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Autore: Keyra93    08/05/2011    1 recensioni
[Dracula di Bram Stoker] Mentre cerca la sua preda, il Conte è assalito da ricordi, rabbia, desiderio di vendetta: una one-shot sui pensieri di quest'uomo trasformato in mostro per vendicare il suo amore e sulle sue mille emozioni.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Beneath That Bloody Moon

Beneath That Bloody Moon

 

 

Il lugubre ululato dei lupi si spandeva nell’aria, il cielo insanguinato dal sole morente quasi a testimoniare l’ultima vittima delle loro zanne.

Ancora una volta egli era lì, alla finestra: osservava da lontano, nascosto da pesanti tende rosse, la lenta dipartita di quel nemico, che tutti i giorni moriva e tutti i giorni ritornava a nuova vita, secondo la più banale legge divina. Vide gli ultimi raggi morenti cercare di raggiungerlo, rossi come  il sangue, rossi come la vita; una vita che stava scappando dal proprio corpo, il sole, per raggiungere l’oscurità di quello spettatore silenzioso.

Si scostò infine dal suo rifugio accanto alla finestra, tornando al buio delle sue stanze, da anni più congeniale di qualsiasi tipo di luce al suo vecchio corpo; percorse quei lunghi corridoi con passi decisi, senza preoccuparsi dell’aura di mortalità, di umanità, che talvolta si era trovato costretto ad assumere in presenza si qualcun altro: qualcuno di diverso da lui.

E del resto, chi non lo è?

La domanda si fece strada nella sua mente, tra i suoi pensieri neri come la notte che si diffondeva sulla sua terra e rossi come il sangue che conosceva fin troppo bene, e sembrava martellarli tutti uno a uno,i suoi pensieri, di quel tocco lieve e persistente di una goccia sulla pietra, quel tocco che con la sua cieca insistenza è capace di portare alla follia gli animi più sereni.

Era solo.

Non c’era nient’altro a cui pensare, null’altro su cui valesse la pena soffermarsi nella sua eterna notte: la sua realtà era quella e nessun’altra, quella di vivere eternamente in un’eterna solitudine; nel buio.

Forse, si disse, se non avessi fatto quella scelta col tempo sarei tornato a godere dei raggi del sole; a vedere un senso in questa infinita serie di ombre; a glorificare Dio in una vita più giusta... digrignò i denti e in un moto di rabbia sferrò un pugno alla parete accanto a lui.

A ricordare di come non avrei avuto il coraggio di vendicare! Di vendicare lei! Lei!.. Lei...

Si appoggiò lentamente alla parete, quella stessa crepata dal suo pugno rabbioso, e portò una mano al viso: non fu sangue quello che la bagnò ma lacrime, lacrime fredde come tutto ciò che faceva parte di lui, come tutto il suo corpo. Rimase a lungo fermo così, le spalle tremanti per singhiozzi che sembravano non volerlo abbandonare, le dita a contatto con la parete che sembravano quasi volerla scavare, strapparla, distruggerla nel loro artigliarla. Poi finalmente cessò. La sua schiena tornò dritta, o meglio tornò all’usuale piega che aveva da anni, e i suoi occhi neri tornarono a scandagliare l’oscurità circostante: aveva fame.

Più rapidamente di quanto potesse essere consentito all’umana natura, uscì dal suo castello, utilizzando le pareti come un ragno la sua ragnatela: la sua casa, il suo tranello, la sua trappola per qualunque mortale. Si ritrovò presto avvolto dal più amaro e il più scuro dei manti, la notte, mentre rivolgeva un ghigno feroce e sicuro di sé agli ultimi cenni di colore delle nuvole sopra di lui: ma presto smise di prestare loro alcuna attenzione, tornando a correre - come solo lui sapeva “correre” - verso ciò che l’avrebbe saziato... verso chi l’avrebbe saziato. Quella sua terra inospitale sembrò quasi assorbirlo tra le sue infinite ombre, molte delle quali non aspettavano la notte per rivelarsi, e l’ululato del lupo tornò a farsi sentire in quell’immensità di nulla: un urlo di disperata fame, fame di sangue e di vita umana, lo accompagnò a riempire il silenzio mortale che regnava sovrano in quei luoghi selvaggi. Ben presto altri lupi, altri ululati, altre urla si unirono a quel coro scordato, in un pressante grido che, egli lo sapeva, stava seminando fin da allora il panico nei cuori dei pochi contadini abitanti sotto il suo castello: un altro ghigno si dipinse su quelle labbra deformate dal tempo e dal dolore, un ghigno che nulla aveva di umano, e che presto si trasformò nella peggiore delle risate, la cui eco risuonò più forte e cupa di tutti gli ululati di quei lupi impazziti.

