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Autore: Herm735    05/05/2011    10 recensioni
“Lei è come il FireWhisky invecchiato del '78. Se lo bevi a piccole dosi, è perfetto, il miglior liquore di tutti i tempi, perfino. Ma se non sei abituato a qualcosa di così forte e ne butti giù una cassa tutta insieme, ti distrugge il fegato. Così stai per un sacco di tempo senza bere alcolici, non puoi più neanche sentirne l'odore. Poi, una mattina, ti svegli e pensi a quanto ti manca sorseggiarti un bel bicchiere di FireWhisky."
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter, Harry/Hermione, Hermione Granger, Oliver Wood/Baston
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VII libro alternativo
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Scritta per il Contest “Armonizziamoci” indetto da Jaybree88. E, lo dico con immenso orgoglio, si è classificata prima.


Ambientata in un futuro alternativo. È dopo la guerra, ma Harry ed Hermione stanno insieme già da un po' di tempo. È una storia incentrata soprattutto sui loro sentimenti. Volevo raccontare cosa succede a due persone che si amano davvero, ma che lungo la strada piena di ostacoli rischiano di perdersi per sempre. E di non riuscire a ritrovare la strada di casa.








FireWhisky


Aveva pensato a come sarebbe stato.
Più di una volta, le era capitato di pensare a come sarebbe stato andarsene e basta.
Partire e non guardarsi mai indietro. Non rimpiangere mai tutto ciò che si sarebbe lasciata alle spalle.
Ci aveva pensato spesso.
Ma, alla fine, ogni volta rimaneva lì. A casa.

A Godric's Hollow c'era un locale.
Il FireWhisky.
Era un locale molto piccolo, c'era solamente un bancone con degli sgabelli ed un paio di tavoli. Il padrone ed unico impiegato, era un mago che aveva visto succedere ogni genere di cosa, proprio davanti ai suoi occhi.
Ormai, in quel piccolo locale, che serviva Whisky Incendiario, qualche drink babbano e poco altro, si presentavano ogni sera le stesse persone, che facevano le stesse ordinazioni e parlavano ogni sera delle stesse cose.
Una sera, però, il vecchio locandiere vide entrare una faccia nuova, conosciuta solo di vista e mai di persona.
Al bancone del locale, in uno sgabello isolato, era seduto un giovane che, sì e no, avrà avuto vent'anni.
Non era messo molto bene. Aveva profonde occhiaie che gli scavavano il volto e la barba non rasa che lo faceva sembrare un po' cinico.
Il locandiere non sarebbe mai andato a parlargli, perché rispettava la riservatezza dei propri clienti e preferiva che il mago pagasse altri tre FireWhisky, piuttosto che soddisfare la propria curiosità, ma ottenere come unico risultato quello di farlo scappare via.
Proprio in quell'istante un giovane entrò, chiedendo al barista una Burrobirra.
Quando alzò lo sguardo si accorse di quel giovane che aveva più o meno la sua età e che se ne stava seduto tutto solo, pensando ai fatti suoi. Tutti dentro il locale sapevano chi fosse, ma nessuno di loro era abbastanza curioso o abbastanza folle da avvicinarlo. Nessuno tranne quel ragazzo.
“Per la barba di Merlino, tu sei Harry Potter!” esclamò, dallo sgabello su cui era seduto, vicino al mago a cui si era rivolto.
Quest'ultimo alzò lo sguardo nella sua direzione, fece un cenno col capo e si scolò il contenuto rimasto nel bicchiere che aveva tra le mani.
“Cosa ci fa qualcuno ricco e famoso come te, in un posto come questo?” chiese ancora il mago, incuriosito, beccandosi un'occhiataccia da parte del locandiere.
“Ci sono solo due ragioni che possono spingere un uomo a bere” spiegò lui, facendo segno al barista di riempire di nuovo il bicchiere. “Una delle due sono sicuramente le donne” continuò, prendendo un sorso di Whisky Incendiario. “Se scopri l'altra, fammelo sapere, Oliver.”
Baston sorrise, contento di aver rivisto il miglior cercatore con cui avesse mai giocato dopo sei anni dal momento in cui aveva lasciato Hogwarts.
“Sapevo che in sei anni non potevi esserti dimenticato di me!” esclamò entusiasta. “Ma, dimmi, problemi con la piccola di casa Weasley?”
“Oh, no, no, no!” si affrettò a chiarire il moro. “I problemi con Ginny si sono risolti cinque anni e mezzo fa. Quando ci siamo lasciati.”
“Mi spiace amico, non immaginavo...” si affrettò a spiegare.
“Non preoccuparti. Comunque,” prese in mano il bicchiere “brindiamo alle donne, che ci rendono la vita impossibile, ma sappiamo che senza loro sarebbe impossibile vivere” detto questo buttò giù anche quel bicchiere.
“Sei ridotto male, amico. Fammi indovinare, alta quasi quanto te, bionda, con gli occhi chiari, ha un nome esotico, le piacciono le discoteche e ti adora, perché sei un eroe” Oliver sorrise.
“Più o meno” rispose ridendo sotto i baffi.
Oliver, conoscendolo, immaginò che fosse tutto il contrario. “E quale sarebbe il problema?” chiese, immaginandosi questa ipotetica ragazza. Harry si limitò a scrollare le spalle.
I due rimasero in silenzio, finché Oliver riprese con le domande.
“Cosa è successo, che ti ha ridotto a bere in un bar in piena notte con la barba incolta e senza aver dormito?”
Harry sospirò.
“Non saprei da dove iniziare.”
“Facciamo così, tu inizia. In caso ti interromperò per qualche domanda.”
Il moro sospirò.
“Credo che i problemi siano cominciati circa un anno fa. Andava tutto bene, finché un giorno me ne esco con la frase...”

