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Autore: livingfiamme    04/05/2011    0 recensioni
Era sempre andato avanti, però. Per lui, il suo specchio di carne.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Come quell'ispirazione che ti colpisce all'improvviso e ti impedisce di pensare, erano i suoi versi. Semplice inchiostro nero, abituato a fluire sulle pagine, all'improvviso diventava denso come mercurio. Di più, anzi, perché il mercurio ha dentro di sé soltanto una struttura chimica, semplice e lineare, si mostra subito per quello che è. Quelle parole, no. Dovevi entrarci dentro, cucirtele addosso, prima di poterle davvero comprendere. Erano intrise di sentimenti veri e violenti che rischiavano di soffocarti e ucciderti se solo provavi a sfiorarli con le dita del cuore. Avevi paura, di conseguenza. Era naturale. Eppure, un po' come tutte le cose che fanno paura, ne eri attratto. Fatalmente.
Questa era una di quelle notti. Non riusciva a dormire: ormai era più una prassi che una rarità. Fissò lo sguardo sul giardino al di là della portafinestra e prese il suo quaderno nero. Nero come la distruzione che si portava dentro. Era strano era brutto era suo, fine. Se lo doveva tenere e basta.
Aprì il blocco e sfogliò le pagine. Le sue canzoni avevano temi contrastanti. Una volta un amore sporco, una volta un affetto puro.
Non so nemmeno cos'ho nel cuore.
Eppure un uomo a trentacinque anni e il mondo ai suoi piedi avrebbe dovuto come minimo sentirsi un dio. Invece lui si sentiva piuttosto una creatura troppo pesante anche solo per fendere l'aria.
Voglio volare.
Aprì la portafinestra, affacciandosi al balcone. Le macchine scorrevano frenetiche una dopo l'altra, quasi avessero fretta di perdere chissà quale pezzo di vita. Si perse a osservarle, con una specie di sorriso rassegnato sulle labbra. Lui non avrebbe mai avuto la normalità della fila in tangenziale la sera alle nove. Mai la normalità dello stress da traffico, mai quella specie di perversa soddisfazione di una parolaccia detta al semaforo.
Si sedette sulla ringhiera del balcone, con quella grazia tutta sua. Lasciò che le sue lunghe gambe penzolassero nel vuoto. Vuoto buio di una notte di giugno. Già, era estate. Fra pochi mesi sarebbe stato il suo compleanno. Non gliene importava niente comunque. Non aveva più senso festeggiare perché era la vita stessa a non avere un senso. Quindi perché festeggiare il proprio invecchiamento? Insieme ai fan, poi. Quella massa indistinta di corpi l'aveva sempre spaventato, a dirla tutta. Non era più stato capace di rapportarsi con loro perché, successo dopo successo, aveva reso il proprio nome sempre più ingombrante, inadatto a una vita normale.
Anche la normalità stessa, però, era qualcosa che non si poteva definire con precisione. Era qualcosa di troppo oggettivo, che continuava a trovare posto in tutti i giudizi preconfezionati che la gente amava cucire addosso agli altri; quasi come un'etichetta non richiesta, che però ti si attaccava comunque alla pelle.
Incrociò le gambe. Si sentiva meglio, adesso. No, non era vero. Si sentiva peggio, solo che era così abituato a dire bugie che alla fine aveva mentito anche a sé stesso.
Gli sfuggì un singulto che sapeva di rabbia e dolore. Ecco. Dolore. Solo quello. Solo quello, ma era comunque difficile da metabolizzare. Qualcosa di troppo complicato da capire.
Era sempre andato avanti, però. Solo per lui, il suo specchio di carne.
Che, guarda caso, si era andato a rompere in un incidente stradale. Proprio lui, la bambola di porcellana. Il pezzo di carta che forse era anche di carne.
Bill Bill Bill mio Bill.
Due settembre duemiladieci. Non aveva fatto in tempo a godersi l'anno acquisito che bum!, era morto.
E i Tokio Hotel erano andati avanti, nonostante tutto. E la critica stava ad ascoltare, ora che non poteva più sputare veleno addosso al travestito. Ed avevano cominciato a piacere a tutti.
Però a lui non importava più. Viveva per forza d'inerzia.
No. Non vivo più.
Mise prima un piede, poi l'altro sulla ringhiera. Si lasciò cadere. Sentì il vento sul viso. Tre parole gli risuonarono nella testa.
Ti prendo io, Tom.
Lui sorrise, mentre si lasciava...
-Tom, ma ti vuoi svegliare?! David è incazzato nero, siamo in ritardo e tu dormi!
Era stato... un sogno?
Sì. Bill era lì.
Tom sorrise, sollevato. Scese dal letto. Abbracciò il gemello.
-Sì Tom, vedo che ti sei svegliato be...
E gli stampò un bacio sulle labbra. Per sentirselo dentro.
Bill gli sorrise, sorpreso.
-Scusa Bill, ma ti voglio bene.

   
 
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