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Autore: Black Ice    08/05/2011    2 recensioni
Un concerto come tanti, una chitarra come tutte le altre e persone di sempre, mentre sentimenti striscianti si insinuano in questo normale paesaggio pronti a cambiare qualcosa.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Christopher Wolstenholme, Dominic Howard, Matthew Bellamy, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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12 Novembre 2009

Mancavano circa due ore al concerto, e già sentivo qualche coro levarsi da sotto il palco. Non riuscii a capire quale canzone avessero storpiato per poi metterci dentro parole piene d'attesa e di ansia, e sinceramente, ne avevo piene le palle.
Come riuscissi ad andare avanti, me lo chiedevo spesso anch'io.

Risate nervose da ogni dove, risate felici di chi sta per vedere il proprio mito esibirsi a pochi metri da sè e rendersi conto, in quel preciso momento, che nulla è più importante. La fame, la sete e il caldo lasciano posto all'ansia e all'immensa felicità che scorrono in te come sangue e, come il sangue in una ferita profonda, zampillano fuori, andando a contagiare la gente che sta intorno. Così si crea una lunga catena dorata, che lega le persone presenti in quello stadio per un unico e importantissimo motivo.
Questo motivo, finalmente ottenuto. La lotta contro cose più grandi, contro cose che non pensavi neanche di poter essere in grado di superare, ma, alla fine di tutto, di fronte al tuo sogno quei muri di cemento diventano veli d'aria e quindi li superi, e la meta si rivela ancora più bella ed emozionante di quanto te l'aspettavi, di quanto speravi.
Strano come delle vite così diverse girino tutte attorno ad uno stesso perno, come fratelli.
Ma, in fondo, cosa ne potevo sapere io? Non avevo mai fatto parte del pubblico, non le avevo mai vissute in passato e non le avrei mai vissute in futuro, quelle emozioni.

Loro erano lì per me.

Mi passai una mano fra i capelli e mi trattenni dall'accendere una sigaretta.
Quella dannata poltrona rossa era scomoda come poche. Sbuffai, poggiando la chitarra a terra e andandomi a prendere una bottiglia d'acqua.

All'improvviso odiai tutto ciò che mi stava intorno. Da quello stupido specchio davanti a me a quell'inutile chitarra alle mie spalle. Odiai quella penna, l'aria che respiravo e quel dannato universo.
E odiai la persona che entrò fischiettando in quella stanza.

