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Autore: biondich    09/05/2011    0 recensioni
"Senza Umanità, non vi è né virtù, ne vero coraggio, né gloria duratura. Dove ha lasciato la tua, Damon?"
Damon Salvatore ha qualcosa da confessare a Helena Gilbert, ma non ne ha il coraggio.
Riuscirà a ricevere la spinta giusta per buttarsi?
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Damon Salvatore
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il mondo si era tinto di grigio, da tempo, ormai. Grigio era il cielo sopra l’anonima e misteriosa Mystic Falls, grigie erano le acque delle cascate che scrosciavano poco lontane, grigie erano le sfumature negli occhi celesti di un vampiro cui il cuore si era fermato un’altra volta, dopo l’ennesimo mal d’amore.

Persino lo scotch nel bicchiere di cristallo, quel pomeriggio, aveva il colore del fumo. Ma forse, erano le lacrime nei suoi occhi a dargli quell’impressione.

Aveva pianto. Silenziosamente, privatamente, si era lasciato andare a quel crollo emotivo del quale si vergognava ma riconosceva la necessità.

Rifiutato una seconda volta, aveva toccato il fondo e sapeva che da laggiù, dove si trovava, sarebbe stato inutile riemergere.

Perché non era di lui che si era innamorata, Helena?

Perché non aveva scelto lui come destinatario del suo amore?

Perché non gli aveva dato fiducia?

Sospirò, prendendo un ultimo sorso di alcolico, sperando che fosse quello che gli avrebbe fatto dimenticare ogni cosa di lei. Ma nemmeno quella volta, ci riuscì.

Forse, non meritava di dimenticare. Avrebbe dovuto convivere con la consapevolezza di amare una donna che non sarebbe mai stata sua, perché non la meritava. Un peso che avrebbe dovuto sopportare per l’eternità e che sapeva lo avrebbe schiacciato, fino a distruggerlo.

Si alzò dal grande divano nella sala e si trascinò fuori dalla vecchia ed elegante pensione, deciso a voler continuare a sprofondare.

Forse se fosse precipitato più in profondità, nel buio più tetro, avrebbe smesso di vedere il viso infinitamente dolce e compassionevole di Helena.

Ma era questo il punto: quella che lei provava nei suoi confronti era compassione, era empatia, ma non era amore e mai lo sarebbe stato.

Il Mystic Grill, nella sua banalità, gli fece storcere il naso, quando lo raggiunse. Ma ormai niente aveva importanza; assecondò la sua gola che reclamava a gran voce il bisogno di sentire del Bourbon lungo le sue pareti, e prese un tavolo.

E fu in quel momento che la vide.

Al bancone, il terzo sgabello a partire dalla sinistra era occupato dell’esile figura di una ragazza che, con inusuale compostezza, leggeva il menù, accarezzando le pagine plastificate con delle pallide mani dalle dita affusolate.

Ed il vampiro, affascinato da tutto ciò che era bello, rimase catturato, mentre la meraviglia lasciava lo spazio alla curiosità.

Si avvicinò silenziosamente e si accomodò allo sgabello accanto, mostrandosi disinteressato e lanciando di tanto in tanto un’occhiata fugace al viso della giovane donna. Era bello, surreale quasi. Pelle diafana, grandi occhi blu, lineamenti delicati, di una singolare eleganza. E c’era in lei qualcosa di vagamente familiare.

Lunghi capelli color del miele incorniciavano quel volto pacato che non sembrava essersi accorto della sua presenza.

Il ché era così strano …

Poi Damon si accorse di un particolare che lo lasciò interdetto. Le mani della ragazza tenevano il menù al contrario, ma lei sembrava incredibilmente concentrata nella lettura.

“Buonasera”- lo salutò lei con cortesia, distrattamente. La vide girarsi appena, verso di lui, ma senza realmente osservarlo. Sorrise gentilmente, poi tornò a fissare la lista di ordini.

“Ciao, a te.”- rispose lui con voce roca e suadente, ammaliandola con un bel sorriso che, però, non ebbe l’effetto sperato - “Sono Damon. Tu sei nuova da queste parti. Saresti?”- e le tese affabilmente la mano.

