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Autore: screaming_underneath    03/05/2011    2 recensioni
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Ti chiudi la porta dietro, lentamente, cercando di non fare rumore. Non vuoi disturbare tuo padre.
Come se lui potesse ancora sentirmi.
Come se lui potesse ancora sentirti.
Benvenuto nel Club dei Padri Morti, George.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: George O'Malley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Terza stagione
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Falling Awake

 

 

Di nuovo dolore.
Ancora. 

E ancora. 
Sembra che tu non possa essere felice; prima Meredith, poi Callie.
Adesso, questo.

Esci dalla stanza lentamente, senza nemmeno guardare tua madre o i tuoi fratelli. Non ne hai la forza. Vedere le loro lacrime, sentire i loro pianti, è come affondare ancora di più il coltello nel tuo cuore già crepato. Le mani ti tremano, non riesci a controllarle. Esci con la vista annebbiata, stranito.
Non può essere vero. Non a me.
Fuori da quella stanza - quella stanza da dove sei entrato ed uscito centinaia di volte, per pazienti diversi, senza che mai il pensiero che un giorno saresti arrivato a vederci tuo padre morire ti sfiorasse - i tuoi amici aspettano. 
Sono tutti lì, come pensavi. I tirocinanti della Nazista. La mia seconda famiglia. Dio, sembrano passati secoli da quando ci siamo conosciuti. Allora ero ancora io. E adesso? Quale parte di me è ancora il George che ero un tempo? Non ti rispondi. Non lo sai.
Ti chiudi la porta dietro, lentamente, cercando di non fare rumore. Non vuoi disturbare tuo padre.
Come se lui potesse ancora sentirmi.
Come se lui potesse ancora sentirti.
Vedi Izzie che ti guarda, gli occhi persi nel vuoto. Probabilmente sta pensando a Denny, a come la morte, beffarda, ci viene a colpire quando meno ce lo aspettiamo.
Vedi Meredith alzare lo sguardo, incontrando il tuo mentre passi, per un attimo; forse vorrebbe dirti qualcosa, ma non ne ha la forza. La ignori.
Vedi Alex, Dio,  Alex - lo strafottente Karev, con il quale hai fatto a pugni per una ragazza e a manate durante un campeggio per soli uomini - con lo sguardo fisso verso il pavimento, turbato. E' tuo amico, nonostante tutto. Ci tiene a te. Siete una squadra.
Vedi Callie. Anche lei, come Izzie, ha gli occhi fissi tra i tuoi, e non ti molla. Improvviso, ti colpisce il ricordo delle sue labbra, quando a tradimento le avevi strappato un bacio, giorni prima, speranzoso, euforico per i miglioramenti di tuo padre. E adesso? Cosa ti è rimasto, di tutto quello? Distogli lo sguardo, continuando ad avanzare.
Cristina è l'ultima, la più vicina a te, adesso. Le ti guarda di sfuggita, cercando di cogliere qualcosa che nemmeno sai di avere nei tuoi occhi. Forse le lacrime. Cristina è un robot. Non ha compassione, pensi mentre passi, lasciando il corridoio. Il pensiero dell'amica svanisce, oltrepassando i battenti di Chirurgia.
Continui a camminare, come un'automa. Facce - di medici, di gente comune, che sta male, che come te non capisce. Ti scorrono intorno come acqua.

Ti ritrovi all'entrata senza nemmeno sapere come ci sei arrivato. Ormai, i tuoi piedi ti guidano da soli in questo posto. Lo conosci a memoria, lo ami. Lo odi, ora come ora. L'aria fresca della notte di Seattle di colpisce in faccia, facendo pizzicare quelle lacrime che se ne stanno agli angoli dei tuoi occhi. Ci passi una mano, con un gesto meccanico, involontario.
E rimani lì.
 

**


«C'è un club... il club di tutti quelli che hanno perso il padre. E... beh, finché non ci sei dentro non puoi capire quanto sua doloroso.» Cristina fa una pausa, fissandoti. La guardi, senza sapere cosa dire, anche sei immagini già dove andrà a parare.
Non è un robot. Non più. Non solo. E' anche tua amica.
«Avevo nove anni quando è morto. George... mi dispiace che tu sia entrato nel club» continua lei, guardandoti fisso.
Tu annuisci. Cerchi di trovare la voce, apri la bocca, la richiudi. Tremi, la tua anima trema. Non riesci a trovare la forza di pronunciare quelle parole, perché dirle, dirle ad alta voce, sarebbe come ammetterle sul serio. E non vuoi.
Non voglio.
Prendi fiato, facendoti violenza. E butti fuori tutto. «Io... Io non so come vivere in un mondo in cui mio padre non c'è più.» Lo dici ad alta voce, forte, mentre una nuova stilettata frantuma quello che ancora c'è in piedi della tua anima e la tua voce, nonostante tutto l'autocontrollo, trema.

Cristina ti guarda, annuisce.  «Sì... e questo non cambierà mai.»
 

 

   
 
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