.

La ragazza si era gettata sul corpo del mio sosia e aveva estratto la lancia più lunga e iniziò a combattere, la vista offuscata dalle lacrime e dalla rabbia.

Li uccise tutti ottenendo dallo scontro solo pochi graffi ma tanto dolore.

«Saby...sono qui...non mi vedi? » dissi sommessamente, scavalcando i cadaveri che intralciavano il mio passaggio ‘Dan...perchè non sei scappato...perchè ti sacrifichi sempre per noi? Perché...perchè amore mio, perché!’‘ aveva detto Sabina, stringendo a sé il corpo del ragazzo bagnando di lacrime l’incavo del collo del mio sosia «Saby...perchè io ti amo ecco perché...>»non dovevi...mi hai lasciata sola adesso...e come farò io senza di te? Non puoi...non puoi lasciarmi così....non senza aver combattuto...tu non ti arrendi mai...NON TI ARRENDI MAI!.........ti prego...’‘.

Il silenzio ora regnava sovrano, solo il rumore delle lacrime di Sabina interrompeva quest’assenza di rumori.

Mi avvicinai piano alla ragazza e m’inginocchiai vicino a lei «Saby...io non mi sono arreso...sono qui girati» dissi disperato, ma la ragazza continuava ad abbracciare il cadavere del mio sosia.

Mi avvicinai e abbracciai Sabina per le spalle, stringendola a me; il mio corpo cambiò colore e le mie braccia attraversarono il corpo della ragazza.

Un lampo e mi ritrovai al posto del mio sosia steso a terra.

Cercai di muovermi, ma mi sembrava di avere le mani e i piedi legati «Saby...» rantolai e la ragazza si tirò su; aveva gli occhi gonfi e arrossati dal pianto «Saby......non piangere....ti prego...mi fai...diventare triste» continuai e la ragazza triplicò le lacrime, stringendomi ancora di più a sé.

Dopo tanto poter sentire il calore del suo corpo contro il mio rilassava i muscoli tesi dal dolore ‘‘STUPIDO!...stupido...mi hai fatta preoccupare!...stupido...stupido...’‘  «io....ti ritorno...ancora in....vita e tu...mi dai....dello...stupido?!.....grazie...amore....» ‘‘ho avuto tanta paura...tutto il sangue...non respiravi....e...e...Daniel!’‘

Non riuscivo a stare sveglio...le palpebre si chiudevano da sole e i muscoli diventavano deboli ‘‘DANIEL! NO DANIEL! TI PREGO!’‘ sentii urlare Sabina, sempre più lontana...Daniel....Daniel....svegliati Daniel!....Ti prego....apri gli occhi!.....niel!....................

Trovai la forza per aprire gli occhi e vidi solo blu.

Il colore era ovunque e quegli oggetti di differente colore erano sfocati a tal punto da non riconoscerli......Daniel......Daniel!......svegliati Daniel!....Ti scongiuro....apri i tuoi splendidi occhi....Daniel!

La voce era più vicina di quanto pensassi.

Girai la testa abbandonandola sul cuscino dov’era posata e vidi il viso sfocato di Sabina, che mi chiamava....mi chiamava....mi chiamava.....«Stronzo! Mi hai fatto preoccupare! Sei un bastardo, figlio di puttana, fottutissimo pezzo di merda!» aveva detto tutta la bellissima e colorita sfilza d’insulti stringendomi il petto e facendomi affondare nel materasso del letto a baldacchino.

Sentii le sue lacrime bagnarmi il petto nudo poiché la maglietta era stata buttata in un angolo tutta a brandelli...e così per i pantaloni....ero in slip! O//////O...«S...Saby....che.......succede?.....» domandai non poco confuso e lei mi stinse se possibile ancora di più «stavo per perderti...ancora» disse sommessamente «c-cosa......? n-non.....mi....ricordo» annaspai e vidi Erik avvicinarsi.