Ma ancora una volta, lei lo ignorò, calpestando la sua autostima.

“Mi chiamo Georgiana, piacere.”- rispose tornandolo a guardare, con un tenue sorriso sulle labbra rosee. Forse colta dalla consapevolezza, tese timidamente la sua mano, in cerca di quella di Damon, ma non la trovò.

Fu il vampiro a guidarla verso la sua, ormai certo di una cosa.

Quella ragazza era cieca.

Fece finta di niente e tornò in quella conversazione, mentre valutava attentamente cosa fare di lei. Si sarebbe beato di lei oltre che del suo sangue o ne avrebbe tratto solamente la linfa vitale?

“E dimmi Georgie, cosa ci fa una come te, sola?”

“Una come me, come?”- domandò la giovane, totalmente estranea al tentativo di approccio dell’affascinante vampiro accanto a lei.

“Una bella ragazza come te.”

“Oh, perdonami, pensavo un ragazza cieca come me”

“La cecità non è discriminante.”- disse lui con tono grave, mentre prendeva un sorso di Bourbon, senza staccare gli occhi di dosso dalle iridi blu che osservavano, fisse, il legno del bancone.

“Lo è, quando ti impedisce di fare ciò per cui sei nata.”- lo disse con voce mesta, quasi fosse una confessione che le era sfuggita dalle labbra e che celava un mistero.

Damon non ne comprendeva il significato,né aveva voglia di scavare più a fondo. Aveva solamente voglia di fare quattro chiacchiere, si disse.

“Hai una bella voce, Damon. Una voce buona”- asserì lei, interrompendo il silenzio che si era creato. Ma non era imbarazzante; era come se entrambi si fossero fermati a riflettere, ognun per sé, sulla propria solitudine.

All’affermazione della ragazza, il vampiro sorrise, facendo oscillare il liquido ambrato dentro al suo bicchiere ed inalandone l’odore ambrato.

Buono … Raramente quell’aggettivo era stato accostato a lui. Era ovvio che quella ragazza non sapesse niente di lui e della sua vera natura. Altrimenti, ci avrebbe pensato due volte prima di definirlo “buono”.

“Oh, io non direi.”- sospirò malinconicamente, mentre, con un lieve cenno della mano, faceva segno al barista di riempirgli nuovamente il bicchiere.

“Eppure è così. Non te lo direi, se non lo fosse. Tendo a dire sempre la verità.”

“Tu guarda, io invece no. A me piace mentire. Se non mentissi, avrei un sacco di problemi.”

“Problemi di quale natura?”- domandò con innocente curiosità Georgie, cercando la cannuccia del suo mojito, sferzando l’aria con le esili dita.

Nuovamente, Damon guidò la sua mano verso la meta.

“Non capiresti.”- sbuffò, aggrottando la fronte, mentre la vedeva prendere un lungo sorso di drink. - “Non sembri molto capace di gestire la tua … situazione.”- era una semplice osservazione, non voleva essere offensivo. E poi, se anche lo fosse stato, non gli sarebbe importato. “Non sei cieca dalla nascita, dico bene?”

“No,ma è comunque successo molto tempo fa. Un incidente di percorso, un’azione sbagliata ed il mondo si è spento.”- sussurrò con quella voce eterea e dolce la ragazza, mescolando distrattamente il ghiaccio sedimentato sul fondo del bicchiere.

“È un peccato.”- commentò Damon con un sonoro sbuffo, ormai al quarto bicchiere di Bourbon. Gli occhi lucidi si posarono sul corpo di Georgie, esile ma tonico. Come se una folata di vento potesse spazzarla via, ma lei avesse la forza di resistere per l’eternità, senza mai consumarsi.

“E tu, Damon? Perché uno come te è qui tutto solo?”

“Uno come me, come?”- ghignò lui maliziosamente, sporgendosi leggermente verso di lei .

“Un uomo triste.”

