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Autore: Hiromi    01/05/2011    18 recensioni
Takao e Karen, Mao e Rei, Max e Maryam, Hilary e Kai... Pezzi di puzzle che si incastrano alla perfezione, complicati e piccolissimi, finissimi e ricercati... Ma non ci mancherà qualche pezzo? Sarà il caso di rimediare...
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ed eccomi qui: di nuovo, vi chiederete voi

Ed eccomi qui: di nuovo, vi chiederete voi? Ebbene sì. u.u Alla fine quel primo Maggio non era solo una data, ma una scusa. ;D

Che dire? Ecco qui una serie di missing moments di RMA che da tempo bazzicavano nella mia testa e che all’inizio non sapevo nemmeno se pubblicare… Poi mi sono detta: perché non tormentarli ancora per benino, questi poveri lettori? =D

 

 

Allora, giusto per chiarire: Karen ha sedici anni, Takao, Hilary e Max ne hanno diciotto, Rei ne ha diciannove, Kai ne ha venti.

 

 

 

E così… Cominciamo? Ma sì… 3,2,1… Go!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A voi, mie splendide lettrici.

Perché con il vostro affetto, sostegno, con la vostra passione, siete state meglio di qualsiasi maledetta medicina.

E mi avete dimostrato che non solo ce la posso fare ad essere quella di prima, ma che posso essere anche molto meglio.

Grazie.

 

 

 

 

Teenage Dream

 

 

 

 

 

 

 

 

 

You change your mind
Like a girl changes clothes
Yeah you, PMS
Like a bitch
I would know

And you over think
Always speak
Critically

 

Hot n Cold – Katy Perry

***************************

 


Ora sì che era nei guai.

 

Si passò una mano sui capelli biondi, ravviandoli nervosamente, e sbuffò, cercando di calmare il tremore che minacciava di sopraffarla.

 

Okay, si trovava a Tokyo e non sapeva una parola di giapponese, era scappata dal collegio in Francia per approdare lì con la speranza – minima – che la persona che stesse cercando ci fosse ancora, e non aveva un posto dove andare.

Ma potevano essere solo dettagli, quisquilie, inezie, se prese con il giusto distacco.

 

Calmati.

 

Tra quel groviglio di persone, che parevano sapere esattamente dove andare, che fare, e quale fosse la loro destinazione, Karen strinse a sé lo zaino, laddove stavano i pochi indumenti che si era portata, ma soprattutto i documenti e la carta di credito.

 

 

Un taxi, doveva trovare un taxi.

 

Camminando dal centro dell’aeroporto fino alla sua uscita, si accorse che molte persone la stavano osservando: alta, slanciata, bionda e con gli occhi viola, aveva di certo colori che non si vedevano tutti i giorni.

Per intraprendere quel viaggio, poi, aveva indossato un paio di shorts di jeans e un top arancione senza maniche, ovvero quello che aveva messo quella mattina al collegio per farsi punire dalla suora di turno, ma a quanto pareva il look non era stato dei più indovinati per il pudico Giappone, almeno a giudicare dalle occhiate scandalizzate che le lanciavano le donne giapponesi, tutte vestite nei loro tailleur o vestitini che non lasciavano intravedere alcunché.

Ma poco le importava.

In quel momento voleva soltanto quel dannato taxi. E raggiungere la sede della BBA.

 

Infatti, uscita dall’aeroporto, individuò immediatamente il cartello con la scritta che le interessava, e anche la fila di persone che stavano aspettando la vettura sulla quale salire.

Sospirando, si mise in coda, tamburellando con il piede ritmicamente sul pavimento. Di taxi, grazie al cielo, ne arrivavano uno al secondo, quindi quella fila sarebbe stata smaltita in fretta.

 

 

Fu un fruscio a farle tendere le orecchie: non si voltò neanche. Semplicemente, con un colpo ben assestato, mise a segno un gancio destro che andò dritto sul mento di qualcuno.

Strinse a sé il suo zaino con fare protettivo, incrociando le braccia al petto. “Spiacente, amico, ma mi serve.” cantilenò, in francese.

 

Il tassista che si era fermato davanti a lei, la fissava stranito ed anche un po’ agitato, ma la francese decise di non farvi particolarmente caso.

“Sede della BBA.” ordinò, scandendo bene le parole in un inglese scolastico ed infilandosi sulla vettura. “In fretta, per favore.” L’uomo annuì velocemente, quasi spaventato, partendo in fretta.

 

Karen sprofondò sui sedili dell’auto: era assolutamente esausta, ma ancora non poteva permettersi di abbassare la guardia. Non sapeva dove diamine si trovasse suo fratello, e andare alla sede centrale di beyblade che c’era lì in Giappone era l’unico modo per scoprirlo.

Avrebbe lottato con le unghie e con i denti per affermare il suo diritto di ricostruire una famiglia, diritto che le era stato negato fin da piccola.

 

Improvvisamente sentì le palpebre farsi pesanti, e la testa appoggiarsi al finestrino; sull’aereo non aveva praticamente dormito, l’adrenalina per il gesto avventato aveva avuto la meglio persino sulle ore di sonno che le spettavano e sul fuso orario… E, in quel frangente, era esausta.

 

 

“Signorina?” il tassista richiamò la sua attenzione con un inglese stentato. “Saremmo arrivati… Signorina?”

 

Sussultò immediatamente, guardandosi intorno: dinnanzi a lei si stagliava un edificio enorme, pressoché immenso, con su il cartello della BBA. Era davvero arrivata: dopo ore e ore di viaggio, di patemi di angosce, di paure, ora, forse, poteva lasciarsi tutto alle spalle.

 

Porse all’uomo una banconota dal valore ben maggiore del costo del viaggio, e scese.

 

Anche dall’interno, la sede della BBA era esattamente come se la era immaginata: ordinata, organizzata, con uno stuolo di buttafuori e segretarie pronte per qualsiasi evenienza. Infatti, non appena entrò, Karen venne squadrata ed osservata per bene.

 

“Ti posso aiutare?”

 

Bingo.

 

La ragazza alzò lo sguardo su quella donna in tailleur prugna, con i capelli neri acconciati in una crocchia, che la fece sentire ancora più inadatta a quel tipo di ambiente.

Sbuffò, digrignando i denti. “Devo vedere il presidente.” fece, alzando il mento, in un’espressione decisa.

 

La donna inarcò brevemente le sopracciglia. “E il tuo appuntamento era fissato per…?”

 

Karen la guardò di traverso. “Non avevo nessun appuntamento.” sputò fuori.

 

“Allora temo sia impossibile. Il presidente è molto impegnato e-”

 

“Sentimi bene.” la ragazza perse definitivamente la poca pazienza che le era rimasta. “Sono arrivata dalla Francia solo per parlare con lui, e non me ne andrò fino a quando non l’avrò visto, a costo di accamparmi qui. Chiaro?” ruggì, il volto contratto dalla rabbia e dalla stanchezza insieme.

 

La donnina giapponese si incupì, girando sui tacchi e andando via.

Karen sbatté ferocemente il suo zaino su una delle sedie della sala d’aspetto, accomodandosi lì. Sapeva che non sarebbe stato facile, ma d’altronde lei non era abituata alle cose semplici.; fin da piccola era stata una piccola furia, alla quale le suore davano sempre le punizioni perché bricconcella.

 

Era lei che, di nascosto, giocava a beyblade nel giardino del collegio, divenendo la migliore; era lei che, sempre di nascosto, fin da quando aveva dodici anni, usciva il venerdì sera per poter vedere Parigi illuminata; era lei che, quando qualcosa non le andava a genio parlava, senza curarsi di venire castigata con il digiuno o con l’isolamento.

 

Ce l’avrebbe fatta anche stavolta.

Chi la dura la vince.

 

 

 

 

 

“Mi scusi?” si svegliò di soprassalto per l’ennesima volta, e con un gran cerchio alla testa. Decisamente, dormire in una sala d’attesa non era proprio il sogno della sua vita. “Il presidente la sta aspettando.”

 

Karen balzò in piedi, sbattendo gli occhi. Era arrivato il momento. Finalmente.

 

Seguì la donna lungo un corridoio bianco che pareva non finire mai, e una volta bussato, un uomo sulla sessantina seduto dietro una scrivania, le sorrise.

“Salve; tu sei la signorinella che ha portato una novità nella noiosa giornata di oggi, vero?”

 

La ragazza lo osservò: il presidente Daitenji, dietro quel completo nero e quei baffoni grigi pareva un uomo buono, disposto ad ascoltare e a capire… Avrebbe capito anche lei?

 

“Ho bisogno di aiuto.” una sua caratteristica era il non perdere tempo in inutili quisquilie, andare dritta al sodo; accavallò le gambe, sentendo l’improvviso bisogno di una giacca.

 

L’uomo aggrottò la fronte. “E come posso aiutarti, bambina?”

 

Karen prese a frugare dentro il suo zaino, in cerca dei documenti. “Vorrei che mi dicesse dove si trova mio fratello: sono arrivata dalla Francia per ritrovarlo.” fece, trapassandolo con lo sguardo e allungandogli la carta d’identità.

Il presidente trattenne a stento un’esclamazione di sorpresa quando si rese conto di chi aveva davanti.

 

 

 

 

 

“E Takao chiude l’incontro!” Hilary batté le mani, entusiasta. “Grandi match, grandi sfide attendono i Blade Breakers per il prossimo campionato mondiale!” agitandosi come DJ man, riuscì a far ridere i suoi amici, che la stavano osservando, curiosi.

 

Max riprese in mano Draciel, inarcando un sopracciglio. “Io non ci credo ancora che il prossimo campionato dovrà essere l’ultimo, per noi.”

 

Un silenzio tombale scese lungo il giardino di casa Kinomiya, andandosi ad irradiare fin dentro i ragazzi, che abbassarono lo sguardo.

Quando, mesi prima, avevano ricevuto la convocazione per il futuro campionato di bey, avevano avvertito la scossa di adrenalina che caratterizzava ogni competizione mondiale del loro sport preferito; ma quando avevano letto l’avvertenza della BBA, secondo la quale, dall’anno successivo, chi avesse superato i diciotto anni di età non poteva più essere ammesso… Beh, quello era stato un duro colpo per tutti.

 

“Coraggio! Mancano ancora dei mesi, e questo sarà un incentivo a rendere l’ultimo campionato della vostra vita a dir poco indimenticabile. Hilary sorrise, cercando di incoraggiarli.

 

I ragazzi la osservarono, grati: con la sua simpatia ed energia era sempre riuscita ad essere una fonte inesauribile di divertimento e di coraggio per loro; quasi non si ricordavano il primo campionato dove lei non c’era.

Una vita senza di lei che rideva, incoraggiava, consigliava e, sì, rompeva, sarebbe stata impensabile.

 

 

“Kai!” nonno Jay arrivò ansimante dal salotto, vestito, come al solito, in tuta da kendo. “Il presidente Daitenji al telefono per te.”

