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Autore: dardeile    08/05/2011    5 recensioni
Lily riceve una visita inaspettata, che la porta a chiedersi se avrebbe potuto fare qualcosa per salvare la persona che per tanto tempo aveva considerato il suo migliore amico.
[Prima Classificata al contest "Principesse Disney" indetto da Erigre.]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Lily Evans, Severus Piton
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Ti chiederai se è colpa tua

 

“Lo sanno da sempre,
lo sanno comunque per prime.”

 

C’è qualcosa di strano nell’aria, in questa giornata di Ottobre. Se qualcuno me lo chiedesse, non saprei spiegarlo, ma è una sensazione che mi accompagna da quando ho aperto gli occhi, tre ore fa. Ne ho parlato con James, ma lui ha detto che sono paranoica, che sono gli ormoni di ogni donna che è diventata madre da poco. Istinto materno, l’ha chiamato. Ma io so che non è quello, è qualcosa di interamente diverso, qualcosa che non ha a che fare con Harry.

È una sensazione di generale pericolo, quella che provo. Pericolo per me, per mio marito, e sì, anche per mio figlio. La sensazione che da un momento all’altro qualcosa possa far del male alla mia famiglia. Qualcosa, o qualcuno.

La tonalità del cielo è quella dell’alba, tra il rosa e il blu; non c’è nemmeno una nuvola che lo puntelli di bianco: sopra di me, solo una distesa di sereni pastelli che sono incredibilmente in contrasto con il mio turbamento. Come se la Natura cercasse di parlarmi, di dirmi che quello che provo non è nulla.

Nel giardino di casa mia, seduta su una sdraio, sento i rumori che provengono da dentro la villetta alle mie spalle. Mi volto e vedo James alla finestra, con una tazza in mano ed i capelli scompigliati. Gli sorrido, e lui solleva una mano e, con un cenno, ricambia. Sto per alzarmi e raggiungerlo, quando lui scuote la testa e mi fa cenno di rimanere seduta; non c’è più bisogno di parole, fra noi. So che mi sta regalando qualche minuto di pace prima che il pianto di nostro figlio segnali l’inizio dei miei compiti di madre.

Così mi ristendo e chiudo gli occhi, ma solo per un secondo, perché il rumore di rametti secchi che si spezzano interrompe la mia apparente quiete. Apro gli occhi e balzo in posizione seduta, guardandomi attorno. Sposto lo sguardo sulla finestra, James non è più in vista; quindi mi guardo attorno e per un attimo mi sembra di vedere qualcosa vicino al cancello. Un’ombra, un movimento,  qualcuno nascosto dietro il muro di mattoni.

Sono tempi bui. Lord Voldemort lavora nell’ombra, e non possiamo sapere di chi fidarci. Perché nascondersi, se si hanno buone intenzioni? Le mie dita scivolano sulla bacchetta che riposa al mio fianco, e delle scintille rosse sprizzano dalla punta al contatto, come se lei stessa abbia avvertito il pericolo. Mi alzo lentamente, di nuovo lancio un’occhiata alla finestra, ma James non si vede.

Siamo solo io e l’intruso.

“Chi sei?” chiedo, ma nella mia voce non c’è alcuna traccia di cortesia. “Identificati!” Forse solo paura.

Non ottengo risposta. Solo lo sventolare di un mantello, che indica che la persona è ancora lì, che ha sentito la mia voce, ma non vuole uscire allo scoperto. Prendo una sorsata d’aria, e con essa cerco di raccogliere tutto il coraggio che ho, e cammino in direzione del cancello, con passi lenti e misurati, vigile.

“Ho detto di identificarti!” ripeto.

Perché James non esce? Perché non sente la mia voce?

Sono a meno di un metro dalla persona che si ostina a nascondersi, pochi passi e la raggiungerò. Stringo la bacchetta con più forza, pregando che non sia l’ultima cosa che faccio. Con uno scatto giro l’angolo e punto la bacchetta verso l’intruso, che a sua volta la punta contro di me.

“Tu.”

Mi trovo, per la prima volta dopo anni, faccia a faccia con quegli occhi che mi hanno accompagnato per tanto tempo. Sono cerchiati, stanchi, però li riconosco. E proprio in virtù di questo, non abbasso la bacchetta. Anzi, la punto con più determinazione.

“Non voglio farti del male,” dice.

“Magari pensi anche che sia così stupida da crederti, Severus?”