“Ti sbagli.”- sbottò con un ringhio basso il vampiro, colpito in pieno - “Non sono triste. Ero venuto qui per trovare buona compagnia e, purtroppo, sono incappato in te.”

“Eppure, continui a parlarmi.”

“Devo essere particolarmente ubriaco, evidentemente.”- sbuffò tetro Damon, fingendosi infastidito.

“O forse, hai solo bisogno di parlare con qualcuno che non ti giudichi.”

“Chi sei tu per assurgere alla carica di confessore, in poco meno di venti minuti, ragazzina?”- sorrise lui, inclinando leggermente il capo verso un lato, osservando con innata curiosità quella figura eterea ed incredibilmente fuori da mondo, che lo affiancava.

“Oh, nessuno. Se vorrai, ti ascolterò, altrimenti buona serata, Damon.”- lei sorrise leggermente, mentre, lasciati cento dollari sul bancone per un semplice mojito, scendeva dallo sgabello.

Il vampiro sbuffò, sottraendo quel patrimonio dagli occhi avidi e disonesti del barista. Pagò di tasca sua e, silenziosamente, ripose la banconota nella borsa di Georgiana.

“Aspetta.”- Damon la bloccò per un braccio, costringendola a fermarsi - “ Sei qui in visita o hai intenzione di fermarti in città per un po’?”- domandò scettico, mentre osservava gli occhi blu di lei puntarsi verso la sua spalla destra. Si schiarì la voce e Georgiana inquadrò subito il punto da cui proveniva, orientando il capo più in su.

“Sei alto.”- constatò con un lieve sorriso, cercando approvazione nella direzione di sguardo - “Sarò qui domani sera, se vorrai parlare. Buonanotte Damon.”

“Non ci contare, ragazzina.”- le rispose il vampiro, accigliato e stranito da quel comportamento così misurato e insolito.

Un ultimo leggero sorriso garbato e quella ragazza alta ed esile si allontanò, facendosi strada con un vecchio bastone da passeggio, in parte arrugginito.

Quella Georgiana era troppo strana perfino per lui. Tagliata fuori da mondo, quasi non appartenesse a quel tempo, così diversa. Non valeva nemmeno la pena di ucciderla o qualificarla come “cena”.

Quella leggera distrazione che lo aveva fatto rivivere per poco più di mezz’ora scomparve, lasciandolo precipitare nuovamente in quel luogo buio e solitario che la sua mente era diventata.

E quella serata si concluse esattamente come era iniziata: con un vampiro destinato all’infelicità eterna e all’autocommiserazione. L’unica differenza era l’appagamento della Sete, grazie a due giovani turiste di Richmond.

Ma per quanto ancora sarebbe riuscito a sopportare lo stato di totale e indefessa frustrazione nella quale il suo animo versava, torturandolo con il silenzio?

Quanto ancora avrebbe taciuto i suoi sentimenti a Helena?

Quanto tempo, prima che esplodesse?

Era solo.

Avvolto nella sua arroganza, stretto all’ indifferenza, liscia come seta indiana, spesso soffocato dalla sua riservatezza, si sentiva orribilmente vulnerabile, là, nel dedalo di sentimenti che avvertiva accendere il suo petto, seppure di una luce fredda.

E vedere Helena, il giorno dopo, lo stravolse ulteriormente. Era a lui impossibile comprendere il perché di quel vortice di emozioni che lo travolgeva inevitabilmente ogni volta che avvertiva la presenza di quella ragazza. Lo spaventava.

Ogni singola parola dell’umana era una lama che si andava a conficcare in quel che restava del suo cuore, eppure, al tempo stesso, era l’antidoto ad ogni veleno. Ogni sguardo lo uccideva per poi riportarlo in vita, più forte di prima. Ma poi, le ferite si riaprivano, costringendolo a piegarsi, sotto il dolore lancinante del rifiuto.

Quella sera, tornò al Mystic Grill, ma non seppe spiegarsene il motivo.

E non si sorprese più di tanto nel trovare, al terzo sgabello dalla sinistra, la stravagante Georgiana ed il suo vecchio bastone da passeggio, rigidi nella loro compostezza, l’uno lo specchio dell’altra.