"Heilà, pronto?" Mi chiese la voce nota del mio bassista.
Annuii alzando e abbassando impercettibilmente il capo, accompagnando tutto da una specie di grugnito.
Chris mormorò qualcosa che non riuscii a sentire e si avvicinò alla poltrona rossa, quella scomoda per intenderci.
"Hai accordato le chitarre? Tra poco si và in scena." Disse senza un particolare entusiasmo.
Prese in mano la Manson nera e suonò qualche nota. Guardò corrucciato la fonte del suono appena prodotto e alzò il capo a guardarmi, con un espressione impassibile in volto.
No che non le avevo accordate, non riuscivo. Avevo solo bisogno di una pausa, di pensare, dormire, pensare e dormire ancora. Nulla di più.
"Matt, fra neanche due ore c'è il concerto. Mettiti ad accordare queste chitarre, e poi canta. Metti la tua solita energia nelle canzoni, falsala pure se vuoi, ma fallo. Dopo avrai tempo, tutto il tempo che vuoi, Matthew."
Era sempre stato un bravo mentore, Chris. Aveva il potere di farti credere per dieci secondi che quello che diceva lui era la cosa giusta, e in quei dieci secondi tu ci provavi davvero a ripartire, ma poi, chissà come e chissà perchè, ricadevi nella situazione precedente.
Mentore a breve termine, ecco.
"Il tempo!" Sbottai rovesciando praticamente tutta l'acqua rimasta nella bottiglia per terra, "Una delle cose più stupide mai inventate! Dillo a lei che c'è un sacco di tempo per tutto, dillo tu a lei dato che io più le provo a parlare e meno mi considera! E il bello è che mi ha lasciato con uno stupido messaggio sul cellulare, senza spiegazioni!"
Forse ero l'unica persona al mondo al quale questi sfoghi non facevano per niente bene. Ammetterlo e gridarlo al mondo mi dava un senso di irrimediabilità, come se nulla potesse cambiare. Come se l'insetto che mi rodesse dentro non fosse più, come speravo, solo una mia immaginazione, ma fosse la crudele realtà.
Stette in silenzio di fronte alle mie grida, guardandomi con un misto di compassione e dolcezza che mi fece ancor di più salire i nervi.
Presi un respiro profondo cercando di calmarmi. Urlare non mi sarebbe servito a niente.
"Hai una sigaretta?"
Mi guardò con ancora più compassione.
"Matthew."
"Chris. Per favore."
"Sai che non va bene per la voce.." Mormorò.
"Chris, per favore.", ripetei, "Risparmiami la predica."
Si arrese e con un sospiro mi tese il pacchetto appena tirato fuori dalla tasca della felpa con un accendino. Mi accesi la sigaretta e inspirai: in certi casi non c'è niente di più rilassante.
"Se hai bisogno mi trovi nel mio camerino." Disse lui dopo poco, uscendo dal mio.
Annuii vedendo già esaudito il mio desiderio di stare da solo. Stavo giusto chiudendo a chiave quando la mano di Dominic mi impedì di farlo.
Alzai gli occhi al cielo, "Ma minchia."
"Ti ho sentito gridare." Proferì con un aria seria che molte volte aveva quel non sò che della spensieratezza dei bambini.
"Non sarai stato certo l'unico." Risposi acido.
Sorvolò, "Per Erin?" Mi chiese a braccia conserte.
Annuii, e mi resi conto che non stavo facendo altro che quello.
Sospirò battendosi le mani sulle cosce in un gesto di disperazione estremo e si sedette poco composto, com'era suo solito, sulla poltrona.
"Ricordami quando ti ha lasciato."
Lasciato. Quella parola atterrò su di me come un macigno, schiacciandomi.
"Tre."
"Tre cosa, giorni?" Disse con un sorriso beffardo sulle labbra.
Quello stronzo sapeva già la risposta e stava facendo così per farmi sentire ancor di più una merda.
Di fronte al mio silenzio continuò: "Ovvio che no, non tre giorni.", si rispose da solo, "Sono tre settimane Matthew. Tre settimane che ti devi dare una svegliata e guardare avanti. E, a proposito, spegni quella merda." Mi disse indicando la sigaretta tra le mie labbra.
Lo guardai per un istante e poi obbedii, spegnendola nel portacenere.
"Vorrei soltanto parlarle." Gli mormorai.
Mi guardò benevolo e lo sguardo gli cadde sulla chitarra. "L'hai già accordata?", cambiando totalmente discorso, "Và che manca poco."
Ma tutti con 'ste dannate chitarre?
"Si, si." Mentii, quasi liquidandolo. Dovette cogliere quella sfumatura tra le mie parole al volo perchè si alzò e andò alla porta, e un attimo prima che uscisse si voltò.
"Non sono più così sicuro di aver fatto la cosa giusta. In questo caso, scusami Matthew." Disse. Si voltò e scomparì dalla mia vista.
Mi sarebbe tanto piaciuto cogliere il senso di quelle parole. Qualche volta se ne veniva sù con delle frasi fatte che non c'entravano assolutamente nulla col discorso in corso.
E, in effetti, non dovetti aspettare molto prima che il senso di quelle parole mi si rivelò chiaro come la luce del sole.

