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Autore: fallsofarc    03/05/2011    53 recensioni
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Julia ha ventisei anni, si mantiene grazie a un lavoro che non le piace e spesso la notte fatica a dormire, preda della solitudine.
Andrew vive alla giornata, sempre pronto a terminarla con una birra in compagnia degli amici al solito bar.
Non hanno nulla in comune, eppure la loro amicizia regge da anni, a dispetto di ogni previsione.
Cosa accadrà quando Julia ricomincerà a frequentare Richard, il suo ragazzo storico?
Tra gelosie, equivoci e visioni inaspettate, il loro rapporto subirà un grande colpo perché nessuno dei due ha fatto i conti con l’imprevisto.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo 1

Amore imprevisto


CAPITOLO 1
Quando è meglio non ricordare ciò che si è dimenticato


Un banalissimo acquazzone estivo. Di quelli che ti sorprendono in canotta e pantaloncini quando sei troppo lontano da qualsiasi luogo riparato e ti fanno arrivare ansante e gocciolante al chiuso, nell’esatto istante in cui alla pioggia si è già sostituito il sole.
Con la differenza che il sole era già tramontato da un pezzo, lasciando le ombre scure di una pigra serata di fine estate a raffreddare l’asfalto nero e bollente.
Ancora qualche minuto di pioggia torrenziale e poi l’aria rinfrescata avrebbe portato lontano i nuvoloni che nascondevano le stelle.
Ma i minuti passavano e la pioggia non cessava. Inutile aspettare ancora in auto, le pizze si stavano raffreddando e il suo stomaco ormai brontolava da più di un’ora.
Coordinando i movimenti e controllando di aver preso tutto, si fece coraggio e si gettò nel torrente di acqua gelata che correva in ogni direzione, dal cielo e dall’asfalto allagato in rivoli d’acqua.
Puntando il telecomando dell’auto dietro la sua schiena, per attivare la chiusura centralizzata, corse fino al portone del palazzo, appoggiando brutalmente il palmo sull’ultimo campanello in alto.
“Sì?” Una voce familiare rispose.
“Sono io. Apri!” Ordinò, imprecando contro l’acqua che gli aveva inzuppato la maglietta, la sua preferita del mega concerto di tre anni prima, nonché le leggere scarpe estive che erano completamente permeabili.
Odiava avere i piedi bagnati, così come odiava il raffreddore che già sentiva avvicinarsi a larghi passi.
Si precipitò dentro, spingendo il portone di legno scheggiato e scolorito da anni di esposizione al pieno sole pomeridiano.
Salì le scale di marmo, accompagnato da un fastidioso squittio delle scarpe bagnate in cui stava annegando.
“Sei completamente fradicio!” Lo apostrofò lei, con sorpresa ovvietà.
“Ah sì? Non me n’ero accorto.” Sbuffò lui, sarcastico e di cattivo umore.
La seguì nell’appartamento, consegnandole i cartoni della pizza e il sacchetto di plastica con le lattine, accatastato sopra con la speranza che riparasse la loro cena dall’allagamento.
“Potevi chiamarmi e chiedermi di scendere con un ombrello.” Continuò lei, le mani sui fianchi e l’espressione rassegnata.
“Batteria scarica. Ho aspettato cinque minuti ma non sembrava intenzionato a smettere, la pizza si stava già raffreddando.” Spiegò mentre lei controllava se al posto della capricciosa ci fosse una nuova varietà di pizza annegata.
Finché non arrivò il verdetto, che gli risollevò un po’ l’umore. “Ancora un minuto e il cartone sarebbe stato zuppo, la cena è salva. Vai ad asciugarti, dai. Gli asciugamani sono…”
“Nel secondo cassettone, lo so.” Finì la frase per lei, avviandosi già verso il piccolo bagno.
Conosceva quel bilocale come se fosse casa sua, il salotto con angolo cottura, la camera da letto e il piccolo bagno con il box doccia e le piastrelle blu cobalto.
Con l’aiuto di asciugamano e phon, riuscì a sentirsi sufficientemente asciutto per poter pensare finalmente al suo povero stomaco. Le scarpe però erano troppo imbevute d’acqua piovana.
Senza chiedere il permesso alla padrona di casa, entrò nella camera da letto e aprì la cassettiera alla ricerca di un paio di tubolari da palestra, sperando che il suo 43 di piede avrebbe trovato sufficiente spugna per coprirsi in un paio di calze indossate generalmente da un 38 scarso.
Quando ritornò in cucina, la maglietta ancora un po’ chiazzata d’acqua e ai piedi solo le calze, rosa e fucsia che gli erano entrate per miracolo, la loro legittima proprietaria lo guardò attentamente, da capo a piedi, con una smorfia.
“Hai fatto casino nei miei cassetti.” Non era una domanda, era una constatazione. Un’accusa ammorbidita dalla rassegnazione.
“Solo in quello dei perizomi.” Le rispose serafico, aprendo il cartone della pizza e afferrando una fetta, ancora in piedi.
“Cretino. Dai siediti, non si mangia in piedi.” Sospirò, sempre più rassegnata, sedendosi al piccolo tavolo quadrato.
“Sì mamma.” Sbuffò.