Ma improvvisamente cessò di ridere: per un attimo, provò a pensare a com’era stata la sua risata prima, prima dei lupi, prima dell’eternità, prima del buio... quando lei era ancora al suo fianco. Provò a pensare com’era bello allora, ridere, quando pensava alla fortuna di averla accanto a sé; provò a ricordare come fosse il suono di una risata sincera delle sue labbra e di quelle di lei.

Non ci riuscì.

I suoi occhi rimasero asciutti mentre percorreva quelle ombre così care, stavolta lentamente e con lo sguardo perso, cuore e memoria in ben altri lidi: non era bello, allora, l’amore? Non aveva forse il colore di due occhi accesi di luce, il calore di un corpo nel pieno della vita, il sapore di labbra rosse che cercavano le sue? Non erano forse di gioia, le lacrime, di gioia e di passione? Poteva forse dimenticare lui, il Conte, di come un tempo il suo corpo e il suo cuore avevano vissuto il più grande e felice degli amori?

Una nuova lacrima, gelida come il vento che presto l’avrebbe spazzata via, rigò quella guancia bianca come la morte. Ricordava...

 

Scriveva chissà cosa, seduta sulla sponda del letto, un lieve sorriso perso nei sogni a illuminarle il viso; la mano si muoveva sul foglio, alle volte con improvvisa velocità, altre con più lentezza, assecondata dagli occhi sorridenti o assorti fissi sulla pagina. Era bella, bella come sempre era stata, di quella bellezza che va oltre i puri lineamenti fisici e colpisce dritto al cuore... suo marito la osservava, poggiato sullo stipite della porta, silenzioso; la osservava con un sorriso innamorato, più ancora di quello di lei, e ringraziava Dio di avergli donato un tale fiore, una tale donna, per tutti gli anni della sua vita. I raggi del sole la sfioravano appena, filtrati dalle leggere tende della stanza, impigliandosi in mille piccole ombre fra i suoi ricci scuri e illuminandole una gota, una spalla, un fianco, il sorriso; mentre egli si beava della sua bellezza, lei finalmente si accorgeva della sua presenza e gli sorrideva.

“Amore!”

Presto lui la raggiungeva, sedendole accanto e passandole una mano tra i morbidi ricci. Sua moglie allora sorrideva, mettendo da parte il foglio e i pensieri che lo riguardavano, ed entrambi cedevano al desiderio di baci, di carezze, di cui non sembravano capaci di stancarsi, ognuno perso nei sensi dell’altro, ognuno pronto a dare la vita per l’altro.

 

Quel ricordo era lì, intatto, marchiato a fuoco nel suo cuore, nella sua mente, nella memoria; e ogni volta che vi si avvicinava, bruciava... bruciava come pochi fuochi al mondo, come forse solo il fuoco della passione sapeva bruciare...

O forse, come quello dell’Inferno.

Ma era veramente così? Non era un sogno, una malformazione di quella realtà ormai così lontana dalle sue mani assassine e sacrileghe? Se le portò al viso mentre la sua marcia si fermava del tutto, nel buio che aveva sostituito la luce dentro di lui. Si fermò ma non pianse, perché nemmeno le più amare lacrime potevano avere alcun senso di fronte al dubbio che lo attanagliava: poteva essere tutto falso? Potevano tutti quegli anni, così tanti, così lunghi, così eterni, potevano aver cambiato ciò che lui considerava memoria in un semplice sogno? Così tante volte l’aveva sognata, aveva sognato la sua tenerezza e la sua passione, la sua anima e il suo corpo... così tante volte aveva ripercorso le sue memorie di lei, che non era forse possibile che il sogno avesse macchiato il ricordo, trasformando ciò ch’ella era in ciò che lui sognava ch’ella fosse? La sola idea che un sogno, un’immagine di fantasia, potesse intaccare il suo ricordo di lei lo dilaniava, minacciando quasi di ucciderlo e così riuscire dove molte mani d’uomo avevano fallito.

E del resto erano anni, anni e anni che non la vedeva! Anni che non la toccava, anni che non ascoltava la sua voce, anni che non assaporava le sue labbra e il suo corpo, anni che non guardava la luce dei suoi occhi!