“Sono sicuro che stanno per promuovermi, devo solo lavorare sodo per un paio di settimane.”
“Sono felice per te” disse lei, baciandolo velocemente per poi afferrare le chiavi. “Allora ci vediamo per cena, mi raccomando, non fare tardi proprio oggi, abbiamo ospiti!” gli ricordò prima di uscire di casa.
Harry andò con calma a lavoro al ministero, dove il capo della sezione Auror gli assegnò una ricerca teorica sulle creature magiche di cui si ipotizzava lo sviluppo negli ultimi decenni.
Ovviamente ci volle un bel po', non tanto per trovare quelle più comuni, quanto per scovare tutte le possibili ipotesi e verificare i fantomatici avvistamenti avuti da qualche mago ubriaco o da qualche strega fuori di testa.
Così fece tardi, ma non gli sembrava tanto grave, finché, davanti alla porta di casa, si ricordò della cena.
Aprì in fretta e furia, posando il giacchetto e si diresse nel soggiorno della sua casa a Godric's Hollow.
Era apparecchiato per quattro, ma c'era solo lei ad aspettarlo, sorseggiando un bicchiere di vino, cosa molto strana, visto che era totalmente astemia.
Harry gettò un'occhiata all'orologio. Un'ora e mezza. Come era potuto arrivare un'ora e mezza dopo? Non sapeva quale scusa l'avrebbe fatta arrabbiare di più, se il cumulo di lavoro che aveva dovuto svolgere, o se il fatto che si fosse totalmente dimenticato della cena.
Non che fosse un'abitudine. Era la prima volta in assoluto che avevano ospiti, anche perché vivevano insieme, in quella casa, solo da due mesi.
Mentre le scuse più assurde gli balenavano nella mente, lei finì di bere il vino, poi si alzò e si diresse verso la porta che dava sulle scale.
“Spero che tu abbia avuto una buona giornata.”
La cosa che più lo stupì fu il tono della sua voce. Non era freddo come si aspettava, tutt'altro, era dolce, un po' afflitto, sconfitto.
Ma più che sconfitto era tranquillo.
Come se in fondo lo sapesse già. Come se sapesse già che Harry sarebbe arrivato in ritardo, quella sera.
Si diresse verso la camera da letto e accese la luce. Si voltò e lo guardò, con uno sguardo indecifrabile, poi sparì dalla sua vista.
Col passare dei giorni, delle settimane, la situazione non migliorò.
Harry continuava a tornare ad orari indecenti. E la trovava addormentata, rannicchiata dalla sua parte del letto, sembrava così indifesa e infreddolita che il solo vederla lì lo faceva sentire in colpa.
Ma in fondo lui lo faceva per entrambi, per poter avere una vita migliore. Per poterle regalare qualsiasi cosa volesse, per poterle comprare un anello degno di quel nome, per farle avere un matrimonio da favola.
Lui lo faceva per entrambi.
Fu questo che continuò a ripetersi.
Finché una sera, tornando a casa, trovò un biglietto sul suo cuscino.
Buon anniversario amore.
Scusa, ma non ce l'ho fatta ad aspettarti alzata.
A domani. Un bacio.

