Una grande roccia a strapiombo sul mare;
un cielo rosso come un drappo romano.
Si stende, testa sulla braccia, a rimuginare;
un uccello marino del suo nido è guardiano.
Le sue bianche penne vibrano al leggero vento;
i suoi occhietti lo fissano, minaccioso.
Curioso, s'avvicina lento;
piccoli passi, poco rumore, come amante voluttuoso.
"Dove ti rechi, o mortale?"
Il gabbiano disse, in modo solenne.
Rombando s'infrange su uno scoglio l'onda micidiale;
spuma, bianca come la neve, l'acqua luccica sulle penne.
"Non lo so, a dire il vero;
penso d'esser qui per pensare.
O forse solo per riposo mi siedo su questo masso nero;
o forse ancora son qui a immaginare."
Continuano sotto la rupe a rombar l'onde;
tutt'intorno grida d'uccelli.
Sporge lo sguardo verso l'acque profonde;
spiega le ali il gabbiano e s'unisce a quelli.
"Non sei forse anche tu mortale, o volatile?"
Gira le ali e plana, il gabbiano, avvertite le parole.
Volando si capovolge, e picchia verso l'uomo, abile;
sulla spalla dell'uomo s'appollaia, volgendosi al sole.
"Viviam finchè ricordati siam, sai?"
"Come farò a ricordarti?" dice l'uomo, per il freddo tremante.
"Mi ricorderai finchè saprai;
e francamente, come puoi dimenticarti d'un gabbiano parlante?"