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Autore: koukla    02/05/2011    7 recensioni
Primo maggio 1998. La Battaglia Finale è alle porte, Remus è andato ad Hogwarts lasciando Tonks a casa dei genitori, dopo un furioso litigio.
Mentre la pioggia cade incessantemente, scandendo gli attimi di quell'angosciosa attesa, la donna trova una misteriosa lettera, una dichiarazione d'amore segreta scritta da Remus qualche anno prima, che le fa capire quale deve essere davvero il suo posto. Decisa a stare fino all'ultimo momento con l'uomo che ama, arriva a mettere in discussione tutto, perfino la sua stessa vita.
[Storia calssificatasi seconda al contest "Dille che l'ami- perché tutto inizia da qui" indetto da Pocahontas@Effie sul forum di Efp.]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Andromeda Black, Teddy Lupin | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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A un passo da te 

 

 
“Fratelli, a un tempo stesso, Amore e Morte
Ingenerò la sorte.
Cose quaggiù sì belle
Altre il mondo non ha, non han le stelle.
Nasce dall’uno il bene,
Nasce il piacer maggiore
Che per lo mar dell’essere si trova;
L’altra ogni gran dolore,
Ogni gran male annulla.”

-Giacomo Leopardi, Amore e Morte, Canti-

 

 

 

Tic, tic, tic.

Il ticchettio delle pesanti gocce di pioggia sul vetro della finestra era l’unico rumore nella stanza.

Rimbombava, echeggiava, si faceva sempre più forte.

Sembrava che il cantilenante e monotono suono scandisse i secondi di quelle ore interminabili e angosciose.

Tonks non poteva sopportarlo.

Si aggirava nel salotto della casa dei suoi genitori in preda ad un’inquieta agitazione.

Su e giù, ripercorrendo sempre lo stesso tragitto, passando sul consunto tappeto davanti al caminetto, lanciando, in tralice, occhiate furtive alla finestra e rimboccando la copertina azzurra che copriva il piccolo Teddy, che dormiva sereno nella sua culla di legno.

Odiava starsene lì senza poter fare nulla.

Doveva aspettare, solo aspettare.

Attendere notizie di vittoria, nella migliore e più improbabile delle ipotesi, oppure essere pronta ad affrontare, di nuovo, la sconfitta, accettare passiva la scomparsa delle persone a lei vicine.

Non poteva sopportarlo.

Non poteva tollerare di rimanere tra quelle quattro mura protette e sicure - per quanto in quei giorni si potesse davvero parlare di protezione e sicurezza – mentre gli altri erano andati a rischiare la propria vita, in quella che sembrava essere la battaglia finale.

Non era giusto.

Lui era andato; non che Tonks si aspettasse qualcosa di diverso.

Avevano discusso parecchio quel pomeriggio, ma alla fine Remus era stato inflessibile, come poche volte nella sua vita: lei sarebbe rimasta a casa.

Che giornata al limite dell’assurdo avevano trascorso.

Quel pomeriggio erano seduti sul divano cullando dolcemente Teddy e tutto era così dannatamente perfetto e normale, che quasi si erano dimenticati che fuori c’era una tempesta.

Tempi bui e oscuri, l’acre odore della morte e della distruzione aleggiava nell’aria e, a poco a poco, strisciando e spingendo si era annidato ovunque.

Non c’era luogo, non c’era famiglia, non c’era persona che potesse sfuggirgli; tutti, alla fine, sapevano che sarebbero stati investiti dall’implacabile e folle furore del Male.

Eppure quel giorno ciò sembrava così lontano e distante che lei, immersa nelle sue fragili ed instabili certezze , aveva ingenuamente creduto che tutto sarebbe andato per il meglio.

Poi, all’improvviso, il Patronus argenteo a forma di donnola di Arthur Weasley si era materializzato nel salotto annunciando che Harry, Ron e Hermione erano appena arrivati a Hogwarts, si combatteva.

Remus si era alzato di scatto, preparandosi a raggiungere la Testa di Porco, unico luogo che poteva permettere loro di raggiungere la scuola di nascosto.

Anche Tonks voleva fare la sua parte ed era decisa ad andare con lui.

Fu in quel momento che avevano litigato come mai avevano fatto e alla fine lei era rimasta lì, fissando il punto del giardino in cui lui si era appena Smaterializzato, stringendo tra le labbra le ultime parole che gli aveva rivolto: una richiesta,  un’invocazione, una supplica.

Di cui ben presto si sarebbe vergognata.

Non andare neanche tu. Resta con me.

Inaspettatamente grossi nuvoloni avevano imbrattato il cielo, fino a quel momento chiaro e limpido, liberando grosse gocce di pioggia.