Le ali aperte e i canini scoperti grondanti di sangue mi spaventarono a tal punto da farmi scattare indietro nel letto «Dan....io...» cercò di scusarsi.

Lo avvertivo, era profondamente mortificato per quello che era accaduto «non....fa....niente....basta.....che mi...fai una....trasfusione....ne ho estremo........bisogno» rantolai, dopodichè caddi in un profondo sonno senza sogni, sul petto il lieve calore della mano di Sabina che riusciva a scaldarmi il cuore anche nelle giornate del più freddo inverno.

........

Potevo sentire il lento respirare di mio fratello addormentato sul letto...potevo vedere Sabina addormentata accanto a Daniel appoggiando la testa sul suo petto.

E io passeggiavo avanti e indietro sul soffitto. Le ali sottili richiuse sulla schiena e lo sguardo perso nel nulla...lo avevo sentito mugugnare qualcosa nel sonno per poi posare una mano sulla testa di Sabina, accarezzandola lentamente «non ti va...il sangue alla...testa? » mi domandò in un filo di voce senza spostarsi di un millimetro...doveva proprio essere a pezzi. Risi. «sono un vampiro, mi fa solo bene il sangue al cervello» dissi scendendo con una capriola e atterrando con un lieve fruscio «tu invece, che effetto fa essere un canino? » dissi ridendo ancora ma smisi vedendo lo sguardo triste di mio fratello «doloroso...>» mi disse spostando appena la testa «come fai a...prender...la con...tutta quella...calma? » mi chiese, senza guardarmi e smettendo di accarezzare la ragazza che nel sonno fece un leggero gemito di dissenso.

Non riuscii a rispondere...potevo solo vedere le immagini di Daniel ferito, ucciso e quant’altro.

Povero Cristo, qualunque cosa faceva rischiava la pelle...e la maggior parte delle volte per me.

La cicatrice l’aveva per colpa mia, durante la fuga dal carcere mi aveva dato i pugnali per scendere il muro, mentre lui aveva rischiato di spiattellarsi a terra, ero io il più vicino a Sabina quando Contan aveva tirato il coltello e ora lo avevo pure tradito per quel Seifer. Mi meritavo un trattamento alla stregua di uno schiavo e perché allora quell’imbecille continuava sempre a perdonarmi? «perché ti ostini a perdonarmi? Ti ho in pratica ucciso giù nelle cantine! E quando sei caduto dal carcere è stato per colpa mia! E ogni donna della città ti verrebbe dietro se non fosse per quella cicatrice, se non avessi tanto...» dissi cominciando a camminare avanti e indietro gesticolando, ma mio fratello mi bloccò con un gesto della mano «ma sono ancora vivo. Non mi interessa quante donne potevo avere senza cicatrice, se ero senza una famiglia...e poi, una ragazza l’ho trovata e ne vale mille di quelle là fuori. E grazie a te è ancora viva; cosa credi che non abbia visto come tu l’abbia difesa in quel...posto...e come eri dannatamente risentito di quello che avevi fatto? Quindi smettila che mi stai facendo venire il mal di mare» mi disse, stringendo di più Sabina verso di lui mentre ricordava il suono straziante ma sordo di Erik che veniva ucciso nel sogno che aveva fatto prima di addormentarsi.

Gli sorrisi ringraziandolo di quella magnanimità che aveva sempre nei miei confronti.

All’improvviso però lo vidi sbiancare, mentre riposava la testa sul cuscino e si posava una mano stanca sugli occhi «che succede? Dan...? » chiesi avvicinandomi «Dan!» urlai ancora svegliando Sabina di soprassalto, non si era accorta della freddezza e della rigidità nel corpo di mio fratello...come faceva a non accorgersene? «Erik...che hai da urlare...lo sveglierai» mi ammonì e diede un leggero bacio sulle labbra di Daniel che si mosse nel sonno...il colorito della sua pelle era tornato normale...che era successo? «ma...ma...» «oh niente ma! Sarai un vampiro, ma hai bisogno di dormire e sarà dall’altro giorno che non ti dai pace quindi ora avanti, trovati una bara e fatti un sonnellino» mi disse scherzosamente Sabina prima di ritornare abbracciata a Daniel che la strinse leggermente nel profondo sonno, voltando la testa e poggiandola sul cuscino. Una ciocca di lisci capelli corvini come i miei scivolò davanti agli occhi chiusi e sereni.

