Una giornata grigia e spenta. Sempre tutto uguale, a New York. Grigio, grigio, grigio e ancora grigio. Con un sospiro, Bulma si volta verso lo schermo del suo computer. Grigio. Sempre tutto grigio. Come il tailleur che indossa, come la gonna troppo stretta che dovrebbe cambiare, se solo trovasse lo scontrino. Come la sua intera vita. Grigio. Con un sospiro sposta di nuovo lo sguardo sulla finestra, sotto di lei si snoda la vita della città. Le auto sgargianti corrono su un asfalto del solito colore di tutto ciò che la circonda. La porta del suo ufficio si apre e fa la sua comparsa un uomo piuttosto alto, affascinante, con i capelli brizzolati, stretto in una giacca a doppio petto. Grigia, ovviamente. Bulma sospira, salutando il suo capo con un cenno della testa. Si annoia, tutto le sembra vuoto in quella giornata. Ascolta distrattamente il suo datore di lavoro blaterare su un nuovo scoop sensazionale. Sì signore. Certo signore. Sarà fatto signore. Le solite vuote parole. Lascia che lui scivoli via, esca dalla porta, dalla vita, silenzioso com'è entrato. La donna sospira piano, pensa che quella notte lui userà lo stesso sistema per scivolare piano nella sua casa, nella sua stanza, nel suo letto. Con un ennesimo sospiro decide di rimettersi al lavoro. Il tempo stringe e lei deve guadagnarsi lo stipendio. Il suo sguardo corre al telefono. Forse dovrebbe chiamare Chichi e dirle che non può andare alla festa di sua figlia. Ma sarebbe crudele. L'amica e Goku si son dati tanto da fare per preparare la festicciola della loro unica figlia. Non può proprio non presentarsi. E poi ci saranno mille palloncini colorati, e torte multicolori e..colore. Tanto colore dopo una giornata grigia. Ridacchia, l'unica cosa che la spinge ad andarci, anche se non ne ha voglia, è il fatto che rivedrà tutti gli amici. Tutti i suoi vecchi compagni di scuola. Già. Tutti. Il suo sguardo improvvisamente si spegne e la testa si abbassa, mentre i suoi occhi fissano il tavolino di mogano. No, non tutti. Scaccia un brutto pensiero dalla testa e torna al lavoro. Deve scrivere quell'articolo entro sera. Le sue mani si muovono frenetiche sulla tastiera per scacciare quel senso di malinconia che l'avvolge.
Le parole si allineano una dietro l'altra sul monitor, rapide, come se fossero frutto di un lampo, un'ispirazione improvvisa. C18 osserva lo schermo, con un sorriso soddisfatto. I personaggi si susseguono ritmicamente, le battute incalzano, le atmosfere si dipanano, tutto dietro quelle fitte parole, che si accalcano una sull'altra. La biondina sorride soddisfatta. Un nuovo capitolo è pronto. La storia prosegue. Non resta che consegnare tutto a suo marito perchè disegni le scene e un nuovo numero del loro fumetto potrà vedere finalmente la luce. Batte con soddisfazione l'ultimo punto sulla tastiera, quindi con soddisfazione e con un sospiro di pure relax si appoggia allo schienale della sedia e incrocia le braccia dietro al capo. La casa è immersa nel silenzio, eppure due piccoli bambini sono presenti nella stanza, seduti sul tappeto, intenti a giocare con i mattoncini delle costruzioni. Due angeli biondi di sei anni. C18 sposta lo sguardo verso di loro, e un lampo di adorazione passa nei suoi occhi color del ghiaccio. I suoi figli. Si alza e si avvicina a loro, sedendosi sul tappeto e cominciando a impilare cubi colorati, sotto lo sguardo divertito dei piccoli. Il marito è ancora rintanato nel suo ufficio, a disegnare nuove scene. C18 dà un'occhiata distratta all'orologio appeso alla parete. Sarà meglio iniziare a preparare il pranzo. Si alza e si dirige in cucina. Un rumore la fa voltare verso la finestra della sala. Sta cominciando a piovere.
