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Autore: CowgirlSara    09/02/2006    7 recensioni
Una fredda mattina di marzo, dopo un'improvvisa nevicata, Camus si ripresenta dalla donna che ama da una vita. I due, ormai più maturi, saranno finalmente pronti a riscoprire il loro antico legame? Ecco cosa succede la notte successiva.
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una piccola One

Una piccola One-shot (leggermente pwp) per i miei amati cavalieri (o almeno per uno di loro). Faccio quest’introduzione perché ci sono alcune cose da spiegare, riguardo alla storia. 

Innanzi tutto, le vicende di questa OS si collocano alcuni anni prima de "Il ritorno", quando Camus sta per terminare l'addestramento del Saint della Corona Boreale (il maestro di Hyoga). Per chi non ha letto "Il ritorno", o per chi non volesse sprecarsi su quei sette capitoli, spiego soltanto un'ultima cosa: Camus, quando era un bambino da poco giunto al Santuario, è stato preso in affidamento da Nikolais, il padre di Elettra; i due bambini sono cresciuti insieme, ma, arrivati all'adolescenza, il cuore li ha divisi. Lei s'innamora di Aioros, mentre lui, pur essendo perdutamente innamorato della ragazza, non le confessa i propri sentimenti. 

Anni dopo, successivamente alla morte di Aioros, Camus si dichiarerà, ma verrà respinto da una Elettra ancora vittima del dolore; il cavaliere partirà quindi per la Siberia, restandoci per circa tre anni. 



La storia prende il via da qui. Una fredda mattina di marzo, dopo un'improvvisa nevicata, Camus si ripresenta da Elettra. I due, ormai più maturi, saranno finalmente pronti a riscoprire il loro antico legame? 



I personaggi di Saint Seya non mi appartengono, ma sono proprietà dei legittimi autori; mentre Elettra, purtroppo, me la devo ciucciare. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

Buona lettura 

 

~ She's the One ~ 





She 
May be the reason I survive 

The why and wherefore I'm alive 
The one I'll care for through the rough and ready years 

Me I'll take her laughter and her tears 

And make them all my souvenirs 

For where she goes I've got to be 

The meaning of my life is 

She 
(Elvis Costello – Testo originale Charles Aznavour) 




Era una di quelle lune da Grecia, che non vedeva da molti anni. Una di quelle lune assurdamente lucenti, che si riflettono sul mare scuro, separandosi in miliardi di schegge ancora più lucenti sulla superficie sempre mossa delle acque. Solo che, sotto quella luna, adesso, c’era una distesa di campi e alberi, colline e templi, persi nel silenzio di quella neve sottile e tanto strana per quella stagione, per quella regione del mondo. Sorrise, anche se la tramontana gli sferzava impietosa la pelle. E pensare che lui era tornato per godersi la primavera. Non si vedeva nemmeno il mare, da quel balcone.

“Abbi pietà di me, ti prego!” Esclamò una voce dall’interno. “Entra e chiudi quella finestra, si gela!” Camus sorrise sornione, spolverò un po’ di neve dal corrimano di marmo, poi diede le spalle alla notte e rientrò nella stanza.

Lei era seduta sul letto con le gambe incrociate. Indossava una camicia da notte rosa ed una vestaglia di seta azzurra. La trapunta sulle ginocchia. Era impegnata a limarsi le unghie. La sua espressione concentrata e leggermente buffa, gli ricordava i tempi dell’adolescenza, quando lui occupava la stanza sull’altro lato delle scale, a casa di Nikolais.

Elettra alzò gli occhi, regalandogli un sorrisino tirato. Lui sbuffò, dandole le spalle e cercando qualcosa nella sua giacca posata sulla spalliera di una sedia.

Fu in quel momento che la ragazza si domandò in quale esatto punto della loro vita, il ragazzino alto e allampanato era stato sostituito da quest’uomo dal corpo perfetto e dagli occhi profondi. Ma era così, quando era partito? No, non era possibile che non se ne fosse accorta. Insomma, era stupendo. Sì, sempre un pochino acido e saccente, ma con una schiena… Deglutì, era meglio non pensarci a com’era la sua schiena. Perché si stava togliendo la maglietta?!

