GLI DEI NON AMANO
Le
mura di Troia conoscono bene i miei affanni, molte, forse troppe
volte ho pianto guardando da quassù i miei giovani compaesani
morire, sotto gli affondi degli achei… scuri, spade, lance, scudi,
ogni arma è letale, ogni arma è un lasciapassare per l’Ade, ogni
arma che li colpisce brutale, ferisce anche me che dall’alto delle
porte Scee vedo nascere fiumi di caldo sangue regale. Vedo morire i
figli di Priamo, vedo i loro visi deformarti dal dolore, quando l’ora
prima sorridevano o ridevano, addirittura.
Troia…
una città ormai mia, che guardo morire, soffocata da mille e mille
guerrieri, anonimi ai miei occhi. Solo il nome del prode Achille è
conosciuto, perfino nella mia terra, la bella Cilicia dal mare più
scuro del cielo in tempesta, gli aedi narrano la sua storia,
paragonandolo quasi ad Ercole.
Ma
ecco, le nuvole nere si addensano sul campo di battaglia; che sia
stato un dio a spingerle soffiando forte su Ilio, per piangere con me
la fine imminente del mio sposo?
Gli
dei sono brutali, gli dei sono crudeli, gli dei non piangono. Abile
sotterfugio quello delle nubi. L’oscurità nasconde il volto
bagnato dai sogni che, caduti veloci nel mare, tra le vele nere di
morte degli Achei, schizzano acqua sui visi degli uomini abbandonati
al loro destino.
Gli dei non amano.
Gli
uomini sono in balia del vento. Come foglie abbandonate da alberi
desiderosi di riposo, volano nel tempo e sulla terra, persi nel loro
vuoto. Non riescono a volare alto, verso le stelle. Non riescono a
nuotare fino al fondo del mare per nascondersi con le Nereidi nelle
grotte ricche di alghe. Non riescono a entrare nei tronchi degli
alberi più vecchi, cercando un rifugio e una speranza.
Inseguono
futili visoni, cercano senza vera fiducia di afferrare il fumo con le
dita, come solo gli dei possono fare.
Gli
dei vogliono evitarmi la vergogna di mostrare le lacrime al resto
della città?
Le
mostrerei con orgoglio e loro lo sanno bene. Perché il mio amato
Ettore è lì, solo contro Achille la bestia… la chioma dell’elmo
è ormai in balia del vento e solo qualche raggio di sole coraggioso
che trapassa le nubi come spada lucente colpisce il suo scudo…
Rimarrei
a guardare la sua morte, ma per le donne non è permesso dimostrarsi
più coraggiose di uomini che nascondono il volto nelle sottane delle
loro amanti per non guardare il sangue scorrere a rivoli infuocati
per la sabbia della spiaggia di Troia. Perciò affondo il viso nella
coperta di Astianatte. Il mio unico ricordo dell’uomo che amavo, lo
sento piagnucolare, avrà capito anche lui cosa succede in questo
momento.
Alzo
la testa ed ecco, Achille ha appena scagliato la lancia, colpendo
Ettore nel collo.
Lo
vedo stramazzare a terra, lo vedo morire, ma è come se una fitta
nebbia bianca fosse calata sui miei occhi, nascondendolo alla vista.
No, non puoi essere morto, non tu.
Le ginocchia mi cedono non riuscendo più a sopportare il peso di questo corpo che ha perso il suo scopo, cado a terra rotolando nella polvere che la mia veste di porpora solleva e accoglie tra le sue trame. Tuo figlio comincia a piangere, ma non me ne curo, non ho occhi per nessuno, tanto meno orecchie. Mi sento morta, il soffio che animava le mie membra è tornato tra le stelle, nelle mille ampolle in cui gli dei conservano l'anima degli uomini; mi hanno strappato il cuore sostituendolo con un macigno, che mi impedisce di vivere.
Ma in fondo che senso ha vivere senza di te?
Tu
eri la mia unica gioia, ora sei l’unico dolore…
Nello
stesso momento in cui sei caduto ai piedi d’ Achille furioso, il
cielo rimbombò di tuoni, si spaccò al suo interno come se un eterno
e indomabile dolore l'avesse colpito. Le nuvole ribollirono e si
sciolsero in pianto, con me, con Priamo, con Troia.
Mi
abbraccio forte la testa, voglio scacciare tutti i pensieri, voglio
raggiungerti negli Inferi!
Maledetto, non un sussurro, non una parola mi hai lasciato, da ripetere nel pianto, per ricordarti.
Ettore,
con te muore Ilio, il suo destino ormai è scritto nella pietra,
nulla potrà mai cambiarlo, le Moire hanno deciso da tempo la
definitiva caduta della città più forte dell’Anatolia.
Ah,
quanto vorrei che tu non fossi stato figlio di re, ma un semplice
contadino, un onesto artigiano… saremmo invecchiati insieme,
avresti visto tuo figlio crescere, la salvezza di Troia non sarebbe
stata il tuo compito più gravoso, non sarebbe pesato sulle tue forti
spalle.
Un
fuoco mi sta divorando dall’interno, lasciandomi un guscio vuoto,
lascio che la fiamma purificatrice distrugga tutto quello che
incontra di buono in me, così non prenderanno il mio spirito quando
mi faranno schiava, ma solo il mio corpo.
Non
so perché, in questo momento mi riaffiorano in testa le parole che
mi dicesti alle porte Scee prima di correre verso il tuo destino,
prima di incontrare la lancia di Achille; ogni sillaba è una
pugnalata, il suono della tua voce mi riecheggia ancora nelle
orecchie.
Mi
sembrano ora stupide parole di un uomo testardo e intrepido, ma ci
avevo creduto in fondo, nella mia ingenuità.
Forse
speravo che diventassero realtà, anche se nel cuore sapevo che mai
si sarebbero avverate, come i desideri o le preghiere agli dei, che
vane salgono a fumando verso il cielo, in attesa di venire esaudite.
Il
tuo coraggio ti ucciderà, ti dissi e tu non mi hai ascoltato, come
sempre, facevi tutto di testa tua. Ma non ti ha ucciso né Achille
piè veloce né il tuo coraggio, bensì il tuo senso del dovere, il
tuo amore per Troia, il tuo desiderio di proteggerci.
Stupido!
Saremmo potuti fuggire, veleggeremmo verso la Cilicia, saresti ancora vivo e mi guarderesti ancora sorridendo, baciandomi la fronte ed i capelli, sussurrandomi parole di consolazione e di amore.
E invece sono qui, sola, fradicia e urlante, convinta chissà perchè che forse gridando forte il tuo nome tornerai da me.
O Morte, perché sei così ingiusta? Perchè lasci sulla nuda terra noi uomini abbandonati al loro destino, al tuo destino; inclemente scansi con grazia i nostri tormenti, rifugiandoti nel tuo tenebroso regno, senza porti domande ci guardi soffrire, invocandoti. Pregandoti. Bramandoti. Tu che ci lasci soli...