La vidi entrare nel mio camerino come un angelo, i capelli corvini che le svolazzavano attorno. Ma prima della vista, il senso che la percepì per primo fù l'olfatto. Sentii il suo profumo un attimo prima che entrasse; un profumo buono, intenso, che sapeva di tutte le cose belle che c'erano sulla faccia della terra.
Non un sorriso sul suo volto da regina, non uno spasmo involontario che mi facesse capire quanto le ero mancato, e sopratutto se.
"Erin." Sussurrai accennando un sorriso.
La rabbia, la frustrazione, la stanchezza. Tutto lasciò posto all'improvvisa e inaspettata felicità che mi pervase il corpo, dall'unghia del piede fino all'ultimo capello.
Il viso le sembrò addolcirsi per un attimo, per poi ritornare duro come prima.
Abbassò lo sguardo.
"Mi ha praticamente costretto Dominic a venir qui." Disse, lisciandosi le pieghe del cappotto nero. Non mi guardava neanche in faccia.
E quindi tanti saluti alla felicità.
Per un attimo divenne tutto nero e sentii la gioia strisciare via da me, assorbita dal pavimento e destinata a non rivedermi più.
"Vuoi dirmi che se Dominic non avesse fatto niente mi avresti lasciato così? Con uno stupido messaggio sul cellulare?"
"Matthew, possibile che non capisci?"
"No, non capisco! Non capisco perchè non ci si può parlare come due persone normali, perchè non è tanto il fatto che tu mi abbia lasciato, ma il come! E poi non ti fai sentire più, naturalmente. Tutte le mie chiamate che ignori, i messaggi che fai finta di non leggere. Perchè io sò che li leggi, sai? Come sapevo quando avevi fatto qualcosa di sbagliato e volevi farti perdonare, come sapevo quando eri stanca, non ne potevi più e io ti ero sempre accanto!"
"Matthew, smettila." Disse lei, vacillante.
"Si," Le risposi calmandomi improvvisamente e cogliendo l'espressione sorpresa sul suo volto " si, la smetto. Ora voglio sapere perchè."
Si riprese in un attimo, come sempre. Ricompattò l'espressione fiera, quella antica, quella grezza, e si portò i capelli dietro l'orecchio.
"E' stato circa tre mesi fà che ho capito che non potevamo più continuare. Tu eri cambiato, me lo avevi detto tu stesso, Matthew. E non eri felice. Questo non l'hai mai detto ma lo vedevo nascosto fra le parole che mi dicevi, o che dicevi alle persone intorno a te. E a quel punto ero stanca pure io, sai? Non ce la facevo più, e tu avevi questo tuo stramaledettissimo tour che ti portava via anche mesi. E.. è finita." Concluse.
"Ma quel cazzo di messaggio come me lo spieghi?"
Mi guardò con negli occhi una specie di supplica.
"Non ce l'avrei fatta Matthew, nessuno dei due ce l'avrebbe mai fatta."
I suoi occhi grigi dei quali mi ero perdutamente innamorato ora non erano nient'altro che superfici riflettenti, stupidi e banali specchi di cui non avevo bisogno.
"Vai."
"Cosa?"
"Vai. Esci da quella porta e ricomincia una vita."
"Matthew, tu-"
"Io starò benissimo, grazie.", la interruppi, duro. "Ho capito giusto ora che non sono riuscito a fare una cosa giusta in un tempo così lungo che mi devo riscattare iniziando da questo preciso momento. E ti dirò di più: mi sento benissimo. Ora, per favore, lasciami preparare."
Le sorrisi. Un sorriso normale, di quelli di cortesia.
Non c'era rimpianto da parte mia, nessuna traccia di quei sorrisi che un tempo riservavo solo lei e che ora erano stati rinchiusi in un cassetto chiuso, in attesa della chiave giusta che li avrebbe potuti far maturare di nuovo.
Non se lo aspettava. Me lo dicevano le sue mani che si torturavano a vicenda.
"Allora ciao Matthew."
"Addio Erin."
Girò i tacchi e uscii dal mio camerino.
E finalmente, da un tempo indefinito ma sicuramente molto lungo, mi sentii libero. Libero come quando feci la mia prima pazzia, senza pensare alle conseguenze.
Libero di stare da solo assieme al mio unico amore eterno, quello che non mi avrebbe mai abbandonato.
E quell'amore aspettava di essere aggiustato per esprimersi al meglio, per espandere tutto l'amore che conteneva dentro, verso l'esterno, a quei cuori che stavano tutt'ora aspettando pazienti sotto un palco.
Presi in mano quell'amore e, finalmente, lo accordai.

 

Quella sera successe una cosa che non passò ignorata alle orecchie delle persone che assistettero a quel concerto, anche col pensiero.
Forse è giunta anche a voi la notizia che quella notte una frase di una canzone è stata cambiata.
Un "Since I met you" trasformato in un "Since I lost you".

Avete fantasticato sul motivo, prendendo in considerazioni avvincenti fughe d'amore o alieni catapultati sulla terra.
C'è chi si è avvicinato molto perchè nel complesso lo sapeva già, tutto grazie a quel filo dorato che sembra legare i pensieri di tutti noi con quella che effettivamente è la realtà.
La verità che sappiamo cogliere dietro un loro occhiata o un sorriso, quella che se neppure ci ragioni sai già che è effettivamente quello che è successo, quel sesto senso che ti guida già sulla via giusta.
Perchè ormai siamo legati. Tutti noi siamo legati a loro e anche se nessuno ce ne dà la conferma, sappiamo descrivere nel minimo dettaglio ogni singola cosa che li circonda; e ogni cosa che vedono, beh, noi la vediamo riflessa negli occhi della nostra mente.
Mente, poi, della quale non si riesce ancora bene a definire una linea netta che la divida dal cuore.

Ma, alla fine di tutto, sapete, solo quello che avete appena letto è la verità.



~
'Arieccome! :D
Che dire, questo è quello che la mia immaginazione ha prodotto di fronte a quel 12 Novembre nello stadio di Londra, tranne per il fatto che Erin è uscita di sana pianta da me medesima (e me ne assumo tutte le responsabilità u.ù), e non mi sono attenuta alla "realtà" di base.
Come sempre, grazie a chi leggerà questa storia e a chi mi darà un suo parere :D
Riassumo in un unico grazie collettivo tutti i grazie che ho detto in questi giorni in diverse occasioni e/o a diverse persone.
GRAZIE.
Ne dedico uno speciale a Amy Lee, che mi ha fatto piovere dal cielo come manna il giusto titolo e co-titolo (?) per questa storia, e un'altro a quei due artisti senza i quali non sò dove sarei ora.

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