“È curioso. Non immaginavo che ci saremmo rincontrati, sai?”- esordì la ragazza, prendendo dal bicchiere davanti a sé un sorso di liquore e sorridendo, quando sentì dei passi vicini a lei.

“Scotch Bourbon, ottima scelta.”- commentò il vampiro, accomodandosi allo sgabello accanto e ordinando il solito. - “Ad ogni modo, nemmeno io immaginavo sarei tornato.”

“Forse hai davvero bisogno di parlare, non trovi?”

“Non ho nulla da dirti.”- sbottò lui, guardandola di sbieco e prendendo un lungo sorso d’ambra, poggiando rumorosamente il bicchierino sul bancone.

“Allora, perché sei qui?”- domandò Georgiana, inclinando leggermente il capo di lato, fissando la superficie di legno sulla quale poggiavano gli ordini. Il suo tono comprensivo lo infastidì.

“ Ho bisogno di soffocare la mia mente con dello scotch, così che cessi con il suo ciarlare. E se non la smetti di fare domande, dovrò affogare anche te.”

Lei sorrise misuratamente, ignorando la sua minaccia, forse nemmeno sentendola.

E di nuovo, ci fu silenzio.

Forse una quiete eccessiva, tanto intollerabile ché Damon decise di romperla.

“Tu cosa ci fai qui”-borbottò, fingendosi disinteressato, mentre osservava quei lineamenti che tanto lo avevano colpito per la loro particolare bellezza, così lontana, antica. Un quadro di altri tempi, si disse.

“ Sono stata rifiutata dall’uomo cui ero destinata ad appartenere. Mi ha scacciata da lui, come fossi un Male.”- rispose lei con naturalezza, senza che la sua voce mutasse intonazione o il suo viso si rattristasse.

Possibile che fosse un’anima affine, con un dolore così simile al suo?

“Ha fatto bene, chiunque egli sia. Sei insopportabile.”

Georgiana rise di gusto, con quella voce argentina e melodiosa che la contraddistingueva.

“Ti ho appena insultata, non dovresti ridere! Cosa c’è che non va in te?”

“ Sei buffo, quando nascondi le tue emozioni!”- sorrise lei con una vitalità che mai le aveva visto prima e che lo rasserenò, sebbene la conoscesse da così poco. Non doveva ridere poi così spesso, quella ragazza.

“Io non nascondo proprio niente.”- sbottò lui, colpito in pieno, mentre dissimulava l’espressione di sorpresa che gli si era dipinta sul bel volto regolare - “Soprattutto la mia antipatia nei tuoi confronti.”

“Deve averti ferito molto, lei.”- constatò Georgie con un velo di tristezza negli occhi vitrei che si puntarono, questa volta, esattamente in quelli azzurri e glaciali di Damon.

“Non so di cosa tu stia parlando.”

“La donna di cui sei innamorato, dico. Deve farti soffrire davvero tanto, per renderti così misantropo.”- insistette lei, prendendo una manciata di salatini e mangiandoli, uno ad uno, con svogliatezza.

“Non immagini nemmeno, come stiano realmente le cose. Non hai alcun diritto di parlare, noiosa piantagrane.”- sibilò Damon, nuovamente messo davanti alla cruda realtà dei fatti.

“Lei non ti ricambia, ho ragione?”

“Taci.”

“Sa, almeno, cosa provi nei suoi confronti?”

“Smettila.”

“Hai mai provato a farle capire che l’ami?”

Ci aveva mai realmente provato?

Battutine pungenti, aspri commenti sulla sua relazione con Stefan, qualche velata allusione maliziosa, ma niente più di questo. E mentre lui, infantilmente, tirava la corda, il rapporto fra Helena e suo fratello cresceva, diventando ogni maledetto giorno più forte.

