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Autore: My Pride    05/05/2011    11 recensioni
Ciò che definisco felicità coincide forse con quanto la gente chiama pericolo.
Ed era stato proprio per paura che ciò potesse accadere che aveva fatto qualcosa di imperdonabile alla sua bambina. L’aveva condannata a vivere con il peso di quella terribile alchimia sulle spalle, marchiandone i segreti sulla sua schiena.
Dunque perché, meno di un anno dopo, aveva deciso di prendere con sé un ragazzino come allievo?
[ Presenti accenni - nemmeno tanto lievi - RoyAi ]
[ Partecipante alla challenge «Contest of Passions» indetta da ellacowgirl ]
[ Scritta per il contest «Don’t Forget: FullMetal Alchemist» indetto da Setsuka ]
[ Mangaverse, prima ancora dell’inizio della serie, Spoiler del Character Guide Book e del Perfect Book Guide ]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, Riza Hawkeye, Roy Mustang
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'Tra i bagliori del fuoco'
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The pathetic fool_1 Titolo: The pathetic fool [ Through the flames ]
Autore: My Pride
Tema scelto: Proposta numero 1
Tipologia: One-shot
Genere: Generale, Malinconico, Slice of life, Vagamente Introspettivo
Avvertimenti: Mangaverse, prima ancora dell’inizio della serie, Probabili Spoiler del Character Guide Book e del Perfect Book Guide, Probabile Missing Moment inesistente
Personaggi Principali: Hawkeye Sensei [Berthold Hawkeye?], Roy Mustang, Riza Hawkeye
Pairing: Accenni Royai molto velati e forse ad interpretazione strettamente personale
Rating: Verde / Giallo
Nota: Questa storia può vagamente collegarsi a quelle raccolte nella serie Tra i bagliori del fuoco
Introduzione: Ed era stato proprio per paura che ciò potesse accadere che aveva fatto qualcosa di imperdonabile alla sua bambina. L’aveva condannata a vivere con il peso di quella terribile alchimia sulle spalle, marchiandone i segreti sulla sua schiena.
Dunque perché, meno di un anno dopo, aveva deciso di prendere con sé un ragazzino come allievo?
Prompt:
15° Argomento: Difetti › Insensibilità / 17° Argomento: Errori › Rimpianto
The angst time: 08. Illusione
30 modi di amare, più qualche delizia: Pacchetto embrace › Abbraccio impacciato
Di peccati e di virtù: Carità › La mente non è un vaso da riempire, ma un fuoco da accendere. (Plutarco)


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THE PATHETIC FOOL [ THROUGH THE FLAMES ]  

Ciò che definisco felicità coincide forse con quanto la gente chiama pericolo.
- Sole e Acciaio, Yukio Mishima -

    La gioia che aveva provato nel veder realizzata la sua più grande opera era stata incommensurabile.
    Aveva passato anni e anni su quelle ricerche, sin dalla sua giovinezza, trascurando in seguito la donna che aveva sposato e che gli aveva dato una figlia, forse non piangendone nemmeno in seguito la scomparsa. Era stato insensibile e si era solo concentrato su quella che ormai era divenuta una sua ossessione, come se nella sua vita l’alchimia venisse al di sopra di ogni altra cosa, e probabilmente era stato realmente così. Sebbene avesse dato alla giovane figlia una buona educazione, non si era mai comportato come un padre nei suoi confronti. Anima e corpo, giorno dopo giorno, aveva semplicemente portato a termine quell’opera che aveva cominciato anni addietro.
    Lui stesso aveva definito la sua alchimia, il progetto a cui tanto devotamente aveva lavorato, la più geniale e intricata di tutte. Utilizzata nel modo giusto avrebbe potuto aiutare le persone ma, se fosse caduta nelle mani sbagliate, il potere derivante da tale alchimia avrebbe potuto diventare una vera e propria arma mortale. Ed era stato proprio per paura che ciò potesse accadere che aveva fatto qualcosa di imperdonabile alla sua bambina: l’aveva condannata a vivere con il peso di quella terribile alchimia sulle spalle, marchiandone i segreti sulla sua schiena. Dunque perché, meno di un anno dopo, aveva deciso di prendere con sé un ragazzino come allievo? Probabilmente perché aveva realmente creduto nelle capacità in cui eccedeva quel moccioso di nome Roy Mustang, sebbene fino a quel momento gli fosse sembrato soltanto un giovanotto come tanti altri. Forse si sbagliava, non lo sapeva, ma avrebbe fatto in modo che, almeno fino a quando quel ragazzo non avrebbe raggiunto la maggiore età, restasse all’oscuro di quelle sue spaventose ricerche.