“Solo perché cerco di educarti a comportarti da uomo e non da animale, non vuol dire che voglia farti da madre. E poi non penso che tu vada a mettere le mani nel suo cassetto della biancheria.” Uno pari.
Lui la guardò schifato, con la fetta di pizza, mezza morsa, che colava mozzarella e unto nel cartone.
“Invece di ringraziarmi per averti portato la cena, rischiando di annegare là fuori, cerchi di farmi passare l’appetito. Bell’amica!” La rimproverò.
I canonici cinque secondi di finto disgusto erano passati, lasciandolo avventarsi sulla pizza come uno che non mangiava da giorni. In fondo era dalle sei di quel pomeriggio che non mangiava nulla, oltretutto una confezione di patatine al formaggio non era propriamente cibo, era giusto uno snack.
“Ma per piacere. Riusciresti a mangiare di gusto anche accanto a un’operazione a cuore aperto. Sei un pozzo senza fondo.” Aveva perso il conto di quante volte lei lo aveva rimproverato di mangiare come un porco, senza neanche masticare il cibo. In realtà era lei a metterci un secolo a mangiare, lo dimostrava il fatto che lui avesse già mangiato due tranci interi di pizza farcita, mentre lei non era nemmeno a metà del primo di una semplice margherita.
“N-on è v-ero.” Farfugliò, masticando e aprendo la lattina di coca cola per annaffiare il boccone quasi intero e deglutirlo. Ma solo perché aveva fame, e comunque masticare troppo poi faceva perdere sapore al cibo. Era come frullarlo in un mixer e poi mangiare quella pappina incolore, come quella che davano a sua nonna che ormai non aveva più denti.
“Sai…” Iniziò lei, non celando la sua espressione di disgusto. “A volte mi sono chiesta perché ceni più volte qui da me che a casa tua o fuori con qualche ragazza. La risposta è semplice: vederti mangiare è uno spettacolo che le persone deboli di stomaco evitano.”
“Quante storie. Come mai sei così acida stasera? Io sono incazzato per aver preso la pioggia, rischio anche di trovarmi con il raffreddore domattina che è sabato e ho dei giri da fare. La tua scusa quale sarebbe?”
“Non sono acida!” Sbottò, gettando la crosta rimasta della pizza nel cartone, con stizza.
“Ho capito.” Annuì lui, rubandole il pezzo di crosta bruciacchiata e ingoiandolo. “Ti sta per venire il ciclo. Sei sempre intrattabile il giorno prima.”
“E tu sei il solito campione di tatto.” Lo apostrofò, prendendo la sua pizza e portandola sul divano.
Accese la tv e pose fine a quella conversazione inutile.


Gli uomini e la loro sensibilità inesistente. Se una donna era nervosa o depressa, non poteva che avere le mestruazioni o essere in piena sindrome pre-mestruale.
E loro che scusa avevano per essere così trogloditi trecentosessantacinque giorno l’anno?
Di solito non se la prendeva con lui in quel modo, battibeccavano spesso ma sempre per qualche motivo, serio o futile che fosse.
Quella sera, però, si sentiva inquieta e nervosa, insofferente a tutto, alla solitudine come alla compagnia.
Tutta colpa dell’incontro di quel pomeriggio in centro. Imbattersi in vecchie compagne di scuola era sempre traumatico, nel bene o nel male. Per lei era stato certamente un male, visto che l’ex compagna in questione era vistosamente incinta e vistosamente sposata con un pezzo di manzo che si era persino rivelato essere un rampante avvocato per i diritti civili.
Aveva persino letto di lui sul giornale, qualche giorno prima, cosa che si era ben guardata dal rivelare durante il breve e traumatico incontro.
Tutte le sue conoscenti e amiche erano sposate, madri o fidanzate. Tutte tranne lei.
Ovviamente la realtà non era così come se la stava dipingendo ma in momenti di sconforto si tende spesso a estremizzare.
“Vuoi vedere un film?” Il suo amico si era seduto accanto a lei, qualche minuto dopo, senza il suo cartone della pizza che giaceva ormai vuoto sul tavolo.
“Fai tu.” Avrebbe voluto chiedergli scusa per il suo malumore ma non aveva voglia nemmeno di parlare.
“Va bene, miss allegria. Evitiamo i film drammatici, non vorrei darti altre scuse per piangere.”
“Ma ti sembra che stia piangendo?!” Effettivamente due lacrime di nervosismo fecero capolino in quel momento, pizzicandole gli occhi.
Abbandonò la pizza sul tavolino, ormai priva di appetito, e si lasciò sprofondare nel divano, le braccia incrociate al petto e il viso imbronciato.
Con pazienza, lui si avvicinò e le voltò il viso verso il suo. “Mi dici che è successo, possibilmente senza mordermi?”
Lei si lasciò sfuggire uno sbuffo misto a un mezzo sorriso e poi si mise a raccontargli dell’incontro e delle sue mille elucubrazioni drammatiche.
“Mhm. Posso parlare e dire la mia, senza che tu mi interrompa per dirmi che ho torto?” Sondò il terreno, il tono cauto e rilassato, dopo averla lasciata parlare per dieci minuti senza fiatare.
Lei annuì in silenzio.
