Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: dardeile    07/05/2011    3 recensioni
Anni fa strinsero un patto. E nonostante il tempo sia passato, nonostante le differenze tra loro siano state portate agli estremi, nonostante l'odio e la morte nelle loro vite, nessuna infranse quella promessa.
[Sesta classificata al contest "Battleship" di Fabi]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Andromeda Tonks, Bellatrix Lestrange
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

La Promessa

1966

I Black avevano sempre trascorso il Natale a Grimmauld Place. Zia Walburga si prendeva un grande affanno, ogni anno: nessuno più di lei sapeva quanto fosse difficile starsene seduta in poltrona e gridare contro gli elfi domestici di metter su le decorazioni, preparare il ricco pranzo di Natale e far sì che ogni angolo della casa fosse splendente. L’argenteria, in particolare, doveva essere lucente, tanto da abbagliare chiunque tentasse di specchiarvicisi dentro.

Grimmauld Place era splendida, ma nel periodo natalizio diveniva regale. Bellatrix amava quel posto, forse ancor più del loro maniero. Adorava la sala dell’arazzo, dove sarebbe volentieri rimasta ore ed ore a riflettere sui suoi antenati, su quanta gente nobile l’avesse preceduta, e su quanto fosse fortunata ad essere nata in una famiglia così distinta.

Voleva bene a zia Walburga, nonostante fosse una donna fredda e anaffettiva; le voleva bene perché rappresentava ancor più di sua madre quella purezza del sangue di cui tanto si parlava nei pranzi di famiglia; aveva una classe che la distingueva dalle persone che le stavano attorno.

Nonostante tutto ciò, Bellatrix odiava passare il Natale a Grimmauld Place. Era diverso da tutti gli altri pranzi e le altre cene; l’attenzione si spostava sui bambini. Lei non voleva che si parlasse di lei, soprattutto quando Narcissa, due anni più piccola di lei, veniva messa su un piedistallo ed usata come metro di paragone.

“Bella, dovresti comportarti come Narcissa.”
“Bella, perché non raccogli i capelli come Narcissa?”
“Bella, sai che Narcissa è la più brava del suo anno in Trasfigurazione?”

Bellatrix aveva quindici anni, ma sapeva già che nel suo futuro non c’erano vestitini in tulle e matrimoni combinati. Non l’avrebbe permesso, in quanto non era ciò che sentiva nel suo cuore. Aveva un presentimento, un presagio che si allontanava molto dal sogno di seta e pizzo che i suoi genitori avevano da anni in serbo per lei.

Anche ora, mentre se ne stava solitaria nella soffitta di Grimmauld Place, lasciava che la sua mente vagasse, e sognava di avventure impossibili ed improbabili. Avventure che l’avrebbero portata un giorno ad essere la guerriera più forte, invincibile, avventure in cui il mondo temeva la sua bacchetta e quello che essa era capace di fare.

Ma una ragazza non avrebbe mai potuto diventare una guerriera. Per una donna il duello non era lecito, non era appropriato.

La porta cigolò, distraendo Bellatrix dalle sue fantasie. Si alzò di scatto e puntò la bacchetta, per poi abbassarla non appena ebbe visto chi c’era sulla soglia.

“Possiamo entrare?” chiese Andromeda.

Bellatrix abbassò lo sguardo sul piccolo attaccato alla gonna di Andromeda: uno sgambettante Sirius la guardava con occhi spalancati, come se la venerasse.

“Anche il piccolo mostro?” Bellatrix chiese, riferendosi a Sirius.

“Ehi!” il bambino esclamò in protesta.

“Scherzavo, dai,” continuò Bellatrix, tornando a sedersi su un baule in legno. “Però chiudete la porta. Narcissa non la sopporto. Se salisse anche lei sarebbe la fine.”