    Non appena era giunto in casa, gli aveva mostrato lo studio in cui avrebbe dovuto partire la sua formazione come alchimista, cominciando unicamente dalle basi nonostante la disapprovazione di quel marmocchio. Aveva al tempo stesso raccomandato a sua figlia, la piccola Riza, di non avvicinarsi a quel luogo, proibendole categoricamente di disturbare gli studi di Roy con la sua presenza. Ma i bambini erano bambini, e si era ben presto accorto che, disubbidendo a quel suo non poi tanto velato ordine, Riza aveva cominciato a gironzolare un po’ troppo spesso da quelle parti. Aveva, però, deciso di chiudere un occhio
almeno per il momento, giacché era soltanto una bambina curiosa a caccia di novità. E quel ragazzetto un po’ imbranato dal finto atteggiamento adulto era una novità bella e buona. Con la sua presenza, era riuscito a riportare un po’ di buon umore sul viso di sua figlia, checché ricordava di non averla più vista sorridere in quel modo da quando, dopo la morte della madre, gli era stata affidata. Fosse stato per lui, molto probabilmente, avrebbe dato la bambina a qualcuno che sarebbe stato capace di accudirla e di darle tutto l’affetto che meritava; lui, però, di parenti non ne aveva più da un pezzo e, per quanto ne sapeva, dopo il matrimonio sua moglie si era discostata da ogni legame famigliare. Doveva ammetterlo: col passar del tempo, seppur in un modo tutto suo, aveva cominciato a voler bene a quella bambina. Ancor non si spiegava, però, cosa l’avesse spinto a marchiare su di lei il segreto che ancora le doleva sulla schiena.
    Quel ragazzo di nome Roy era stato per Riza come una medicina, un ottimo diversivo per farle dimenticare almeno in parte ciò che lui, suo padre, le aveva fatto. E tuttora pensava a quelle cose, dimentico della dimostrazione che stava avendo luogo nello studio in cui si trovava. Non c’era più il tavolo di legno intarsiato, i fogli e gli appunti macchiati di china sparsi in ogni dove e le pergamene e i tomi che adombravano pavimenti e librerie, nay, non c’era più neanche la piccola statuetta di bronzo raffigurante il drago a due code dello stato di Amestris, né tanto meno quel moretto che lo guardava come a chiedergli se la trasmutazione fosse riuscita o meno. C’erano soltanto i suoi pensieri, le sue ansie, i suoi dubbi e le sue paure. Cos’era ciò che temeva? Per la prima volta, forse, era stato realmente preoccupato per la sorte di sua figlia, costretta a vivere con il timore che qualcuno, un giorno, potesse decifrare i segreti impressi sulla sua schiena ed entrare così in possesso di quel potere tanto benefico quanto spaventoso e devastante?
    «Maestro Hawkeye?» La voce del suo allievo fu capace di richiamarlo alla realtà, e fu sbattendo le palpebre che abbassò lo sguardo per incontrare quegl’occhi scuri dal taglio a mandorla. Più unici che rari, in quelle zone di Amestris, ma fin troppo comuni nella lontana Xing.
    L’uomo scosse il capo e stornò lo sguardo sulla statuetta, allungando una mano per afferrarla e poterla così osservare da tutte le angolazioni sotto l’occhio vigile e attento del ragazzo. Sembrava quasi fremere dal conoscere la sua valutazione, ma le parole che uscirono dalle sue labbra non furono di certo quelle che il giovane si era aspettato, ne era più che certo. «Per oggi la lezione termina qui», asserì, abbandonando quel pezzo di bronzo al centro del tavolo e lasciando il moro interdetto.
    «Perché, Maestro?» gli domandò Roy in tono apprensivo, e forse, a parer suo, anche lievemente indispettito. Stupido ragazzino impertinente con manie di grandezza.
    «Hai ancora molta strada da fare», lo richiamò all’ordine, raccogliendo qualche pergamena e scostando i vasetti di china per far spazio, così da poggiare un libro dinanzi al ragazzo dopo averlo aperto. «Leggi con attenzione le nozioni in questo paragrafo», soggiunse. «Carpiscine la teoria e scrivine un trattato. Dev’essere pronto per domattina».