 

Il russo inarcò le sopracciglia, sorpreso: che cosa poteva volere il presidente della BBA, da lui? Sperava davvero che non fosse per il suo limite d’età, visto che aveva quasi vent’anni. Ma, d’altro canto, i paletti per questa noiosa pratica burocratica erano stati applicati dall’associazione dal prossimo campionato in poi, quindi…

 

Entrando in casa, afferrò il telefono, e la voce del presidente lo colpì: imbarazzata, un po’ stupita, come se ci fosse qualcosa in ballo e non sapesse da che parte prenderla.

Non restava che andare a scoprire di cosa diamine si trattava.

 

 

 

 

 

Non se lo aspettava così, il momento che aveva atteso da tutta una vita.

Karen impallidì vistosamente quando nello studio entrò un giovane alto, dal portamento determinato e fiero, di bell’aspetto e con due occhi viola totalmente uguali ai suoi.

L’aveva visto tante volte in tv, sui giornali, aveva seguito i suoi incontri di bey alla radio… Ma trovarselo davanti era tutta un’altra cosa.

 

Le assomigliava.

Non totalmente, ma avevano qualcosa in comune: la linea dritta del naso, la curva delle guancie, il taglio e il colore degli occhi. Si assomigliavano, era innegabile.

Sentendo il proprio cuore implodere mentre il giovane ascoltava Daintenji, non poté fare a meno di osservarlo, millimetro dopo millimetro.

 

Kai…

 

 “Non diciamo assurdità.” la voce glaciale del ragazzo la fece sussultare, facendola riscuotere da qualsiasi pensiero. “Sono figlio unico, io.” la frase, detta con astio e rancore, celava una ferita aperta e non del tutto risanata, Karen lo comprese al volo.

 

Quando se ne andò, sbattendo la porta, non si fece intimidire per nulla. Aveva volato per ore, sull’aereo Parigi-Tokyo, era scappata dal collegio, rischiando grosso. Di certo non si sarebbe fatta mettere paura da un ragazzo palesemente troppo spaventato dal suo passato.

 

Lanciò una breve occhiata al presidente, dopodiché si lanciò all’inseguimento del ragazzo, che era già uscito fuori. Non sapeva una parola né di giapponese né di russo, ma sapeva bene che in questi casi non era la lingua che contava.

 

 

 

“Aspetta!” urlò, raggiungendolo dopo pochi passi; lo fronteggiò con lo sguardo, trapassandolo con le sue stesse iridi, e, dalla smorfia che fece il ragazzo, comprese che ne era spaventato quanto lei. “Mi chiamo Karen. Karen Hiwatari. Controlla tu stesso.” gli schiaffò in mano i suoi documenti, respirando a fatica, il cuore che batteva come impazzito.

“Fin dalla nascita sono sempre stata chiusa in un collegio in Francia, e mi dicevano che facevo parte della dinastia russa Hiwatari.” si scansò la frangia bionda dagli occhi. “Sono sempre stata sola, volevo ritrovare la mia famiglia.” aggiunse, cercando di non farsi venire il magone.

 

Kai le ficcò i documenti in mano. “Anch’io sono sempre stato solo, e ho vissuto alla perfezione.” sibilò, scortese, andandosene.

 

“Mamma non avrebbe voluto tutto questo.” sussurrò, alzando gli occhi al cielo, come per fermare le lacrime.

 

Fu un attimo: il russo si voltò di scatto, andandole vicino e artigliandole il polso. “Che ne sai tu di mia madre?”

 

La bionda, con un gesto di autodifesa ben calibrato lo spinse indietro, digrignando i denti. “Lo so perché possiedo delle sue foto e anche un filmato di quando era giovane!” si morse le labbra per non piangere. “Si chiamava Nadezda Sokolova, ma si faceva chiamare Nadja.” fece, estraendo dal portafogli una foto vecchia di anni che mostrava una bella donna dai capelli biondi che stringeva un fagottino rosa. Accanto a lei c’era un bambino di circa tre anni. Lui.

 

Kai sentì il sangue scivolargli via dalla faccia e il proprio cuore scalpitare ad un ritmo mai sostenuto. Si appoggiò al muro, chiudendo gli occhi, lentamente.

Nadja. Sua madre. Ed era totalmente simile alla ragazza che aveva di fronte.

 

Era incredibile: era sempre stato un tipo solitario, aveva fatto della solitudine il suo modo di vivere e adesso, quando meno se lo era aspettato, gli era piombata addosso una… sorella?

 

Aprì gli occhi, fissandoli su quella ragazza che lo guardava preoccupata.

Avrebbero avuto tanto di cui parlare e moltissimo da recuperare. Ma, in fondo, avere una famiglia, delle radici, qualcosa a cui poter dire di appartenere… Era un’esperienza nuova per Kai Hiwatari. Quasi una sfida. E a lui le sfide erano sempre piaciute.

 

 

 

 

 

Ora sapeva cosa provavano gli animali rari allo zoo: una sensazione pressoché sgradevole.

Non che fosse una ragazza timida e riservata, anzi; ma tutta quell’attenzione e quegli occhi di fuori nemmeno fosse una papera a cinque becchi non se la meritava proprio.

In fondo suo fratello l’aveva solo presentata ai suoi amici.

 

La prima a riprendersi fu la sola ragazza del gruppo, una personcina davvero molto carina e gentile, che le parlò in inglese. “Piacere, mi chiamo Hilary.”

 

Ecco chi era…

 

Karen aprì la bocca per dire qualcosa, ma avvertì all’istante lo sguardo tagliente di suo fratello e la richiuse immediatamente.

 

Subito dopo il confronto di fronte la BBA, lei e Kai erano andati al belvedere, a raccontarsi un po’ di cose della loro vita, e il suo fratellone non si era dimostrato molto originale.

 

Dranzer, battere Takao, e Hilary.

 

Per quelle ore non aveva sentito altro.

E l’ultima parola era sempre accompagnata da un luminoso sbrilluccichio d’occhi. Non ci voleva certo Sherlock Holmes per fare due più due.

 

“Karen.” rispose, dedicandole un sorriso. “Scusate, ma non capisco niente di giapponese…

 

La brunetta fece spallucce. “Qui ce la caviamo più o meno tutti con l’inglese. E poi tu sei francese, se non sbaglio: se ti insegno la mia lingua che ne diresti di insegnarmi la tua?”

 

Non poté far altro che annuire, e lasciarsi sfuggire un altro sorriso. Ora capiva come mai suo fratello si fosse innamorato pazzamente di quella ragazza: era carina e gentile, e tra l’altro, non esitava a mettere la gente a proprio agio.

 

“Mi unisco alle lezioni!” esclamò il biondino del gruppo, avvicinandosi. “Sono Max.”

 

“Ovvio, ti univi anche se non volevi.” chiarì la bruna, scrollando le spalle. “Ci servi per la pronuncia madrelingua.” si rivolse a Karen, con un tono di chi sta facendo una confidenza. “Vedi, lui è Americano, ma se la tira in una manieraInfatti sa solo l’inglese e nient’altro.” lo disse con tono che faceva intendere la presa in giro, e ci furono delle risatine generali.

 

Il biondo si finse offeso e, per tutta risposta, scompigliò vivacemente i capelli della brunetta, che prese a ridere della grossa. Karen li osservò, in un misto di stupore e invidia: lei non aveva mai avuto amici così… Sembravano belle persone.

 

“Mastico un po’ l’inglese…” intervenne il moro che, sulla tuta, aveva stampato i segni dello yin e dello yang. “E il francese lo so già. Ho imparato a cucinare lì.” le rivolse un sorriso sincero. “Mi chiamo Rei.”

 

La ragazza gli sorrise di rimando: pareva che, rotto il ghiaccio la brunetta, tutti si fossero tranquillizzati.

 

“Qui sa cucinare solo lui, eh.” le disse Max, con aria saggia. “Non fidarti mai di lei.”

 

Vedendo la giapponese rincorrere l’americano con finta aria sdegnata, Rei e Karen non poterono far altro che scoppiare a ridere. Pareva che in quel gruppo vigesse la regola dell’armonia e della risata, e lei aveva tanta voglia di sentirsi spensierata…

 

“Non mi convince.” fu a quel suono che si voltò di scatto, e sbatté gli occhi: davanti a suo fratello stava il giapponese dai capelli neri, il padrone di casa, e aveva uno sguardo sospettoso, preoccupato… Nel momento in cui gli occhi di lei incontrarono quelli di lui, Karen avvertì una strana sensazione, che non seppe classificare.

 

Sapeva chi era, certo che lo sapeva: era Takao Kinomiya, il campione del mondo di beyblade, ma tutto ciò che in quel momento il suo cervello le suggeriva, era di uccidere con lo sguardo quell’idiota.

 

Che diamine ha da guardare così?

 

Incrociò le braccia al petto. “Qualche problema?” con tono di sfida, squadrò il ragazzo, nel tentativo di farlo sentire un verme.

 

Il moro aprì la bocca più volte e la richiuse, dopodiché scosse la testa. “Sì, ho qualche problema.” sbottò, come fosse ovvio. “Vieni qui dal nulla e affermi di essere la sorella di Kai, quando potresti benissimo essere un’impostore!”

 

Karen spalancò occhi e bocca. “Come diamine-”

 

Kai le si avvicinò, posandole una mano sul braccio. “Lascia perdere, adesso-”

 

La bionda alzò la mano, come scottata. “No, questa è una cosa tra me e il tuo amichetto, qui.” ruggì. “Sono arrivata dalla Francia per Kai, volevo ritrovarlo, scusa se è poco.” sobbalzò quando si sentì afferrare dolcemente gli avambracci: voltandosi, si accorse che si trattava di Hilary.

 

“Takao, lei e Kai si assomigliano tantissimo, non vedi?” la bruna fece un sorriso incoraggiante e diplomatico. “Io le credo.”

 

Il giapponese scosse la testa, emettendo un mugugno. “Kai ha già sofferto abbastanza. Voglio una prova schiacciante che tu sia sua sorella! E non mi bastano due foto! Potresti averle rubate.”

 

Karen incassò il colpo, serrando le mascelle con forza: potevano dirle di tutto, tranne che non fosse una persona onesta o corretta.

Rubare? Lei?!

Si ritrovò a tremare, e quando dei brividi le scossero tutto il corpo, si avviò verso il suo zaino, sotto lo sguardo allibito di tutti.

“Ti sfido, Kinomiya!” ringhiò. “Così avrai la prova che cerchi!” sfoderò il suo beyblade, una trottola in metallo viola a strisce blu.

 

Il giapponese si calcò il cappello in testa. “Non aspettavo altro.” sibilò, deciso.

 

Quando lanciarono i loro beyblade, tutti notarono fin da subito come la francese non scherzasse affatto: agguerrita e combattiva, nei suoi occhi viola pulsava la luce di chi voleva vedere Dragoon fuori dal campo a tutti i costi.

 

Takao si trovò seriamente in difficoltà quando il bey della ragazza procedette a zig zag molto velocemente, inchiodando il suo sul bordo campo. Si morse le labbra, pensando che, in effetti, non si aspettava un’avversaria così battagliera.

“Resisti, Dragoon!”