Sirius corse nella stanza, lasciando Andromeda indietro. Cercò di arrampicarsi sul baule al fianco di Bellatrix, ma era troppo alto per lui. Bellatrix alzò gli occhi al cielo e, non appena sembrò che il bambino ce l’avesse fatta, con una spintarella lo fece tornare a terra. Sirius, imbronciato, prese la rincorsa e riuscì a saltar su, senza che Bellatrix potesse fare niente.

“Sei davvero un piccolo mostro,” disse guardando il cugino. “Andy, è vero che è un piccolo mostro?”

“Assolutamente sì,” convenne Andromeda, dandogli uno schiaffetto sulla nuca. “Un piccolo mostro arrogante.”

Sirius sorrise soddisfatto dell’attenzione delle cugine più grandi. “Ma sono il vostro cugino preferito.”

“Oh, non saprei,” Bellatrix disse, seria. “Regulus ha più potenziale.”

La menzione del fratello più piccolo irritò Sirius, che a fatica si mise in piedi sul baule, afferrando Bellatrix per i capelli. “Non è vero!” Bellatrix cercò di scrollarselo di dosso, ma senza successo; Andromeda intervenne e, ridendo, cerco di districare le mani del piccolo dai capelli ricci di Bellatrix.

“Lasciami!” Bellatrix strillò.

Andromeda riuscì a staccare Sirius dalla sorella, tenendolo in braccio mentre scalciava per liberarsi. Persero l’equilibrio, e caddero all’indietro. Nella caduta, Andromeda cercò di aggrapparsi alla scrivania in noce, che però non l’aiutò per nulla. L’unica cosa che Andromeda riuscì a fare fu rovesciare una boccetta di nero di seppia antico, che suo zio usava per le pozioni.

Colpirono il pavimento con un tonfo, mentre l’inchiostro colava dalla scrivania, allargandosi in una pozza ai piedi di Bellatrix, la quale seguiva l’allargarsi della macchia.

“Oh, maledizione,” mormorò, sbarrando gli occhi.

“Cosa?” chiese Andromeda, rialzandosi.

“Il mantello di zia Walburga!” esclamò Bellatrix, saltando giù. Camminando in punta di piedi raggiunse il manichino in ferro, sul quale era poggiato un antichissimo mantello con le cuciture in oro. L’inchiostro era arrivato al manichino, macchiando l’orlo del mantello. “È un disastro!”

“Sicuramente mamma riuscirà a risolverlo,” provò Andromeda. “Ha lavato via macchie peggiori.”

“Ma sei stupida? Il nero di seppia usato per le pozioni è permanente! Non l’hai sentito Lumacorno?” Bellatrix era nel panico. “Sirius, tua madre usa ancora questo mantello?” chiese, afferrando il bambino per il braccio e trascinandolo vicino al manichino.

“Mamma dice che quel mantello era della nonna.”

Un lamento scappò dalle labbra di Bellatrix. “Andy, non dobbiamo dirlo a nessuno. Mi hai capita?” Andromeda non rispose, guardandosi i piedi. “ANDY, guardami!”

Andromeda sollevò lo sguardo, e sapeva che Bellatrix l’avrebbe avuta vinta: l’aveva sempre vinta. “Va bene,” disse.

“Prometti, Andy,” continuò Bellatrix. “Prometti che non lo dirai mai! A nessuno! Neanche tra cento anni!”

Era in questo che Andromeda vedeva la bambina che era in Bellatrix. Lei, che era sempre la più grande, nei momenti di panico diventava la più piccola. Non sapeva di cosa avesse paura, ma Andromeda annuì. “Prometto.”

 

 

1997

 

Yaxley aveva rotto l’Incanto Fidelius. Aveva afferrato la Mezzosangue e, così facendo, era riuscito a seguirli a Grimmauld Place. Se li era fatti scappare, ma Grimmauld Place era finalmente libera.