    Roy aggrottò la fronte e abbassò lo sguardo sulle pagine del tomo, cominciando a leggere ad alta voce come se non si capacitasse di ciò che vi era scritto. «“I Saggi ti diranno la verità su due pesci nel nostro oceano, senza carne né ossa. Lasciate che cuociano nella loro stessa acqua, e allora anch’essi diventeranno un vasto oceano”». Sollevò un sopracciglio, guardando di sfuggita l’uomo prima di continuare. «“I due pesci sono in realtà uno solo, non due; sono due, e tuttavia sono uno solo: Corpo, Spirito ed Anima. Adesso ti dirò la verità: se li unirai, essi diventeranno un immenso oceano
[1]”». A fine lettura, il volto di Roy divenne una maschera indecifrabile di emozioni, su cui sembravano lottare incredulità e curiosità. «Cosa significa, Maestro?»
    «Se hai bisogno di chiederlo, vuol dire che dell’alchimia non hai capito nulla», lo redarguì immediatamente lui, frenando qualsiasi protesta con un gesto secco della mano. Gli diede le spalle e si allontanò in direzione della soglia, sentendo giusto qualche borbottio soffocato poco prima di richiudere la porta dietro di sé. Nel corridoio che portava alla sua stanza, incrociò sua figlia, diretta molto probabilmente nello studio. «Non stasera, Riza», la bloccò tempestivamente, vedendola irrigidirsi. Gli occhi marroni di lei lo guardarono smarriti, come se essere stata beccata in flagrante dal padre l’avesse spaventata.
    La bambina adocchiò la porta, abbassando infine il capo con fare mortificato. «D’accordo, papà», pigolò, stropicciandosi l’orlo della veste che indossava e, dopo essersi passata una mano fra i corti capelli biondi, forse in un vago gesto di nervosismo, ritornò sui suoi passi, scalpicciando pesantemente sulle assi di legno del pavimento.
    Lui la guardò andare via e raggiunse la camera da letto, dove si rinchiuse al suo interno insieme ai propri pensieri. Qualcosa gli dava la certezza che, non appena fosse stata sicura di avere via libera, sua figlia avrebbe disubbidito ancora una volta. Era sempre più convinto che i grossolani errori di Roy fossero da imputare a lei, non c’erano dubbi. Sebbene il ragazzo fosse ormai pronto ad entrare a far parte del mondo degli adulti, sembrava non dispiacergli affatto l’interesse che Riza dimostrava nei suoi confronti, nonostante fosse poco più di una bambina.
Tra chiacchiere fantasiose e sorrisi, più volte li aveva sorpresi ad interrompere gli studi per passare del tempo assieme in quella stanza colma di tomi polverosi. Li aveva trovati anche addormentati l'uno abbracciato all'altro, una sera, un abbraccio così timido e impacciato che, in uno sprazzo di brevissimo amore paterno, non aveva avuto il cuore di svegliarla per far sì che tornasse nel suo letto, limitandosi a coprire entrambi con un plaid che aveva tirato fuori dall'armadio.
    Non aveva ammesso più cose del genere, in seguito.
Lui gli aveva concesso la benevolenza di prenderlo come suo allievo, e se era realmente intenzionato ad imparare perfettamente l’alchimia - e a non creare dunque imitazioni scadenti come quella che gli aveva mostrato - avrebbe dovuto mettere da parte certe fantasie adolescenziali e prender più seriamente il proprio lavoro.
    Forse fu proprio quello il motivo - oltre al trattato per lo più sbagliato che il ragazzo gli aveva presentato - che nei giorni seguenti lo spinse ad un addestramento ancor più severo, dando dunque al giovane direttive precise che non ammettevano errori. Che lo odiasse pure, in seguito. Se ciò sarebbe servito a farlo diventare un alchimista geniale, un giorno, ne sarebbe valsa davvero la pena. Nonostante il più delle volte quel Roy fosse un moccioso impertinente, uno di quelli che per la loro impudenza veniva voglia di prendere a schiaffi dalla mattina alla sera, confidava molto nelle sue capacità e nel modo in cui utilizzava l’alchimia. Un’alchimia da principianti, ciò era indubbio, ma con la pratica e la costanza avrebbe sicuramente imparato a fare grandi cose e sarebbe di certo divenuto un grande uomo. Peccato però che, durante i primissimi mesi di addestramento, il ragazzo perdesse molto più tempo ad impressionare sua figlia che a studiare seriamente come avrebbe dovuto. Sebbene l’avesse rimproverato più volte per quel suo comportamento, ad ogni piccolo ritaglio di tempo quel moretto si ritrovava a spiegare ciò che aveva imparato non solo a lui, ma anche a Riza. E lei lo ascoltava estasiata, forse volenterosa quanto il ragazzo di conoscere quella scienza chiamata alchimia. Ma farle imparare quell’arte era pericoloso proprio a causa del segreto che portava sulla sua piccola schiena.