Calma, Elettra, calma… non è la prima volta che lo vedi senza maglietta… Lo hai visto anche con meno e lo sai che dorme sempre senza. Su, via! Un tempo non ti facevi tanti voli sugli uomini nudi… Sì, un tempo, quando non sapevi cosa ci si faceva, con gli uomini nudi…

Camus si avvicinò al letto con quel suo passo un po’ così. Elettra fece finta di non essere interessata a quel che vedeva e si concentrò sulle sue unghie. Lui fece un breve sorriso. Non era più quel ragazzino ingenuo che si struggeva solo annusando il tappo della sua colonia. Sapeva bene come ci si comportava con le donne. E lei era una donna che non aveva un uomo vicino da tanto tempo…

Elettra, dal canto suo, aveva compreso molte cose, nel corso di quei tre anni. Il dolore per la scomparsa di Aioros si era attenuato, trasformandosi in un peso sordo sul fondo del cuore e probabilmente sarebbe rimasto lì fino alla fine dei suoi giorni. L’accettazione del lutto, però, le aveva snebbiato la mente, così si era resa conto della sua inutile crudeltà nei confronti di una persona la cui sola colpa era di amarla da una vita. Rivedere Camus le aveva provocato un’incredibile emozione. Lo scoprire di esserne attratta la spaventava e la confondeva. Sperava che non fosse troppo tardi.

“Beh…” Fece l’uomo, buttandosi giacca e maglietta su una spalla. “…è ora che vada in camera mia…”

“No!” Esclamò immediata lei; Camus la guardò sorpreso, Elettra abbassò gli occhi, accorgendosi di essere stata un po’ affrettata. “Intendo… perché non resti un altro po’… è tanto che non facciamo una bella chiacchierata…”

Camus sorrise, con lieve compiacimento ed un certo stupore; non si aspettava quella sua reazione piacevolmente irruente. Il gioco si faceva interessante. Afferrò i suoi panni e li gettò sulla poltrona azzurra dietro di se.

“E di che cosa vorresti parlare?” Domandò ironico. “Del tempo in Siberia? Un pochino monotono…”

Elettra fece una smorfia alla sua battuta, mentre riponeva la lima nel cassetto del comodino.

“Non fare lo spiritoso…” Lo rimbeccò. “Non so…” Continuò poi, con un gesto vago. “Dimmi cosa hai fatto ieri, sei andato per caso a mangiare zuppa di pesce in un ristorante sulla spiaggia?”

Lui sbuffò in un sorriso. “Sei proprio matta, tu.” Affermò poi, scotendo il capo; la donna lo guardò male. “Dovresti ricordarti che non mangio quella roba da quando ci prendemmo l’intossicazione con le cozze del vecchio Stavros!” Aggiunse divertito, sedendosi sul bordo del letto.

“Oh! Avevo rimosso…” Fece Elettra, abbassando il capo e passandosi una mano sul viso, agghiacciata al solo ricordo. “Avremo avuto undici, dodici anni, eh?” Chiese poi, rialzando uno sguardo divertito su di lui.

“Già.” Rispose Camus, guardandola con un sorriso, poi le scostò con delicatezza una ciocca di capelli dalla spalla; un brivido corse lungo la schiena di Elettra. “Bei tempi.”

“Sì, bei tempi.” Confermò la donna, lasciandosi cadere contro i cuscini e rivolgendo gli occhi al soffitto; Camus si stese su un fianco, osservandola. “Ricordi il mio letto con le colonnette che arrivavano quasi al soffitto?” Gli chiese lei poi, con lo sguardo illuminato.

“Certo.” Annuì il cavaliere, mentre perdeva lo sguardo nelle curve soffici del suo seno che si nascondeva tra le pieghe della vestaglia di seta. “E ricordo la bambola di porcellana vestita da sposa che tenevi sul comò, quello alto, vicino alla porta.”

Elettra sorrise, girandosi appena verso di lui; rimase per un attimo in contemplazione di quel corpo da dio dei mari, poi tornò a guardare altrove.

“Ho sempre sognato un abito come quello…” Ammise timidamente la donna.