“Jules, ascoltami. Hai ventisei anni, non sei vicina ai quaranta con l’orologio biologico che ticchetta inesorabile contando i tuoi giorni fertili. Non ti devi buttare giù perché qualche oca si è accaparrata un povero diavolo, si è fatta mettere incinta e tra qualche anno si godrà gli assegni di mantenimento dopo il divorzio.”
“Andrew, tu non capisci…”
“Non ho finito, aspetta.” La redarguì l’amico, zittendola.
“Sei stata sfortunata ultimamente, hai beccato un sacco di stronzi e vorresti un ragazzo normale. Su questo ti posso dare ragione, però questa improvvisa depressione e voglia di accasarsi mi sembra prematura… siamo ancora giovani!” L’idea di sposarsi e mettere su famiglia alla loro età era inconcepibile per lui, lo notò perfino dall’espressione quasi schifata che assunse mentre parlava.
“Abbiamo quasi trent’anni, non siamo ragazzini! Ti sembra così strano che voglia sposarmi?” Si indignò, sistemandosi in ginocchio sul divano, i pugni serrati nello sforzo di non urlare.
“Sì che mi sembra strano! Fino a ieri eri normale e stasera ti è presa questa assurda idea, sicura che non ti debba venire il ciclo?”
“La pianti con questa storia? Vai a prendere la confezione della pillola dal mio comodino e vedrai che c’è ancora un’intera striscia. Non ho uno sbalzo ormonale, sto solo facendo un pensiero serio e maturo. Che lo dico a fare a te, mi chiedo.” Terminò in un sussurro, consapevole che era come parlare al vento. Perché Andrew era molto pragmatico, o meglio, Andrew era uno che viveva alla giornata, non si faceva problemi e non stava a ragionare sul futuro e sull’esistenza umana. “Va bene, signorina seria e matura. Anzi signora, vista l’età. Dove vorresti andare a parare con queste riflessioni, vuoi andare alla banca del seme e farti ingravidare da una provetta?” La prese in giro con amaro sarcasmo.
Lei lo liquidò con un gestaccio, prima di sprofondare ancora di più nei cuscini mezzi sfondati del divano preso in saldo due anni prima, quando si era trasferita a vivere da sola.
“Dai, Giulietta, dimmi che vuoi fare per trovare il tuo Romeo. Qual è il piano d’azione?” Sorrisone e sguardo complice. Era impossibile per lei resistere a quell’espressione buffa, ormai collaudata, e lui lo sapeva bene. Giocava sempre sporco, quell’adorabile idiota.


Stava cedendo, era un mago nel premere sui punti deboli di Julia. Sapeva che certe espressioni erano il suo asso nella manica e sarebbe stato stupido non approfittarne, si disse Andrew.
“Non ho nessun piano, non è che questi pensieri mi abbiano portata a progettare chissà che assalto a un possibile marito.” Gli stava nascondendo qualcosa, era molto più che evidente perché aveva distolto lo sguardo e stava facendo scrocchiare le dita, tormentandole.
“Sputa il rospo.” Lui socchiuse gli occhi, esaminandola attentamente e dandole una leggera gomitata per spronarla a parlare.
“Ahi! Non c’è bisogno di essere violenti! Ora mi verrà un livido.” La solita esagerata.
“Se la smetti di contarmi balle, lo so che hai in mente qualcosa, sei nervosa. Dai, sto aspettando.” Magari entro mezzanotte. Controllò perfino l’orologio che aveva al polso, per sottolineare la sua premura. Finta premura, non aveva altri piani per la serata.
“Non ho in mente niente, guardiamo il film.” L’argomento era chiuso per lei, apparentemente.
Ovviamente lui sapeva bene che quello non era altro che il primo segno di cedimento, perciò si strinse nelle spalle con noncuranza e si avvicinò alla libreria per scegliere un dvd.
Stava contando i secondi, dandole le spalle, mentre scorreva i titoli dei film con lo sguardo. Anche senza vederla poteva sentire il rumore dei suoi pensieri e della sua rabbia.
Oh, era così permalosa che si era senz’altro stizzita perché lui non aveva insistito ancora, mentre in realtà lei voleva parlare e raccontargli, come sempre, l’idea contorta che la sua testa matta aveva partorito, insieme a tutte quelle pippe mentali da donna in fase di pre ciclo.
Poteva continuare a negare o a sostenere quello che voleva, magari le si era allungata la sindrome pre-mestruale o stava entrando in menopausa precoce, ma lui era certo che c’entrassero gli ormoni o quelle cose da donne, perché lei era così elettrica e nervosa che non c’era altra spiegazione plausibile.
Un pensiero lo colse, mentre sfilava un film a caso dallo scaffale.
“Da quant’è che prendi la pillola?” Le domandò, girandosi.
“E questo che cavolo c’entra adesso?” Era quasi furibonda, riusciva a leggerle la stizza in viso, così come il motivo: perché lui non la stava supplicando di raccontargli i suoi pensieri ma aveva addirittura osato fare una domanda di tutt’altro genere.
“No niente, non mi sembrava che stessi uscendo con qualcuno. Tutto qui.” Si girò, noncurante, per inserire il disco nel lettore.