 

Karen aggrottò le sopracciglia in un’espressione furibonda, come se lui avesse appena bestemmiato. “Mai! Fenice bianca!” al suo urlo, sopra le loro teste si sopraelevò una maestosa fenice che ricordava tanto quella di Kai, eccetto che per il colore.

L’animale sembrò ardere quanto il fuoco negli occhi della padrona, perché non lasciò il tempo al giovane di fare alcunché: volò in picchiata verso il bit di lui e lo scagliò fuori dal campo, per poi ritirarsi nel suo bey.

 

Takao osservò la ragazza, corrucciando le sopracciglia: l’aveva battuto, eccome se l’aveva battuto; e aveva anche dimostrato di essere la sorella di Kai, non vi erano dubbi: quella fenice era praticamente come la sorella di Suzaku.

Era evidente che si era dimostrato la solita testa calda, ma d’altronde non era una novità: per i suoi valori, per i suoi amici, perdeva la testa… Non restava altro che fare un passo indietro, e scusarsi con chi di dovere.

 

Le andò vicino, porgendole la mano. “Scusami, è evidente che sei davvero la sorella di Kai.” fece, sorridendole. “Incontro entusiasmante, sei in gamba.”

 

Karen afferrò con forza la sua mano, quasi con gesto di sfida. “Sono in gamba, anche se non è che ci voglia molto a batterti.” scompigliandosi i capelli, si scrollò leggermente le spalle, girando sui tacchi.

 

“Come sarebbe a dire?” la voce di Takao si alzò di un’ottava.

 

“Sarebbe a dire” la bionda gli andò vicino, pressando l’indice contro il naso del giapponese “Che se la prossima volta che sfidi una ragazza pensi a batterti seriamente anziché alla sua misura di reggiseno, potresti anche vincere.”

Una risata generale si alzò dagli altri, che non riuscirono ad evitarla in alcun modo.

 

Takao arrossì, diventando del colore del suo cappellino. “Non è vero!” protestò, arrossendo sempre più, ma, inspiegabilmente, più protestava, più gli altri ridevano. “Ehi, avete sentito? Non è vero!”

 

 

 

 

 

Sedute ad un tavolino di una delle piazze di Tokyo, Karen sorseggiò volentieri un aperitivo in compagnia della sua nuova amica: erano andate a fare shopping, al cinema, in piscina, e in quel frangente si stavano rilassando al bar.

Hilary era una persona carismatica, affascinante, e lei aveva capito perfettamente come aveva fatto, in quegli anni, a gestire tante personalità complesse come i Blade Breakers senza mai scomporsi. Aveva diciotto anni appena compiuti, eppure – se lo sentiva – sarebbe stata una gran donna, di quelle forti e volitive, che meritano di avere accanto a sé un grand’uomo.

Tipo suo fratello.

 

“Takao non è cattivo, ma è un po’ una testa di cazzo.” rise Hilary. “E’ il mio migliore amico, ci conosciamo dall’asilo, lo conosco come le mie tasche… Può essere arrogante, avere un ego gigantesco… Ma ha un gran cuore, fidati.”

 

Karen inarcò un sopracciglio. “Cosa provi per lui?”

 

La bruna quasi si strozzò con l’aperitivo per le risate che emise, spaventando la francese. “Amicizia!” esclamò, come fosse ovvio. “Andiamo, è… E’ Takao!” scosse la testa, ravviandosi i capelli castani con un gesto inconsapevolmente attraente che attirò lo sguardo di molti ragazzi. “Non potrei vivere senza di lui, ci conosciamo da quando avevamo tre anni, ma è come fosse mio fratello.” fece, scrollando le spalle.

 

“Ho capito.” disse lentamente la francese, sgranocchiando le noccioline che avevano portato insieme agli aperitivi. “Di Kai cosa ne pensi?” buttò lì, con aria fintamente casuale.

 

Hilary sorseggiò il suo drink. “Bravo ragazzo, malgrado quello che se ne dica. Vado molto d’accordo con lui, e sono contenta che mi abbia preso in simpatia, non sono tante le persone che  possono vantare quest’onore.” proclamò, sorridendo.

 

Non hai capito niente… “Anche con gli altri vai d’accordo.” cambiò discorso, per nascondere la sua delusione. Aveva sperato di poter fare il cupido della situazione, ma i tempi non erano evidentemente maturi.

 

“Sì. Io e Rei abbiamo un rapporto tipo fratello maggiore- sorellina minore, ce l’abbiamo sempre avuto. Con Max, invece, siamo amiconi; è una tale dolcezza, quel tipo.” fece, sorridendo.

 

“Vuoi a tutti molto bene.” calibrò le parole per vedere se c’era, tra i due qualcuno che poteva essere considerato rivale di suo fratello.

 

“Oh, sì. E ti sarebbero piaciute anche Mao ed Emily, le loro fidanzate! Non sono potute partire con loro, ma verranno quest’estate, spero avrai l’occasione di conoscerle.

 

Karen si rilassò: il cuore della ragazza pareva essere libero. “Lo spero anch’io. Non ho mai avuto delle amiche, ma… Mi sto divertendo.” sussurrò.

 

Hilary le sorrise dolcemente. “Ehi, io ti sono amica.” fece, schiacciandole l’occhiolino. “Il presidente Daitenji ha già telefonato al collegio in Francia per deliberare la pratica che ti permetterà di vivere accanto a tuo fratello fino alla maggiore età. Sei libera. Poi hai noi, hai me.” le strinse la mano, e Karen provò un senso di sollievo che non aveva mai provato prima.

 

“Amiche?”

 

“Certo. Fino a quando non ti stancherai di me. Sai che sono insopportabile?”

 

 

 

 

 

Quando un profumino si sparse per tutto il giardino, Takao non poté che richiamare Dragoon, anche perché  il suo stomaco stava decisamente brontolando.

Erano tutti usciti: nonno Jay era ad un ritiro di samurai, Hilary a casa sua a studiare – quella secchiona! – Kai e Max al belvedere ad allenarsi, Rei a fare la spesa… Che diavolo stava succedendo?

Curioso, entrò in casa, seguendo la scia di profumo, e quello che vide lo lasciò, sconvolto, sulla soglia.

Karen stava cucinando. Ma non era questo il problema.

 

Perché vedere quella ragazza alta, con i capelli biondi e ondulati lasciati liberi di ricadere sulla schiena, vestita con un prendisole arancione che muoveva ritmicamente la testa a canticchiando una canzone gli faceva serrare lo stomaco?

 

Hai fame. E’ il tuo stomaco che brontola.

 

Cosa prepari?” incredibile come, quando parlò, la voce gli uscì gracchiante, incerta.

 

Karen lo guardò inarcando un sopracciglio. “Qualcosa di sopraffino. Quindi non adatto a te.” replicò, ghignando.

 

Una volta si sarebbe indispettito ed avrebbe pestato i piedi per questa provocazione, invece Takao notò come, ogni parola della ragazza, gli causasse un brivido che gli faceva venire voglia di giocare una specie di partita di ping pong verbale con lei.

“Qual è il tuo indice di sopraffino, visto che voi francesi non mettete la carta igienica nei bagni pubblici?”

 

Karen non smise di fare quello che stava facendo, ma Takao la vide sorridere, e ciò gli causò un brivido di eccitazione che fino ad allora aveva provato solo nelle partite di beyblade.

“Il mio indice di sopraffino è mangiare con grazia e notare gli sforzi dello chef. Sempre che tu sia capace di vedere al di là della tua trottola.”

 

Era una chiara frecciata, l’aveva capito. Sapeva che non l’aveva perdonato per aver dubitato di lei e per averle dato dell’impostore e della ladra, ma si era già scusato. Cos’altro poteva fare? Mettersi in ginocchio e strisciare?

“Sono in grado di vedere al di là del mio bey, quando è il caso.”

 

“Io non direi.” Karen sghignazzò. “Altrimenti ti saresti accorto che hai la bottega aperta.”

 

Con una esclamazione colorita, Takao si voltò, per constatare che, in effetti, aveva la cerniera dei pantaloni abbassata: dannata ragazzina, ne sapeva sempre una più del diavolo!

 

 

 

 

 

All’aeroporto di Tokyo faceva freddo, quel giorno di Marzo. Karen si strinse nella sua giacca, pensando che, esattamente quindici giorni prima, era approdata esattamente da lì e, in quel momento, si apprestava ad andare a vivere con suo fratello a Mosca. Non stava più nella pelle.

Quei quindici giorni erano stati magici: aveva conosciuto meglio Kai, aveva fatto amicizia con Hilary, che si era rivelata una persona stupenda, e si era integrata anche nei Blade Breakers – o quasi. Perché non aveva fatto che battibeccare e prendersi in giro con Takao, per la disperazione degli altri.

Lo sapeva che non era il miglior comportamento da tenere, ma non poteva farci nulla: quando apriva bocca, lei doveva ribattere in maniera pungente. Era più forte di lei.

 

“Buon viaggio, Kai.” Hilary si avvicinò a suo fratello, salutandolo con un sorriso luminoso. Karen fece del proprio meglio per non sbuffare: quella ragazza era bravissima per le questioni altrui, ma per quelle che riguardavano se stessa era una frana.

“Ehi, Kary!” la brunetta la strinse in un abbraccio. “Noi ci sentiamo, intese? Dovessimo far spendere una bolletta cosmica alla Neoborg.

 

“Esistono le e-mail.” brontolò Kai, incrociando le braccia al petto.

La francese sorrise: era sicura che dietro quella frase vi fosse una punta di gelosia: anche lui avrebbe voluto rimanere in contatto con la giapponese.

 

“Oh, sì, le e-mail! Come fossero la stessa cosa di una sana chiacchierata al telefono!” lo rimbrottò Hilary, ridendo.

 

“Va beh, piuttosto pensa a studiare…” fece spallucce Takao, come se sentire Karen fosse un affare di minore importanza.

 

“Senti chi parla!” tutti scoppiarono a ridere alla battuta della francese. “Sbaglio o quest’anno sei di diploma?”

 

“Fatti gli affari tuoi.” brontolò il giapponese, lanciandole un’occhiataccia. Possibile che quella biondina avesse sempre la risposta pronta?!

 

 

 

 

 

Giugno era arrivato in un lampo, tra allenamenti e giornate estenuanti alla sede della Neoborg. Per la sua bravura era entrata a far parte della squadra, e dal prossimo campionato avrebbe gareggiato assieme a suo fratello. La cosa la riempiva di onore e di gioia, ma sapeva anche che avrebbe dovuto battersi per fare del suo meglio. Kai pretendeva sempre moltissimo dai suoi compagni di squadra, e lei non aveva minimamente intenzione di deluderlo.

I mesi trascorsi in Russia erano pressoché volati: aveva conosciuto Yuri, Boris, Serjey, e la fidanzata di Yuri, Eva, che di tanto in tanto bazzicava intorno per vedere come procedevano gli allenamenti.

Tutto sommato erano dei ragazzi simpatici, rispettosi, non molto socievoli, ma bisognava entrare bene in confidenza per farsi accettare, e lei non aveva avuto alcun tipo di problema.