“Io l’ho sempre trovato assurdo e pacchiano…” Replicò Camus con una smorfia ironica, Elettra lo colpì con una spinta; risero.

“Quante ore abbiamo passato in quella stanza...” Affermò Elettra, con la mente e gli occhi persi nei ricordi. “Le notti d’estate erano così lunghe e limpide ed il cielo non era abbastanza grande per contenere i nostri sogni…” Declamava entusiasta la donna, con tono dolce. “…era sufficiente tenersi per mano…” Allungò il braccio fino a stringere le dita di Camus tra le sue, lui le guardò. “…perché quel letto diventasse il nostro tappeto volante.”

“Eri brava a raccontare storie, la mia piccola Sherazade…” Commentò l’uomo sorridendole, lei fece altrettanto, continuando a tenergli la mano.

Il sorriso di Elettra, però, poco dopo, si affievolì. “Eravamo così uniti, allora… Cosa ci è successo, Camus?” Chiese al cavaliere. “Quando, ci siamo persi?”

La mano di Camus scivolò via lentamente da quella della donna, mentre lui voltava lo sguardo verso le finestre. “Lo sai, quando.” Rispose poi, freddo.

Elettra sospirò, poi si sollevò su un gomito, per vederlo meglio. Sapeva di averlo fatto soffrire e questo la faceva stare male. Camus, ora era supino, steso sul letto, un braccio lungo il corpo, l’altro sollevato vicino alla testa. Guardava un punto vago nella parete di fronte. Ora o mai più.

“Camus…” Esordì la donna, ma lui non si voltò, respirò appena più forte. “Non si può scegliere quando e di chi innamorarsi, credi che se avessi potuto non avrei evitato il dolore di perdere Aioros, o il sacrificio di crescere suo figlio da sola?” Continuò con forza. “Non posso comandare al mio cuore, nessuno può, ma credimi, non ho mai smesso di volerti bene.”

Il cavaliere girò lentamente il capo, fissando i suoi profondi occhi blu in quelli azzurri di lei. “Non è quello che volevo io.” Affermò quindi, secco, ed Elettra sentì come una stilettata gelida nel cuore. “Io volevo essere il primo in tutto, con te.” Continuò poi, il suo tono si fece più triste e intenso. “Volevo essere il primo bacio, il primo amante… il primo amore…”

La donna non riuscì a sostenere oltre quello sguardo e abbassò gli occhi; le faceva male avere davanti così chiaro il dolore che aveva provocato. Osservò le proprie mani, il grande anello di potere che luccicava al suo anulare, le scie misteriose che venavano l’onice scuro. Un simbolo di responsabilità. La responsabilità che lei voleva prendersi ora.

Rialzò gli occhi e guardò Camus. “Potrai mai… perdonarmi?” Gli chiese con tono triste.

La risposta del cavaliere fu inaspettatamente gentile. Sollevò una mano, con un sorriso lieve, e le carezzò il viso, scostandole i capelli da una tempia.

“Ma cosa dici?” Le rimproverò dolcemente. “Poco fa sei stata tu ad affermare che non è stata colpa tua, anzi.” Continuò. “Forse ho più responsabilità io, in questa faccenda, perché avrei potuto farti capire prima quello che provavo, invece di lasciarti vivere la tua vita tenendomi tutto dentro.” Aggiunse tranquillo. “È inutile parlarne, tanto non si può tornare indietro.”

Elettra respirò profondamente. Non avrebbe mai più ritrovato il coraggio che sentiva di avere in quel momento. Afferrò con forza il braccio di Camus. L’uomo sentì il platino gelido dell’anello pungergli la pelle. I loro occhi s’incontrarono.

“È vero, non si può tornare indietro, Camus, ma si può andare avanti.” Affermò decisa. “Se non è troppo tardi, se tu ami ancora.” 

Gli occhi del cavaliere brillarono. Tutto si sarebbe aspettato da quella serata, tranne rivelazioni di questa portata. Prese del tempo, respirò a fondo, ma doveva rispondere.