Bellatrix aveva convinto il Signore Oscuro a perlustrare Grimmauld Place, perché lei più di tutti gli altri Mangiamorte sarebbe stata in grado di metterla sottosopra. Lei, più di chiunque altro, ne conosceva ogni angolo, ogni anfratto segreto.

Mentre camminava nell’ingresso, in cui erano stati sollevati gli incantesimi di protezione, faceva scivolare la punta della bacchetta sulla parete ruvida, creando un effetto sonoro sinistro nel silenzio totale che avvolgeva la casa. I suoi passi erano attutiti dal tappeto nero , oramai completamente rovinato.

Alla sua sinistra una tenda rossa era avvolta attorno ad un dipinto. Con la mano libera afferro il drappo e lo tirò via, rivelando un vecchio dipinto di Walburga Black.

“Ciao Zia.”

Il ritratto sorrise, orgoglioso, gli occhi fissi sull’avambraccio di Bellatrix, come se avvertisse il Marchio Nero tatuato sulla pelle bianca.

Quando Bellatrix giunse ai piedi delle scale, si fermò ed un ghigno apparve sul suo viso. Salì molto lentamente, un gradino alla volta, continuando a tenere la bacchetta contro il muro.

Arrivata sul pianerottolo, si voltò verso le prime porte, che sapeva esser state un tempo le camere da letto dei cugini e degli zii. Piegò la testa di lato, e continuò a salire l’ultima rampa di scale. Punto la bacchetta contro la serratura della pesante porta in mogano, bisbigliando: “Alohomora.”

Ci fu un clac, e la porta cigolò, aprendosi.

Bellatrix scivolò nella stanza, e si guardò intorno, mentre faceva roteare la punta della bacchetta. Sembrava un animale predatore pronto a balzare su una gazzella ferita. I suoi occhi saettavano da una parte all’altra della stanza, come se cercasse il minimo dettaglio fuori posto rispetto a ciò che ricordava.

Ma tutto era uguale a come era sempre stato, il che le fece pensare che forse i mocciosi avevano avuto il buon gusto di rimanere fuori dai ricordi della famiglia. O forse avevano avuto semplicemente paura, perché non sapevano cosa vi fosse nascosto.

Si fermò, il ghigno sparì dal suo volto, rimpiazzato da una smorfia, perché quello che era nascosto in quella stanza era pericoloso perfino per una donna senza scrupoli e coscienza come Bellatrix Lestrange. In quella stanza vi era ciò che di più pericoloso esista al mondo.

Ricordi.

Va tutto bene finchè giochi e corri, ma poi quando diventi grande e devi scegliere diventa tutto più difficile. Cominci a chiederti perché.

Bellatrix camminava fra quei ricordi, ben attenta a non sfiorarli, a lasciarli al di fuori della sua sfera di emozioni; era lì per calpestarli, distruggerli. Perché i ricordi non le piacevano. Lei amava il suo presente, un presente in cui era diventata quello che aveva sognato da bambina.

Era una guerriera, ora. Era temuta, era invincibile come il suo maestro.

Abbassò lo sguardo e notò, sul pavimento, una larga porzione di legno più scuro del resto. Si piegò, lo analizzò da vicino, chiedendosi cosa potessero aver fatto quei maledetti ragazzini; poi capì, quando con la coda dell’occhio notò un luccichio dorato, alla sua sinistra.

Era il vecchio mantello di zia Walburga. Di nuovo in piedi, si avvicinò al vecchio manichino impolverato e sollevò l’orlo del mantello, lasciandoselo scivolare fra le dita, avvertendo la seta ed il ricamo sotto i polpastrelli. Un’ombra le attraversò il viso, e lo lasciò ricadere. Con una mano, spinse il manichino, non con violenza, ma con disprezzo.

Il sostegno di ferro cadde a terra con tutto il mantello, sollevando una nuvola di polvere.

“Prometti, Andy. Prometti che non lo dirai mai! A nessuno! Neanche tra cento anni!”
“Prometto.”