Oddio stavo diventando pazzo...non gli avevo parlato fino a quel momento?

Le parole di coraggio che mi aveva detto Daniel me le ero immaginate? Ma sembrava tutto così reale...annuii alla ragazza e mi voltai verso l’altro letto che troneggiava nella stanza e mi ci buttai stancamente a pancia in giù sbuffando sonoramente.

Sentire la soffice superficie del materasso contro la pelle fredda anche attraverso i vestiti mi fece correre un brivido lungo la schiena, seguito da una profonda sonnolenza che mi colpì alla testa come un martellone stile cartone animato che mi fece crollare nel mondo dei sogni.

.......

Accidenti...accidenti...ACCIDENTI!

Maledizione a quel dannato vampiro traditore, e io ancora gli ho permesso di vivere...ma lo pagherà caro questo tradimento...e quella ragazza va eliminata, prima che scopra quel demone che c’è in lei.

Del lupo non mi preoccupo più di tanto...devo solo tener lontano i suoi denti dal mio collo...io naturalmente devo fare il contrario...ahahah...maledetti, la pagherete.

Mi avete costretto a rintanarmi in questo sudicio buco nella mia torre più alta, come se pregaste il vostro dio di portarmi via...ebbene no, sono ancora qui e non me n’andrò finché...AHI! accidenti a queste ferite, fanno un male porco.

Ma anche queste sono nel conto miei cari.

Ah, ecco il sole, tra poco è l’alba e allora sì che ci sarà da ridere...per me...ahahahah! Muori stupido dannato vampirello da quattro soldi...che tu possa non raggiungere nostro Padre Satana...ti auguro un buon purgatorio.

Intanto, mentre tu e la demone sarete agonizzanti sotto i brucianti raggi io potrò finalmente impossessarmi di quel dannato argento, sono maledettissimamente a corto di sangue dopo le ferite che quella troia mi ha inferto...ma mi rifarò.

.......

Credevo che la testa mi esplodesse.

Quando aprii gli occhi rividi la mia dolce cuccioletta addormentata accanto a me, un suo braccio appoggiato sul mio petto e la testa dalla mia spalla.

Sorrisi dolcemente, le diedi un leggero bacio a fior di labbra e mi alzai piano per non svegliarla.

Nel letto accanto al nostro dormiva Erik, un braccio ciondoloni fuori del materasso che sfiorava il pavimento e la faccia quasi immersa completamente nel cuscino.

Guardai dalla finestra e vidi un’alba appena accennata far capolino...cosa molto controproducente per mio fratello. Mi alzai a fatica e mi diressi verso la finestra per chiudere le tende...più il sole saliva più mi sentivo debole, come se mi fosse tolta l’aria poco alla volta.

Un grido venne dall’alto e dalla torre più alta della villa vidi un’ombra nascondersi dietro i muri del campanile, graffiando la campana, per poi sparire giù, immergendosi ancora una volta nelle viscere della casa.

Maledetto...era ancora....vivo.....

Mi sentii male...forse era meglio sedersi...ma....non c’erano sedie e il letto era leggermente lontano....forse troppo per poterlo raggiungere.

Chiusi gli occhi per ricacciare giù la nausea che mi serrava la bocca dello stomaco e il cuore d’argento iniziò a martellare più forte il petto.

Quella sensazione passò lentamente, mentre il sole faceva capolino...mi sbrigai a chiudere bene le tende e le persiane, cercando di creare il profondo buio vitale a mio fratello combinato così in questo modo...non mi accorsi del fruscio che venne dal corridoio dietro la porta chiusa a chiave...per fortuna...o forse no?