    «Maestro, quando mi insegnerà un’alchimia più complessa?» Una domanda che da Roy gli veniva ripetuta spesso, da due settimane a quella parte. La sua impazienza, il più delle volte, era esasperante. Sembrava voler imparare tutto e subito, dimentico che l’alchimia, oltre che una scienza, era un’arte. E l’arte diventava soltanto uno scarabocchio in mani poco esperte e frettolose.
    «Per imparare un grado avanzato dell’alchimia bisogna innanzitutto conoscere le basi», rispondeva lui, aggiungendo in seguito nozioni sempre diverse per far sì che il ragazzo capisse e smettesse di chiederlo, cosa che non accadeva mai. «Supponiamo che essa sia una casa: se le fondamenta sono marce, il resto della struttura crollerà».
    «Ma io queste cose le so già, Maestro», era la replica lamentosa. «Ormai conosco a memoria ogni paragrafo di “Introduzione all’alchimia”, roba da bambocci».
    «Dunque perché non hai ancora capito il versetto che ti feci leggere tempo fa?» un quesito, quello, che lasciava il ragazzo interdetto e senza parole, quasi mortificato. «Riprendiamo immediatamente, e stavolta non ammetto distrazioni». E dopo quei discorsi la loro lezione andava avanti, sebbene il ragazzo non sembrasse per nulla contento di quelle limitazioni. Fu però allo scadere di quel mese che Roy si presentò alla sua porta, bussando sull’uscio con incertezza. Lui era seduto alla scrivania, ingombra come al solito di vecchi e polverosi tomi. Boccette d’inchiostro e calamai occupavano la maggior parte del lato destro di quel tavolo di mogano, mentre il centro era colmo di fogli e pergamene come ogni scrivania presente nello studio. Scostando qualche libro e qualche appunto lasciato lì da chissà quanto tempo, l’uomo invitò il ragazzo ad entrare, voltandosi verso di lui con metà viso nascosto dai lunghi capelli biondi. Sembrava spossato, simbolo che, forse, anche quella notte aveva dormito poco e niente.
    «Cosa ti porta qui a quest’ora, Roy?» domandò con finta non curanza, vedendo il giovane grattarsi dietro al collo con fare vagamente nervoso. L’ardore che vedeva nei suoi occhi scuri, però, era paragonabile a quello che gli aveva visto il primo giorno in cui si era presentato lì in casa. Erano gli occhi di chi era disposto a tutto per raggiungere l’obiettivo che si era prefissato.
    Sotto il suo sguardo, il ragazzo fece qualche passo risoluto verso il centro della stanza, fissandolo con attenzione in viso. «Le ho portato il trattato revisionato che mi aveva chiesto, Maestro», asserì, ricevendo una mezza occhiata scettica.
    «E per farlo non potevi attendere domattina?» fu la replica dell’uomo, che allungò però una mano verso di lui per farsi consegnare il foglio dove, con una grafia un po’ disordinata, era stato steso il resoconto che tempo addietro aveva chiesto al ragazzo. Proprio lui, dopo aver fatto spallucce, borbottò a mezza voce un «Vorrei che lo leggesse adesso» prima di aspettare una qualche replica o pessima valutazione, ma nessuna delle due sembrò giungere. E di questo il giovane Roy si meravigliò, studiando con attenzione l’espressione che aveva assunto il viso del maestro. Lui stava leggendo con reale interesse la teoria ivi riportata, sorridendo soddisfatto dentro di sé. Aveva visto giusto: quel ragazzo era geniale, esattamente come aveva teorizzato fin dal principio. Ciò che gli mancava era solo un po’ di disciplina, e a questo avrebbe provveduto lui stesso.
    Un giorno, forse, quel giovane avrebbe anche avuto il privilegio di imparare il suo più prezioso progetto: l’alchimia del fuoco. Era stata proprio quella ricerca a far accavallare anni ed anni di lavoro. Aveva teorizzato come l’unione di singoli elementi, così opposti ma complementari, avrebbe potuto dar vita a quella nuova forma d’alchimia
[2], studiando con attenzione tomi su tomi. Era infine giunto alla completezza di quel progetto, a quale fosse la sua reale essenza, sigillandola sotto forma di un codice segreto che un normale alchimista non sarebbe mai riuscito a decifrare. Ma forse, con il tempo, ci sarebbe riuscito proprio quel giovane che aveva dinanzi, e che continuava a guardarlo con apprensione e con l’impazienza tipica dei ragazzi della sua età. Poiché, esattamente come affermava Plutarco, la mente non era un vaso da riempire, ma un fuoco da far ardere ancora e ancora, senza tregua alcuna, alimentandolo allinfinito. E quel ragazzo aveva la stoffa per non essere un semplice automa in balia degli eventi.