No!

L’urlo sembrò immobilizzare tutto, spegnere ogni vita; la nera foresta intorno a lui si fece silente davvero, in quel momento, e quegli atroci dubbi cessarono di risuonare come folli campane a morto nel suo animo.

“No.”

No, non l’aveva dimenticata; non l’aveva trasformata in un sogno; non aveva perso ricordi per guadagnare fantasie. Era vero, tante volte l’aveva immaginata ancora viva, cercando di pensare a come sarebbe stato averla accanto; a come la sua avrebbe continuato a essere vita, e non ciò che passava allora. Infinite volte l’aveva sognata, dai momenti di più grande passione a quelli di più serena quotidianità. Ma mai... mai aveva permesso ai suoi sogni di intaccare le memorie: lei rimaneva intatta nel suo cuore, non un’ombra di meno, non un sorriso di più.

E lui non avrebbe mai smesso di cercarla, per nessuna ragione di nessun mondo, quello umano come quello divino: avrebbe attraversato gli oceani del tempo per trovarla, e ci sarebbe riuscito.

Ricominciò a scivolare tra quella vita camuffata di morte che era la foresta, mentre essa lentamente si arrischiava a svegliarsi, fermata dall’urlo di quell’essere così innaturale. L’amore che egli aveva conosciuto, lo sapeva fin d’allora, era stato totalizzante. Nel dolore e nel piacere, era stato amato e aveva amato fino ai limiti delle possibilità umane, anzi sia lui che la sua Elisabetta li avevano superati: lei aveva dato la vita, lui la morte. E non se ne sarebbe mai pentito: avrebbe vissuto per l’eternità, cercando quell’amore che troppo presto gli era stato negato, e l’avrebbe trovato! E dopo, solo l’eternità sarebbe stata davanti a loro, solo essa li avrebbe attesi, un’eternità del loro amore e della loro passione... niente e nessuno, nemmeno quel Dio ingrato e cieco che aveva creato una legge tanto terribile quanto assurda, nemmeno lui li avrebbe mai separati.

“La sua anima non può essere salvata. Ella è dannata. È la legge di Dio.”

Ah ingratitudine, divina ingratitudine! Un dio che si professava come il buono, il misericordioso, il padre pronto ad accogliere ogni figlio perduto, quello stesso Dio era così ingrato e pieno di risentimento da negare a una sua figlia la salvezza! Che ne era dell’amore, tanto predicato dai suoi penosi sacerdoti, che come fedeli cagnolini dalla lingua penzolante seguivano e ascoltavano ogni più ottusa idea scritta su quel maledetto libro? L’amore, l’amore non era parte di quella religione, costruita su vendette e odi antichi quanto quel testamento... lui lo sapeva bene, lui che conosceva l’amore, che l’aveva ricevuto, provato, vissuto. Ma non era quello il momento dell’amore. Quello era il momento dell’attesa... attesa che si protraeva nell’eternità, che per chissà quanti anni, forse secoli, forse addirittura millenni, si sarebbe allungata come un’ombra al tramonto, e si sarebbe fermata solo quando avrebbe potuto finalmente riavere il suo amore... per poi vivere con lei, nel buio, nell’eterno.

Ma quello sarebbe stato dopo. Adesso aveva un’attesa davanti e l’avrebbe passata in qualche modo; quello che più lo attraeva, che più poteva stuzzicare il suo cuore assetato di vendetta, era il disonorare tutte le possibili leggi che quel Dio tanto odiato aveva posto sul mondo. E già la più importante e annichilente per l’uomo, la morte, era stata carpita e trasformata, rendendo la sua vita una morte, rendendo la morte del corpo quella dell’anima: per l’eternità, per sempre sarebbe vissuto, in barba alle leggi di quel Dio!