“Io… ti amerò… per sempre…” Balbettò infine; quindi, ripreso coraggio, le posò una mano sul viso, era fredda. “Ma non voglio che tu stia con me senza provare la stessa cosa.”

“Io provo lo stesso!” Rispose con impeto Elettra, stringendo le sue mani su di lui, una sul braccio, l’altra sul petto. “Io ti ho sempre amato, Camus.” Aggiunse seria.

L’espressione dell’uomo si fece pericolosa; la sua mano scivolò lungo il collo di lei, stringendosi sulla nuca. “Non giocare con me.” Le sibilò quindi. “E non essere ipocrita.”

La donna lo fissò negl’occhi per un lungo istante, con sguardo fermo. “Sei libero di non credere alle mie parole, ma io… te lo dimostrerò.” Detto questo, si abbassò su di lui, baciandolo.



Quanto può durare un bacio atteso per vent’anni? Il senso del tempo, Camus, lo aveva perso su quelle labbra, dimenticando per un attimo infinito che doveva essere solo un bacio. Le sue mani erano scivolate lungo il corpo morbido di Elettra, fino a raggiungere le sue gambe, la pelle vellutata sotto la seta della camicia da notte.

La lucidità, però, tornò all’improvviso, come un flash bianco e gelido nella mente. Si staccò senza fiato dalla donna, sollevandosi sui gomiti. La guardò negl’occhi.

“Non illudermi, non farlo ti prego.” Affermò cupo. “Io ti conosco Elettra, non puoi dirmi che mi ami, che mi hai sempre amato, e pentirtene il giorno dopo.”

“Ma che cosa dici?” Replicò lei con dolcezza; era stesa sotto di lui, arrendevole, solo una sua elegante mano sfiorava delicatamente il braccio dell’uomo.

“Qual è il significato delle tue parole di prima?” Le chiese Camus, aggrottando la fronte.

Elettra sospirò, distogliendo gli occhi, una spiegazione era dovuta; la sua mano si strinse un po’ sul braccio del cavaliere. “So che può essere difficile comprendere.” Esordì piano. “L’affetto che ho sempre provato per te va al di là della semplice amicizia, su questo non ho mai avuto dubbi, nonostante la distanza che si è creata.” Continuò, tornando a guardarlo. “Tre anni fa ero ancora troppo presa dal mio dolore, concentrata su me stessa e sui cambiamenti della mia vita, ma ho avuto tempo per riflettere e per capire l’importanza della tua presenza, quando mi hai lasciata.” Camus la osservava attento, con espressione seria. “Adesso sono passati degli anni, io sono cambiata, ma ho ancora bisogno di te. Mi sei mancato disperatamente.” Lui sospirò, le sue labbra tremarono. “Ora sono pronta per amare di nuovo.”

Camus respirò intensamente, prendendo con delicatezza il volto di Elettra tra le mani, ma poi strinse saldamente la presa, obbligandola a guardarlo negl’occhi.

“Sei veramente convinta di quello che stai per fare?” Le domandò deciso. “Perché io sogno questo momento da quando avevo quattordici anni e, stanotte, non mi fermerò.”

Lei sorrise dolcemente, posando le proprie mani su quelle del cavaliere. “Non fermarti.” Affermò poi, con uno sguardo privo d’incertezze; la stretta di Camus si allentò, mentre lui si piegava a baciarla ancora.



Era strano tenerla così, tra le braccia, pelle contro pelle. Il ricordo della passione appena consumata gli illanguidiva ancora il corpo, lei sembrava dormire. Camus la strinse appena un po’ di più. Le sensazioni di poco prima tornarono prepotenti.

Era quasi buffo pensare che le cose, alla fine, erano andate come in una di quelle canzoni che le piacevano tanto. Ripensò al testo di una in particolare, sembrava perfetta... Your skin, your hand upon my neck / This skin, your fingers on my skin / This kiss, this heartbeat, the breath / This heart, this heart, this wilderness / Lift me up, darling... E, sì, il suo animo si era sollevato, fino a raggiungere i limiti del proprio cosmo, fino a toccare quello di lei, per poi ricadere insieme.