“Mi aveva lasciato un biglietto, capisci? Mi aveva lasciato un bacio. Ed io nemmeno sapevo che giorno fosse” disse, prendendosi la testa tra le mani.
“Non essere duro con te stesso, Harry, in fondo lo facevi anche per lei, no?”
Harry scosse la testa. “Non ho mai capito che la vita che voleva richiedeva solo una cosa. Avermi accanto a lei. Essere come ero sempre stato, attento a lei, a ricordarmi degli anniversari, dei compleanni. Avermi la sera accanto mentre si addormentava. Potermi dare baci veri, invece di lasciarmeli sopra un foglio. È questo che non ho mai capito, e che me l'ha portata via.”
Oliver non sapeva cosa dire. Infondo tutti commettono degli errori. Ma rimediare non è sempre facile.
“Così hai smesso di fare quei turni assurdi?”
“Magari. Sarebbe stata la cosa più logica. Però no, in realtà volevo quella promozione, arrivato a quel punto. Ero convinto che ottenerla mi avrebbe permesso di non perderla.”

Ma la cosa buffa era che lei non si era mai arrabbiata.
Aveva avuto pazienza. Era stata calma. In ogni situazioni, in ogni momento.
Sapeva che per lui era importante. Ma non sopportava il fatto che il lavoro fosse diventato più importante di tutto, anche più di lei.
Eppure ancora non aveva mai fatto una scenata a Harry per quello che aveva detto o per come si era comportato.
Sopportava in silenzio, mentre anniversari, compleanni e feste passavano, lasciando Harry totalmente indifferente.
Una sera, rientrando a casa, la trovò ad aspettarlo sulla soglia della camera da letto.
Cercava di mostrarsi forte, ma non le riusciva più molto bene, visto tutto quello che stava succedendo.
“Avevi detto solo un paio di settimane” sussurrò quando Harry fu a metà scale. “invece sono mesi ormai che rientri a quest'ora di notte. Non c'è niente che vuoi dirmi?” chiese timidamente, temendo una reazione imprevedibile da parte di Harry.
Lui scosse forte la testa. “No, non è come credi. È solo che...è saltato fuori che ci sono buone probabilità che il capo di tutta la sezione Auror vada in pensione. E se resisto ancora per un po' potrei ottenere io quel lavoro, capisci?” chiese, a sua volta con tono sommesso.
Lei annuì. “Se c'è qualcosa che devi dirmi...”
Harry scosse la testa. “Solo che” si avvicinò a lei a la strinse in un tenero abbraccio. “Solo che ti amo” le ricordò, baciandola dolcemente.

“Sono felice che alla fine abbiate risolto” disse lieto Oliver.
“Magari fosse così semplice” rispose Harry.
“Sai, le donne sono semplici, una volta che hai capito come prenderle.”
Harry sbuffò. “No, lei era diversa da tutte. Lei era come...” guardò il bicchiere che teneva ancora in mano. “Lei è come il FireWhisky invecchiato del '78. Se lo bevi a piccole dosi, è perfetto, il miglior liquore di tutti i tempi, perfino. Ma se non sei abituato a qualcosa di così forte e ne butti giù una cassa tutta insieme, ti distrugge il fegato. Così stai per un sacco di tempo senza bere alcolici, non puoi più neanche sentirne l'odore. Poi, una mattina, ti svegli e pensi a quanto ti manca sorseggiarti un bel bicchiere di FireWhisky.”
Oliver annuì. “Descritta così sembra davvero speciale.”
“Perché lo era. Lo è sempre stata. Almeno fino quella sera.”

