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Autore: sistolina    30/04/2011    2 recensioni
Fanfiction ispirata al film The Dreamers - I Sognatori di Bernardo Bertolucci.
Dieci anni sono passati dagli avvenimenti del film: Matthew è diventato uno scrittore famoso pubblicando un libro sulla sua esperienza a Parigi e non sa più nulla di Isa e Theo, ma il caso vuole che sia invitato proprio a Parigi per presentare il suo libro.
Una volta lì capisce che, forse, è venuto il momento di concludere quella storia...
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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To Dream Again

 

Prologo

 

Parigi e le sue luci, gli Champs-Elysées illuminati a festa, la morbida e festosa atmosfera dell'estate francese.

Il respiro gli si appiccicava quasi al viso mentre camminava spedito verso la libreria. Era in ritardo, ovviamente.

Voltò l'angolo con passo deciso, quasi andando a sbattere contro l'adolescente foruncoloso che lo svoltò nella direzione opposta proprio in quel momento

- Cazzo amico, c'è mancato poco! - lo guardò mentre si controllava le tasche, e continuò oltre. Sospettoso, lui?

Una volta davanti alla libreria si fermò con un sospiro: almeno cinquanta persone si affollavano davanti all'entrata, il suo libro stretto in mano e le gambe ancora pallide che protestavano contro un'estate che non era ancora iniziata per tutti.

Abbassò la testa e si diresse verso l'entrata di servizio, dove una bionda rinsecchita gli offrì un bicchiere di the ghiacciato cercando di aggiornarlo su tutto quello che c'era da sapere su quella dannatissima lettura.
- Cerchi di essere poetico, ma anche naturale, come se non ci fosse nessuno. Sa come funziona, fa queste cose da mesi! - lo guardò eloquentemente, come se l'idea di dover leggere dei particolari più reconditi della sua adolescenza di fronte ad un curioso e affamato pubblico di estranei non dovesse minimamente preoccuparlo. Erano decisamente cazzi suoi, in fin dei conti: era stato o no lui a decidere di scrivere quel dannato libro?

“Non sei tu che scegli lo scrivere ma è lo scrivere che sceglie te”, molto semplicemente. Alla Bukowsky.

Si lasciò guidare come privo di sensi fino sul palchetto, il libro sotto il braccio, una penna nell'altra, un paio di fogli di un taccuino appallottolati nel palmo della mano sudata. Decine di teste che lo fissavano.

Sul tavolino rotondo davanti a lui troneggiava una bottiglia da mezzo litro d'acqua, un bicchiere di carta riverso sul tappo avvitato, e una luce bianca e abbacinante che lo avrebbe fatto sembrare un pallido bastardo balbuziente.

Deglutì e si lasciò camminare, senza prestare attenzione a nient'altro che all'entrata davanti a sé, il marciapiede assolato, l'asfalto che evaporava, il viavai del traffico pomeridiano. Se avesse finto di essere solo, forse gli sarebbe riuscito di proferir parola.

Si sedette e attese che l'applauso educato cessasse, poi iniziò

La prima volta che ho visto un film alla Cinemathèque Francaise – il silenzio totale invase la stanza, e lui poté avvertire la religiosità in quel momento; se non fosse stato fermamente ateo, avrebbe creduto che quelle persone lo ritenessero una specie di divinità. Aveva dato loro qualcosa in cui credere, d'altra parte; che fosse una menzogna o meno, loro erano lì per sentirsela raccontare da lui. Continuò senza nemmeno incepparsi. Era la sua storia in fondo, chi poteva raccontarla meglio di lui?

Il film era “Il corridoio della paura” di Sam Fuller. Avevo vent’anni. Ero venuto a Parigi per studiare francese...”

La lettura non fu così impegnativa, dopo un'ora o poco più la giovane assistente della libreria, quella rinsecchita, cominciò ad applaudire e salì sul palco in un ticchettare fastidioso di tacchi a spillo
- Ringraziamo il signor Olsen per essere qui oggi – il pubblico lo incitò con un applauso più flebile ma rapito, come se precipitare nel vortice di quell'attimo avesse tolto loro il libero arbitrio. Non stavano ringraziando lui, stavano ancora nuotando fuori dalle sue parole.
- Grazie a voi – mormorò tornando il ragazzetto impacciato del 1968 – vi sono riconoscente per questa possibilità – la ragazza sorrise e si voltò verso la platea
- Ora, se qualcuno gradisce porre qualche domanda al nostro scrittore, prego alzi la mano – una ragazza adolescente, un viso anonimo acceso da un paio di occhi dalla rara profondità, sollevò la mano timidamente, ma con la risolutezza di chi imponeva a se stessa il raggiungimento di un obiettivo cruciale.
- Prego – la invitò la bionda con un falso sorriso rifatto di fresco
- Buonasera – salutò la ragazza, la voce ferma ma flebile come quella di un uccellino – io volevo chiederle...ecco...è vero che questo romanzo è autobiografico? Insomma, la storia, i gemelli, la ribellione...lei c'era? - il suo sguardo ammaliatore e intelligente inchiodò il suo in un tacito suggello: stava per calarsi le mutande di fronte ad un pubblico vorace e attento, lontano da casa, immerso vino al collo nel suo passato e nell'aria ormai persa di quei giorni. Già che era in gioco
- E' vero, ero a Parigi nel '68, anche se sono andato via prima che la rivoluzione entrasse nel vivo – ammise – purtroppo –

Un impettito quarantenne sulla sinistra si prenotò
- I fatti sono storicamente documentati? Quanto di quello che ha scritto è reale? - davvero quel coglione gli stava chiedendo della rivoluzione? Davvero non aveva capito un cazzo di quello che aveva inteso dire in quelle pagine? Poteva pulircisi il culo, già che c'era, con il suo fottuto romanzo
- Lo sono, ma non era nei miei intenti essere “storicamente corretto”, io volevo arrivare al cuore. Volevo parlare di crescita e perdita dell'innocenza – storse il naso – non ho scritto l'Almanacco del 1968 – poteva essere un cazzone cinico quello, ma di certo il sarcasmo non gli era sfuggito. Si squadrarono con gelida sfida, dopodiché l'altro abbassò lo sguardo senza nemmeno ringraziare.