Si era sentita spesso con Hilary, che le aveva raccontato come procedeva la vita in Giappone, si erano scambiate lettere, e-mail e cartoline, e la loro amicizia si era anche rafforzata. Di giorno in giorno aveva capito sempre di più come mai quella ragazza, che di primo acchito poteva parere appiccicosa o inopportuna, fosse così insostituibile nel cuore di tanti blader che l’avevano conosciuta nei campionati del mondo e soprattutto nel cuore di suo fratello.

 

In quel momento lei e Kai avevano appena recuperato le valigie: li aspettavano tre mesi belli pieni a Tokyo, per una sorte di rimpatriata con i Blade Breakers, e lei non vedeva l’ora. Hilary le aveva assicurato che avrebbe potuto conoscere Mao ed Emily, le sue migliori amiche. Chissà che tipe erano…

 

“Kai! Karen!” nella calca di persone che aspettavano i loro cari nella sezione arrivi dell’aeroporto di Tokyo, una mano si erse, rivelando una chioma color cioccolato.

 

La bionda sorrise largamente, facendo cenno a suo fratello, che annuì. “Hila!” La francese praticamente le si buttò addosso, abbracciandola. “Mi sei mancata…” rivelò.

 

“Anche tu.” sorrise la brunetta. “Ciao Kai. Takao mi ha mandato a prendervi perché deve sistemare la casa e nonno Jay gli ha impedito di uscire.” lei e Karen ridacchiarono. “Andiamo?”

 

“Ben gli sta! Deve fare il cenerentolo, altro che roba. Anzi, adesso andiamo a casa sua e gli faccio delle foto.

 

Hilary alzò gli occhi al cielo. “Ti pareva.”

 

 

 

 

 

Mao sospirò ed Emily incrociò le braccia al petto. Karen le fissava con le sopracciglia inarcate, aspettandosi una risposta degna di essere chiamata tale: si erano presentate da pochi giorni, si erano trovate reciprocamente simpatiche, avevano passato delle belle giornate insieme, fino a quel momento.

Hilary era fuori a cena con un suo pretendente.

E Karen aveva posto loro una semplice domanda: come facciamo a far capire a questa zuccona che lei e mio fratello sono fatti per stare insieme?

 

“Io non lo so.” l’americana si aggiustò gli occhiali. “Certe cose non si dovrebbero capire da soli?”

 

Mao scosse la testa. “Dipende dai casi, Em. Talvolta un’imbeccata può essere utile. E stavolta mi sa che lo è. Cioè, Kai è innamorato di lei da anni, e quella zuccona non se ne accorge.” scosse la testa.

 

Karen mise le mani sui fianchi. “Okay, che si fa?”

 

“Cosa?” Takao sopraggiunse nel soggiorno di casa sua come una mosca, prendendo immediatamente uno dei biscotti preparati dalla francese.

 

“Non sono affari tuoi.” lo rimbrottò la bionda, scaldandosi; era più forte di lei: ogni volta che lo vedeva prendeva fuoco come un fiammifero, non poteva farci nulla.

 

“Invece può aiutarci.” Mao usò il tono di chi aveva appena avuto un’idea geniale. “Takao, tu sai che Kai è innamorato di Hilary.” lui annuì con fare ovvio. “Stamattina prima ci ha chiesto se doveva uscire con questo tizio con cui è stasera, poi… Lo ha chiesto addirittura a Kai.”

 

Takao per poco non sputò ciò che stava mangiando. “Cosa?!

 

Emily annuì. “Lui ha fatto una faccia… Ma lei non se ne è accorta proprio. Noi allora le abbiamo detto che non gliele deve chiedere certe cose, perché… Beh, insomma, eravamo arrabbiate, e le abbiamo rivelato la verità. E lei… Ci è scoppiata a ridere in faccia. Non ci ha creduto.”

 

Takao si fece serio. “Urge una chiacchierata con la mia migliore amica.”

Karen inarcò un sopracciglio: dubitava seriamente che quella testa calda sarebbe potuta essere di una qualsiasi utilità.

 

 

 

 

 

Venti giorni passarono in un lampo, portando con loro una miriade di novità: Emily ruppe il fidanzamento con Max, per ragioni non a loro note, partendo definitivamente per l’America, tra pianti e litigate furibonde; lei, Mao e Hilary, di tanto in tanto, uscivano e, tra pub e discoteche, andavano a divertirsi senza alcun maschio tra i piedi… Anche se, da qualche settimana a quella parte, sembravano esser diventati i maschietti il problema di Hilary. Era divenuta preoccupata, irritabile, nervosa, confusa.

Quel giorno erano a fare shopping per le vie di Tokyo, e Karen non si era sentita mai più leggera e spensierata: se pensava che solo un anno prima si trovava in Francia in collegio le venivano i brividi.

 

“Che ne dici di questo negozio? Entriamo?” Mao ammiccò verso di lei, indicandole con la testa un negozietto che mostrava al suo interno un paio di abiti piuttosto carini e di classe.

Il campionato sarebbe iniziato tra qualche mese, e loro avrebbero avuto bisogno di rifocillare il loro guardaroba, mica potevano partire con qualche straccetto messo in croce.

 

“Oh, per me va bene, per Hilary?” entrambe si voltarono a sentire il parere della brunetta, ma, con sorpresa, la trovarono parecchi metri più in là, occupata a parlare al cellulare, con un sorriso dolce sulle labbra che non le avevano mai visto.

 

Karen si scambiò un veloce sguardo con Mao: non sapeva cosa pensare, né cosa sperare, ma dentro di sé sentiva soltanto una forte voglia che il suo desiderio si avverasse…

 

“Allora? Cos’è questo sorriso che fa il giro della faccia?” il tono di Mao era sospettoso.

 

“Sai cosa succede alle donne che volevano sapere troppo?” rispose la brunetta, ghignando.

 

“Poche storie, Tachibana.” Karen incrociò le braccia al petto. “Allora?”

 

“Niente di nuovo.” fece scrollando le spalle. “Solo… Sto attualmente con tuo fratello. Tutto qui.” e Karen sentì il proprio cuore esplodere.

 

 

 

 

You think I'm pretty
Without any make-up on
You think I'm
funny
When I tell the punch line wrong
I know you get me
So I'll let my
walls come down, down
Before you met me
I was a wreck
But things were kinda heavy
You brought me to life

 

Teenage Dream – Katy Perry

 

*******************

 

 

Se c’era una persona che adorava, era la sua cognatina, come aveva preso a chiamarla: le aveva fatto una buona impressione fin da subito, e si erano volute bene sin dal primo istante. Ma una cosa del genere non avrebbe dovuto proprio fargliela.

 

Okay, si trovavano a Yuma, in casa dei PPB All Starz.

Okay, per raggiungere San Diego ci volevano circa sei ore di auto, non erano contemplati treni o aerei.

Okay, il campionato sarebbe iniziato tra tre giorni, e tra due ci sarebbe stato il discorso del presidente.

Prendeva atto di tutte queste cose.

Ma perché diavolo Judith Mizuhara doveva avere a disposizione solo tre auto?! Cos’erano, poveri, lì alla sede americana degli All Starz?

 

Karen sospirò, squadrando il gruppo con fare apprensivo: aveva una strana sensazione, e purtroppo i suoi cattivi presentimenti non sbagliavano mai.

Perché diavolo erano dovuti approdare a Yuma con due giorni di anticipo?!

Beh, lei ci era andata per seguire Kai, che ci era andato per vedere Hilary, che ci era andata per la squadra dei Blade Breakers Revolution.

 

La squadra giapponese e quella americana si erano incontrate con due giorni di anticipo per discutere della clausola dell’età, che sarebbe entrata in vigore dal campionato prossimo in poi. Avrebbero provato a discuterne con il presidente, avevano detto, ma secondo lei non ne avrebbero cavato un ragno dal buco.

 

“Va bene, vediamo di organizzare le auto.” Hilary si guardò intorno con fare pratico, analizzando la situazione con fare serio e critico.

Karen sentì crescere dentro di sé un’ansia mista a pressione, e il non sapere a cosa ciò fosse dovuto la rendeva nervosa, molto, molto nervosa.

 

“Siamo dodici.” annunciò, dopo un rapido calcolo.

 

“Sappiamo contare.” incredibile come la risposta di quel buono a nulla di Takao arrivasse sparata ogni volta che apriva bocca. Di recente aveva preso ad attaccarla anche con più forza del normale, pareva quasi che gli desse fastidio anche solo il fatto che lei respirasse.

 

“Non direi, visto che non l’hai fatto.” rispose a tono, fulminandolo con lo sguardo.

 

“Basta così.” la voce di Hilary arrivò tagliente alle orecchie di tutti: in quei giorni a Yuma li aveva pizzicati più spesso, avvertendoli di smettere con le loro frecciatine, ma dal suo sguardo pareva proprio arrivata al capolinea.

“Max, tu e la tua squadra avrete l’auto più grande. Ecco le chiavi.” la voce della giapponese pareva quella di una generalessa intenta a dare e distribuire ordini.

 

“Ci vediamo lì!” trillò l’americano, afferrando il mazzo di chiavi che la brunetta gli lanciò; dopo saluti ed auguri di buon viaggio Hilary prese ad osservare minacciosamente Takao e Karen che sentivano sorgere sempre più in loro una strana sensazione.

 

“Io, Kai e gli altri prenderemo la Bmw.” la sua voce aveva il tono di chi non ammetteva repliche. “Riguardo voi due… Queste sono le chiavi della Rolls Royce.”

 

Karen spalancò occhi e bocca. “Io non mi faccio sei ore di tragitto con questo individuo!” sbottò.

 

“Perché io sono ansioso di viaggiare con te, forse?!” il tono di Takao era disgustato.

 

Hilary incrociò le braccia al petto in un’espressione impenetrabile. “A me non interessa: noi andiamo, tra tre giorni inizia il torneo. Non vi sono né aerei né treni per San Diego. L’unica chance è questa auto. Buona fortuna.”

 

 

 

 

 

 “Continua a guidare così e arriveremo a campionato finito.” il mugugno di Takao irritò Karen a tal punto da farle pensare di aprire lo sportello dell’auto per scaraventarlo in piena corsia.

Aveva preso la patente da poco, in Giappone la si poteva prendere a sedici anni, e avendole insegnato sia Kai che Hilary a guidare, aveva imparato subito, ed era stato molto divertente. Non permetteva a quel pallone gonfiato di offenderla.

Irritata, accelerò un poco, superando due auto di fila, concentrandosi al massimo sulla guida e non sull’idiota che le stava accanto. Erano partiti da mezz’ora, ed era stata la seconda mezz’ora più lunga della sua vita.

La prima era quando era scappata dalla Francia.

 

Sobbalzò quando udì all’improvviso il rumore di una canzone giapponese che definire canzone era un eufemismo. Era una sottospecie di nenia insopportabile, che le impediva di concentrarsi.

 

“Vuoi spegnere quella roba?” brontolò, stizzita.

 

“Rilassati, e guida.” rispose lui, con le mani dietro la nuca, abbassando il sedile, come se si fosse trovato sotto l’ombra di una palma.