Bellatrix non l’aveva mai detto a nessuno, neanche dopo il tradimento di Andromeda.

 

 

2015

 

“Nonna, sei sicura di questa cosa?” chiese Teddy, mentre seguiva la nonna nell’ingresso di Grimmauld Place. “Forse è meglio tornare un’altra volta. Forse dobbiamo prima essere sicuri che il Ministero dichiari la casa agibile. Forse-”

“Teddy, non ti preoccupare,” rispose Andromeda, prendendo il nipote per mano. “In questa casa non c’è nulla che possa farmi del male. Non fisicamente.” Fece una pausa, guardando la porta della stanza dell’arazzo. “E poi, qualcuno deve pur svuotare la soffitta. Questa casa appartiene ad Harry oramai, e non credo vorrebbe tutta la roba che sta in soffitta, ora che i bambini sono abbastanza grandi da scorrazzare per casa. Non quella che appartiene ai Black, almeno. Devo liberarmi delle cianfrusaglie, e sono l’unica Black rimasta. Se non lo faccio io, chi pensi che lo possa fare?”

“Forse Narcissa potrebbe-”

“Narcissa ha smesso di preoccuparsi degli affari di famiglia il giorno in cui ha sposato Lucius Malfoy. E poi, ha altro a cui pensare, con un marito in prigione e la confisca di tutti i suoi beni.”

Andromeda cominciò a salire la scale rapidamente, ed il nipote le seguì. “Ma nonna, tu non hai più niente a che fare con questa casa. Non sei una Black!”

Andromeda sorrise, amara, e non rispose, continuando a salire l’ultima rampa di scale. La porta della soffitta era aperta. Entrò e Teddy scosse la testa, seguendola.

La stanza era buia, con pochi, solitari raggi di sole che filtravano dalle pesanti tende di velluto. La stanza era stata messa a soqquadro anni prima, quando il Ministero sembrava convinto che i restanti Mangiamorte a piede libero potessero nascondersi a Grimmauld Place, quella che un tempo era stata la roccaforte dei Purosangue.

“Da dove pensi di cominciare?” Teddy chiese, guardandosi intorno. “Questo posto è immerso nel caos.”

Non ricevendo risposta, il ragazzo si voltò verso la nonna, che era accovacciata per terra. Le si avvicinò e guardò oltre la spalla della nonna, cercando di capire cosa avesse in mano. Era qualcosa di scuro, con ricami dorati. Teddy notò la macchia rappresa sul pavimento. “Nonna, ti prego dimmi che non è sangue quello.”

Andromeda spostò lo sguardo sulla macchia e sorrise. “No. È nero di seppia. Lo usava il tuo prozio - il padre di Sirius, per le pozioni.” Poi la donna tornò a concentrarsi sul tessuto che aveva in grembo, accarezzandolo. “Questo mantello era della tua bisnonna. Poi passò nelle mani di mia zia, ma credo che si fosse dimenticata di averlo. Non lo usava mai.”

Teddy si sedette sul pavimento, affianco alla nonna, e passò una mano sul mantello prezioso. “Forse dovresti tenerlo.”

“Questo?” Andromeda chiese. “Scherzi? Non ho intenzione di tenere nulla. Non ho bei ricordi di questo posto. Non tanti, almeno. E questo, poi, è inutilizzabile.”

“Perché?” chiese il ragazzo, incuriosito.

Andromeda rigirò il mantello e sollevò l’orlo, mostrandolo al nipote da vicino. “Non si nota, perché il mantello è molto scuro e rovinato, ma l’orlo è completamente rovinato dal nero di seppia.”

Teddy rise. “E chi è stato? Scommetto Sirius, vero?”

Andromeda rimase in silenzio per qualche secondo.

“Prometti, Andy. Prometti che non lo dirai mai! A nessuno! Neanche tra cento anni!”
“Prometto.”

Poi rispose: “Non ricordo.”

  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: dardeile