Tic, tic, tic.

Cadevano giù, sempre più grandi e sempre più fitte; le bagnavano i capelli, le offuscavano la vista.

Non sapeva quanto tempo era rimasta immobile, finché, senza sapere come, si era ritrovata all’asciutto, avvolta in una calda coperta stringendo tra le mani una fumante tazza di tè bollente.

Anche in quel frangente, la sua efficiente ed organizzata madre si era presa cura di lei.

Andromeda la guardava con apprensione, il volto tirato e segnato dalla sofferenza.

Stava per aprire la bocca, ma si bloccò di colpo, obbedendo all’eloquente occhiata che la figlia le aveva lanciato.

Borbottando tra sé salì velocemente le scale, recandosi al piano superiore.

Ninfadora aveva bisogno di stare da sola in quel momento, la sua presenza non l’avrebbe aiutata.

 

Girovagando per la stanza come una tigre in gabbia, Tonks inciampò in uno degli scatoloni che, da quando si erano trasferiti lì, occupavano il perfetto e lindo salotto dei suoi genitori.

In altre circostanze sua madre non avrebbe mai permesso che in casa sua potesse regnare un tale caotico disordine, ma ormai sembrava non farci più caso.

Imprecando a bassa voce, guardò con disappunto la confusione che la sua maldestra goffaggine aveva creato: foto, appunti e libri di varie dimensioni si erano sparpagliati ovunque.

Decise di rimediare al suo pasticcio e con flemmatica lentezza iniziò a raccogliere quel mucchio di vecchie scartoffie, ributtandolo alla rinfusa nello scatolone.

Aveva quasi finito quando da un vecchio e voluminoso libro dalla rigida copertina rossa, uscì un foglio scribacchiato a mano che, svolazzando, cadde ai suoi piedi.

Con cautela lo raccolse e, incuriosita, lo lisciò, decisa a scoprire cosa ci fosse scritto.

Sussultò, riconoscendo la sottile e sghemba grafia di Remus.

 

Cara Ninfadora,

mi trovo qui a scrivere questa lettera, che probabilmente non ti darò mai, nella cucina della casa dei genitori di Sirius e mi sento terribilmente sciocco.

Non so neanche perché lo stia facendo: forse per paura, forse per insicurezza o forse perché sento crescere dentro di me qualcosa di nuovo e di speciale ogni volta che incrocio il tuo sguardo.

Fatto sta che in piena notte, mentre tutti gli altri dormono sonni più o meno tranquilli, io non ho trovato niente di meglio da fare se non mettere nero su bianco, su questo foglio di pergamena, ciò che mi sta tormentando da mesi.

So che è una cosa dannatamente stupida ed insensata e mai avrei immaginato che sarei potuto arrivare a tanto.

Eppure devo ammettere che ultimamente le certezze in cui mi rifugiavo, i principi in cui credevo, non mi sembrano più solidi ed inequivocabili come una volta; mi sento confuso, spaesato e sono arrivato alla conclusione che la causa di questo mio trambusto interiore sia tu.

Tu così spensierata, vitale, sfacciata e così adorabilmente imbranata, hai portato una ventata d’aria fresca nella mia grigia e malinconica esistenza.

All’inizio ho cercato di convincermi che i sentimenti che nascevano dentro di me quando mi rivolgevi la parola, quando mi sfioravi per caso, quando sentivo il tuo sguardo su di me, fossero soltanto qualcosa di passeggero e di univoco.

Mi chiedevo per quale insano e inverosimile motivo una ragazza giovane, bella e vivace come te potesse essere attratta da un reietto come me.

A poco a poco, però, ho iniziato a rendermi conto, che forse, inspiegabilmente, anche tu provavi le stesse emozioni che sentivo io; l’episodio di due settimane fa ha confermato queste mie supposizioni.

Non riesco ancora a credere che quella sera, rimasti da soli nel vecchio salotto della dimora dei tuoi antenati (mi sembra così strano pensare che, davvero, dentro di te scorra l’antichissimo e nobilissimo sangue dei Black) mi hai baciato.

Un bacio frettoloso e veloce e, subito dopo, senza darmi la possibilità di reagire, sei scappata via.

Non abbiamo più avuto modo di confrontarci in privato, visto che gli impegni per l’ Ordine stanno diventando sempre più pesanti e complessi; ma io non ho affatto dimenticato ciò che è successo.

Ho sentito crescere dentro di me una leggera ed impalpabile sensazione di benessere e, non avendola mai provata prima, solo dopo una lunga e profonda riflessione, sono stato in grado di ricondurla alla felicità.