Tuttavia, ancora non bastava: c’era bisogno di qualcos’altro, di qualcosa di peggiore, che potesse far pentire Dio di averlo messo al mondo senza la possibilità di vivere ciò che meritava... il Conte si passò la lingua sulle labbra livide, mentre guardava gli alberi della foresta diradarsi nel buio del villaggio: il sangue, il sangue che era vita per tanti esseri viventi, che era vita addirittura per lui, era vicino. Dischiuse le labbra, aspirandone l’odore dolce e amaro insieme per le sue narici ormai sensibilissime; i canini aguzzi e orribilmente allungati, capaci di perforare le carni che l’avrebbero dissetato con il loro siero rosso, rilucevano nell’oscurità, bianchi contro la nera figura nella notte. Silenzioso come la sua ombra, che lo aveva preceduto e gli faceva strada tra le case, si aggirò non visto, tra quelle grezze mura di pietra; sentiva i cani cominciare a guaire, i più coraggiosi tentare quasi di abbaiare per difendere i padroni, ma presto anche loro finivano per rintanarsi nei propri angoli, accucciati e tremanti di fronte all’oscurità del Conte: sì, erano davvero simili ai sacerdoti di quell’inutile Dio!.. e come loro, e come quel Dio, erano utili solo alla vendetta del vampiro, capaci solo di guaire e tremare nel loro terrore.

L’ombra era sparita, scivolando nella piccola finestra di una capanna, chiusa da assi di legno povere quanto inutili; il proprietario di quell’ombra presto la seguì, ritrovandosi in una stanza piccola, irrilevante e banale, ma l’essere se ne sentì riempito: c’era sangue pulsante in quella camera, sangue vero, sangue vivo! I denti acuminati sembrarono quasi brillare sotto il suo leggero ansimare, mentre si avvicinò al suo pasto: una giovane fanciulla dormiva, il volto quasi tranquillo in quell’oscurità, circondato dai capelli neri scomposti sul cuscino.

Il mostro si chinò su di lei, sfiorandola appena e aspirandone il forte odore di sangue, di vita, di cibo: lei si mosse appena, il sonno turbato, e lui calò gentilmente su quel collo ora scoperto; e finalmente eccolo, il sangue nella sua gola, finalmente poteva sentirlo! E più la ragazza si agitava, sveglia, più cercava di divincolarsi, più il sangue si riscaldava, diventava bollente, mentre lui la bloccava con le mani, le gambe, tutto il corpo, e la mordeva ancora e ancora...

Eppure, dopo pochi attimi di muta lotta, i suoi denti si staccarono da quel lieto banchetto, mentre l’assassino squadrava la sua preda: ella, silente, boccheggiava nell’oscurità, muovendosi sotto di lui quasi a cercare il suo corpo, e un’idea lo colpì. Avrebbe trasformato una donna in un altro vampiro... avrebbe condannato qualcun altro a quell’eterno uccidere e dissanguare, e sarebbero stati due i mostri a insultare Dio con la loro stessa esistenza!

O chissà, forse più di due, rifletté sfiorando il viso della giovane ancora boccheggiante. Mi prenderò più di una sposa, per sostituire quella che mi hai tolto, Dio... le renderò come me, sacrileghe. E poi, quando la troverò, mi riprenderò la mia amata, e di loro non m’importerà più nulla... del resto non saranno mai principesse, ma solo ancelle...

L’idea gli illuminò il volto insanguinato di una luce sinistra, e si avvide che la ragazza lo guardava ora, terrorizzata: le calò fulmineo sul volto, rubandole velocemente ogni goccia di sangue, saziandosi più che poté di quel dono inconsapevole della generosa ragazza. Certo lei non poteva essere una delle sue spose; ci volevano donne all’altezza per un tale compito, abbastanza belle da poter essere al suo cospetto e abbastanza buone da poter essere distrutte dal suo orrore. Come sapeva essere dolce, la vendetta... dolce quasi come il sangue.

Silenzioso com’era venuto, uscì dalla capanna, direttamente nella notte: leccandosi le labbra tinte di rosso, guardò in alto, a quel cielo che una volta gli era stato d’ispirazione per pie preghiere e dolci canti d’amore. Una risata si fece strada nel silenzio rotto dai guaiti dei cani, allora, una risata che null’altro era se non una nuova promessa di vendetta e un disperato tentativo di non guardare alla propria miseria, mentre le nuvole del cielo si spaccavano a mostrare una luna insanguinata.

 

 

***

Caro Lettore,
Ho scritto questa storia come regalo di compleanno per una mia amica, ma mi è stato detto che è venuta bene anche se il fandom non è di mio gusto. Vorrei solo aggiungere che io, non conoscendo Dracula o comunque conoscendolo poco e male, sono tranquillamente disposta a ricevere qualsiasi tipo di critica. Anzi mi farebbe piacere, soprattutto se in ambito scrittorio :P
Detto ciò, ti lascio a qualsiasi cosa tu stessi facendo prima di soffermarti qui. Grazie per la lettura :)
Key

   
 
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