“E quindi? Guarda che la pillola non è solo un anticoncezionale, caro il mio uomo delle caverne. E poi non sono obbligata a raccontarti le mie cose private.”
Andrew tradusse mentalmente la frase con: “sono arrabbiata e offesa perché non mi stai domandando ancora cosa ho pensato di fare.” Perché lo sapevano entrambi che lei gli raccontava sempre tutto, erano dieci anni che si conoscevano ed erano entrati ormai in confidenza, soprattutto da quando si erano ritrovati un paio di anni prima, per caso in un bar del centro.
Avevano frequentato gli ultimi anni di liceo insieme, perché lui era stato bocciato ed era finito a essere il suo assillante compagno di banco, sempre a elemosinare di copiare qualche compito.
Si erano tenuti in contatto durante il primo anno di università, poi si erano un po’ persi di vista e ritrovati per caso, come a volte capita, così per scherzo del destino.
Avevano costruito uno strano tipo di rapporto, iniziato con un tollerarsi a fatica a vicenda, continuato con un conoscersi forzatamente per riuscire a coesistere, ritrovandosi poi molto più compatibili di quanto si credesse inizialmente e finendo con il confidarsi e appoggiarsi l’uno all’altra nei momenti difficili, tra un battibecco e una frecciatina.
Quando lui si riaccomodò sul divano, stravaccandosi senza alcun ritegno, lei sbuffò scacciando con forza una gamba da sopra le sue.
“Se non vuoi parlare, va bene. Però puoi smetterla di sbuffare come una vecchia locomotiva che vorrei seguire il film?” Cercò di nuovo di sistemarsi comodamente sul divano, ignorando il fatto che ci fosse anche lei seduta dall’altro lato.
“Certo che sai essere proprio uno stronzo.” Ruggì Julia, alzandosi e portando sul bancone della cucina il cartone con oltre metà della pizza ancora intatta.
“A volte mi chiedi perché non metto la testa a posto e mi trovo una ragazza fissa. Ecco, ora ti dico il motivo. Perché ho già le tue paturnie da sopportare e più di una donna schizzata alla volta non saprei gestirla.” Forse aveva esagerato, ma quando ci vuole ci vuole. Era più pazza dal solito.
Si sdraiò prendendo tutto il posto sul divano, ignorando la risposta colorita della sua amica che lo mandava a quel paese senza tante cerimonie.


Julia non poteva negare che lui si fosse dimostrato un buon amico, quando aveva avuto davvero bisogno di conforto in passato, così come non poteva negare una certa utilità anche nell’esserselo ritrovato in casa quella sera.
Le aveva fatto passare in fretta la voglia di trovarsi un fidanzato, esasperandola con la sua completa stupidità, evidentissima prerogativa del genere maschile.
Era ormai ben oltre la soglia massima di sopportazione, quel nervosismo latente era esploso e la rendeva poco lucida per comprendere che in realtà Andrew non aveva colpe e che la stava stuzzicando né più né meno del solito, senza mai essere veramente offensivo e con un tono sempre accondiscendente e, a suo modo, affettuoso.
Perché le voleva bene e lei lo sapeva. Quando, in prima liceo, si era trovata questo ragazzo più grande, ripetente e senza la minima voglia di studiare, nel banco accanto al suo, aveva pensato che il cielo ce l’avesse con lei.
Dopo qualche giorno, aveva rettificato la sua idea, ringraziando il cielo perché le aveva procurato un ragazzo tutto sommato carino, più grande e che sembrava essere interessato a lei.
In realtà era interessato solo a copiare i compiti e lei, che era sì giovane e preda degli ormoni, ma non era stupida, lo aveva capito in fretta.
Forse non abbastanza, visto che si era ritrovata avvinghiata a lui nel suo letto, con la sua lingua in bocca e le mani che vagavano sotto la sua maglia.
Sull’onda del momento, a cavallo di un ormone grande come un cavallo, aveva addirittura pensato qualcosa tipo: “evvai, ho trovato qualcuno con cui fare finalmente l’amore, qualcuno che almeno riesca a slacciarmi il reggiseno senza rompere il gancio e non sembra fissato con il leccare le orecchie. Grazie al cielo.”
Poi lui aveva ansimato qualcosa di molto poco romantico mentre già le slacciava i pantaloni: “Domattina mi fai copiare la versione? Così ora possiamo dedicarci ad altro…”
Così si era conclusa la loro unica parentesi fisica, con un calcio ai gioielli di famiglia del povero Andrew che non aveva mai più accennato all’argomento.
Semplicemente quel pomeriggio non era mai esistito, per tacito accordo tra le parti, da quando avevano iniziato a essere amici, passata la fase di insulti e di finta indifferenza, qualche mese dopo il focoso pomeriggio.
Quando poi si erano ritrovati per caso in quel bar, diversi anni dopo, erano ormai già adulti ed era bastata una sessione di chiacchiere fino all’alba, per aggiornarsi degli anni persi e riscoprirsi amici, come e più di prima.
I punzecchiamenti e le battutine non erano mai scomparse, però quella sera stavano rischiando di discutere veramente, se lei non si fosse fatta passare quel malumore cronico.
Con quell’amara consapevolezza a schiarirle un po’ i pensieri nevrotici, Julia si avvicinò al divano e borbottò: “Mi fai un po’ di posto?”