Harry aprì in fretta la porta, entrando in casa. Sentì immediatamente delle risate provenire dal salotto. Quando si affacciò dalla porta vide tutti i suoi amici, intenti a festeggiare qualcosa o qualcuno, che sorseggiavano champagne e spettegolavano di tutti e di nessuno.
Stava quasi per chiedere cosa stessero festeggiando quando una stretta al cuore gli ricordò che era settembre. Il 19 settembre.
Si era ritrovato nel bel mezzo di una festa a sorpresa organizzata dai suoi amici in onore della sua ragazza, senza un regalo e senza niente da dire.
Quando i presenti si accorsero della sua presenza subito calò il silenzio e nessuno stava più ridendo. La stanza si era come congelata.
In poco tempo tutti gli invitati se ne furono andati, lasciando quella casa nella solitudine in cui era caduta ormai da un po' di tempo.
“Amore, io...”
“Non preoccuparti” si affrettò ad interromperlo lei. “È solo uno stupido compleanno” gli ricordò con un sorriso forzato. “Piuttosto, com'è andata a lavoro?”
A Harry quelle parole fecero male più di una maledizione senza perdono.
L'aveva completamente annullata.
Era disposta a sopportare ancora, dopo tutti i suoi errori. Dopo tutto quello che era successo, ancora non lo incolpava del fatto che le cose non andassero bene nell'ultimo periodo.
E poi, all'improvviso, lei parve tornare in sé.
Una sera lo aspettò alzata, pronta a discutere come non avevano mai fatto. All'improvviso sembrava essersi ricordata chi era.
“Sarà solo per un altro paio di...”
“Non dirlo nemmeno!” urlò, appena Harry aprì bocca. Lui la guardò, sgranando gli occhi con sorpresa, non aspettandosi quella reazione. “Sono otto mesi che dici che è solo questione di un paio di settimane. Ne ho fatte passare tante, sono sempre rimasta calma, perché sapevo che per te era importante questa stupidissima promozione. Ma adesso non ce la faccio più. Finché si trattava solo di me, pensavo che un giorno ti saresti ricordato che esisto! Ma adesso stai andando contro i tuoi stessi principi. Vuoi davvero essere ciò che stai diventando? Ma immagino che tu non sappia neanche che giorno è oggi” disse, sbattendo la porta della camera da letto.
Harry fece mente locale.
Si ricordò che giorno era.
Era il giorno in cui negli ultimi cinque anni era andato fino a quella via dietro la piazza di Godric's Hollow, fino ad arrivare a quel cancello, ad arrivare davanti a loro, leggendo ogni anno la stessa frase.
L'ultimo nemico che sarà sconfitto è la morte.
Eppure quell'anno non c'era andato. Era stato troppo preso dalla quantità assurda di lavoro che aveva avuto da svolgere quel giorno, e in generale quella settimana. E, ancor più in generale, nei precedenti otto mesi.
Il giorno successivo si era presentato a casa presto, con un mazzo di rose rosse, avrebbe voluto portarla fuori a cena per festeggiare.
Perché finalmente aveva deciso di rinunciare alla promozione.
Ma lei non era a casa.
Aveva lasciato solo un biglietto.
Harry, ho bisogno di un po' di tempo per riflettere.
Ti prometto che tornerò a casa.
Però non so ancora dirti quando.
Con tutto l'amore che mi è rimasto,
per sempre tua.
Hermione.
Appena finì di leggere squillò il telefono. Era una chiamata dal Ministero. Il Ministro aveva urgente bisogno di parlargli. E lui, rassegnato, andò in ufficio.

“Ma il primo novembre era soltanto ieri” constatò Oliver.
“Infatti. Oggi ho parlato col Ministro.”
“E cosa ti ha detto?”
Harry sollevò il bicchiere. “Brindo alla mia promozione. Adesso potrò essere infelice da solo, senza rendere infelice anche la persona che amo di più al mondo.”
Si scolò anche quel bicchiere. Poi lasciò cadere sul tavolo qualche galeone d'oro. Il barista gli fece cenno che erano troppi ma Harry si limitò a sorridere forzatamente, poi si diresse verso l'uscita.
“Non tornerà mai più, amico mio. Forse l'ho capito tardi, ma ho capito che ciò che voleva era solo avermi accanto. Come diceva sempre lei. 'Sono Harry, solo Harry'.”
Oliver ed Harry uscirono, guardando per un momento il cielo.
“E mi si spezza il cuore sapendo che da adesso in poi vivrò senza di lei per sempre.”
Da lì presero strade diverse, ognuno diretto verso la propria casa.
“Ci vediamo, Potter.”
“A presto, capitano” fu l'ultima cosa che Harry disse prima di svoltare l'angolo.

