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Autore: Kurokami    09/05/2011    2 recensioni
Cosa sarebbe successo....se Sasuke fosse stato una ragazza, Sasuko? me lo sono chiesto, ed è uscita fuori questa fanfiction.
AVVERTENZE: non ho ancora ben delineato tutta la trama, per cui potreste trovare alcuni spoiler. se è possibile, cercherò di segnalarli anche sul testo. grazie a chi ha già recensito, o recensirà! ^^
Genere: Azione, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sasuke Uchiha, Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Naruto prima serie, Naruto Shippuuden
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- Questa storia fa parte della serie 'Sasuke....in rosa. '
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Corri. Corri, impaurita. Ci sono cadaveri intorno a te, i tuoi stessi parenti. Tu sai che dovresti correre nella direzione opposta, salvarti, avvertire gli altri ninja: ma pensi ai tuoi genitori, a Itachi. Hai paura per loro, più che per te stessa. Soprattutto per tuo fratello: tu adori il tuo nii-san. Moriresti, senza di lui.

Arrivi davanti alla porta di casa, chiami i tuoi genitori: ma una voce indistinta ti dice di non entrare.
E tu hai sempre più paura, tremi: povera piccola, cosa potresti fare, hai appena sette anni…no, non entrare, perché? E se  poi te ne penti?

Ma tu lo fai lo stesso: senza smettere di tremare, apri la porta di casa.
E ti verrebbe voglia di urlare.
I tuoi genitori sono a terra, in un lago di sangue, e dietro di loro c’è…c’è…
Itachi.


È qui che per te ha inizio l’inferno, piccola Sasuko, hai sette anni, sei solo una bambina.
Ma proprio perché sei una bambina, riesci a provare solo sentimenti puri, schietti: e proprio per questo riesci a odiare tuo fratello, il tuo caro e dolce nii-san, come solo un bambino sa fare.
In fondo, lui ti ha tradita, ti ha ferita, sia nel corpo che nello spirito: tuo lo adoravi, e lui…lui ti ha distrutto la vita.

Ma tu ti rialzi Sasuko, ti rialzi: perché vuoi dimostrare al mondo che non sei debole. No, tu sei forte Sasuko, ce la farai.


Impegnati, uccidi tuo fratello, Sasuko.

O il seguito non sarà divertente per me.

 

 

 

 

 

 

Prologue.






Non sono una ragazza paziente. Mi basta una frase, un’azione inopportuna, e sono capace di distruggere qualunque cosa intorno a me.
Odio, odio, odio che qualcuno mi giudichi, parli male di me o delle mie origini. Perché sono soprattutto le mie origini il mio maggior handicap, quando si tratta di relazionarmi con la gente. Basta che sentono il mio cognome, e iniziano a maneggiarmi con le pinze, intimoriti da ciò che quel maledetto appellativo comporta.
Basta pronunciarlo, e subito tutti si mettono in guardia; certo, inizialmente, quando ero poco più di una novellina, mi faceva comodo, ma adesso mi ha davvero stufata.
Prima addirittura mi pavoneggiavo, quando potevo permettermelo, ma adesso, ogni volta che mi presento, non pronuncio più il mio nome con quel piglio arrogante e sfrontato che avevo.
Ma ciò non mi aiuta comunque: sono pur sempre io, Sasuko Uchiha, una degli ultimi sopravvissuti del “glorioso” clan Uchiha.

 

La mia storia è un po' complicata…no, è molto complicata. Come in fondo lo sono un po' tutte le storie che riguardano il clan Uchiha: intricate, indissolubili matasse, fatte di intrighi, inganni, fratricidi e assassinii di ogni genere. Roba che solo un sadico omicida riterrebbe normali.
Insomma, se quando ero più piccola ritenevo fosse una fortuna essere nata nel clan Uchiha, adesso la ritengo una maledizione.


Ed è stata proprio causa di tutte le mie sofferenze, Madara Uchiha, ad aprirmi gli occhi sulla verità sulla mia famiglia.
Ero legata come un salame, con la schiena appoggiata contro quel muro ruvido e gelido, il corpo tutto un dolore, e con lui che non la smetteva di parlare: parlava, parlava, rigettando fiumi interi di parole, mi ossessionava con quella sua parlantina, quelle sue pause a effetto che mi facevano soltanto venire un prurito alle mani, tanta era la voglia di liberarmi da quelle corde, e strangolarlo.
Raccontava, diceva cose che mi facevano raggelare il sangue, che mi facevano venir voglia di scappare da lì, tornare a Konoha dai miei amici, piuttosto che continuare con quella infinita tortura. E sentivo di nuovo quella orribile bestia graffiare con prepotenza dentro di me, la quale avevo sperato non mi perseguitasse mai più: l’odio.

 


Ecco, qualsiasi discorso faccia, ritorno sempre lì. Ormai lo so, non mi abbandonerà più, rimarrà sempre lì, rintanata in un angolo, pronta a farsi di nuovo strada fra le mie emozioni.
Ma adesso ritorniamo da dove avevo lasciato, ossia la mia storia.


Innanzitutto, da quando il mio clan è stato distrutto dal mio stesso fratello maggiore, ma anche prima di ciò, mi spacciavo per un maschio, presentandomi sempre come Sasuke.

Inizialmente, facevo questo per pura emulazione di mio fratello, ma poi è diventata quasi una patologia: ancora adesso non mi spiego perché lo facevo. Forse, il mio essere donna mi faceva sentire debole e inutile, come reputavo le mie compagne: superflue, frivole ….era così che vedevo tutte le bambine della mia età, soprattutto dopo la morte dei miei genitori.
Con i maschi mi ci trovavo meglio: mi sentivo più come loro, indipendente, forte....
Certo, il fatto che mi sia sempre spacciata per un maschio presentò anche degli aspetti che una bambina di sette anni non poteva prevedere, visto che ben presto le ragazze si presero delle cotte assurde per me, e i maschi iniziarono ad invidiarmi per le mie capacità.

Ma in fondo mi era sempre andata bene così. Non pensavo alle conseguenze delle mie (spesso stupide) azioni.


Dopo il mio diploma all’Accademia, come hanno l’obbligo di fare tutti i neo-diplomati, entrai a far parte di un gruppo, formato da una delle mie spasimanti più sfegatate (cosa che non poteva darmi altro che noie) Sakura Haruno, Naruto Uzumaki (noto all’epoca come lo scemo), e Kakashi Hatake (sul quale il mio primo giudizio fu: “Ma è davvero un jonin?”).
La mia seconda famiglia: sì, è così che li reputo adesso.

Soprattutto Naruto, è sempre stato come un fratello, per me. Nei primi tempi non lo sopportavo proprio.
Ma in seguito, quando ho saputo che anche lui aveva patito praticamente le mie stesse sofferenze, lo guardai con occhi totalmente diversi.
Diventammo amici, ci aiutammo a vicenda: lui mi salvò la vita innumerevoli volte, come io a lui.

 

Fu il primo a scoprire la mia vera identità.
 

   
 
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