Andrew, per nulla stupito dalla sua ricomparsa, si era limitato a schiacciarsi di lato contro lo schienale del divano, lasciandole la striscia sul bordo per sdraiarsi di fronte a lui.
Julia gli diede le spalle, poggiando il capo su un cuscino soffice, investita dal sospiro caldo del suo amico che la sovrastava, con la testa poggiata sul bracciolo del divano.
“E’ successo qualcosa al lavoro? Hai litigato con qualcuno?” Le sussurrò gentilmente e con cautela, come faceva sempre quando temeva di provocare reazioni isteriche in lei.
E solitamente era il giorno prima del ciclo. Dannazione, non poteva conoscerla così bene.
Quella sera, però, c’era altro a pesarle sui pensieri e sulla tranquillità domestica.
“No, sto solo… aspettando la risposta a un’e-mail.” Si decise a rivelare.
“Un’e-mail personale o di lavoro?” Incalzò lui, sempre con la stessa calma.
“Personale… Ho… scritto a Richard.”


Richard chi? Si chiese Andrew, vagliando in fretta ricordi e racconti che forse non aveva ascoltato così bene.
“E’ qualcuno che hai conosciuto di recente?” Deglutì, temendo di ottenere un’altra reazione psicotica, perché lui non la ascoltava mai quando lei gli parlava.
Certe volte, avere a che fare con Julia era veramente come avere una fidanzata. Se non altro stava facendo pratica per quando avrebbe avuto voglia di sistemarsi.
Tanto c’era tempo, aveva appena compiuto ventotto anni, era ancora un ragazzino. Soprattutto nell’animo.
“Se ci pensi, forse lo ricordi. L’hai visto anche tu, l’estate del diploma.”
Se non avesse avuto il corpo della ragazza a bloccarlo da un lato e lo schienale del divano dall’altro, sarebbe rotolato sul pavimento per lo stupore.
“Dimmi che stai scherzando! E cosa hai sentito il bisogno di scrivergli? Condoglianze per qualche lutto in famiglia? E’ morto Richard primo il nonno o Richard secondo il padre?” Non si era mai capacitato dell’assurdità di tramandare a un’intera famiglia lo stesso nome, in una famiglia che non fosse quella di una soap opera.
“No no, nessun lutto che io sappia. Gli ho chiesto se voleva prendere un caffè e fare due chiacchiere, tutto qui.” Julia non si era ancora girata, gli dava ancora le spalle e stringeva il cuscino tra le braccia.
“Ok, ragioniamo. Prima cosa: non hai nessun essere vivente normale con cui prendere un caffè? E seconda cosa: una mail per dirgli questo? Perché non un telegramma o una pergamena con la cera lacca?” Non si girò nemmeno in quel momento ma si limitò a piantargli, in risposta, una gomitata nello sterno, non troppo forte almeno.
“Ahi!”
“Forse non lo ricordi, però Richard è contrario agli sms. E non fare commenti che sono già abbastanza pentita di avergli scritto!”
Andrew sospirò, rumorosamente, scuotendo il capo. “Nessun commento, agli ordini. Però ti dispiacerebbe spiegarmi, con calma, perché diamine hai scritto a quel mollaccione figlio di papà?” Aveva iniziato la frase in modo così pacato, poi si era perso per strada, trasportato ancora dell’incredulità.
“Allora non mi ascolti! Ti ho detto che pensieri stavo facendo oggi, dopo aver visto…”
Non la fece finire, troppo sconvolto dall’aver capito. “Vuoi tornare insieme a lui? Ma sei pazza? Non ricordi com’era tra voi?”
“Sì che lo ricordo! E non era male, checché tu ne dica! Mi ha sempre trattata con rispetto, è sempre stato gentile, mi regalava i fiori, mi portava a cena fuori. Non era così male.” La vide gesticolare, mollando la presa sul cuscino, come faceva quando voleva giustificarsi. Aveva ripetuto due volte lo stesso concetto, probabilmente per convincere se stessa, oltre a lui.
“A letto era un disastro.” Tanto valeva dirlo subito.
Julia sussultò, scivolando un po’ in avanti, fu lui ad afferrarla per un fianco e ad evitarle di cadere. “E tu che ne sai?”
“Me l’hai raccontato tu, quella sera di fine estate, alla festa in spiaggia.” Andrew trattenne il sorriso di scherno che gli stava nascendo al ricordo di quella notte, per non rischiare che lei si girasse improvvisamente e lo scorgesse.
“Ma se ero ubriaca fradicia! Mi sono svegliata il mattino dopo, su un lettino, con il profumo di un espresso e l’aspirina pronta. Mi hai detto che ero crollata addormentata e che non avevo dato spettacolo!” La voce le si era incrinata, segno che il sospetto si stesse annidando tra le pieghe della labile memoria di una notte dimenticata.
“Non ti ho mentito, ti ho trascinata lontano dagli altri prima che finissi per dare spettacolo. Sei stata anche fortunata, io ero sobrio perché ero stato male tutto il giorno per la sbronza della sera prima, così quella sera mi sono limitato a bere acqua. Penso sia stata l’unica festa dove ho bevuto acqua, l’unica dalle elementari.”