 

Karen digrignò i denti, spegnendo lo stereo con una manata, ma l’effetto durò poco, perché Takao lo accese immediatamente, una luce di sfida nei suoi occhi azzurri.

La bionda inchiodò derapando nella corsia d’emergenza, facendo prendere un colpo al giapponese. “Sentimi bene.” tuonò. “Io non sopporto te e tu non sopporti me, ma vedi di non disturbarmi mentre sto guidando. Entrambi vogliamo arrivare vivi al campionato, giusto?”

Takao prima parve senza parole, poi la fulminò con lo sguardo.

 

E’ solo un idiota.

 

 

 

 

 

Ma fanculo, pure la ruota bucata ci mancava!” all’ennesima imprecazione da parte del giapponese, fu a fatica che Karen si ricordò il quinto comandamento elargito dalla sua educazione cattolica in merito a non uccidere.

Mancavano ancora un bel po’ di chilometri, e decisamente, questa San Diego si stava facendo desiderare: non che lei e Takao avessero parlato tanto, ma più che battibeccare sul suo modo di guidare, su come sorpassava, su come metteva la freccia, su come posizionava lo specchietto, sul fatto che le donne al volante fossero decisamente un pericolo costante… Beh, Karen stava decisamente mettendo tutto sul conto della sua cara cognatina.

 

Scesa sulla corsia d’emergenza, prese la ruota di scorta e il triangolo, che piazzò accuratamente dopo aver messo le quattro frecce d’emergenza, mentre Takao stava ancora in auto, impettito, a sproloquiare e ad imprecare.

 

Stupido maschio idiota ed inutile.

 

A scuola guida le avevano fatto fare un mini corso su come cambiare la ruota di scorta, ma si trattava di mesi prima, e le sue reminiscenze si erano andate a fare benedire allegramente… Inghiottendo parolacce ed imprecazioni che avrebbero fatto impallidire uno scaricatore di porto, con crick e ruota in mano, provò inutilmente a far sollevare di qualche centimetro l’auto, ma il suo sguardo saettò sull’uomo superfluo e vano seduto come un pellerossa a braccia incrociate sul sedile anteriore dell’auto.

 

“Vuoi scendere o no?!” sbottò, livida. “Devo sollevare l’auto, con il tuo dolce peso non ci riesco mica, idiota!” ringhiò.

 

Takao scese un secondo dopo, guardandola male. “Voglio proprio vedere.” fece, fissandola a braccia conserte; quando il crick le scivolò via dalle mani, lui scoppiò a ridere, facendola alterare di brutto.

 

“Fallo tu, che dovresti essere l’uomo della situazione! Dai, voglio proprio vedere!” Karen gli schiaffò gli attrezzi in mano, guardandolo con aria di sfida.

 

“Almeno non staremo qui fino all’era glaciale!” replicò quello, mettendosi al lavoro. La ragazza lo fissò armeggiare con gli attrezzi… Per poi ridacchiare subito dopo: se, infatti, Takao Kinomiya era il campione del mondo di bey, non lo era affatto in fattore bulloni, crick, e ruote… Decisamente no.

 

“Stavi dicendo?” cinguettò lei, fissandosi le unghie e inarcando le sopracciglia.

 

Sta’ zitta.” borbottò il ragazzo, quasi sudando nel tentativo di fissare la ruota che, per tutta risposta gli cadde via dalle mani.

 

“Mi sa che questo campionato si giocherà senza di noi…” Lui la fulminò con lo sguardo, e fece per dirle qualcosa, quando un rombo di motore fece sobbalzare entrambi.

 

Due ciclomotori della polizia stradale si erano fermati accanto a loro, vedendo il triangolo di pericolo, e uno di quei due, togliendosi il casco, rivelò essere piuttosto giovane per essere un poliziotto. “Bisogno d’aiuto?”

 

 “Per la verità sì…” fece Karen, con un sorriso. “La gomma deve essere riparata, e né io né lui riusciamo… Non è che potete esserci d’aiuto?” fece, con un sorriso.

 

Ma guarda un po’ te… Takao alzò gli occhi al cielo, non capendo come mai provasse così tanto fastidio all’idea che grazie ad un sorrisetto smielato quella maledetta francese fosse riuscita a far riparare in quattro e quattr’otto l’auto.

 

 

 

 

 

San Diego, dove diamine sei?

 

Karen sospirò, prendendo una birra e della cioccolata da pagare alla cassa di un autogrill dove si erano fermati per ricaricare le energie.

Solo un’ora e mezza di viaggio e già si sentiva esausta.

 

Non possono venirmi a pigliare con il jet privato?

 

Fasciata nei suoi corti jeans, Karen non si accorse degli sguardi maschili che il suo top senza maniche attirava, specie se in compagnia di morbidi capelli biondi e rari occhi viola.

Bevve la sua birra tranquillamente, appoggiata alla Rolls Royce, aspettando il suo compagno di viaggio che si era cacciato chissà dove ed ignorando i commenti dei ragazzi in fondo.

 

“Ehi, bionda!” sghignazzò uno, avvicinandosi a lei. “Possiamo conoscerci?”

 

Karen roteò gli occhi: possibile che i ragazzi non potessero essere più originali?

“Sparisci.”

 

“Le focose sono le mie preferite.” ghignò quello, in direzione degli altri, che risero. “Dai, bambola… Ti va un giro?”

 

Lei inarcò un sopracciglio e fece per aprire bocca, ma qualcuno la precedette. “La ragazza è con me.” incredibile come lo stomaco le si contrasse in una morsa molto piacevole all’udire quella voce che pareva quasi… irritata? Perché mai, poi?

 

“Mi è andata male.” ghignò l’altro, andandosene, tra le risate generali.

 

Karen si voltò stupita verso Takao, che ancora fissava i ragazzi in fondo con espressione pressoché omicida. “Grazie, ma me la stavo cavando da sola.” puntualizzò, seccata.

 

Lui inarcò un sopracciglio. “Ho visto.” fece, mettendosi al posto del conducente. “E, se la prossima volta sei mezza vestita, non ti spara nessuno.”

 

La francese aggrottò la fronte. “Come sarebbe a dire?”

 

“Niente, lasciamo perdere.” Takao scosse la testa. “Mettiamo in moto e raggiungiamo questa San Diego del cavolo.”

 

Raggiunse a tutta velocità il posto accanto a lui, sbattendo con tale forza la portiera da farlo sobbalzare. “No, ora mi spieghi!” tuonò. “Tu sei un pregiudizio ambulante, lo sai?! Prima mi dai dell’impostore, poi della ladra, ora implicitamente della ragazza facile!”

Il giapponese la guardava sconvolto, basito da quel fiume in piena di parole.

“Ma sai che c’è? C’è che non ne posso più di sottostare ai tuoi occhi accusatori! Non devo passare un esame, io! Non ti piaccio? Ma vaffanculo! Vorrà dire che se ti schifi di condividere un’auto con un tale obbrobrio di persona, mi farò dare un passaggio da quei ragazzi tanto simpatici!” le sue urla rimbombarono per tutta l’auto, lasciando il ragazzo praticamente stravolto: fu per miracolo che seppe prenderla al volo per un braccio quando aprì la portiera.

 

“Karen!” sbatté gli occhi, confuso. “Io… Aspetta.”

 

La francese lo osservò, furente, con gli occhi viola umidi di lacrime per la rabbia a lungo trattenuta. Takao all’improvviso si sentì un verme: immaginava che, dal loro primo incontro, lei non l’avesse ancora perdonato, ma non immaginava assolutamente la pensasse così.

 

“Io sono una persona onesta.” sibilò ancora lei. “Onesta. Non permetto a nessuno di affermare il contrario. Se ti dicessero che ti batti slealmente, come la prenderesti?

 

Takao non poté far altro che annuire lentamente: in effetti per lui sarebbe stata un’offesa mortale. “Senti, io… Mi dispiace. Io e tuo fratello abbiamo un rapporto particolare, fatto di rivalità ma anche della più sincera amicizia. Ero preoccupato per lui. Ha sofferto così tanto nella sua vita… E non ha… Non avete avuto una bella famiglia… Proprio no.” qui toccò a Karen annuire.

“Per questo volevo vederci chiaro. Poi sai, io sono… uno zuccone. Sono uno che prima parla e poi pensa, non ci so fare con le parole, non sono un diplomatico… Quella è Hilary. Sono stato pesante, mi dispiace… Ma non volevo ferirti.” quando Karen si voltò, mordendosi le labbra, Takao la fece voltare prendendole il mento tra due dita.

“Sei una blader eccezionale, capace e davvero leale. Battermi con te è stata scarica di adrenalina pura.” poi sospirò. “E sinceramente ti dicevo quelle cose dei vestiti perché… Dannazione, uno non può fare a meno di guardarti!”

 

Lei inarcò il sopracciglio. “Kinomiya, mi hai guardato ancora le tette.”

 

Fossero solo quelle… “No.”

 

“Sì.”

 

“Ti ho detto di no!”

 

“Ho capito, anche il culo.”

 

Ma come..? “Sei montata, miss Hiwatari, lo sai?”

 

“No, sei tu che sei prevedibile.” fece lei, scrollando le spalle.

Scambiandosi un’occhiata, si sorrisero lentamente: entrambi capirono che la loro amicizia, forse, iniziava in quell’istante.

 

 

 

 

 

Incredibile a dirsi, ma Takao Kinomiya, colui che era stato campione del mondo di bey da quando aveva tredici anni, era un ottimo conducente.

Rilassato, prudente, sapeva anche intrattenere una conversazione mentre guidava, cosa che lei preferiva non fare, perché amava concentrarsi interamente sulla guida.

 

“Tu e Kai siete molto diversi.” era passata mezz’ora da quando si erano lasciati l’autogrill alle spalle, e il clima era totalmente diverso, tra loro.

 

“Abbiamo due storie differenti, credo sia quasi… Doveroso.” fece lei, accavallando le gambe.

 

“No, anche fisicamente.” sorpassando un’auto, Takao le lanciò una breve occhiata. “Cioè, quando Hilary me l’ha fatto notare, le ho notate le poche somiglianze, ma per il resto… Siete disuguali. Prendi gli occhi, per esempio.”

 

Lei inarcò entrambe le sopracciglia. “Proprio quelli li abbiamo spiccicati.” rise.

 

“Io non credo.” Takao sorrise. “I tuoi tendono al lilla, con delle screziature ametista… Quelli di Kai sono due pozze scure… Sembrano riflettere ciò che ha passato nella sua vita.”

 

Karen dapprima rimase senza parole, poi scoppiò a ridere. “Ti sei perso negli occhi di mio fratello?” Takao dapprima corrucciò la fronte, poi si unì alle risate.

 

“Nah, ho semplicemente fatto il confronto.”

 

“Perché?”

 

Lui arrossì. “Ehm… Così. Per provare a capirti, credo.”

 

La francese sentì le sue gote scottare. “E’ una cosa carina.”