Ad Hogwarts mi hanno insegnato tante cose. Quello cui nessuno ha mai accennato, è come comportarsi quando ti trovi faccia a faccia con la persona che un tempo era il tuo migliore amico, e che ora fa parte di quel gruppo di persone sanguinarie che combatte contro tutto ciò che io ho a cuore.

“Mi basta un gesto, e sarai circondato dall’Ordine della Fenice.”

“A me basta ancora meno, e sarai circondata da Mangiamorte.”

Gli occhi mi scivolano sul suo avambraccio.

“Cosa vuoi?” gli chiedo. “Perché sei qui, se non per ordine del tuo padrone?”

Non risponde, esita; poi fa qualcosa che non avrei mai immaginato. Abbassa la bacchetta e la ripone sotto il mantello, lasciando che io sia in vantaggio. Mi guarda, e poi guarda la mia bacchetta. Forse si aspetta che la abbassi anch’io, ma non succederà. Non posso fidarmi, non più.

Anche se lo vorrei.

“Che cosa vuoi, Severus?” ripeto. La mano mi trema, lo vedo dalla punta instabile della bacchetta.

Severus sospira e scuote la testa. “Avvertirti.”

“Di cosa?”

Per un attimo sembra ponderare quello che deve dire, pesare le parole, come se non volesse lasciarsi andare. Come se quello che sta per dire fosse immensamente più grande di lui.

“Quando Silente verrà da voi, e mi aspetto succederà a breve, voglio che tu ricordi che… Non credevo fossi tu. Credevo fosse qualcun altro, ma lui è convinto che sia tu. Ho provato a persuaderlo, ho provato a convincerlo che si tratta dei Paciock, ma non è servito.”

“Tu stai delirando!” esclamo.

“Capirai, a suo tempo,” sussurra. “Non ho mai voluto farti del male.”

Sono senza parole. In parte perché il mio cervello sta ancora cercando di decifrare l’avvertimento che mi ha voluto dare, e in parte perché non riesco a credere che nonostante tutto sono così stupida da provare ancora affetto per una persona che si è rivelata l’opposto di quello che credevo.

Anche ora, mentre mi porta presagi di pericolo, non riesco a non pensare ai giorni in cui eravamo io e lui, quei giorni in cui credevamo che la nostra amicizia sarebbe durata per sempre. Quei giorni in cui Severus era tutto ciò che avevo.

“Pensi che ti lascerò andar via?” dico. “Sei un Mangiamorte! Devo consegnarti!”

“Non lo farai,” dice, con la voce rasserenante che mi ha accompagnata per tanto tempo. “Dovresti, ma non lo farai.”

“Tu pensi?” esclamo, in tono di sfida.

Lo so che non lo farò.

“Ti conosco,” continua. “Mi lascerai andare, e passerai il resto della giornata a chiederti cosa avresti potuto fare per evitare che oltrepassassi il confine tra il bene e il male. Ti chiederai se è colpa tua, ti chiederai se per tua sbadataggine tu abbia potuto mancare qualche piccolo dettaglio, qualche grido d’aiuto, qualcosa che ti poteva indicare già da allora quello che sarebbe potuto succedere. E poi arriverai alla conclusione che hai fatto tutto il possibile, che io ho fatto le mie decisioni, le mie scelte, mentre tu hai fatto le tue. Che siamo su due strade parallele e opposte, bianco e nero, e che il passato non può essere recuperato. Però, prima di addormentarti, chiuderai gli occhi, e capirai che dopotutto la nostra amicizia era importante, e che in qualche modo ti manca.”

Severus non è mai stato particolarmente loquace, né diretto, ed è per quello che vengo presa alla sprovvista dal carico emozionale di ciò che dice, ma soprattutto da quanto, nonostante il tempo trascorso, egli mi conosca ancora meglio di qualsiasi altra persona.

Abbasso la bacchetta anche io, ed un sorriso sereno appare sul suo volto per un secondo, prima di voltarsi e cominciare a camminare nella direzione opposta. Lo guardo allontanarsi, seguo la sua ombra sulle strade bianche ancora deserte. Quando è abbastanza lontano, prendo coraggio.

“Avrei potuto?” grido.

Si volta e mi guarda, confuso.

“Fare qualcosa?” spiego.

Rimane immobile e silenzioso per un minuto, poi alza la testa e la scuote, rassegnato. Poi una giravolta, e sparisce.

Sapevo che sarebbe successo qualcosa. Lo sentivo.

  
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