Si trovò a fissare la porta sua per diversi minuti, nel disperato tentativo di rassegnarsi al fatto che non l'avrebbe trovata a casa.
Non c'era una nuvola in quella notte, eppure sentiva il rumore della pioggia nel suo cuore, e l'umido sulla sua pelle.
Ma l'umido erano solo lacrime e il rumore di pioggia era una parte di lui che aveva perso per sempre.
Guardò in alto, verso la luna.
Quella sera, tornando a casa, per la prima volta non vi avrebbe trovato Hermione.
Però, come il suo biglietto diceva, un giorno sarebbe tornata.
Sarebbe tornata e lui avrebbe fatto di tutto per far sì che non andasse via mai più.
Perché, senza Hermione, quella che aveva davanti non era casa. Era solo il posto a cui tornava quando usciva da lavoro.
Hermione era la sua vera casa.
E lui avrebbe aspettato, fino al giorno in cui sarebbe tornata indietro.
Avrebbe aspettato, anche per tutto il resto della sua vita.

Aveva pensato a come sarebbe stato.
Più di una volta, le era capitato di pensare a come sarebbe stato andarsene e basta.
Partire e non guardarsi mai indietro. Non rimpiangere mai tutto ciò che si sarebbe lasciata alle spalle.
Ci aveva pensato spesso.
Finché, un giorno, pensando a come sarebbe stato, non aveva trovato un motivo per rimanere.
Fu allora che lo fece. Fu quel giorno, che se ne andò.

Ci aveva provato, per un po'. Aveva provato a vivere senza di lui. A vedere come sarebbe stato non tornare indietro mai più.
Era tornata nella casa in cui abitava da bambina insieme ai suoi genitori.
Ma, dopo appena tre giorni lontana da casa, si era resa conto che non avrebbe mai più potuto chiamare un altro posto con quel nome.
La sua casa era dovunque fosse Harry.
Fu quel giorno, quando ricordò il motivo che da solo vinceva contro tutto il resto, che capì che Harry era la sua ragione per restare.
Così era tornata a casa.
Aveva usato la sua copia di chiavi. Non sapeva perché, ma non era riuscita a bussare.
Harry era seduto su una poltrona vicino all'ingresso, addormentato, con una foto di loro due stretta tra le mani.
Se Hermione non lo avesse conosciuto meglio, avrebbe detto che quelli sul suo volto erano segni di lacrime.
Gli accarezzò teneramente i capelli con una mano, mentre si chinava a baciargli la fronte.
Quello era il suo Harry. Non l'Auror che rientrava alle tre e mezza della notte. Ma quello lì, seduto su quella poltrona.
Lui era la sua casa. Il suo intero mondo. Lui era la sua ragione per rimanere e combattere.
“Sei a casa” sussurrò senza aprire gli occhi.
Avrebbe riconosciuto il suo profumo ovunque. Che fosse su una delle sue vecchie sciarpe, su uno dei maglioni di Harry o sulla sua pelle, riconosceva quel profumo tra mille.
Aprì gli occhi, improvvisamente la malinconia che Harry provava trasparì dalle sue iridi smeraldine. Hermione capì ancora prima che lui lo dicesse.
“Ho avuto la promozione.”
La mano di Hermione si allontanò dai suoi capelli che così tanto amava accarezzare.
“Sono felice per te, Harry.”
Nella sua voce, però, non c'era alcuna traccia di felicità.
“Io non lo ero” rispose lui con semplicità. “Non ero felice di ciò che stavo facendo, della persona che stavo diventando.”
Hermione si morse l'interno della bocca per evitare di replicare. Rimase lì, a fissare il tappeto che lei stessa aveva scelto.
“Per questo ho presentato le dimissioni.”
Questo decisamente attirò la sua attenzione, il suo viso scattò verso l'alto, i suoi occhi tornarono a guardare dentro quelli di Harry.
“Non sono perfetto, Hermione. Non lo sono mai stato. Ma imparo in fretta e non commetto mai due volte lo stesso errore. Se solo tu potessi darmi una seconda occasione, prometto che ti mostrerò che quello non ero io. Tu mi conosci. Tu lo sai. Permettimi di provare anche a me stesso che posso essere migliore di come sono stato con te. Io ti amo. Questo è tutto ciò che importa per me. Tu, sei tutto ciò che importa, per me.”
Hermione, sapendo che la voce l'avrebbe tradita, non rispose.
Si limitò a riprendere il proprio posto, a tornare nel luogo a cui apparteneva.
Tra le braccia di Harry.




  
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