Perché si sentiva così? Era una cosa strana, troppo: era come se, all’autogrill, caduti tutti i muri tra loro, tra loro si fosse innalzata un’altra barriera, un po’ più solida… Ma non riusciva a capire quale e cosa fosse. Era qualcosa di più strano, che la spingeva a sentirsi a disagio… Ma perché?

 

“Come hai imparato a giocare a bey?” cambiò velocemente discorso lui, prima che la tensione potesse portarlo a dire qualche sciocchezza.

 

“Al collegio dove stavo era vietato. Io ho imparato per sfida: comprai il mio per caso, in un mercatino dell’usato, e in breve divenni la più brava.

 

“Era dura stare lì?” la domanda era stupida, lo sapeva, ma non poté fare a meno di porgergliela: quella ragazza così sottile, pallida, che aveva imparato a cavarsela solo con le sue forze, con un disperato desiderio di famiglia pareva essere così fragile… Invece mordeva e graffiava come una leonessa.

 

“Sì.” disse, in un soffio. “Le suore erano intransigenti, severissime. Io ero la più ribelle, la più capricciosa. Per me erano sempre punizioni e castighi, digiuni ed isolamenti.” dal sospiro che ne seguì, Takao capì che non sarebbe tornata sul discorso.

 

Il giapponese continuò a guidare fino alla fine di una galleria, ma fu quando un tram accese le luci abbaglianti venendo a tutta velocità verso di loro che il sangue si gelò nelle vene di entrambi.

Con un’abile manovra, riuscì a portarsi nella corsia d’emergenza, premendo con forza il clacson.

Karen prese a tremare come una foglia, spalancando gli occhi viola ed impallidendo. Il giapponese mise entrambe le mani sul volante, tentando di calmarsi, respirando a grandi boccate: erano vivi, ce l’avevano fatta: andava tutto bene.

 

Fu automatico per lui intrecciare le dita della ragazza con le sue per farle coraggio, e quando Karen alzò lo sguardo ed incontrò il suo, smise, subito dopo, di tremare.

 

Rimase basito quando quella ragazzina – che poi aveva solo due anni meno di lui – lo abbracciò di slancio, cingendogli il collo con le mani. E furono strane, le sensazioni che provò: sentire il suo respiro caldo sul collo, le sue forme premergli contro il corpo, o i suoi capelli che gli accarezzavano il viso era una sensazione… Strana. Eppure piacevole. Troppo piacevole.

 

Ma che diamine…

 

“Se non ci fossi stato tu…” balbettò la ragazza, mordendosi le labbra. “Ti devo la vita.”

 

Takao la allontanò da sé, anche perché questo sentirsi strano lo inquietava a dir poco. “Non dirlo nemmeno per scherzo. E’ tutto a posto.”

 

Karen, allora, sorrise. Un sorriso che gli rimase tatuato nella mente.

 

 

 

 

 

“Questa volta stai qui e non mi fai prendere alcun tipo di spavento.” il tono del ragazzo, che tanto ricordava una mammina spaventata, divertì Karen a più non posso, infatti sghignazzò, prendendolo a braccetto.

 

“Ecco, così sono legata a te, soddisfatto?”

 

Lui arrossì. “Mh. Almeno non ti importunerà nessuno.” mugugnò, facendola ridere.

 

“Mio eroe…” disse, in un tono non consapevolmente sensuale, rovesciando la testa indietro.

 

Devo distrarmi.

“Andiamoci a prendere un caffè, eh? Abbiamo ancora due ore per arrivare a San Diego.

 

Karen sbuffò, contrariata, ma lo seguì: evidentemente le sue speranze erano vane. Almeno non si era scoperta troppo. Almeno, lo sperava.

Quell’autogrill era strano: c’era una specie di cameraman che dettava ordini a destra e a sinistra e delle coppie che si muovevano a tempo di musica.

 

“Mi scusi, che succede?” chiese al barista.

 

Quello scrollò le spalle. “Stanno montando un videoclip di una band rock emergente, e stanno coinvolgendo le coppie che si trovano qui.”

 

Karen ordinò un caffè, aspettando Takao, che era andato in bagno, ma in breve si trovò coinvolta da quel ritmo così suadente e coinvolgente: le era sempre, sempre piaciuto ballare.

 

“Ehi bionda, ti unisci a noi?” le urlò il regista, da dietro la telecamera.

 

Karen rimase senza parole: non si era nemmeno resa conto di star ancheggiando. “I-Io, veramente…” le sarebbe piaciuto tantissimo, ma lei e Takao avevano il tempo materiale?

 

“Se ti va, fallo.” sussultò quando, voltandosi, trovò proprio lui a fissarla, divertito.

 

“Non abbiamo tempo.” protestò debolmente. “E… Anzi no. Lo faccio se mi fai da compagno.”

 

Lui aggrottò la fronte. “Chi ti dice che io sappia ballare?”

 

Sghignazzò. “Oh, andiamo: nonno Jay chi è che ha trascinato ai corsi di tango e liscio per circuire le vedove?” il moro scoppiò a ridere. “Al confronto cosa vuoi che sia ballare un po’ di musica rock? O hai paura, forse?”

 

Maledetta bionda… “E sia, non si dica mai che non accetto una sfida.” sorridendosi a vicenda, e andando verso il centro della pista, Karen e Takao non abbandonarono l’una gli occhi dell’altro: quando il regista diede loro indicazioni circa i movimenti da fare, le seguirono alla lettera.

La musica era coinvolgente e ritmata, e quando iniziò fu a dir poco travolgente.

 

Fu come essere sospesi, come librarsi in aria, come star chiusi in una bolla dove esistevano solo loro due: sintonia, complicità, sorrisi, ammiccamenti. Faceva tutto parte del gioco.

Quando Takao la attirò a sé per una piroetta Karen la eseguì alla perfezione, e quando, alla fine della canzone, si ritrovarono a poca distanza l’uno alle labbra dell’altra si osservarono spaesati, consci della tensione sessuale che stava aleggiando tra loro.

 

“Stop! Buona!”

 

Takao sbatté gli occhi, frastornato: erano trascorsi parecchi secondi dalla piroetta e lui era ancora a pochi millimetri dalle labbra della francese…

 

Io sono fuso.

 

“Dobbiamo andare…” la voce gli uscì roca, e un brivido gli attraversò la schiena, lo stesso che scosse l’intero corpo di Karen, che fu solo in grado di annuire.

 

 

 

 

 

Arrivarono a San Diego in un’ora e mezzo anziché in due, tanto Takao aveva premuto forte l’acceleratore; il viaggio era stato carico di tensione, di parole non dette, di sguardi mentre l’altro non guardava… Praticamente insostenibile.

Trovarono quasi per miracolo l’hotel dove alloggiavano tutti i campioni che avrebbero giocato al campionato del mondo, talmente nervosi e agitati.

 

Posteggiarono inchiodando bruscamente, e tra loro scese un silenzio imbarazzante.

Karen lo guardò mentre stava immobile a fissare il vuoto, senza sapere bene che dire o fare: sapeva bene che il ragazzo si trovava nella sua stessa situazione, che sentiva le sue stesse emozioni e che era combattuto quanto lei.

Scese dall’auto, cosa che fu imitata da lui, poco dopo. La bionda si guardò le scarpe per un istante, dopodiché sfoderò un sorriso tirato. “Grazie per il viaggio, io… Beh, è stato… Sorprendente?”

 

Lui arrossì in zona orecchie, ma lo sguardo era terribilmente serio. “Sì, hai… Ragione, suppongo.”

 

Karen annuì ripetutamente, poi sorrise ancora, scaricando i bagagli. “Allora ciao?”

 

“Eh, sì…” Takao sentì un groppo crescere nella sua gola: non voleva lasciarla andare così, ma non sapeva nemmeno cosa fosse giusto e cosa sbagliato.

 

La francese gli si avvicinò, abbracciandolo brevemente. “Okay, grazie per il viaggio.” ripeté, cantilenante; e fu incredibile l’effetto di quel gesto: sembrò risvegliare di colpo tutti gli ormoni e le sensazioni che avevano provato circa un’ora e mezzo prima.

 

Takao la fissò, sconcertato. “Ahem… Prego.” fece, ricambiando la stretta.

 

Karen lo baciò sulla guancia. “No, grazie davvero, eh.” sapeva di starsi comportando in maniera ridicola, ma in quel frangente non era padrona delle sue emozioni, né dei suoi gesti: era come una marionetta mossa da qualcun altro…

 

 

Gli era capitato di ricevere da parte di Hilary un bacio sulla guancia: ma non gli aveva causato di certo un rimescolio allo stomaco.

Fu per questo che Takao artigliò il polso della bionda, avviluppandola contro la Rolls Royce e baciandola in maniera quasi animalesca: aveva baciato altre ragazze in passato, ma mai nessuna era riuscita a scatenare in lui queste emozioni così primitive, così istintive.

 

Fu solo perché la sentì mugugnare lievemente che recuperò parte della ragione, e si staccò bruscamente da lei. “I-Io…”

 

Lo fissò interrogativamente. “Beh? Non mi pareva di starmi lamentando.”

 

La guardò con occhi liquidi.  “Sei sicura?”

 

“Kinomiya, tu parli troppo.” sussurrò lei, prima di buttarglisi addosso.

 

 

 

 

 

 

In camera c’era un tappeto altissimo, era perlomeno trenta centimetri da terra: soffice, morbido e pulito: ideale per farci l’amore.

Karen sorrise ancora una volta: pareva che non fosse in grado di fare altro. Aveva passato le ore più belle di tutta la sua vita in quella stanza d’hotel, quella dove erano corsi lei e Takao per baciarsi e per… stare un po’ in pace.

Era stato paradisiaco, bellissimo, perfetto.

Stesa su un lato, osservava il ragazzo che aveva di fronte, che le stava accarezzando i capelli.

 

“La cena si raffredderà.” sussurrò, quasi pentendosi di spezzare quell’incanto.

 

“Non importa.” nel momento in cui lo disse, lui stesso fece tanto d’occhi, e insieme ridacchiarono.

 

Karen puntellò un gomito sul tappeto, prendendo il vassoio e mettendolo tra loro. “Okay, Hilary ce l’ha portato e noi adesso mangiamo.”

 

Lui scoppiò a ridere. “Che faccia che ha fatto…” entrambi scoppiarono a ridere. “Kai mi ucciderà: sedurre la sua sorellina…

 

Karen inarcò il sopracciglio. “Veramente più che altro sono io che ti ho violentato.” precisò, facendolo quasi strozzare con un antipasto.

 

“Vero.” annuì lui. “Kary…”

 

“Non dire niente. Non sappiamo cos’è, questa cosa che ci è successa, ma… E’ okay. E prendiamoci del tempo per scoprirlo. Senza dirlo a nessuno; se funziona, bene. Se non funziona, non soffrirà nessuno. Che ne dici?”

 

Lui parve sollevato. “Ci sto.”

 

 

 

 

 

Una cosa di cui potevano disporre era un comodo idromassaggio in una vasca enorme, in quel grande hotel a cinque stelle che la BBA, che aveva organizzato il torneo come ogni anno, aveva messo loro a disposizione.