“Stammi a sentire, odioso fenomeno da baraccone, non ho la benché minima intenzione di parlare di Helena con te!”- ruggì, appoggiando violentemente il bicchiere sul piano e facendo sobbalzare la ragazza accanto a lui. E poi, si era immediatamente reso conto di aver rivelato alla lunatica Georgiana un particolare molto importante di sé. Il nome della donna di cui era innamorato, dandole inevitabilmente ragione.

“Helena è un bel nome. Immagino che anche lei lo sia.”

“Si, lo è.”- sbuffò lui, ormai rassegnato. Si schiarì nervosamente la voce, guardando di sbieco la ragazza cieca che sorrideva vittoriosa, sgranocchiando pacatamente dei pistacchi salati .

“Più di te o di qualsiasi altra scialba ragazza abbia mai incontrato.”- proseguì, rincarando la dose di pungenti insulti verso la sua saccente compagna di drink. Gli era antipatica. Gli era detestabile perché lo aveva già inquadrato e messo con le spalle al muro.

“Ed è speciale?”- domandò Georgiana ignorando i suoi malevoli commenti, caustici e falsi. La scontrosità di Damon era una forma di autodifesa da chi provava a scavare troppo in profondità, in cerca del suo cuore.

“Forse.”

“Buona serata, Damon.”- la ragazza, all’ennesima risposta troppo contenuta e poco sincera del ragazzo, fece per andarsene, cogliendo il suo acido conoscente di sorpresa.

“Ok, ok. È molto speciale, forse troppo. È questo il problema.”- sospirò con rassegnazione il vampiro, lasciando le braccia ciondoloni ai fianchi, esasperato. Se quella conversazione doveva continuare, avrebbe avuto bisogno di una bottiglia di intenso whisky, in grado, dal quarto bicchiere in poi, di rendere qualsiasi discorso quantomeno piacevole.

“ Lo è troppo perché non corrisponde al valore che tu hai per lei?”

“Odio te e le tue menate psicologiche, principessa.”- mugugnò lui, voltandosi a guardarla, con un sopracciglio inarcato a livelli estremi.

“Ma sai che ho ragione.”

“E non immagini quanto la cosa mi dia fastidio!”- ghignò amareggiato Damon, giocherellando con il porta tovaglioli accanto a sé, guardandosi intorno e strappando un nuovo sorriso raggiante a Georgiana, nascosta dietro ad un mojito appena ordinato. “Di un po’, sei una specie di strizzacervelli?”

“No, è solo che mi piace ascoltare le persone. E poi hai una bella voce, è nel mio interesse continuare a farti parlare.”- sorrise astutamente lei, accavallando le gambe fasciate da un paio di aderenti jeans scuri.

“Allora ce l’hai il senso dell’umorismo!”

“A differenza di me, tu mi giudichi senza conoscermi.”- sorrise pacatamente Georgiana, nella sua composta figura. Sistemò il suo golfino grigio, leggermente sgualcito, prese un lungo respiro.

“Allora dimmi chi sei, insomma parlami un po’ di te. Così avrò finalmente tutto il diritto di dire che non ti sopporto!”

“Magari più tardi. Ora voglio sapere cosa provi per lei, per la tua Helena.”

Era questo il punto: Helena non sarebbe mai stata sua, per questo non voleva provare niente nei suoi confronti. Ma era così dannatamente difficile intrappolare quelle sensazioni. La gioia che lo pervadeva ogni volta che lei gli appariva davanti agli occhi, la forza che gli dava il solo averla accanto, l’assoluta completezza che provava ad ogni scambio di sguardi, così privati, silenziosi. Erano le occhiate complici di Helena a fargli credere di avere almeno una piccola parte del suo cuore. Ma lei aveva già occupato tutto lo spazio del suo.

Il divario era così grande …

“È una bella ragazza, cosa vuoi che provi un uomo nei confronti di una bella ragazza?”- sbottò lui, tacendo i suoi pensieri, rinchiudendoli in un’ala remota di quella fortezza che la sua mente era diventata.

“Io sono bella, eppure mi detesti. Suppongo ci siano diverse sfaccettature.”- Georgiana fece spallucce, socchiudendo leggermente le palpebre, con un sorriso sornione sul bel viso.