    «In sintesi?» domandò infine, volendo esser sicuro che Roy avesse realmente compreso ciò che aveva scritto nero su bianco. La teoria non gli bastava, dunque attese una risposta, ammettendo a se stesso di aver provato un moto d’orgoglio quando il ragazzo rispose «Uno è tutto, tutto è uno», spiegandogli ciò che era alla base dell’alchimia stessa: comprendere il flusso del mondo, scomporlo e poi nuovamente ricomporlo [3] .
    A quel punto arrotolò il foglio e si alzò, avvicinandosi al ragazzo per poggiargli una mano su una spalla, in un gesto quasi affettuoso che mai ricordava d’aver fatto. «É giunta l’ora che tu conosca la vera alchimia, Roy».


    Conoscere la vera alchimia. Aveva detto così, certo, ma le lezioni non sembrarono poi così diverse da quelle che aveva fatto seguire a Roy fino a quel momento. Il libro base “Introduzione all’Alchimia” era stato sì eliminato dai testi di studio, ma il grado avanzato non andava oltre alle semplici teorie scritte. Per il momento la pratica sembrava vietata, e lui poteva benissimo capire la disapprovazione del ragazzo.
    «“Queste sono le serpi che gli antichi han dipinto in cerchio, la testa morde la coda per indicare che ciò procede da una sola ed identica cosa, e che essa, da sola, è sufficiente
[4]”», stava leggendo Roy ad alta voce, con il grosso volume che il maestro gli aveva consegnato aperto dinanzi a sé. Lo sguardo dell’uomo era fermamente puntato su di lui come se volesse tenerlo d’occhio o, molto più probabilmente, come se si stesse accertando con il solo guardarlo che capisse ciò che leggeva. Fece per leggere il verso successivo quando un bussare alla porta richiamò l’attenzione d’entrambi ed interruppe i loro studi, ancor più quando oltre la soglia fece la sua apparizione la piccola Riza, con in dosso una semplice veste ricamata e un vassoio fra le mani.
    «Ho portato del the», annunciò, avanzando nella stanza con quanta più attenzione possibile, onde evitare di calpestare qualche foglio sparso sul pavimento.
    Nel vederla, gli occhi di Roy si illuminarono. «Ah, Riza!» esclamò raggiante, scattando in piedi e poggiando entrambe le mani sul bordo del tavolo. Ma la sua euforia fu bloccata dal maestro stesso, che gli pose un braccio dinanzi come ad imporgli di riaccomodarsi.
    «Lascia il vassoio sul tavolino lì di fianco ed esci, Riza», intimò immediatamente alla figlia, scoccandole un’occhiata piuttosto eloquente che fu capace di bloccarla a poca distanza da lì, quasi non avesse più il coraggio di muovere un passo. «La tua presenza distrae Roy», soggiunse, stornando lo sguardo sul ragazzo in questione, che sotto lo sguardo di quegl’occhi si sentì quasi piccolo piccolo.
    Roy incassò la testa nelle spalle, bofonchiando «Questo non è affatto vero, Maestro».
    «Le trasmutazioni che compi ne sono la prova tangibile», rimbeccò lui, tornando a guardare la ragazzina. «Ti prego di fare quanto detto, Riza», ripeté pazientemente, vedendola annuire in fretta. Lei, però, non mancò di guardare di sottecchi il moro, riducendo le piccole e delicate labbra in una linea sottile prima di aggrottare finemente le sopracciglia. Che quel distacco non le piacesse era palese, ma l’uomo non poteva permettersi altre interruzioni. Avevano ancora troppo lavoro da fare, e sentiva che il tempo a sua disposizione, ormai, scarseggiava. Aveva perso talmente tanto di quel tempo dietro alle sue ricerche che non ne aveva trovato per occuparsi di se stesso. Già logorato dalla malattia, con il passar degli anni era inesorabilmente peggiorato. Temeva dunque di non riuscire a portare a termine quel compito che si era prefissato, e ancor più di lasciare incustoditi e senza protezione sua figlia e i suoi segreti, far sì che Roy divenisse un alchimista capace e degno di rispetto, quindi, era la sua priorità più assoluta.