Takao si crogiolò in quel turbine di bolle e sali da bagno, accuratamente preparati da una sensualissima francese di sua conoscenza che quella sera, dopo una giornata particolarmente faticosa passata a combattere contro la squadra spagnola, si era presentata in camera sua avvolta solo da una vestaglia di seta.

 

La meraviglia era che aveva pensato proprio a tutto: aveva fatto ordinare dello champagne e delle fragole, aveva messo su della musica rilassante, e ora stava di fronte a lui: bellissima e sensuale, con i capelli biondi che le ricadevano finemente sulle spalle.

 

Sei carino tra le bolle.” ridacchiò, versandosi un po’ di champagne, e brindando con lui.

 

Takao scrollò le spalle. “Nah, sei tu che sei ubriaca.” lei scoppiò a ridere, avvicinandoglisi e baciandolo.

 

Un brusco bussare li interruppe, facendoli saltare in aria. “Takao? Posso entrare?” era la voce di Max che, subito dopo, senza aspettare, entrò; Karen non perse tempo: si tuffò all’interno della vasca: l’acqua era alta e con la complicità delle bolle si poteva mascherare il tutto.

 

Il biondo venne verso il bagno, e assunse un’aria sconvolta quando vide l’amico nell’idromassaggio, ricoperto di bolle, con la musica di sottofondo… E con tanto di fragole e champagne.

Un’immagine non proprio virile.

 

“E’ stata una giornataccia.” provò a giustificarsi il giapponese, annuendo, deciso.

 

Max rise. “Ero venuto ad avvertirti che giù c’è la cena, ultimamente la salti spesso, siamo un po’ preoccupati…

 

“Va bene, d’accordo, addio, ciao.” fece sbrigativamente l’altro, cercando di cacciarlo via: Karen non sarebbe potuta stare a lungo sott’acqua.

 

Il biondo alzò le mani in segno di resa. “Okay… Ciao.” fece, uscendo. “Ah, Takao?”

 

“Eh.”

 

“Attento. Si diventa ciechi.” ridacchiò, e uscì.

 

 

 

 

 

Karen diede un colpo alla panchina, in preda alla rabbia più nera: si era fatta fregare come una pivella, non poteva sopportarlo. Aveva appena disputato un match contro la smorfiosa della squadra Coreana che l’aveva attirata senza problemi nelle sue trappole.

 

Accidenti!

 

“Calmati.” la voce del fratello le arrivò come un eco lontano. “Non serve a nulla alterarsi.”

 

Karen scosse la testa poi si alzò, correndo verso il camerino: aveva voglia di urlare, di piangere per quanto era stata umiliata, e di prendere quella blader e di farla a pezzi.

Entrando nella stanza pestò i piedi, rovesciando il contenuto del suo zaino per terra, dopodiché si calmò, almeno apparentemente. Si sedette per terra, a gambe incrociate, prendendosi la testa tra le mani, e sospirò. Restò in quella posizione per minuti e minuti, fino a quando non sentì dei passi dietro di lei.

Qualcuno le si era seduto accanto.

 

“Sei stata grande.”

 

Non si voltò neanche verso chi aveva parlato, tuttavia sentì una piacevole sensazione di calore alla base dello stomaco: quelle parole le avevano fatto piacere.

Ma ho perso.”

 

“Da ogni sconfitta si impara qualcosa. Il beyblade è bello perché non è solo una trottola. Ti permette di entrare in contatto con dei pezzi di metallo, di animarli, di viverli. Tu e il tuo bit power siete una cosa sola, e combattete lealmente. Quando lui accusa il colpo, è come se lo accusassi anche tu.” parlava con una tale gioia e un sorriso sulle labbra che fu impossibile non incantarsi a guardarlo.

“Per certi versi, è come litigare con te.” fece, strizzandole l’occhiolino. “Si deve stare attenti, è pieno d’insidie, ma… vinco sempre io!”

 

Karen si finse indignata. “Non credo proprio!” fece, dandogli addosso, e fingendo di picchiarlo. Takao la trattenne per gli avambracci e quando furono l’una a pochi centimetri dalle labbra dell’altro, si fissarono per pochi istanti prima di iniziare a baciarsi.

 

Dio, io sono innamorata di te…

 

Rotolarsi per terra fu automatico, così come sentire il cuore di ognuno battere a ritmi furiosi, ma quando sentirono dei passi fecero – come al solito – la prima cosa che venne loro in testa: si nascosero negli armadietti.

 

“Tua sorella è passata di qui, Kai.” ghignò Serjey, alludendo alle cose rovesciate per terra.

 

Kai le osservò, ma non fece una piega, chiedendosi, invece, dove fosse andata Karen: l’aveva vista veramente arrabbiata per l’incontro, ma non era il caso di farne una tragedia: ne aveva disputato altri e questo era il primo che perdeva.

 

Da dentro l’armadietto Takao e Karen stavano con il fiato sospeso, attenti a respirare il più sommessamente possibile, per destare meno sospetti possibili. Non vedevano l’ora che l’intera squadra della Neoborg se ne andasse. Non era molto comoda quella posizione in cui stavano…

 

Boris aprì l’armadietto, aspettandosi di trovarvi le grucce con appesi i suoi pantaloni di ricambio: non si aspettava mica che una mano glieli porgesse e che Karen, avvinghiata a Takao, gli facesse segno di star zitto.

Se fosse stato un’altra persona non avrebbe esitato a sobbalzare, facendo girare anche gli altri. Invece si limitò ad assumere un’aria sorpresa, che durò qualche secondo, per poi essere cancellata.

 

“Andiamo a pranzo?” borbottò, come al suo solito, trascinando con sé i compagni di squadra verso l’uscita dello spogliatoio.

Karen e Takao sospirarono impercettibilmente: erano salvi.

 

 

 

 

 

“Cioè, facendo il conto ci hanno scoperto Boris e Rei, fin’ora… E non è passato nemmeno un mese dall’inizio del campionato.” la francese sospirò, sconsolata, avvolta nell’abbraccio caldo del suo compagno di avventure, colui che, con un solo battito di ciglia, sapeva procurarle brividi in tutto il corpo e anche farle arrestare il respiro.

 

Takao non smise di accarezzarle la schiena pigramente, inalando il suo profumo. “Ti preoccupi troppo… Secondo me se continuiamo così va bene. Cioè, è okay. Oddio, Boris a momenti mi staccava la testa, e Rei abbiamo dovuto tenerlo a bada, ma entrambi terranno la bocca cucita.”

 

Karen sospirò, mordendosi ripetutamente le labbra. Avrebbe tanto voluto dirgli quello che sentiva, ma non ce la faceva, era troppo complicato. Se poi pensava al solo fatto che fino ad un mese prima era convinta di odiarlo, allora si metteva a ridere.

 

Qual è quella frase? Ah, si: puoi dire ad un uomo ti odio e farci una grandiosa scopata; prova a dirgli ti amo e non lo rivedrai mai più.*

 

“Sei preoccupata che lo scopra tuo fratello?”  quando Takao le carezzò la guancia con l’indice, lei si sentì bruciare la pelle, come se la scia da lui tracciata fosse fatta di fuoco.

 

Perché mi fai questo?

 

“No, io…”

 

“Non devi, è tutto okay. E poi anche se lo scopre non fa niente: io e te non siamo niente, quindi-”

 

La ragazza voltò la testa di scatto, fissandolo con tanto d’occhi e facendosi pallida. “Ovvio.” la voce le uscì tanto metallica quanto roca, e fu un attimo: si alzò dal letto, si rivestì a tempo record e uscì dalla stanza, incurante sia dei richiami del ragazzo, sia del fatto che qualcuno avesse potuto vederla.

 

Takao non ci credeva: era rimasto solo per una stupida frase buttata lì, a casaccio. “Idiota.”

 

 

 

 

 

Rei non aveva mai visto Takao così furioso sul campo: combatteva contro la squadra americana, e pareva furibondo, irascibile, assetato quasi di vendetta… Una cosa non da lui, per niente.

Vinse in un baleno, ma mai i suoi occhi azzurri erano stati così colmi d’ira. Che fosse accaduto qualcosa con Karen?

Il cinese si voltò leggermente ad osservare la sorella di Kai, che flirtava amabilmente con il capitano della squadra coreana, e allora Rei capì ogni cosa.

 

 

 

“Strafogarti non servirà a fartela riavere.” pronunciò, sibillino, sedendosi accanto al giapponese. Aveva chiesto al professore di far cambio di posto per il pranzo, e lui aveva acconsentito.

 

“Chi la rivuole.” brontolò Takao. “E chi l’ha mai avuta.”

 

Rei inarcò le sopracciglia. “E’ questo il problema?”

 

Il giapponese sbuffò, scuotendo la testa. “Senti, non lo so, va bene? So solo che in testa ho una confusione infernale, senza che ti ci metti pure tu.

 

“Se mi dici cosa c’è potrei aiutarti.”

 

Takao osservò l’amico, il compagno di un sacco di avventure che ora gli stava tendendo la mano in questioni pressoché… sociali. “C’è che è cominciato per caso. Lei mi stuzzica, mi eccita, ed eravamo d’accordo, accidenti. Non c’era niente tra di noi e dovevamo vedere come si evolveva la cosa. Poi io l’altra sera me ne sono uscito – visto che lei era preoccupata per Kai – che tanto anche se ci avrebbe scoperti non  contava nulla perché non eravamo niente, e lei che fa? Si incazza! E ora è lì a fare le moine a quello!” sputò fuori, addentando rabbiosamente un pezzo di pane.

 

Rei sospirò. “Ti è mai venuto in mente che, forse, per lei, la cosa si era già evoluta?”

 

Takao stette con il resto del pane a mezz’aria, non capendo la frase, poi arrossì. “Eh?”

 

“E poi, sinceramente, dire che non siete niente… Beh, se volevi suicidarti hai scelto un’ottima strada, amico.” rise il cinese. “Le donne sono piuttosto irascibili su certi argomenti.”

 

Takao sbatté gli occhi. “Ma se io… M-Ma se lei…”

 

Rei ridacchiò. “Poi toglimi una curiosità: se non siete niente, perché diamine ti incavoli se lei cerca attenzioni altrui? A me pare legittimo.”

 

Ma perché io…!” il giapponese chiuse la bocca di scatto. “Oh. Ah, grazie Rei.”

 

Lui rise. “Prego, amico.”

 

 

 

 

 

Eccola lì, abbarbicata al braccio di quell’idiota di quell’insulsa squadra Coreana. Si era pure messa in tiro, per uscire con lui: vestitino argentato, leggins neri, tacchi alti, borsetta coordinata… Fin troppo in tiro. E una come lei non passava di certo inosservata.

Takao ebbe voglia di ringhiare, ma si trattenne: quella era una sfida, e lui non solo amava le sfide, ma amava vincerle lealmente.

 

Quando, però, la vide cingere il collo di lui, sorridendo, non poté aspettare oltre: si sentì ardere dentro il fuoco della gelosia, mai provato prima, e fu una sensazione devastante.

Incredibile quanto quella ragazzina bionda sapesse scatenare in lui emozioni assurde che mai aveva pensato di sentire.

