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Autore: samek    05/05/2011    3 recensioni
Ah, “L’avventura dei Sei Napoleoni”, riconobbi dunque. Quello che seguiva era il rapporto in merito ai fatti successivi, che non avevo incluso nel manoscritto dato alla stampa perché riguardavano fatti di natura personale.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Yaoi
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Negli anni, ho acculato un’infinita quantità di taccuini su cui annotai le faccende di cui si occupò il mio amico Sherlock Holmes, alcune sensazionali come “Il segno dei Quattro”, altre più banali e non degne della pubblicazione, che trascrivevo per puro

Fandom: Sherlock Holmes;

Pairing: Holmes/Watson;

Rating: Pg;

Beta: Narcissa63 (la mitica ♥)

Genere: Introspettivo, Romantico.

Warning: Missing Moment, Remix, Slash;

Words: (fiumidiparole)

Summary: Ah, “L’avventura dei Sei Napoleoni”, riconobbi dunque. Quello che seguiva era il rapporto in merito ai fatti successivi, che non avevo incluso nel manoscritto dato alla stampa perché riguardavano fatti di natura personale.

Note: Remix della fic “Mattina (ovvero l'elogio del tè)” di gondolin_maid, per il Sherlock Holmes Remix 2011 @ holmes_ita. Missing Moment di “Il ritorno di Sherlock Holmes – L’avventura dei sei Napoleoni”.

 

DISCLAIMER: Tutti i personaggi delle saga di Sherlock Holmes non sono opera mia, bensì della mirabile penna di Sir Arthur Conan Doyle. Dato, però, che i diritti d’autore sono ormai scaduti, stappiamo tutti insieme lo spumante ed appropriamocene beatamente! XD Ah, ovviamente non mi paga nessuno, anche perché altrimenti il succitato autore si rivolterebbe nella tomba, poverello.

 

 

Polvere sulle Dita

 

Negli anni, ho accumulato un’infinita quantità di taccuini su cui annotai le faccende di cui si occupò il mio amico Sherlock Holmes, alcune sensazionali come “Il segno dei Quattro”, altre più banali e non degne della pubblicazione, che trascrivevo per puro diletto. Col tempo, divennero tanti da riempire il mio vecchio baule della campagna militare e spesso dovevo spostarne intere pile per riuscire a trovare il diario che m’interessava, su cui erano redatti gli appunti in merito a questa o quella avventura che finalmente il mio amico mi permetteva di rivelare ai suoi sempre più numerosi ammiratori.

Proprio in una di quelle occasioni, mentre spostavo alcuni taccuini, quello in cima alla pila scivolò a terra. Mentre lo raccoglievo, l’occhio mi cadde sulla pagina a cui si era aperto ed una frase attirò la mia attenzione:

 

«Grazie!» rispose Holmes. «Grazie!» E quando si girò ebbi la sensazione di non averlo mai veduto tanto emozionato come in quel momento. Ma subito ritornò il freddo e pratico pensatore di sempre. «Chiuda la perla nella cassaforte, Watson» mi disse «e vada a prendere i documenti relativi al falso di Conk-Singleton. Arrivederci, Lestrade. Se avrà bisogno di me mi troverà sempre felicissimo di mettermi a sua disposizione».

 

Ah, “L’avventura dei Sei Napoleoni”, riconobbi dunque. Quello che seguiva era il rapporto in merito ai fatti successivi, che non avevo incluso nel manoscritto dato alla stampa perché riguardavano fatti di natura personale.

Dopo un breve esitazione, mi accomodai sulla sponda del mio letto e rilessi quelle pagine, vinto dalla nostalgia. Dicevano:

 

La porta si richiuse alle spalle di Lestrade e, un momento dopo, Holmes stava già facendo su e giù sul pavimento del nostro salotto. L’espressione accigliata, così in contrapposizione a quella naturale e sincera che aveva mostrato poco prima – quando io e l’ispettore avevamo applaudito alla sua brillante risoluzione del caso – da essere quasi sconcertante. Frustrante, sotto un certo qual punto di vista, perché io raccoglievo come gemme tutte le rare volte in cui incautamente – secondo lui – il mio collega si abbandonava alle emozioni, e le consideravo più preziose della stessa perla dei Borgia che avevano appena recuperato. Forse non sarei mai riuscito a fargli cambiare opinione in merito alla loro utilità.