    In un altro gesto secco, indicò l’uscita a Riza, che dovette obbedire con un piccolo sospiro affranto. Lasciò il vassoio con tazze e teiera sul tavolino che le era stato accennato e, dopo aver fatto un cenno di saluto con il capo, uscì mestamente sotto lo sguardo altrettanto sconsolato del giovane Roy. Di ciò l’uomo se ne accorse, e riportò la sua attenzione su di lui; batté un paio di volte la mano destra sul bordo del tavolo, facendo sussultare il ragazzo. «Non hai il tempo materiale per dispiacerti per Riza, Roy», lo ammonì, ma era lui a non avere tempo, si ripeté mentalmente.
    Roy, però, sospirò e scosse il capo. «Perché la trattate così, Maestro?» domandò, capendo di aver osato troppo quando lo sguardo dell’uomo si fece duro e freddo, forse più di quanto non fosse già normalmente.
    «Questa è una cosa che non deve riguardarti», ribatté difatti l’uomo in tono estremamente serio. «Sappi solo che non lo faccio perché non le voglio bene, anzi. Tutt’altro», alzò poi una mano dinnanzi al viso del suo allievo, imponendogli silenzio. Aveva notato che stava per aprir bocca, e non voleva da lui altre domande, repliche o lamentele. «Pensiamo piuttosto a rimetterci a lavoro. Le teorie di Flamel
[5] non si adattano perfettamente al tuo programma, ma è un ottimo punto di riferimento».
    Seppur sentisse dentro di sé la voglia di dissentire e riprendere invece il discorso precedentemente interrotto, Roy si limitò soltanto a gettare un’occhiata nella direzione in cui era sparita Riza e ad adocchiare il vassoio che aveva lasciato, quasi domandandosi quante ore avrebbe fatto trascorrere il maestro prima di degnarsi di guardare il the che la figlia aveva preparato. In una piccola ciotola decorata - che precedentemente non aveva notato, ad esser sincero - c’erano persino dei biscotti fatti in casa. Tanta premura sprecata, si ritrovò a pensare, chinando nuovamente il capo sui libri per ricominciare i suoi studi.
    Quell’anno che il ragazzo passò a casa Hawkeye sembrò passare in un attimo. Sebbene l’uomo fosse divenuto un po’ più elastico, permettendo a Roy di concedersi del tempo per sé da sfruttare come più lo aggradava - e il più delle volte perdeva ore ed ore in compagnia di sua figlia Riza, felice come una pasqua per le attenzioni da lui ricevute -, non mancavano i momenti in cui non gli permetteva di fare nemmeno un passo fuori dallo studio, costringendolo a nottate in bianco chino sui libri o alzatacce per un addestramento pratico. Avevano cominciato le trasmutazioni più complesse esattamente otto mesi prima, quando il ragazzo aveva dimostrato di avere un’ottima padronanza dell’alchimia. Ma, nonostante gliene avesse parlato precedentemente, non era ancora convinto che fosse pronto per diventare realmente lui il possessore dell’alchimia del fuoco, il custode di quel potere terrificante che avrebbe potuto dare la morte in meno d’un attimo. Però, più il tempo passava, più vedeva quel ragazzo crescere bene e la malattia che logorava il suo corpo progredire. Quel moccioso che aveva preso con sé si era dimostrato all’altezza del compito e aveva acquisito la tecnica giusta, certo, e sarebbe di sicuro stato fiero di lui se, di punto in bianco, non avesse deciso di iscriversi all’Accademia Militare non appena compiuto i diciott’anni.
    Da quel giorno passò parecchio tempo prima che lo rivedesse. Vestito di tutto punto con la sua uniforme da soldato semplice, quel giovane si era presentato nel suo studio visibilmente cambiato, maturato sia dal punto di vista fisico che mentale. Con il giaccone che completava la divisa abbandonato sottobraccio, come se fosse appena rientrato dalla cerimonia d’investitura dei nuovi soldati, Roy gli aveva comunicato che, effettivamente, era entrato a far parte dell’esercito. Voleva diventare un alchimista di stato e servire il suo Paese, aveva detto. Un alchimista... davvero ironico. Un cane, ecco cosa sarebbe diventato. Un cane al loro servizio. Non riuscire ad insegnargli i suoi segreti era stata una buona cosa, forse.