Il sibilo si fece più forte, come una spada che fendeva l’aria.

Mi girai verso la porta e la nausea ritornò con quasi il doppio della sua potenza...un conato mi minacciò ma rimandai giù tutto a forza: minuscole goccioline di sangue stavano uscendo dalla porta come se ne fosse stata impregnata e se ne stesse liberando.

Le piccole e innumerevoli striscioline che esse lasciavano sulla porta dipinta di candido raggiungevano il pavimento e lì formavano lentamente una larga pozza. Un grido lacerante. Mi girai e vidi le tende del letto di Erik fatte a brandelli sanguinanti e mio fratello con una sottile ma affilata spada conficcata nella schiena.

I suoi occhi tanto simili ai miei erano diventati opachi e due lacrime di sangue avevano scavato il viso cereo come una statua di marmo.

Il letto si stava inzuppando di sangue fino a traboccarne. Un altro fruscio, più forte e più vicino. Mi voltai ancora, con gli occhi che ne avevano abbastanza di quella visione e vidi un’ombra stamparsi sulla parete davanti a me. Un altro grido. Mi girai di scatto, con il cuore che stava già spezzandosi in infiniti pezzi piccoli come atomi solo a capire di chi fosse quel grido. Sabina. I capelli castani sparsi sul cuscino dove riposava, come raggi di un sole...spento...gli occhi aperti e fissi al soffitto...vuoti...la gola tagliata da una linea...netta, irrimediabilmente netta e da cui sgorgava il liquido color rubino che aveva fin troppo intriso il mio passato e i miei sogni. Alle mie spalle sentii un sibilo...un soffio felino e una rabbia pesante dentro di me «credi che tutto questo non accadrà prima o poi? » disse Seifer dietro di me «non t’illudere lupo...e quelli a finirli sarò io, ti lascio un posto in prima fila» mi disse ancora, e d’un tratto i corpi dei due scomparirono nel buio che ora mi circondava.

Sentire i polmoni non bisognosi di vitale aria del vampiro contro la mia schiena mentre cercava di trarmi in inganno e mordermi il collo mi fece ribollire di rabbia...ma «che ne sa un essere senza nemmeno un cuore come te? » dissi piano, mentre l’ira mi faceva bollire il sangue «anche io ho sofferto...come tu hai sofferto in passato, ma ci fai l’abitudine vero? » «io...>» cercai di dire, ma quella voce accusatoria mi penetrava nel cervello, annullando ogni tua difesa «si...tu ci hai fatto l’abitudine e la pratica è una cosa bella lo so io e lo sai tu.

Il dolore è una cosa passeggera Daniel, succede un momento, ma poi passa, indebolito dallo scorrere del tempo» mi disse allungando le braccia e stringendomi le spalle in un abbraccio per raggiungere la mia giugulare... «credi che il dolore passi veramente? Allora... » iniziai, stringendo i pugni dalla collera che stavo trattenendo e facendo diventare le nocche bianche come dei pezzi di gesso «si Dan...il dolore passa» mi affermò ed estroflesse i canini, pronto a mordermi «...mi perdonerai per questo» sussurrai quasi in un respiro, e mi girai di scatto.

Anche senza l’ausilio della luce lunare, mi trasformai di botto in lupo, i denti candidi vogliosi di sangue.

Morsi il vampiro alla gola, gettandolo a terra e sentendo il freddo sangue zampillare nella mia bocca e scorrere lungo la gola.

Seifer, sorpreso, soffiò come un gatto e tirò fuori gli artigli per conficcarmeli nel petto fino a raggiungere l’altra parte, ma non mi accorsi di nulla «muori Seifer...perchè nemmeno il Diavolo ti ha voluto per sé» dissi ringhiando contro la ferita aperta del vampiro che piano piano si stava indebolendo contro le mie zanne.