Contai forse quindici giri, poi – mi vergogno ad ammetterlo – il sonno e la stanchezza di quella giornata rocambolesca mi vinsero e mi assopii sul divano.

«Dovrebbe alzarsi, mio caro Watson» una delle sue mani sottili mi scosse per una spalla, e mi lasciai sfuggire un suono inintelligibili, prima di rendermi conto che vi era un po’ troppa luce perché mi trovassi nella mia camera e che una molla del sofà mi stava perforando il costato. «Mrs. Hudson ha portato la colazione» continuò il mio amico, riportandomi del tutto alla veglia.

«Holmes, ma lei non ha chiuso occhio!» esclamai, notando che vestiva ancora come la notte prima e che i suoi occhi erano arrossati per la mancanza di sonno.

«Ero occupato» mi rispose sbrigativo, quasi seccato, ma ero troppo abituato ai suoi modi scorbutici per badarvi. «Sa che lei parla nel sonno?» soggiunse, intanto che io mi sedevo in una posa più consona al decoro.

«Non ne sono mai stato informato. Spero di non essermi lasciato sfuggire nulla di compromettente» replicai, passandomi un palmo s’una guancia, sulla quale era presente, oltre che un’impronta della fodera del sofà, anche un’ombra di ricrescita della barba.

Holmes non rispose subito, osservò quel gesto come se lo trovasse estremamente interessante. «In fede mia Watson, il linguaggio da romanzo d’appendice non l’abbandona nemmeno durante l’incoscienza. È il caso che lei chiuda la porta della sua camera a chiave o che incarichi Mrs. Hudson di non svegliarla più la mattina, se non desidera che fraintenda i suoi apprezzamenti allo splendore dei miei occhi». Il suo tono fu quasi di rimprovero, ma il suo sorrisetto la diceva lunga su quanto si stesse divertendo a sbeffeggiarmi, e come ogni volta provai il sentito desiderio – di cui per decenza non ho mai parlato al di fuori di questi diari – di cancellarlo con un pugno ben assestato.

«A dire il vero, li paragonava alla perla stessa» concluse ed io fui lieto poter nascondere l’imbarazzo che mi colorò il viso dietro una tazza di tè.

Fui ingenuo probabilmente, perché il tremore delle mie mani palesò ancor più il mio nervosismo, quando mi rovesciai alcune gocce sulla camicia. Cercai un fazzoletto nelle tasche del panciotto, ma dovevo averlo lasciato nella giacca, e Holmes fu rapido ad offrirmi il suo. Nel frattempo, io mi stavo domandando quanto la nostra cara padrona di casa avesse sentito mentre ci portava la colazione.

Le dita del mio amico mi sfiorarono nel porgermi il fazzoletto, leggermente tremanti – il che era davvero inconsueto da parte sua – e quegli stessi occhi tanto straordinari di cui avevo parlato perfino in sogno parvero leggermi i pensieri sul viso, perché mi rassicuro chiarendo: «L’ho trattenuta un po’ più del necessario dietro la porta, adducendo una scusa».

Poi si scostò con un movimento fluido, concedendomi solo l’accenno di un sorriso, mentre si dirigeva verso la cassaforte. «Ad ogni modo, il suo paragone di stanotte – per quanto poco calzante – mi ha fatto riflettere» rivelò «L’ho osservata a lungo dormire, vecchio mio». Ed io compresi che aveva vegliato il mio sonno per tutta la notte; se il mio era un linguaggio da romanzo d’appendice, i suoi gesti non erano da meno.

Trasse qualcosa dalla cassaforte e, quando me la offrì, scoprii di cosa si trattasse: la perla dei Borgia.

«Voglio che sia sua. Come ringraziamento per il suo contributo a questo caso, mio caro Watson» dichiarò Holmes con un sussurro gentile, quasi troppo carico d’emozione.

Osservai incredulo quel regalo, domandandomi se non fossi ancora addormentato e quello fosse tutto frutto di un mio inconscio desiderio.

Il mio aiuto in quel caso era stato quasi nullo, visto che in verità era stato lui ad occuparsi di tutto ed io mi ero semplicemente limitato ad accompagnarlo, quindi come scusa adotta era davvero poco credibile. E lui doveva saperlo, ma pareva non curarsene.

