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Autore: SeleneLightwood    01/05/2011    8 recensioni
“Severus.”
Si girò.
“Sai perché oggi ti ho fatto uscire dall’aula.”
“Non mi serve la tua protezione dal mio peggior ricordo, Lupin.”
“Non tanto per te, ma per il ragazzo. Cosa credi che avrebbe pensato vedendo sua madre morta a terra di fronte a te? Tra tutti i ragazzini presenti nell’aula oggi pomeriggio, noi eravamo quelli che hanno più paure perché abbiamo visto di più, e troppo. Il molliccio avrebbe preso di mira noi.”
Mi fissò con occhi vuoti e l’espressione spenta.
“Ho smesso di ricordare, Remus. Tanto tempo fa.”
“Sai benissimo che non è vero.” Ribattei. “Non puoi dimenticare, e lo sai.”
Un’espressione di dolore si dipinse sul suo volto, e mi sembrò di intravedere una luce in fondo ai suoi occhi.
“La sogno tutte le notti da tredici anni. Quando potrò vederla di nuovo sarà un sollievo.”
Un momento di intimità fra Severus e Remus.
Un ricordo che nessuno dei due può dimenticare.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Remus Lupin, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
- Questa storia fa parte della serie 'Marauders'
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Molliccio

Molliccio.

 

 

 

 

 

Severus

 

“Potresti uscire dall’aula, Severus, per favore? Mi distrai i ragazzi” la voce di Remus Lupin rimbombava per l’aula di Difesa delle Arti Oscure.

“State facendo i Mollicci?” chiesi, alzando un sopracciglio.

I ragazzini del terzo anno, tra cui Potter e la sua combriccola, mi guardavano ridacchiando.

“Si, ma ci vuole concentrazione.”

Mi indicò la porta, con un gesto gentile della mano, una strana luce negli occhi.

Sorrisi mellifluo e me ne uscii con uno svolazzo del mantello.

Sentii dall’altra parte Lupin che iniziava a parlare…

“Allora, Neville, cosa ti fa più paura?”

 

                                                                        ****

 

Remus

 

Un leggero rumore attirò la mia attenzione, e dei leggeri passi risuonarono aldilà della porta di legno chiaro del mio ufficio, nel corridoio.

Presi la bacchetta per precauzione, ma fu inutile.

La porta si spalancò rivelando due occhi corvini, un naso adunco e dei capelli unticci.

“Severus, che piacere…” sorrisi.

In fondo provavo molta pena e molta compassione per quella creatura.

Un licantropo che prova compassione per un uomo normale…che ridere…

Eppure l’uomo di fronte a me aveva sofferto quanto il sottoscritto.

Perché non sentirmi uguale?

Condividevamo lo stesso dolore.

Severus Piton era giovane, ma dimostrava una ventina di anni in più della sua reale età, proprio come me.

Piccole rughe già solcavano il suo volto olivastro, pallido, e le labbra erano tirate. Non sorrideva, ma non mi sorprese.

Aveva un aria stanca, di chi ha vissuto troppo e non trova più un motivo reale per vivere.

“La tua pozione, Remus.”

Disse, poggiando il calice prezioso con il blasone di Hogwarts che teneva in mano sul mio tavolo.

“Ho aggiunto della salvia, dovrebbe essere più bevibile e non altererà gli…effetti.

“Grazie mille. Non avrei questo lavoro senza il tuo aiuto.

“Non andarlo a dire in giro, ho una reputazione, lupo.

Sorrisi.

Sempre lo stesso acido, antipatico, triste Severus.

“Il giovane Harry pensa che tu mi stia avvelenando.

Sorrise tirato.

Sapevo quanto gli costasse ricordare.

“Buona nottata, Remus” ghignò.

Lo osservai oltrepassare la porta, ma lo richiamai.

Era ora di parlare.

“Severus.”

Si girò.

“Sai perché oggi ti ho fatto uscire dall’aula.

“Non mi serve la tua protezione dal mio peggior ricordo, Lupin.

“Non tanto per te, ma per il ragazzo. Cosa credi che avrebbe pensato vedendo sua madre morta a terra di fronte a te? Tra tutti i ragazzini presenti nell’aula oggi pomeriggio, noi eravamo quelli che hanno più paure perché abbiamo visto di più, e troppo. Il molliccio avrebbe preso di mira noi.”

Mi fissò con occhi vuoti e l’espressione spenta.

“Ho smesso di ricordare, Remus. Tanto tempo fa.

“Sai benissimo che non è vero.” Ribattei. “Non puoi dimenticare, e lo sai.”

Calcai le ultime parole, assicurandomi che capisse che io sapevo.

Un’espressione di dolore si dipinse sul suo volto, e mi sembrò di intravedere una luce in fondo ai suoi occhi.

La sogno tutte le notti da tredici anni. Quando potrò vederla di nuovo sarà un sollievo.

“Silente si fida di te. Anche io.” Annunciai.

Annuì, assorto.

“Il molliccio è ancora lì?” chiese poi, con voce strana.

“Si.” Risposi. “Ma non farti del male così. Non serve”

“Grazie, Remus.”

Si voltò e uscì, facendo ondeggiare il mantello, la bacchetta in mano.

Mi girai verso la mia scrivania, dove il calice mi aspettava.

Ingurgitai tutta la pozione antilupo, e cominciai a tremare, andando incontro alla cosa che più temevo al mondo.

La luna piena splendeva alta nel cielo.

Stavolta ululai di dolore alla luna.

Era troppo difficile ricordare.

E troppo doloroso.

 

 

 

 

Severus

 

La porta dell’aula di trasfigurazione si chiuse alle mie spalle e mi diressi verso l’armadio in fretta.

Tremavo, ma non di freddo.

Come sarebbe stato?

Aprii l’anta con un colpo di bacchetta.

 

E ne uscì lei.

Lily.

I capelli rossi scendevano morbidi lungo le spalle, indossava solo una veste bianca, e gli occhi verdi erano lucidi.

Piangeva?

No, amore, non farlo.

Io mi tormento tutte le notti da tredici anni, gridandoti in sogno di scappare. Nessuna pozione placa la mia sofferenza, nessun incantesimo mi impedisce di vedere.

Vederti morta a terra, fredda e pallida, l’urlo di terrore ancora sulle labbra, il bambino che alle tue spalle piange senza sosta, con una cicatrice in fronte…

 

 

Quella notte, la notte della tua morte, arrivai prima io di Black e Hagrid.

Arrivai io per primo, appena svanito il Signore Oscuro.

Arrivai io, a vegliare il tuo corpo e a ricoprirlo di lacrime.

Fui io il primo a toccare il Bambino Che E’ Sopravvissuto, a prenderlo in braccio. Un’ulteriore lacrima scese sul mio volto, quando smise di piangere non appena fu tra le mie braccia.

E mi guardava con i tuoi occhi.

 

Mi fissò dolce per un secondo, la mia Lily, poi un lampo di luce verde, ed era a terra.

Eccola, la scena che si ripeteva ogni notte nella mia mente, nei miei sogni.

Le presi una mano, sedendomi al suo fianco.

Sembrava vera.

Ed era fredda.

Iniziai a singhiozzare sommessamente, poi sempre più forte, fino a che non gridai.

E il mio grido si confuse con un ululato ben udibile dall’altra parte del castello.

Era troppo difficile ricordare.

E troppo doloroso.

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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