    «Proprio come pensavo... non sei ancora pronto per l’alchimia del fuoco», gli aveva confessato difatti, ascoltando le repliche del ragazzo con un sorriso sardonico e falsamente accondiscendente dipinto sulle labbra. «
É uno spreco insegnare a qualcuno che si disonorerà con le sue stesse mani anche le sole regole fondamentali di quell’arte», aveva continuato, e sebbene Roy avesse replicato ancora, insistendo su come credesse che tra la gente e l’esercito ci fosse un legame - e dunque l’alchimia sarebbe stata utile ad entrambe le parti, non solo ad una di esse -, e che diventare alchimista di Stato con le sue conoscenze sarebbe stato facile, lui aveva rifiutato di ascoltarlo ancora. Quelli, per lui, erano sempre e solo stati discorsi di seconda mano. Per quanto quel ragazzo avesse cercato di farlo ragionare, dunque, provando persino a dirgli che il suo lavoro sarebbe migliorato se fosse divenuto a sua volta alchimista di Stato e avesse accettato i fondi per le ricerche, lui aveva posto fine anche a quelle rimostranze.
    «Le mie ricerche sono state già ultimate tempo fa», gli aveva rivelato, lasciandolo probabilmente sgomento. «Da quel giorno ho soddisfatto a pieno i miei desideri e adesso non voglio altro. Gli alchimisti sono esseri viventi che, durante tutta la loro esistenza, non possono fare a meno di andare alla ricerca della verità», aveva soggiunto, ed era proprio lì che si era momentaneamente interrotto. Aveva perso una manciata di secondi a riflettere e adesso, con lo sguardo perso nel vuoto, sembrava faticare ad andare avanti. Già prima ancora che Roy tornasse aveva cominciato a sentirsi stanco, e ora, sotto i suoi occhi, tossiva.
    «Quando essi smettono di credere nei loro principi, allora l’alchimista muore», continuò infine, scoccando finalmente una rapida occhiata al suo allievo. Sembrava turbato, ed il perché, almeno in parte, poteva benissimo comprenderlo. «Ed è proprio per questo che io mi considero già morto da molti anni, ormai».
    L’espressione di Roy divenne ancor più preoccupata, riuscì a leggergli perfettamente in viso quanto quelle sue parole lo avessero scosso. «Non dica queste cose», lo sentì dire, guardandolo a malapena attraverso la foschia che era ormai diventata la sua vista. «Se mettesse i suoi poteri a disposizione del mondo, allora...»
    «Poteri, eh?» lo interruppe con un piccolo colpo di tosse, sentendo la vista annebbiarsi maggiormente mentre continuava. «Li desideri così tanto, Roy?» E avrebbe continuato, se solo non avesse tossito ancora e avvertito subito dopo nel palato il sapore del sangue, che gli si rovesciò in un fiotto vischioso agli angoli della bocca. Le orecchie gli fischiavano e, tra sbuffi di tosse e contrazioni allo stomaco, avvertiva la tensione del corpo di Roy nell’aria, i suoi richiami disperati e repentini mentre gli si avvicinava e lo scuoteva, sorreggendolo come poteva. Il panico nella sua voce era... palpabile. Già, non avrebbe saputo dare ad esso una definizione migliore.
    Sebbene la lucidità si stesse pian piano spegnendo, esattamente come la sua vita, tentò comunque di parlare, di farsi sentire, scusandosi per la negligenza che aveva avuto nei confronti di quel ragazzo che ancora lo chiamava a gran voce, cercando aiuto in quella casa solitaria. L’unica cosa di cui si dispiacque, prima di reclinare del tutto il capo sulla scrivania dietro la quale era seduto, sentendo nel frattempo i suoni diventare solo uno sciabordio di sottofondo, fu il suo non essere stato un buon padre. Né tantomeno un buon maestro.
    Avrebbe voluto insegnare tutto, a quel ragazzo. Ma, fino alla fine, aveva tenuto stretta nelle sue mani quell’alchimia proibita e feroce, quell’alchimia in grado di ridurre in cenere il mondo con uno schiocco di dita, senza aver nemmeno avuto il tempo di insegnarla al suo pupillo. Aveva invece lasciato che fosse sua figlia Riza a custodirne i segreti e a decidere cosa farne di quel potere distruttivo.
    Forse era stato meglio così. Forse era stato soltanto un patetico sciocco.








[1] Anche se può sembrare, non sono affatto impazzita. Questa è la teoria scritta nel libro di Lambspring, un nobile e antico filosofo i cui studi ruotavano intorno alla pietra filosofale.