Negli ultimi tempi – da quando mi ero nuovamente fidanzato, per la precisione – il comportamento di Holmes era scostante ed incomprensibile. Si chiudeva nel mutismo per giorni e diveniva intrattabile, poi mi dedicava gesti di una cortesia inaspettata, e si gettava con tutte le sue energie anche nei casi più banali. Che fosse servita una manifestazione così palese del suo affetto per farmi comprendere cosa passasse per quella sua mente geniale, era davvero imbarazzante. Mi pregiavo di conoscerlo bene, ma il mio amico aveva ragione quando asseriva che io vedevo ma non osservavo.

Avrei dovuto riconoscere i sintomi, giacché non era la prima volta che li notavo, ma non avevo mai considerato di essere tanto importante per lui; tanto che la sua disapprovazione alla mie nozze – alle seconde come alle prime – fosse dovuta alla mia inevitabile assenza e non alla sua contrarietà nei confronti di una qualsivoglia relazione romantica tra chicchessia.

«Holmes, io… non posso accettarla» mormorai soprafatto e lui mi rivolse un’occhiataccia, quasi che stessi rifiutando lui anziché il suo più che generoso dono.

Aveva paura di perdermi? Il grande Sherlock Holmes era geloso? Mi sembrava impossibile, eppure una minuscola parte di me ne era così certa da gettarmi nella confusione più totale. Cercai d’ingannarmi dicendomi che non mi importava, che ero fidanzato – santo cielo! – ed i suoi sentimenti, quali che fossero, non mi riguardavano e non dovevano riguardarmi. Ma quando mai sono riuscito a non interessarmi a qualcosa che avesse a che fare con Sherlock Holmes?

Quell’uomo che avevo rincorso per tutta la vita, fin da quando il Destino mi aveva messo sui suoi stessi passi, che avevo preso ad esempio, amato e detestato in ugual misura, come poteva essermi indifferente nel momento in cui si offriva a me in modo tanto palese? Perché mi era chiaro che non fosse la perla dei Borgia che mi stava porgendo, ma qualcosa di ben più prezioso che era custodito nella cassaforte del suo petto e si ostinava a fingere che non esistesse.

«Se proprio ci tiene, Watson, potrebbe ringraziarmi in modo più proficuo. Con un biglietto per l’opera, magari» suggerì in tono solo vagamente seccato.

«Sì, potrei» convenni assorto, ma nel frattempo la mia mano si era già mossa di propria iniziativa e gli aveva afferrato un polso per portarlo alle mie labbra, così che potessi depositarvi un bacio.

Fu avvincente vedere la sorpresa dilatare quegli occhi sempre freddi ed acuti; comparve solo in essi, per un fuggevole momento, ma non sparì abbastanza in fretta perché potesse sfuggirmi.

Ci osservammo in silenzio per quasi un minuto intero, le mie labbra ancora lì, posate su quel sottile e pallido concentrato di ossa e tendini. Poi Holmes sbatté le ciglia, interrompendo il contatto visivo.

Scivolò via dalla mia presa, lasciandomi amareggiato, e si diresse verso la porta.

«Era aperta» chiarì, chiudendola con due giri di chiave e rivolgendomi un morbido sorriso, prima di tornare da me.

 

«Vecchio nostalgico» mi rimproverò dolcemente Holmes, baciandomi i polpastrelli, quando più tardi scesi da basso e lo raggiunsi in soggiorno, poggiandogli le mani sulle spalle.

«A cosa devo questo complimento?» domandai divertito e lui rovesciò la testa posandola sulla spalliera della poltrona per guardarmi da sotto in su.

«Hai riletto uno dei tuoi diari» asserì, incontrando il mio sguardo.

«Come l’hai capito?» chiesi più per abitudine che per effettivo dubbio; ormai conoscevo bene i suoi metodi.

«Hai le dita sporche di polvere, e il tuo baule è l’unico posto che sfugge alla furia igienica della nostra governante» spiegò, intrecciando le dita alle mie.¹

«Hai ragione» convenni divertito.

Dopotutto, forse non era così impossibile per Holmes apprendere l’importanza delle emozioni.

 

FINE.

 

¹. Se questa scena vi è familiare, non vi sbagliate. È praticamente identica ad un paragrafo di “Il caso di Market Snodsbury di fiorediloto; il mio cervello ormai confonde le su fic con il canone, ma tranquilli, ho il suo permesso ;)

   
 
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