“Se solo servisse a qualcosa, morirei per lei.”- confessò Damon con un sonoro sospiro, mentre il suo sguardo si abbassava sull’alone lasciato dal bicchiere sul bancone.

Georgie tacque.

“Ma non sono quello giusto, io non la merito. Helena ha bisogno di un tipo responsabile, che sappia prendersi cura di lei, che l’ami ogni giorno di più e si faccia amare da lei con altrettanta forza.”

“A me sembra che tu rispecchi pienamente i requisiti, sai?”- sorrise con dolcezza Georgiana, compiaciuta da quelle parole finalmente sincere.

“Tu non mi conosci. Io sono solo un mostro che teme ogni giorno di poter far del male alla donna che ama.”

“Eppure, ogni giorno non lo fai.”- constatò con ammirazione la ragazza accanto a lui - “Credimi, quando ti dico che non c’è uomo più meritevole di te, Damon.”

Uomo lui non lo era più da tempo. E anche ciò che restava del giovane Damon Salvatore era scomparso, insieme alla sua Umanità.

“L’uomo che era in me è morto, mia cara.”- sibilò con voce tetra il vampiro, sporgendosi verso Georgie e osservando le iridi blu di lei così simili alle proprie.Avevano gli stessi occhi.

“Niente è realmente destinato alla Morte, Damon. Qualcosa sopravvive sempre.”

Chi meglio di lui poteva capire quelle parole? Era la prova più o meno vivente del fatto che morire non era per forza l’ultima meta, non era che una fase di passaggio. Ma la sua Umanità, quella era morta davvero, ne era così incredibilmente sicuro che si ritrovò presto a schernire Georgiana e le sue frasi quasi fatte.

“Stammi a sentire Mahatma, ciò che di buono c’era in me, è morto. E se non è morto, è prossimo al decesso.”

“E perché è morto?”-insistette Georgiana.

“Perché l’ho ucciso io.”

Aveva ucciso l’uomo che era in lui, lo aveva soffocato con il Male, lo aveva lapidato sotto di sé, costruendo sopra le sue macerie il nuovo Damon.

Era il carnefice di sé stesso.

Temeva di essere vulnerabile ed aveva abbandonato il peso della sua umanità per poter fuggire più veloce.

Ma ora che ne aveva bisogno per poter continuare a sopravvivere, non l’aveva più, perché era corso troppo lontano e non sarebbe mai riuscito a ritrovarlo.

Si era condannato all’infelicità da solo.

Ma se l’Umanità avesse ritrovato la strada?

“Ti sbagli, Damon. La tua natura umana non ti ha mai abbandonato.”- sentenziò Georgie con dolcezza, cercando la sua spalla con la mano, per stringerla delicatamente, cercando di infondergli sicurezza.

“E tu che ne sai”- sbottò il vampiro, contrariato, fermo sulle proprie convinzioni, mentre si crogiolava nella consapevolezza di aver un altro peso sulla coscienza, quello dell’omicidio di una parte di sé.

Una serata da segnare sul calendario, decisamente.

“Un tempo, andavamo molto d’accordo tu ed io, sai?”- disse la ragazza, sollevando lo sguardo verso un punto indefinito, mentre la sua mente faceva riaffiorare vecchi ricordi.

“Mi è difficile crederlo, visto che ti ho incontrata solo ieri.”

“Tu ed io siamo stati buoni amici per vent’anni, Damon.”-sentenziò Georgiana con voce malinconica, mentre la sua espressione si perdeva in quelle memorie silenziose e segrete, forse troppo antiche, forse mai state.

A quelle parole, il vampiro si allarmò. Non potevano essersi già visti, altrimenti l’avrebbe ricordato. Né poteva trattarsi di un’amica d’infanzia, dato che la sua risaliva a cento sessanta anni prima. Era forse un vampiro?

Ma il suo handicap non si spiegava, sarebbe dovuto guarire, dopo la trasformazione.

Forse era semplicemente pazza, pensò.