Pioggia. Scende lenta e copre tutto, come una coperta bagnata che avvolge ogni cosa. Chichi sospira piano e si separa dalla finestra, tornando ad osservare i ragazzi, chini sui loro banchi, che riversano un mare di parole nere d'inchiostro su un mare bianco come latte. Si chiede cosa mai stiano scrivendo. Ma presto lo saprà. E' lei la professoressa e sarà lei a correggere i temi. Con un sorriso si siede alla cattedra e da lì controlla che i ragazzi non parlino tra di loro. Insegnare nella scuola dove lei stessa ha studiato è una soddisfazione così grande che non sa nemmeno spiegarla. Ancora più grande se si considera che ricorda ogni angolo. Dalla cattedra può persino vedere il suo banco, il banco di quando era liceale. Un nuovo sorriso affiora tra le sue labbra, chissà che risate si saranno fatti i suoi alunni, vedendo quante volte inneggiava al nome di Goku. Goku. Il suo unico amore del liceo, l'uomo che è diventato suo marito e le ha regalato una splendida bambina di dieci anni. E' euforica all'idea della festicciola che si terrà a casa loro, non vede l'ora di rivedere tutti i vecchi amici. Sente un lieve picchiettio e osserva un alunno, intento a sbattere ripetutamente la matita sul banco, probabilmente in cerca di un'idea.
Il picchiettio lieve della matita sulla carta. Non si sente altro, in quella stanza. Una sola luce che illumina un grande foglio bianco, su cui quella matita incessante picchietta. Un colpo, due colpi, tre colpi. Il disegno prende forma, il volto di un uomo deformato dalla paura, un coltello che lentamente cala su di lui. L'artista sorride soddisfatto, osservando il lavoro compiuto e la sua mano afferra un fazzoletto, che si passa rapidamente sulla pelata per asciugare il sudore. Fa veramente molto caldo, eppure può sentire il ticchettio della pioggia contro i vetri. Sente anche le risate della moglie e dei bambini. Accanto a lui, una piccola sveglia continua implacabile a segnare i secondi che si susseguono. Crilin si rimette al lavoro, solerte e attento. Con pochi tocchi sistema il lavoro, lo rifinisce, lo conclude. In quel momento la sveglia suona. Ora di pranzo. Crilin si alza con uno sbadiglio represso ed apre la porta, facendo capolino in salotto, dove i figli giocano sul tappeto. La voce di C18 gli giunge chiara in cucina, dove lui si dirige, seguito dai bambini festosi. Le urla di gioia riempiono la casa.
Urla di gioia, allegre, felici. Goku sorride, osservando i bimbi esultare nel campetto. La loro prima partita nel torneo giovanile, la loro prima vittoria. E' fiero della squadra che allena. Sono bravi ragazzi ed ottimi giocatori di baseball. Il baseball. Il suo sogno. Ci ha rinunciato, ha rinunciato all'idea di diventare un campione per stare accanto a Chichi, ma non ha mai dimenticato la passione per quello sport. Allenatore. Chi l'avrebbe mai detto? Batte le mani per applaudire alla sua squadra, e i ragazzini gli si fanno intorno, continuando a schiamazzare. Lui ride, mentre poco distante una bellissima bambina con lunghi capelli ricci batte le mani. Goku la guarda con uno sguardo pieno di amore. Sua figlia Cassidy. Si avvicina a lei e le accarezza i capelli con un gesto gentile. Lei è il suo orgoglio.
Orgoglio. Quella fiamma che urla nel cuore di un uomo, un acido che lento lo consuma, fino a renderlo uno stolto pupazzetto rotto gettato in un angolo del mondo. Con uno scatto violento, Vegeta rovescia le carte a terra. Cartacce. Contratti, assunzioni, forniture. Tutte cartacce. E' di pessimo umore. Il suo orgoglio ribolle nelle vene, rendendolo simile ad un animale ferito. Sua moglie. Quella stupida arpia che non gli permette di educare loro figlio come vorrebbe. Ringhia ancora, versandosi un bicchiere di rum. L'alcool gli brucia la gola e i suoi occhi si induriscono ancora. Quell'arpia. Che cosa vuole da lui? Lui è il buttafuori del più grande locale di Roma, e quell'arpia si permette di dirgli qualcosa? Si accende un sigaro, con sguardo truce. Sa perchè è così di pessimo umore. Dieci anni. Dieci anni che non vede più nessuno, ha avuto solo qualche notizia sporadica da parte di C18. Per essere precisi lei informava C17, e Vegeta si informava presso l'amico. Sputò con rabbia il sigaro a terra e lo spense con il tacco delle scarpe di camoscio. Il compleanno di Cassidy. Già. Forse dovrebbe chiamare, almeno per fare gli auguri. Ma lei non lo conosce. Potrebbe però parlare con Chichi e Goku. Ma dopo dieci anni avrebbe senso? Fissa la porta rossa, chiusa, sbarrata. Ha sbarrato tutto, nella sua vita. La sua casa, il suo ufficio. Il suo cuore. Con un'imprecazione torna a sedersi e a fissare quelle poche carte sopravvissute alla sua sfuriata. Ha bisogno di bere. Afferra la bottiglia di rum e si versa un nuovo drink.