 

“Karen!” chiamò il suo nome quasi di getto, e vide l’altro sobbalzare, ma lei rimanere immobile, quasi sapesse che li stava osservando: i loro occhi si incrociarono, i suoi brillavano con aria di sfida, ma lui mantenne uno sguardo serio.

“Dovrei parlarti.” continuò.

 

“E non potresti aspettare?”

 

“No, è urgente.” azzurro contro viola, i loro occhi sprofondarono gli uni negli altri, quasi a voler intraprendere una lotta all’ultimo sangue per voler determinare il vincitore; si studiarono, lessero il proprio sguardo, ma alla fine fu la ragazza che capitolò, arrendendosi.

 

“Scusami.” biascicò al ragazzo con cui era uscita. “Ci vediamo domani, okay?” il suo sguardo era di scuse: avrebbe potuto dirgli di aspettarla, che ci avrebbe messo un attimo, ma Karen aveva la strana sensazione che il discorso che lei e il giapponese stavano per intraprendere non avrebbe impiegato un semplice attimo.

“Allora, che vuoi?” sputò fuori, inviperita, appena svoltarono il corridoio.

 

Takao fece sprofondare le mani nelle tasche: incredibile come con il beyblade fosse così bravo da essere un campione mondiale, e con i sentimenti fosse così inetto da essere un… idiota cosmico. Che diavolo doveva fare ora? Come diamine doveva dirglielo?

“Voglio che tu smetta di vederlo.” borbottò.

 

La bionda strinse gli occhi, riducendoli a due fessure. “Scusa?” la sua voce si fece metallica, in un tono che ricordò molto Kai quando gli si diceva qualcosa che non gli andava molto a genio. “Se non siamo niente io sono libera di crearmi una vita, chiaro?”

 

Takao prese fiato, dopodiché la guardò dritto negli occhi. “Me lo merito, ho violato la regola. Non fare mai nessun progetto che duri più di due giorni, perché fare dei progetti significa avere delle aspettative e quando le hai, rimani amaramente deluso.

 

Karen lo guardò sbattendo le palpebre. “Che… Che diavolo significa?”

 

“Che ti amo, e lo so che non era programmato, ma ciò non mi impedisce di essere innamorato di te.”

 

La francese sentì delle lacrime pizzicare ai bordi degli occhi, e si voltò, alzando gli occhi al cielo per farle andare via. “Santo cielo, Kinomiya, sapessi solo quanto ti… ti detesto, accidenti!” sbottò, tirando su con il naso. “Che cosa pretendi, dopo tutte queste cose che mi hai detto?” Takao la fissò: con il naso rosso, le gote arrossate e i capelli lievemente arruffati la trovava adorabile, specie se se la prendeva con lui. “Che ti dedichi una poesia? No, accidenti!” mugugnò, tirando su con il naso. “Ti detesto, ti detesto, ti detesto…” il giapponese rise, e quando la abbracciò, la ragazza si rilassò, sciogliendosi definitivamente, come abbandonandosi.

“Io ti amo.” fu sussurrato così piano che lo udì appena.

 

Sorrise largamente, sentendosi bene, in pace, felice. “Touché, mon amour.”

 

 

 

 

 

“Ma sei sicuro di volergli parlare oggi?” Karen si voltò ancora una volta verso Kai, che aveva già preso posto al tavolo della Neoborg, per poi fissare il suo ragazzo: avrebbe voluto abbracciarlo, o stringergli le mani, ma non poteva farlo in pubblico. Non ancora.

 

“Rilassati, Kary. Andrà tutto bene.” Takao aveva un sorriso sicuro sul volto, e strizzò l’occhiolino alla sua ragazza, resistendo all’impulso di baciarla. “Tu va’ a sederti, ci penso io.”

 

“Dov’è una statua di un dio qualunque quando serve?” borbottò la bionda. “Va bene anche uno pagano.”

 

Takao se la rise mentre si dirigeva al tavolo della Neoborg: capiva l’apprensione della francese. In effetti stava per andare a raccontare tutto a suo fratello, ed entrambi tenevano all’approvazione di Kai. Lei perché era il suo adorato fratellone, lui perché era il suo compagno di avventure, uno dei suoi più cari amici. Non sapeva cos’avrebbe fatto se non avesse capito, o se l’avesse presa male.

Scacciò il pensiero. Lui amava Karen: questo bastava.

 

“Ehi, Kai. Dovrei parlarti.” vide il russo squadrarlo in maniera interrogativa, poi alzarsi pigramente dalla sedia senza dire una parola.

Tipico di Kai: ormai lo conosceva come le sue tasche.

 

La hall dell’hotel all’ora di cena pareva il posto più adatto per parlare. O anche per fare a botte. Takao si toccò velocemente la mascella: sperava nella prima alternativa: non era mai stato uno che ci sapeva fare con le parole, ma sperava Kai non fosse uno che badava a qualcosa tipo l’onore di mia sorella o qualcosa di simile.

 

“Allora?” il russo lo fissò, un’espressione interrogativa sul volto, le braccia conserte e gli occhi viola simili a quelli della sua Karen.

 

Ma i suoi sono più chiari, più calorosi, meno oscuri… Non è vero che sono uguali…

 

“Mi sono innamorato di tua sorella, amico.” iniziò, scegliendo di andare dritto al punto: sapeva che Kai non amava i giri di parole e che era meglio concentrarsi sul nocciolo della questione.

“All’inizio entrambi pensavamo fosse solo attrazione, l’abbiamo tenuto nascosto per questo. Ora siamo entrambi certi dei nostri sentimenti. Vogliamo stare insieme alla luce del sole. Karen ci tiene alla tua approvazione, e francamente anche io.”

 

Il russo aggrottò la fronte, lasciando trapelare un’espressione di pura sorpresa che, tuttavia, durò solo qualche secondo. “Tu falla soffrire. Io faccio soffrire te. E non ti piacerà.”

 

Takao sorrise. “Ricevuto… Cognatino.”

 

Kai alzò gli occhi al cielo. “Sta’ zitto, prima che mi penta di tutto questo.”

 

 

 

 

 

“Vieni qui, Kai!” Hilary sorrise trascinando il suo ragazzo nella sua stanza, e il russo aggrottò le sopracciglia quando vi trovò sua sorella e il suo coso – ancora non si era abituato che Takao fosse qualcosa con sua sorella più che vi litigasse – che bevevano qualcosa sul balcone.

 

“Che ci fanno loro qui?” chiese, con voce incolore.

 

“Oh, quanto sei antipatico!” sbuffò la giapponese, ravviandosi i lunghi capelli color cioccolata. “Takao e Karen mi stavano raccontando la loro storia d’amore, è così romantica…

 

La bionda inarcò le sopracciglia. “Ma se è fatta solo di litigate e ses-”

 

Takao praticamente le parlò sopra. “Aaaaah! Si, infatti, la mia dichiarazione d’amore è stata moooolto romantica!” e prese a ridere in maniera isterica, facendo voltare Kai, irritato.

 

“Non voglio sapere nulla.” brontolò, ponendo le braccia conserte.

 

“Oh, io qualcosa so, che voi non sapete.” rise Hilary.

 

“Cioè?” Karen sorseggiò il suo drink appoggiandosi al balcone.

 

“Giorni fa stavo per contattare il telefono di Takao, ma qualcosa deve aver fatto interferenza, perché vi ho sentiti parlare… E in una maniera…” scoppiò a ridere e arrossì, coprendosi le guancie con le mani.

 

Takao avrebbe voluto sotterrarsi. “Okay, cambiamo discorso?”

 

“Ben detto.” mugugnò Kai.

 

Karen sospirò, mordendosi le labbra e assumendo un’aria beata che nessuno le aveva mai visto in volto. “Dai, non brontolare. Io sono così contenta… Vedi, l’anno scorso tutto quello che desideravo, eri tu. E ti ho raggiunto.” fece, sorridendogli, contenta. “Ma, poi, ho conosciuto la migliore amica che avessi mai potuto desiderare che, come se non bastasse, è pure diventata mia quasi cognata. Ci crederesti? E’ un sogno.” Karen ondeggiò verso Hilary, stringendola in un breve abbraccio.

“Ma, adesso, improvvisamente, il ragazzo più odioso di tutti, quello che non potevo sopportare, quello che avrei volentieri messo nel tritacarne e fatto fulminare agli dei…

 

“Grazie amore, è sempre un piacere.”

 

“E’ diventato la persona che ha rimesso insieme i tasselli della mia esistenza, che mi ha scombussolata, che mi ha insegnato cosa vuol dire amare.” sorrise largamente, non potendo impedire ad un singulto di sfuggirle dalle labbra.

“So che è della vita cambiare le carte in tavola in continuazione, ma potessi esprimere un desiderio, vorrei restare così per sempre.” la ragazza si morse le labbra, sentendo le lacrime fare capolino ai suoi occhi ametista. “E’ così sbagliato?”

 

“No, non è sbagliato.” Kai scosse la testa.

 

Hilary le sorrise. “Nessuno può dirci dove saremo tra cinque, dieci o trent’anni, e anch’io, potessi esprimere un desiderio, congelerei tutto qui, in quest’istante, ma non si può… Anzi, forse sì.” fece, veleggiando dentro la stanza.

 

Takao sbatté gli occhi. “Dove vai?”

 

La brunetta ricomparve con tra le mani la sua digitale bianca, e sorrise. “Non possiamo ibernarci qui, ma la cosa migliore di una fotografia è che non cambia mai, anche quando le persone lo fanno.fece, sorridendo amaramente. “Vogliamo catturare questo momento per sempre?” Takao annuì, convinto, abbracciando Karen.

 

Kai aspettò che Hilary azionasse l’autoscatto per sospirare. “Sei sempre tu che riesci a farmi fare queste cose…

 

“Che cosa vuoi, è il potere dell’amore…” ribatté, in tono melenso che ebbe il potere di farlo ridere. Giusto in tempo per essere illuminati dal flash.

 

 

 

 

 

 

Fine.

 

 

*frase detta dalla mitica Samantha Jones in Sex and the City

 

 

 

 

 

Ladies, and gentlemen (se ce ne sono!) non sapete quanto, ma quanto mi siete mancati! =( Questi giorni lontani da voi mi sono parsi un secolo! Sono proprio contenta di essere tornata! *.*

Spero che questa shots vi sia piaciuta, e per la prossima dovrete attendere dieci giorni: ebbene sì. I missing moments si altaleneranno a giorni di dieci giorni ciascuno, sia per darmi il tempo di correggerli – sono già tutti pronti, ma necessitano un’ampia revisione – sia per darmi il tempo di finire la prossima fanfic, che non è nemmeno a metà! T.T

 

Quindi noi ci rivediamo Martedì 10 Maggio – Oooh, si torna il Martedì! *.* torniamo alle origini! –

spero resterete sintonizzati. ;D

 

Un bacione schioccoso ad ognuno di voi, spero davvero che questo primo pezzo di puzzle vi sia piaciuto. *__*

 

A presto, fate i bravi,

 

Hiromi

   
 
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