Un gemito e si afflosciò a terra, mentre gli artigli si sfilavano impotenti dal mio petto.

Però non scomparì...tutt’altro! Cominciò a trasformarsi: i canini ritornarono normali, le ali sparirono dalla sua schiena come soffiate via dal vento e gli occhi ritornarono gli smeraldi che avevano osato corteggiare Sabina...in mia presenza per giunta.

Seifer chiuse gli occhi e mi ritrovai nella camera dove mi ero risvegliato e sotto di me Seifer rimase immobile, la pelle ritornata rosea.

La ferita al collo era sparita «m-ma...che...? » balbettò quest’ultimo svegliandosi colpito appena da un debole raggio di sole che era sfuggito alle tende della finestra «...sono...tornato......sono tornato umano! » urlò all’improvviso guardandosi i palmi delle mani con uno sguardo sorpreso.

Poi alzò lo sguardo e incontrò la mia faccia, anche io ero tornato umano, con cinque profondi buchi al centro del petto nudo «mio...dio» disse Seifer allontanandosi da me, guardando prima la ferita e poi le sue mani «non...non credevo di...mi dispiace» mi disse ma non feci molto caso alla ferita, continuai solo a guardare il ragazzo con la testa leggermente inclinata di lato.

Sentii un grido e i capelli mi si rizzarono in testa. Mi girai e vidi Sabina fissarmi i fori che avevo anche nella schiena «Saby...Saby non è niente, è solo un graffio» cercai di tranquillizzarla, ma lei mi buttò le braccia al collo e cominciò a baciarmi mentre io cadevo sulla schiena un po’ sorpreso da questo attacco vero e proprio.

Erik dormiva ancora nel letto, nella stessa posizione di come l’avevo visto prima dell’attacco di Seifer.

«guarda come dorme quello lì» le sussurrai piano all’orecchio e la ragazza rise appena, appoggiando la testa sulla mia spalla.

Seifer, con un ultimo sprazzo di magia liberò Sabina dalla sua parte demoniaca (scatenando un po’ di tristezza nella ragazza che si divertiva un mondo con quei poteri) ed Erik da quella vampira durante il sonno (facendo ridere tutti i presenti quando cercò di camminare sul muro cadendo con il sedere convinto ancora di avere i poteri).Per me purtroppo non si potè fare molto a parte affibbiarmi delle pillole d’argento e acqua che avrebbero col tempo ‘‘diluito’‘ diciamo il mio comportamento da lupo (ma intanto nel frattempo mi mandavano a prendere il giornale eh!?).

Io, Sabina ed Erik rimanemmo a casa di Seifer, visto che non avevamo un posto dove andare e credevano morto e defunto il famigerato bandito Daniel McBrie. Ne sono certo, non farò più gite né al mare tantomeno ai castelli medioevali per moooooooolto tempo.

Finalmente ho degli amici e una ragazza che mi ama e potrò lasciar correre di tanto in tanto l’orgoglio che mi rende tanto pomposo (anche se una certa persona lo trova ‘‘inebriante’‘...bha!) e diventerò un po’ più tenero...forse mi passerà...HO DETTO FORSE EH?!...mi passerà per la testa di metter su famiglia...con l’assenso della mia dolce metà di cui ho chiesto la mano proprio poco dopo il fatto dei vampiri, lupi e robe varie ovviamente...con il rischio d’affogamento in un mare di baci.

La vita

mi sorprende.

mi prenderà in giro

Oppure mi ucciderà a volte

Ma Lei sa come farsi perdonare

Donandoti il più dolce dei suoi sorrisi

E stringendoti fra braccia paragonabili a marmo

Guardandoti con quegli occhi color dell’ambra più pregiata

E, dopo tutto questo, ti chiederà: Sei soddisfatto della tua vita?

E allora io risponderò: Sì Sabina, sono soddisfatto, solo non mi lasciare mai

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