Sì, mi sono sentito felice e, per la prima volta in assoluto, innamorato.

Ero a un passo dalla possibilità di averti, di vivere e di scoprire con te e per te l’esperienza più sconvolgente della mia vita.

A un passo da te.

In quegli attimi, avevo quasi dimenticato quale fosse la mia reale natura, ho creduto di poter assaporare il gusto di un’esistenza normale e ordinaria, in cui la luna piena sarebbe stata solo un evento naturale come un altro e non la fonte principale di tutti i miei problemi.

Ben presto però la fioca e debole luce dell’illusione si è spenta, facendomi ripiombare nel buio della realtà.

Una terribile paura mi ha assalito e ho compreso appieno quanto fossi stato superficiale e stupido.

Paura di me, di quello che sono.

Io non sono un uomo, benché mi sia sempre sforzato di vivere nel modo più civile possibile, ma una bestia feroce, ripudiata, respinta, rifiutata.

Non avrei mai potuto costringerti ad accettare tutto questo, a fare di te una reietta, quando hai mille possibilità davanti a te.

Io non ho avuto scelta, ho dovuto accettare la mia condizione, nessuno mi ha dato l’opportunità di decidere quale potesse il mio futuro.

Per questo non posso permettere che anche tu faccia la mia stessa fine, non è giusto, non è così che deve andare.

Io sono troppo vecchio, troppo pericoloso, troppo povero per te; meriti altro.

Per questo, ho preso, non senza dolore, la mia decisione.

Una decisone non fatta a cuor leggero, ma carica di paura e sofferenza.

Ti amo, questo non posso negarlo e non ho alcuna intenzione di farlo e proprio l’amore che provo mi ha portato a questa amara e dolente conclusione: devo rinunciare a te.

Spero che se almeno non potrai perdonarmi per ciò che sto facendo, riuscirai almeno a capirmi.

Tuo per sempre,

Remus.

 

Tic, tic, tic.

Le lacrime uscivano copiose dai suoi occhi, cadendo sulla pergamena e facendo sciogliere l’inchiostro.

Inginocchiata al centro della stanza, stringendo tra le mani quel pezzo di carta come se fosse la sua unica ancora di salvezza, il corpo scosso dai singhiozzi che sfuggivano dalle sue labbra, Tonks si chiese cos’altro stesse aspettando.

Si passò bruscamente il dorso della mano sugli occhi e, alzandosi di scatto, si diresse con passo malfermo verso la culla di Teddy, da cui provenivano dei bassi vagiti.

Quel bambino, che aveva meno di un mese di vita, la scrutava con i suoi piccoli occhi grigi, dallo sguardo serio e riflessivo: il suo sguardo.

E lei si sentì morire.

 Lo prese in braccio, non senza difficoltà, dopotutto era madre da così poco tempo e si sentiva ancora così poco adatta per quel ruolo, stringendolo forte al suo petto.

Nella sua mente tre parole risuonavano continuamente, ininterrottamente, incessantemente.

Tuo per sempre. Tuo per sempre. TUO PER SEMPRE.

Il congedo di quella lettera, che per un bizzarro caso del destino era saltata fuori solo in quel momento, aveva per lei una sfumatura macabra e oscura.

Non sapevo perché ma un sinistro presentimento si stava facendo largo dentro di lei: un saluto, una dichiarazione, una firma che assomigliavano terribilmente ad un addio definitivo.

Guardando un’ultima volta suo figlio, che cullato da quelle braccia che lo facevano sentire protetto e al sicuro, si era placidamente addormentato, prese la sua decisione definitiva.

Non senza timore, non senza paura, non senza incertezza.

Lei doveva andare, doveva essere insieme a lui, in quel momento come non mai.

Non poteva permettere che fosse partito così, con le urla del loro litigio nelle orecchie e l’immagine di lei piangente davanti agli occhi.

E di colpo si vergognò della richiesta che gli aveva fatto, così vile e meschina che si chiese se davvero fosse uscita dalla sua stessa bocca.

Baciò delicatamente la testolina dai capelli azzurri di Teddy e lo depose nel suo confortevole lettino; quando si girò, vide che sua madre la stava osservando dallo stipite della porta.

“Hai intenzione di andare?” le chiese a bruciapelo Andromeda, il tatto non era una qualità insita nel patrimonio genetico dei Black.

“Devo”.

Andromeda non disse altro, le si avvicinò e l’abbracciò.

Non era una donna che mostrava facilmente le proprie emozioni, né tantomeno si lasciava spesso andare a questo genere di effusioni; però quegli ultimi mesi della sua vita le avevano insegnato che spesso un gesto dettato esclusivamente dall’istinto valeva più di mille riflessioni.