“L’unica in cui io, invece, mi sono ubriacata. Sono stata così male il giorno dopo da non aver toccato nemmeno una birra leggera per un anno intero.” Sospirò Julia, rabbrividendo al ricordo.
“Comunque stiamo divagando.” Riprese, poi. “Cosa ti avrei raccontato quella sera su Richard?”
“Hai detto che non ti ha mai fatto provare un orgasmo, mai una volta in mesi che eravate insieme.”
Aveva addirittura usato un linguaggio ancora più diretto e colorito ma si guardò bene dal raccontarlo, pensando che già così l’avrebbe parecchio sconvolta.


A quel punto Julia scivolò veramente dal divano, atterrando sul tappeto.
Si rialzò, a bocca aperta e occhi sgranati. “Dimmi che mi stai solo prendendo in giro.”
Andrew scosse il capo, negandolo. “Giuro.”
“Oh porca miseria, sono un pericolo da ubriaca. Perché non me l’hai mai detto?” Si sedette sul bordo del divano, guardando l’amico che prendeva tempo prima di rispondere.
“Perché eri ubriaca, non ricordavi niente e hai un po’ straparlato…” Andrew si schiarì la voce, rivelandole che c’era molto altro di non detto.
“Che altro ho detto?” Julia si coprì la bocca con una mano, già terrorizzata ancor prima di sentire il resto del racconto.
“Tutte belle cose sulle NON doti di Richard… per questo ti ho chiesto se sei sicura di voler uscire di nuovo con lui…”
“Andrew, dai. Eravamo ragazzini, non possiamo paragonare le esperienze di quel periodo a quello che potrebbe essere una relazione seria tra adulti!” Le era uscito un suono un po’ stridulo, perché cominciava a sentirsi un po’ in imbarazzo.
“Ma non è finita per quello tra di voi? E perché era anche mortalmente noioso e attaccato alla gonna della mamma?” Andrew non si faceva mai problemi a essere diretto, molto diretto.
“No! E’ finita perché lui è andato a studiare in Inghilterra e le relazioni a distanza non durano, si sa.”
“Se uno poi è pure allergico agli sms…” Borbottò lui, non resistendo a sghignazzare leggermente.
Un bel pugno sul braccio era il minimo, se l’era cercato a fare tanto lo spiritoso. Julia sapeva essere manesca quando voleva, soprattutto nei confronti di Andrew.
“Hai altre battute idiote da fare o obiezioni sulla mia vita sessuale? Perché, a parte quelle, e grazie tante per la premura, non stiamo parlando di un alcolizzato maniaco, ma di un bravissimo ragazzo.”
Andrew si sedette, sgusciando accanto a lei sul divano. “Sei sicura di ricordare bene quei mesi? Eri esasperata da lui e dalla sua scarsa… vitalità.”
“Avevo diciannove anni! Non sono più la stessa persona!” Julia alzò gli occhi al cielo, lasciandosi sprofondare nel divano.


Inutile, non capiva quello che lui stava cercando di dirle. Che poi non si lamentasse, come faceva sempre, del suo poco tatto. Era lei ad essere poco perspicace!
“Ok, quanto a feste e uscite può essere. Però non mi sembra che tu sia entrata in una fase di ascetismo sessuale… sei sempre una donna no?” Non voleva dirle esattamente cos’altro aveva detto quella notte, quando l’alcol le aveva tolto le inibizioni e la gabbia della razionalità.
“Certo che sono sempre una donna, che cavolo di discorsi! Ma mi vuoi dire cosa ho detto di così tremendo quella notte, al punto da renderti così preoccupato all’idea che io esca con Richard?”
“Non sono preoccupato, forse tu non ricordi bene che la scarsa soddisfazione che lui ti dava, su quel fronte, ti ha resa un tantino disperata.” Assatanata, maniaca. Aveva scelto l’aggettivo meno forte, per una volta.
“Ok, basta girarci intorno. Che cavolo ho detto? E ricordati che ero ubriaca!”
“Oh lo ricordo eccome, hai vomitato tre volte quando ti sei svegliata e hai sentito l’odore del caffè.”
“Non divagare!” Si stizzì lei, facendo pentire amaramente Andrew di aver tirato fuori quell’argomento che era così ben sepolto.
“Dopo aver esternato quanto poco il buon Richard terzo, erede dell’impero di famiglia, fosse capace di darti… soddisfazione, mi hai chiesto una cosa.”
“Oddio, che ti ho chiesto? No aspetta, non dirlo. Merda.” Aveva fatto tutto da sola, domanda e risposta.
“Ti ricordi, quindi?” Andrew cercò di rimanere rilassato, però era nervoso quanto lei.
“No che non mi ricordo! Però penso di aver capito, visto ciò che hai detto! Ti ho chiesto di venire a letto con me?” Era impallidita.
“Sì e no.” Sbagliato, se avesse detto semplicemente sì il discorso si sarebbe chiuso, per buona pace di entrambi.
“Come sarebbe a dire? Ho detto di peggio?”
“Ok, vuoi la versione soft o le tue testuali parole?” Ormai che c’erano.
“E come fai a ricordarle?” Si morse un’unghia e lo guardò, indecisa e in preda all’ansia.