Dopo una decina buona di minuti e domande vuote e stupide sul suo curriculum, i suoi progetti futuri e la possibile trasposizione cinematografica del suo romanzo, una donna sulla cinquantina non alzò nemmeno la mano prima di porgli la sua domanda
- E lei, Isabelle, quella è stata l'ultima volta che l'ha vista? - avrebbe preferito che qualcuno gli avesse sparato, o magari anche di condividere una camera d'albergo con il cinico in andropausa, ma parlare di Isa, lì, davanti a quelle persone, era quanto di più difficile gli riusciva di fare. Scrivere di lei era stato semplice, come incontrarla ogni giorno, vederla materializzarsi fra quelle pagine come uno spettro eternamente vergine ed eternamente giovane. Eternamente bella e provocatrice. Eternamente sua. Ma no, quella gente non meritava davvero di sapere quello che di più profondo si agitava dentro di lui.

Optò per una balla, una di quelle confezionate e infiocchettate di paroloni altisonanti e affascinanti. Una bella risposta di quelle “semanticamente corrette e sintatticamente perfette”, una sequela di termini del cazzo per evitare di dire qualcosa che si poteva dire in poche parole, anzi in una sola. Un bel Sì, sarebbe bastato a tutti, ma non a lui.
Prese fiato per zittire il pubblico con una di quelle poetiche conclusioni da scrittori, ma una voce decisa e tagliente raggelò la stanza
- Il bastardo non sa nemmeno che è morta – Matthew sollevò gli occhi dalla penombra, dalle decine di teste appollaiate ai suoi piedi, fino ad un angolo buio in fondo alla sala, una nicchia che avrebbe definito “tranquilla” e “intima”, se non fosse stato che l'uomo lì in piedi braccia conserte, sguardo di sfida, mento sollevato sugli occhi scuri, lo fissava con tutto l'odio che un essere umano poteva contenere senza autodistruggersi.

Decine di teste si voltarono a guardarlo indignate, la vecchina disse qualcosa come “screanzato” e scosse la testa allibita, l'intelligente adolescente dalla profonda timidezza schiantò il suo sguardo su di lui, in attesa. Poteva averlo chiamato Francois, poteva averlo dipinto come un possente ragazzo dai lineamenti decisi e le spalle larghe, poteva perfino aver finto di non riconoscerlo, ma quella innocente ragazza aveva letto il suo libro più in profondità di quanto lui stesso non l'avesse scritto. E aspettava, aspettava di sentire cosa Matthew gli avrebbe detto la prima volta che si fossero rincontrati, dopo dieci fottutissimi anni.
Ma lui non disse niente, rimase zitto a guardarlo, a intrecciare lo sguardo fra i suoi ricci castani ancora indomabili, il lungo naso deciso, gli occhi penetranti e indagatori. Camminò vero il palco con una lentezza estenuante, misurando passi e movimenti, senza staccare i suoi occhi soprannaturali da lui.
- Che mi dici figlio di puttana? Piaciuta la sorpresa? - Matthew deglutì il nulla mordendosi a sangue il labbro inferiore
- Signore, devo chiederle di andarsene o sarò costretta a chiamare la sicurezza – la sua bionda baby sitter non mancò di guadagnarsi il suo salario, avvicinandosi a Theo con incerta ansia. Ma lui la degnò a malapena di attenzione, sempre fisso su di lui, come il mirino di un fucile di precisione. Un istante dopo, quando tutto l'odio che aveva dentro gli fu riversato addosso, si voltò con un sogghigno verso la donna – tranquilla tesoro, me ne vado – e si voltò, con la stessa innaturale calma con cui era arrivato.

Solo quando fu sparito dal marciapiede di fronte alla libreria Matthew ricominciò a respirare. Non si era nemmeno accorto di aver smesso.Un attimo dopo, cinquanta teste erano di nuovo sincronizzate sulla sua frequenza, e sparavano domande con la stessa rapidità con cui la sua assistente, Marguerite qualcosa, lo faceva alzare e allontanare
- Questa proprio non ci voleva – si lamentò con un pesantissimo accento francese nell'inglese scolastico – chi diavolo era quell'uomo signor Olsen? Un suo amico? - Matthew si trovò sospeso in un limbo nel quale non sapeva nemmeno di trovarsi. Il suo cervello si rifiutava di elaborare le informazioni, lo stava lasciando in balia del panico. Delle due informazioni che aveva elaborato, non sapeva quale realizzare prima. Isabelle era morta. Quando? Dove? Perché? Perché lui non ne sapeva niente? - signor Olsen - lo richiamò la donna, scuotendolo – è un suo amico? - Matthew trattenne un fremito
- Quello è...Theo – e la realtà lo schiaffeggiò nuovamente. No, non era un suo amico: lo aveva amato in un tempo che sembrava eternamente sospeso, e altrettanto totalmente lo aveva perso.

Parigi, la ville lumière, era di nuovo buia, adesso.
Parigi e le sue ombre...

   
 
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