Non aveva intenzione di bloccare sua figlia, non ne aveva alcun diritto.

E poi conosceva fin troppo bene l’espressione testarda e determinata dipinta sul suo volto: l’espressione di una donna innamorata.

La stessa che aveva lei quel giorno di ventisei anni prima quando aveva messo in gioco tutta la sua vita per l’uomo che amava.

Osservando sua figlia che varcava l’ingresso del salotto, si ritrovò a pronunciare il suo nome, inconsapevolmente: “Ninfadora…”

Lei si voltò di scatto.

“Sì?”.

“Fai attenzione. Fate attenzione”.

Tonks le rivolse un sorriso incerto , annuì goffamente e scomparve.

 

Tic, tic, tic.

Correndo sotto la pioggia, per raggiungere il luogo in cui gli incantesimi protettivi cessavano ed avrebbe potuto smaterializzarsi, Tonks rifletteva.

Mille pensieri e mille preoccupazioni si affastellavano nella sua mente.

Era spaventata, terrorizzata, ma allo stesso tempo serena ed eccitata.

Sapeva, sentiva che presto l’avrebbe rivisto e allora tutte le sue ansie, i suoi dubbi sarebbero finiti.

A un passo dalla possibilità di essere di nuovo uniti, a un passo da lui.

Se c’era Remus al suo fianco, lei era sicura, era protetta.

Insieme avrebbero sconfitto qualunque pericolo.

Era questo a darle la forza, a darle la speranza.

Sarebbero tornati, insieme.

Insieme.

Insieme per sempre.

Per sempre.

 

NDA

Ci tengo a ringraziare, prima di lasciare il suo giudizio, Pocahontas@Effie che mi ha permesso di scrivere questa storia e senza la quale non avrei mai imparato a conoscere il rapporto profondo e bellissimo che c'è tra Remus e Tonks.

 

 

Giudizio:

II classificata – koukla, “A Un Passo Da Te” [86.05/90.00]

            Grammatica, sintassi, ortografia – 19.05/20.

-          Punteggiatura/Errori di spaziatura: perdi 0,25. Ho deciso di accorpare le due voci, perché in fondo le sviste non erano molte. Occhio agli spazi: non bisogna MAI lasciare uno spazio davanti ai segni di punteggiatura. Inoltre, soggetto e predicato non vanno mai separati da una virgola (“Il ticchettio […] finestra, era” è scorretto).

-          “Un’inquieta agitazione”: perdi 0,1. Teoricamente, l’agitazione è già un sintomo di irrequietezza, dunque l’espressione è un pochino ridondante. Comunque mi piace l’immagine.

-          “Non c’era persona che poteva sfuggirgli”: perdi 0,25. Ti è sfuggito un congiuntivo.

-          Errori di battitura: perdi 0,1. “smaterializzato” vorrebbe la S maiuscola.

-          “Benché mi fossi”: perdi 0,25. È più corretto “Benché mi sia”.

Rispetto delle regole – 10/10. È esattamente quello che avevo chiesto: una perfetta dichiarazione d’amore.

Utilizzo della citazione – 10/10. Hai saputo rendere davvero tua questa citazione (forse la mia preferita, tra tutte quelle proposte), e l’hai usata in maniera magistrale. Complimenti. [cit. “A un passo dal possibile, a un passo da te, paura di decidere, paura di me” = ‘Eppure sentire (Un senso di te), Elisa]

Caratterizzazione dei personaggi – 20/20

-          Remus Lupin: 8/8. Remus è identico a quello che abbiamo imparato a conoscere e ad amare nella saga, e non per niente è uno dei personaggi che preferisco.

-          Ninfadora Tonks – 8/8. Idem per quanto riguarda Tonks: hai saputo rendere alla perfezione il suo carattere potenzialmente catastrofico e la straordinaria forza (che immagino arrivi dagli antenati Black).

-          Andromeda – 4/4. È vero, è in scena per pochissimo tempo, ma non potevo non valutarla. Hai affrontato benissimo il suo carattere e il suo modo di fare.

Originalità della storia – 18/20. Mi è piaciuta molto l’idea di una dichiarazione “post-datata”, inserita in un momento in cui i due protagonisti stanno già vivendo una relazione stabile e consolidata addirittura dalla nascita di un figlio. Ambientarla nel giorno dell’ultima battaglia, poi, è stata davvero la ciliegina sulla torta.

Giudizio personale – 9/10. Lo ammetto, sono una drogata di questo pairing, quindi tutto ciò che lo riguarda mi è gradito. Bella l’idea della citazione a inizio testo: l’ho trovata molto azzeccata.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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