“Credo che tu mi confonda con qualcun altro, tesoro.”- sibilò lui, guardandola di sottecchi - “A meno che tu non nasconda qualcosa.”

“Chi dissimula, fra noi due, sei tu.”- rispose pacatamente lei, voltandosi verso di lui e trovando immediatamente i suoi occhi - “Sei tu quello che cela agli altri i suoi sentimenti, tutto ciò che prova nel profondo del suo animo. E per quanto questo non abbia nociuto te, ha ferito chi era responsabile del tuo cuore, in senso astratto, intendo.”

“Eh?”- lo sguardo stralunato di Damon si posò sulle labbra socchiuse della giovane davanti a sé, mentre la sua bocca si apriva e chiudeva rapidamente, confusa - “Lo sai? Credo che tu e il Bourbon non andiate particolarmente d’accordo. Dai i numeri!”

“Reggo bene l’alcool, lo tollero quanto te.”- rispose seccamente Georgie, mostrando una resistenza che fino ad allora sembrava estranea in lei.

“Sarà.”

Hai tenuto la tua umanità nascosta per molto tempo,Damon.”

“Ma ti ascolti quando parli? Sembri citare costantemente i biglietti nei cioccolatini!”- ringhiò lui, senza realmente sapere come atteggiarsi.

Come si doveva comportare con Georgiana la Pazza?

“Mi hai imprigionata in profondità, perché temevi che potessi renderti vulnerabile.”

“Come dici, scusa?”

Era rimasto colpito, spaventato forse.

Un lampo di consapevolezza, per un secondo, rese plausibile l’ipotesi che si era formata nella sua mente, per quanto assurda fosse.

Quella ragazza apparentemente ingenua, stravagante e che fin dall’inizio gli era sembrata fuori luogo, fuori dal tempo, non poteva essere …

Georgiana non poteva essere la sua Umanità, era oltremodo assurdo, impossibile!

Forse aveva esagerato con l’alcool, non trovava altre spiegazioni. E sorrise, sentendosi ridicolo anche solo per aver pensato che una sua Qualità si potesse essere reincarnata per fare quattro chiacchiere con lui.

“Tu sei matta, te lo dico io. Cieca, pazza, mia cara, lascia che te lo dica: non avrai vita lunga, in questo mondo, se continui così!”- rideva, rideva di gusto, mentre la sua mente lo rimproverava per la sua cattiveria nei confronti della ragazza. Ma al diavolo la sua testa, quella sembrava essersela giocata da un pezzo!

E Georgiana avrebbe fatto bene ad accettare la dura realtà dei fatti, perché aveva una stanza già prenotata nel manicomio più vicino.

“Credevo volessi sapere chi sono”- lei era seria, interdetta dalla reazione di Damon, anche se in parte sembrava attendersi qualcosa del genere.

“Vuoi davvero farmi credere di essere la mia Umanità? Sei matta come un cavallo, signora.”- lui emise un latrato di scherno così forte da far voltare alcuni clienti del locale, infastiditi da quel ragazzo che parlava da solo. “Ti avverto, bambolina, il gioco è bello quando dura poco.”

“Qui l’unico che sembra giocare sei tu, Damon. Come ti ho detto, io tendo sempre a dire la verità.”

Il vampiro le lanciò uno sguardo stravolto, incredulo di fronte alla risolutezza e alla fermezza di Goergiana la Pazza.

“Oh, sei una grande attrice, sai? Chi ti ha mandato? Katherine? Chi? Su, avanti, dimmelo. Dimmi un’altra verità!”- lo sguardo folle di Damon si puntò su quel viso impassibile di fronte alla minacciosità della sua voce.

“Sono qui perché voglio aiutarti. Sono qui per aprirti gli occhi.”

“Da che pulpito, mi si dice di guardare oltre!”- ruggì, trattenendosi dal darle uno spintone, mentre il suo tono si alterava ulteriormente.

“È nel mio interesse farlo. Quando tu vedrai ciò che rischi di perdere, non riconoscendo la mia esistenza, anche io tornerò a vedere.”