Camus, adesso, era in uno stato di profondo appagamento, ma non riusciva a negare la sottile ansia che lo possedeva; tutto quello che era successo non gli sembrava vero.

Carezzò la spalla della donna, scostandole i capelli dalla schiena, quindi avvicinò il viso al suo collo, perdendosi nella sua fragranza. Elettra profumava di limoni e fiori d’oleandro e affondando il viso nei suoi capelli, il cavaliere dimenticò quella fredda notte, raggiungendo con gli occhi della mente un assolato e brillante mattino di giugno, lungo una strada che portava al mare.

Sospirò, accomodandosi meglio contro di lei, che però si mosse. Il cavaliere sperò di non averla svegliata e cercò di rimanere immobile, per non peggiorare la situazione.

“Perché non dormi?” Gli domandò, però, una voce assonnata.

Camus sospirò, dispiaciuto per averla disturbata. “Ho paura che se chiudo gli occhi, quando mi sveglierò, tutto questo si rivelerà essere stato un sogno.” Confessò poi.

Elettra si girò tra le sue braccia, sorridendo, e gli scostò un ciuffo di capelli dal viso, carezzandogli lo zigomo e la tempia. Camus la guardò negl’occhi, stupendosi ancora una volta di quanto fossero turchesi e trasparenti, anche nella penombra.

“Non preoccuparti.” Affermò tranquilla lei, fermando la mano sul suo viso. “Ci sarò io, domattina, a ricordarti che non è così.” Quindi lo baciò dolcemente.

Il bacio si fece lentamente più sensuale, le mani di Elettra indugiavano languidamente sul suo addome, calde ed eccitanti; Camus si ritrovò divertito, oltre che lusingato, da quelle attenzioni. Stava per cederle di nuovo, ma non poté trattenere una battuta birichina.

“Mi vuoi ancora.” Esordì con un mezzo sorriso malizioso.

“Sì…” Sussurrò lei, col viso contro il suo collo.

“Ma da quanto tempo non facevi l’amore?” Le domandò provocatorio e divertito.

La donna si sollevò sui gomiti. “Che domande fai?!” Sbottò aggrottando la fronte. “Lo sai, sono quasi cinque anni, non crederai che ci sia stato qualcun altro?”

“Veramente?” Fece lui, mascherando un sorriso.

“Camus!” Esclamò lei, fingendosi offesa e colpendolo ad una spalla; poi strinse gli occhi minacciosa. “Parliamo di te, invece. Quanto era che non facevi l’amore?”

Il cavaliere sorrise apertamente, stringendola alla vita. “È meglio se non te lo dico…” Replicò poi, con uno sguardo sensuale; lei fece una smorfia sospettosa. “Dai, vieni qui.” L’invitò quindi, spingendola sopra di se.

“Hm, sei sfuggente come al solito…” Mormorò Elettra, accontentandolo. “…non dai mai una risposta, e domani parti di nuovo.”

“Sì, è vero, ma tornerò.” Ribatté dolcemente Camus. “Tornerò presto.” Confermò, prima di baciarla.

Quando il bacio terminò, Elettra si sollevò, sedendo su di lui. Il cavaliere l’ammirò, facendo risalire le mani lungo le sue cosce vellutate, sui fianchi ampi e morbidi, il ventre piatto. I capelli lunghi e dorati le coprivano il seno; Camus li scostò, carezzandola piano. Lei si chinò sul suo petto, baciandolo, poi cercò di portarlo a voltarsi su di lei, ma fu fermata.

“No.” Le disse Camus, tenendola con gentilezza per i polsi. “Resta così, voglio vederti…” La pregò, lei sorrise e acconsentì.



Elettra si svegliò un po’ confusa, a causa della luce proveniente dalle finestre. Il sole si rifletteva accecante sulla superficie leggera della neve. Non sarebbe durata, quella neve inusuale, il sole da primavera greca ne avrebbe avuto ragione ben presto. Già, ormai il suo padrone era partito, portando il suo gelido potere con se. Sarebbero fioriti i ciliegi, presto.

Ma era già estate nel cuore della donna. Si stirò con un sorriso, allungando una mano tra le lenzuola stropicciate, fino al posto che era stato occupato da Camus; ormai era freddo, ma il calore delle sue mani si era impresso sul suo corpo, come se lui fosse ancora lì.