“Bè, è una frase che un uomo non dimenticherebbe mai.” Sorrise ma poi si rifece serio, vedendola sgranare gli occhi.
“Dimmelo, su. Ormai voglio sentirla e poi voglio anche sapere perché cavolo me l’hai tenuto nascosto per oltre sette anni!”
Probabilmente si sarebbe risposta da sola, non appena lui le avesse rivelato il re degli aneddoti imbarazzanti.
“Eravamo seduti su un lettino, tu stavi gesticolando e parlando da venti minuti e io me la stavo ridendo, pensando a quanto avrei potuto prenderti in giro il giorno dopo, senza contare che non sarei mai più riuscito a guardare Richard in faccia senza ridere.”
Accennò un sorriso ma Julia lo spintonò, avida di informazioni. Peggio per lei, si sarebbe pentita di quella curiosità.
“Improvvisamente sei sbottata, dicendo che eri disperata e che non potevi continuare a fingere orgasmi così giovane, era contro natura.”
“Oddio.” Sussurrò lei, torcendosi le mani.
“Poi mi hai guardato negli occhi e mi hai detto: “Andrew, tu devi aiutarmi. Ho bisogno di un vero orgasmo, prima di impazzire. Fammi venire, ti prego.” E mi hai messo la mano tra le tue gambe.”
Julia passò dal bianco al rosso in due secondi, poi nascose il viso dietro un cuscino, cantilenando qualche imprecazione che si spegneva contro la gommapiuma.
“Dai, Jules. Non ti nascondere, è successo un secolo fa ed eri ubriaca persa. Almeno non ti sei spogliata!” Cercò di alleggerire l’atmosfera, strappandole il cuscino dal viso.
“E tu che hai fatto?” Lo guardò, seria e preoccupata.
“Ti ho fatta stendere sul lettino e ti ho detto di rilassarti.”
“OH PORCA MISERIA! Hai approfittato di me quando ero ubriaca!” Urlò, alzandosi dal divano come se avesse avuto una molla sotto il sedere.
“Ma cosa urli! A parte che sei tu che volevi usare me, quella sera! Non mi hai proposto di andare a letto insieme, mi hai chiesto solo di toccarti!” Non solo chiesto, lo aveva ben esplicitato a gesti, visto che si era ritrovato la sua stessa mano sulle mutande di pizzo bianco di Julia, ancor prima di realizzare le intenzioni di quella pazza ubriaca.
“E tu l’hai fatto, oddio non ci posso credere.” Julia prese a camminare in cerchio, attorno al tavolino basso di fronte al divano.
“No che non l’ho fatto, scema! Ti ho fatta addormentare e sono rimasto sveglio per controllare che nessun maniaco venisse a importunarti in spiaggia di notte, mezza collassata per l’alcol!”
Era risentito, veramente. Come poteva anche solo pensare una cosa del genere?
Julia si lasciò cadere a peso morto sul divano. “Ok, scusami, davvero. Ero solo sconvolta da questo racconto assurdo. Ma perché non me l’hai mai detto?”
“Perché non c’era niente da dire, non è successo nulla e tu non eri lucida. Per lo stesso motivo per cui non ho fatto nulla e ho tolto subito la mano.”
“Se fossi stata meno ubriaca, o tu lo fossi stato quanto me, lo avresti fatto? Avresti fatto ciò che ti avevo chiesto?” Eccola, la domanda che lui non avrebbe mai voluto sentirsi rivolgere.
“Se tu mi avessi chiesto di andare a letto insieme, probabilmente sì. Se tu fossi stata più lucida o io lo fossi stato di meno. Ma così no, avrei rischiato di rovinare un’amicizia, se tu avessi ricordato tutto al risveglio. E tutto per far godere solo te, il gioco non valeva la candela.”
Non seppe nemmeno perché riuscì ad essere così sincero, forse perché era abituato a dirle tutto senza problemi.
“Non toccherò mai più un goccio d’alcol in vita mia, sono un pericolo pubblico.” Julia si nascose il viso tra le mani, esasperata.
Andrew però si accorse che era arrossita, proprio lei che ormai non si imbarazzava per nulla con lui. Aveva addirittura avuto il coraggio di mandarlo a comprarle i tampax e il vagisil in farmacia.
“Comunque, non stavamo parlando di questo. Che intenzioni hai con Richard?”
Julia si alzò, in silenzio, e scomparve in camera da letto. Andrew sbuffò, abituato ormai ai suoi sbalzi d’umore, e la seguì.
La trovò con il pc portatile sulle ginocchia. “Mi ha risposto.”
Magari Richard, l’uomo antiorgasmo, era sposato e la questione si sarebbe chiusa, per il bene di tutti.
“Mi ha invitata a pranzo domani al suo club, in centro. Si scusa per il poco preavviso ma lunedì partirà per New York e starà via due settimane, ma ci teneva molto a incontrarmi.”
Speranza vana. “E ci andrai?”
Il tono di Andrew sembrava indolente e annoiato, in realtà era infastidito. Solo perché lei non ascoltava mai i suoi consigli, si disse.
Julia posò il pc sul copriletto con i delfini e saltellò per la stanza, aprendo cassetti e cassettini, finendo poi a rovistare nella borsa.
