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Autore: _juliet    30/04/2011    3 recensioni
Era come se da lei emanasse qualcosa di buono, un imperativo che imponeva a chiunque le stava intorno il Bene. Gli piaceva Dafne, gli piaceva proprio.
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                  Make sure that you can't see me,
                                                    hoping you will see me




Dafne aveva ventidue anni. Era minuta ed esile, aveva i capelli castani e ondulati e grandi occhi color ambra. Studiava letteratura inglese all'università e, per mantenersi, – lei e la madre erano sole, il padre le aveva lasciate quando era piccolissima – lavorava fino a tardi in un locale vicino a casa.
Lavorava con impegno e aveva sempre un sorriso per tutti i clienti, anche per gli ubriaconi che passavano lì tutta la loro giornata. Sembrava trasferire loro un po' della sua luce e, forse, per questo non capitavano mai risse o peggio durante il suo turno, si diceva il gestore del locale.
Tranquillizzato da questa sua supposizione, quella sera le chiese di chiudere al suo posto: la mattina dopo suo figlio aveva una partita di baseball e non voleva mancare.
Dafne augurò la buona notte e lo accompagnò con un sorriso fino alla porta.
Erano rimasti solo pochi clienti, per la maggiore resi inoffensivi dall'alcool – comunque, non dicevano mai di no, se era Dafne a sbatterli fuori.
«Dafne, tesoro, un giorno di questi ti sposo!» biascicò solennemente un ubriaco, prima di andarsene.
Lei rise e tornò all'interno del locale, per terminare il suo lavoro. Lavò tutte le stoviglie e i bicchieri e spense tutte le luci; poi accompagnò placidamente alla porta l'ultimo cliente rimasto.
Frequentava il locale da qualche tempo, e tutte le sere, immancabilmente, si addormentava al bancone e faceva chiusura.
Dafne si assicurò che riuscisse a stare in piedi da solo appoggiandosi al muro, gli augurò di nuovo la buona notte e se ne andò.
Fu in quell'istante che l'uomo riprese vita. La osservò con calma mentre si allontanava con passo deciso – sì, il locale era vicino a casa, ma meglio non rischiare –, attese fino a quando vide lo svolazzo del suo cappotto dietro l'angolo. Poi la seguì.
Procedeva di buon passo, mantenendosi sempre a una distanza utile per nascondersi, nel caso la ragazza si fosse voltata. Ma, in realtà, non ne aveva bisogno: Dafne era stanca, desiderosa di rientrare... non avrebbe mai immaginato di poter essere seguita.
Il mese prima, era entrato nel locale per caso e, da allora, non aveva smesso un attimo di guardarla, osservare i suoi movimenti, memorizzare minuziosamente tutti i suoi gesti, mentre fingeva di dormire appoggiato al bancone.
Ora sapeva tutto, del suo sorriso, del suo profumo, del suo aggrottare le sopracciglia mentre leggeva libri nei momenti di pausa. Aveva notato che non smetteva mai di sorridere, nemmeno quando puliva i bicchieri o il vomito degli ubriachi. Era come se da lei emanasse qualcosa di buono, un imperativo che imponeva a chiunque le stesse intorno il Bene. Gli piaceva Dafne, gli piaceva proprio.
Da quel giorno aveva passato ogni momento in quel bar e aveva sempre fatto in modo di essere lucido, per poterla osservare, per carpire nuovi segreti.
A una trentina di metri da lui, Dafne si avvicinò alla porta con le chiavi in mano.
L'uomo la guardò ancora mentre entrava, in silenzio per non svegliare la madre, e richiudeva la porta. Poi si appoggiò al muro e si accasciò a terra. 
Ogni notte, da quando era capitato per caso in quel bar, attendeva la chiusura e poi la seguiva. Sospirò. Non si era mai accorta di lui, ma non avrebbe mai smesso di seguirla, per vegliare su di lei. Per vegliare su sua figlia.


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NdA: Questa storia è molto vecchia e si ispira alla canzone “Shy” dei Sonata Arctica, da cui è ripreso anche il verso che fa da titolo.

  
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