Nella figura uno del suo libro, dove viene accennata la verità di due pesci che nuotano nel mare, lui spiega per l’appunto la teoria del “Uno è tutto, tutto è uno”: il mare è il Corpo, i due pesci che nuotano in esso sono lo Spirito e l’Anima.

 
[2] Con questa nota si vuole intendere una piccola teoria e dunque il richiamo esoterico alla stella a sei punte, unione stessa tra energia e materia, ottenuta unendo il simbolo del fuoco (Un triangolo con una punta in su) e il simbolo dell’acqua (Un triangolo con la punta in giù), che ricorda vagamente, per l’appunto, il simbolo sui guanti di Roy e sulla schiena di Riza.
 
[3] Inserire questa nota probabilmente è inutile, ma le parole scritte - e dunque la teoria di base - sono un chiaro riferimento al ventottesimo episodio della prima serie dell’anime: “Uno è tutto, tutto è uno”.

[4] Le figure geroglifiche di Nicolas Flamel, capitolo terzo. Come si può benissimo capire, si fa un vago riferimento all’Ouroboros (Che significa per l’appunto “Colui che si morde la coda”), simbolo che rappresenta la natura ciclica delle cose e che viene spesso anche rappresentato bianco e nero per richiamare lo Yin e lo Yang.
Nell’alchimia è simbolo di purificazione e rinascita, la rappresentazione della materia che si rigenera e si ritrasforma. Non è stato dunque un caso l’averlo scelto come tatuaggio per gli Homunculus.

 
[5] Nato il ventotto settembre del 1330 a Pontoise, in Francia, fu scrivano e copista dell’Università di Parigi e il più celebre alchimista di quel secolo. Sebbene della sua vita si sappia abbastanza, le sue imprese in campo alchemico furono quasi da leggenda: si suppone difatti che sia riuscito a creare la pietra filosofale e abbia dunque ottenuto per sé e sua moglie l’immortalità.
Le teorie a cui si fa riferimento sono state vagamente accennate precedentemente. Inoltre la decisione di scegliere proprio lui come alchimista sta nel simbolo sulla sua tomba, ovvero il serpente crocifisso: è difatti l’icona di FullMetal Alchemist stesso.



SCRITTA PER IL CONTEST: DON'T FORGET: FULLMETAL ALCHEMIST
INDETTO DA SETSUKA





_Note conclusive (E inconcludenti) dell'autrice
Questa storia è stata originariamente scritta per il contest indetto da Setsuka, Don't Forget: FullMetal Alchemist. Non ho idea di quante volte io abbia cambiato storia. Dapprincipio sarebbe dovuta partire due anni dopo gli eventi del capitolo 108, ma stentava ad ingranare la marcia e non convinceva affatto per come l’avevo impostato. Era come se ci fosse qualcosa che lo bloccava e che non riusciva a farlo andare avanti, probabilmente sia per la mia decisione di lasciare Roy cieco sia di partire dove in fin dei conti non ci sarebbe stata più trama, dato che per me FullMetal Alchemist era finito con “Il Conquistatore di Shambala”. Avevo poi deciso di rischiare e concentrarmi sul POV del Padre prima della fine del manga (Più precisamente durante gli avvenimenti raccontati dal capitolo 104 in poi),  ma anche quella, ad un certo punto, non ne ha più voluto sapere di andare avanti.
Alla fine, quindi, è uscita fuori questa storia. Probabilmente non è il massimo e ne sono consapevole, ma non posso di certo lamentarmi, giacché mi sono letteralmente ridotta all’ultimo minuto riscrivendola da capo.
Insomma, aye, secondo me fa letteralmente schifo. Non è per nulla adatta a questo contest e credo che non renda l’amore che ho provato per questo bellissimo manga prima che si riducesse in quel modo. Forse avrei dovuto concentrarmi su qualcos’altro che avrebbe potuto fare in modo che mi lasciassi andare del tutto, esprimendo davvero ciò che questo manga mi ha comunicato per ben otto anni, ma ormai ho già spedito la storia quindi è meglio finirla qui.
Comunico solo che la prima parte del titolo prende spunto da una doujinshi Roy/Ed di Ninekoks, per l’appunto “The pathetic fool” e concludo qui sperando che, sebbene io la consideri un vero e proprio spreco di fogli Word, sia in qualche astruso modo piaciuta e che non la si consideri del tutto da buttare come sto facendo io.
Al prossimo contest, si spera. ♥

 

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