“Che stai facendo ora?” Chiese lui, quando ormai aveva rinunciato a capirlo da solo.
“Cerco la ricevuta della lavanderia, devo andare a ritirare il tailleur, è l’unico che ho ed è l’unica cosa che posso indossare per un pranzo al club.”
“Tu sei una pazza masochista. Lo sai vero?”
“Andrew, dammi tregua. E’ solo un pranzo e ormai sarebbe scortese rifiutare! Ecco, trovata!”
Sventolò un bigliettino, tutta felice.
“Senti, se è per la storia dei figli, sei davvero ancora giovane. Se tra qualche anno non avrai trovato con chi sfornare un paio di marmocchi, posso farti io da donatore. Non rovinarti la vita dietro a gente come quel moscio di Richard.”
“E poi sarei io la pazza. Mi hai rifiutato un orgasmo e mi hai accusata di aver cercato di usarti e ora mi stai offrendo di fare un figlio con te? Ma la tua scala delle priorità chi l’ha scritta?”
“Ma che c’entra, sarebbe per una causa superiore. E poi mica è detto che dobbiamo farlo in provetta, potrei accontentare due richieste in una volta sola. O in due o tre volte.”
“Andrew, vai a casa e fatti una dormita. La pioggia che hai preso ti sta facendo venire la febbre, stai dicendo più cazzate del solito e sei tutto rosso in viso.”
Lui si avvicinò allo specchio e notò di essere un po’ accaldato, forse gli stava davvero venendo la febbre. Ma porca miseria, con tutto quello che doveva fare.
“Merda. Hai un’aspirina?” Senza aspettare la risposta, si diresse da solo in bagno a cercare nel mobiletto dei medicinali.
Trovò l’aspirina dietro a mille altre confezioni, Julia era leggermente ipocondriaca.
Ritornò in cucina per prendere un bicchiere d’acqua, mentre lei stava sistemando i cuscini maltrattati del divano e spegneva la tv.
“Come mai hai un flacone di sonnifero in bagno?”
“Faccio fatica a dormire a volte. Mi sento sola e mi viene l’ansia.” Rispose lei con naturalezza, la voce bassa e un po’ triste.
“Lo sai che basta una telefonata e arrivo in cinque minuti. Non imbottirti di quella roba, ci facciamo una camomilla e ti faccio addormentare trovando uno dei film più noiosi di sempre. Sono un mago a trovarli sulla pay tv.”Si avvicinò a lei, con un sorriso.
“Ah sì? Ultimamente beccavi solo i porno, dicendo che avevi letto male la trama.”
“Ma non è colpa mia, la guida elettronica dei programmi mette solo due righe!” Si difese.
“Ah certo, perché un film che si chiama Segretarie tettone potrebbe essere un film drammatico.”
“Certo, sullo sfruttamento della donna nei posti di lavoro. Devi cogliere il significato profondo, stare tutto il tempo inginocchiate può portare seri danni al menisco, non credere!”


Uno dei pregi di Andrew era che riusciva a fare le battute più cretine del mondo, rimanendo perfettamente serio.
E la faceva sempre ridere.
Scoppiò a ridere insieme a lei, poi le si avvicinò per abbracciarla.
“Vado a casa e mi metto a letto, mi chiami dopo il pranzo? Voglio sapere se si è già stempiato o se gli è venuta la pancia.” Sorrise e lei gli diede un pizzicotto sulla pancia.
“Come quella che è venuta a te.”
Lui trattenne il respiro, petto in fuori e pancetta in dentro. “Non so di cosa tu stia parlando.”
“Certo certo, notte Andrew.” Julia gli strinse il pizzetto con due dita, abbassandolo alla sua altezza per lasciargli un bacio sulla fronte.
“Quando ti farai la barba, togliendo quel pizzetto ridicolo?” Gli chiese, mentre lo accompagnava a prendere le scarpe e lui le infilava.
“Poi come faresti a tirarmi giù alla tua puff-altezza per salutarmi? Lo faccio per te, lo sai.”
“Lo fai perché hai letto non so dove che alla donne piace il pizzetto e che fa figo, finché non compaiono i primi peletti bianchi nella barba e a te stanno già venendo.”
“Sei una donna crudele, lo sai?” Socchiuse gli occhi, fulminandola.
“E mi vuoi bene per questo.”
“Già, sono un uomo bello e masochista. Notte puffetta.” Le baciò la fronte e si diresse alla porta.
“Sul masochista non ho dubbi, sul bello avrei qualcosa da ridire.”
Lui le fece un gesto molto poco elegante, mentre si chiudeva la porta alle spalle.
Julia sorrise, scuotendo il capo. Richard inorridiva sempre di fronte ai modi un po’ volgari, a suo dire, del suo amico Andrew.
Magari Richard era cambiato, in quegli anni. Probabilmente no, visto l’ambiente in cui era cresciuto. Sarebbe inorridito ancora di fronte ad Andrew.
Julia andò a dormire, sperando che in qualcosa Richard fosse cambiato. Soprattutto, si disse mentre incrociava le dita sotto le coperte fresche del suo letto grande e mezzo vuoto, sperava che Richard avesse scoperto l’esistenza del clitoride nelle donne.




   
 
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