Elettra si sollevò a sedere sul letto, sorridendo di nuovo. Si sentiva scema e felice come una ragazzina. Era bello essere innamorati di nuovo e, anche se il suo rapporto con Camus non era mai stato pacifico, il futuro le appariva roseo. Lei era sempre stata una donna pratica, razionale e leggermente cinica, ma, in tutta la sua vita, non le era mai riuscito smettere di sognare. E preferiva così.

Sorrise e scese dal letto. Il freddo la fece rabbrividire, così recuperò la sua vestaglia azzurra, che era abbandonata poco più in là, sul pavimento; se l’infilò canticchiando allegra, poi si diresse nel bagno. Aprì la porta, si guardò intorno, quindi sgranò gli occhi inorridita.

L’aria nella stanza era umida e fredda. La finestra ovale era stata lasciata leggermente aperta, il tappeto bagnato. Sul bordo della vasca era posato un asciugamano umido. Una delle ante dell’armadio portabiancheria era socchiusa e, attaccato, vi penzolava un altro asciugamano spiegazzato. Il lavabo era bagnato, il rubinetto gocciolava. Lo specchio era stato schizzato. Elettra si morse le nocche di una mano, guardandosi intorno sconsolata.

“Ha usato il mio bagno!” Piagnucolò pestando i piedi, con una smorfia disperata.

Dopo qualche minuto di autocommiserazione, Elettra sbuffò e strinse i pugni, quindi tornò in camera a passo di marcia, chiudendosi la porta del bagno alle spalle.

“Oh, Camus, questa me la pagherai, dovessi aspettare altri tre anni!” Proclamò arrabbiata. “Il mio bagno! Il MIO bagno! Dico, me lo potevi chiedere per lo meno!” Continuò avvicinandosi alla specchiera.

La donna fece per afferrare la spazzola, ma si fermò. Vicino al portagioie d’argento c’era un biglietto, Elettra lo prese. La calligrafia di Camus era inconfondibile.



Bonjour, Petit Soleil! 

Sono felice di aver coltivato la mia lingua, perché adesso posso scriverti il verso di questa canzone senza doverlo tradurre. Questo tu sei per me. 



Toi, si Dieu ne t'avait modeler 

Il m'aurait fallut te créer 

Pour donner à ma vie sa raison d'exister 

Toi qui est ma joie et mon tourment 

Tantôt femme et tantôt enfant 

Tu offres à mon cœur chaque jour 

Tous les visages de l'amour 


Au revoir, mon cœur 

A bientôt 

Camus 



Ah, ho usato il bagno, mi dispiace, ma non volevo svegliarti. Ti amo. 





Elettra non poté fare a meno di sorridere, deprecando la sua cattiva abitudine di perdere la pazienza per le cose più stupide. Mandò allegramente a quel paese le sue nevrosi, mentre stringeva al petto il biglietto. Sorrise dolcemente. Ora non le restava che contare i giorni che la separavano dal suo ritorno.


FINE





Il titolo della storia è ripreso da una canzone di Bruce Springsteen che amo moltissimo e che, secondo me, è molto adatta a questa coppia, ma ho preferito introdurre la ff con qualcosa di più dolce ^__^ La canzone in introduzione e quella finale, nel biglietto, è la stessa solo in due versioni; quella di Costello è stata usata in un film con Julia Roberts, ma non ricordo se era Runaway Bride o Notting Hill (se era l'ultimo, allora è l'unica cosa che mi è piaciuta...). Metto qui, in chiusura, la traduzione del testo in francese, perché è più difficile che lo conosciate; gli autori originali sono Charles Aznavour e Herbert Kretzmer, il titolo "Tous les visages de l'amour": Tu, se Dio non ti avesse modellato / Avrei dovuto crearti / Per dare alla mia vita la ragione di esistere / Tu che sei la mia gioia e il mio tormento / A volte donna a volte bambina / Tu offri al mio cuore ogni giorno / Tutti i volti dell'amore. 

Aspetto i vostri commenti, grazie.


   
 
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