“Ti saluto, Psyco.”- ringhiò lui, scendendo dallo sgabello, lasciando una manciata di banconote sul bancone e dirigendosi verso l’uscita.

Al diavolo quella ragazzina psicotica, Helena, sé stesso. Non c’era tempo per i buoni sentimenti, per l’Amore, per l’Umanità, ecco.

Camminò per le solitarie strade dell’anonima, delle quali, se non fosse stato lui il pericolo più grande, avrebbe avuto paura. Il vento si insinuava fra le case, fischiando attraverso le foglie degli alberi e i meccanismi degli irrigatori, creando l’illusione di essere in mezzo ad una folla inferocita che acclamava un’esecuzione.

La sua?

Un ritmato ticchettio raggiunse le sue orecchie, lasciandolo interdetto. Arrestò la sua camminata priva di meta e si concentrò il direzione di quel fastidioso contatto fra metallo e asfalto che aveva interrotto il flusso dei suoi pensieri.

E forse era un bene che l’avesse fatto.

“Non ci credo!”- sbuffò fra il sorpreso e l’esasperato, osservando l’incedere incerto di una figura esile ed elegante che, sinceramente, si augurava di non vedere mai più.

Rimase stupito, domandandosi come mai si fosse accorto della stalker solo in quel momento. Eppure, era da più di mezz’ora che girava in tondo.

“ Sai cosa succede alle principesse che stuzzicano troppo il lupo cattivo?”- le disse con fare minaccioso, aspettando che lei lo raggiungesse, deciso a porre fine a quella conoscenza.

“Vengono salvate dal cacciatore e indossano mantelli di pelle di lupo!”- rispose Georgiana, arrancando verso di lui, con un leggero sorriso astuto dipinto sul viso.

“Ok, questa te la concedo.”- sbuffò il vampiro, una volta che si ritrovarono di fronte l’uno all’altra - “Ma sul serio, falla finita di tormentarmi. Altrimenti dovrò liberarmi di te a modo mio e credimi, non ti piacerebbe.”- sibilò l’ultima frase conciliandola con un ghigno tetro, pur consapevole che lei non l’avrebbe potuto vedere. Ma non aveva importanza. Ciò che contava era che il messaggio le arrivasse chiaro e tondo.

“Davvero credi che un morso sul collo mi spaventi?”

“Ma tu come …”- accidenti, ma come diavolo faceva a sapere di lui e della sua vera natura?

Maledizione, era anche cieca!

“Te l’ho detto, io ti conosco, forse meglio di chiunque altro.”

“Come diavolo hai fatto a trovarmi, Tyresia?”- sibilò lui, aggrottando le sopracciglia e fissando quegli occhi blu troppo simili ai propri, per i suoi gusti.

“So sempre dove vai. Del resto, sono frutto della tua immaginazione. Che ti piaccia o no, sono una parte di te.”

“La parte insopportabile, forse”- sibilò lui ancora più accigliato, mentre il suo cervello cercava di metabolizzare la situazione sotto una luce realistica.

“No, quella mi sembra l’abbia ancora tu.”

“Il tuo sarcasmo non mi piace.”- brontolò lui, arrendendosi al fatto di stare parlando ad una specie di ammasso di ectoplasma in gonnella.

“Sei una sorta di fantasma del Natale passato?”- domandò in un sospiro, assecondando quello che probabilmente era un sogno o un delirio dovuto al troppo alcool.

“Sono la tua Umanità, Damon. Credevo ci fossimo già arrivati.”

“E che diavolo vuoi.”- sbottò lui, guardandosi intorno, augurandosi che nessuno passasse di lì, per vederlo parlare con il cartello stradale posto dietro a Georgiana.

“Voglio che tu mi riaccolga nel tuo cuore, prima che sia troppo tardi. Mi hai rinchiusa in profondità e in tutto quel buio, sono diventata cieca. Ma sono orribilmente stanca di assecondare il mostro che mi fa da carceriere. A nome di tutte le tue Qualità, ti chiedo di restituirci la Libertà.”

“Come scusa? Io non ti ho fatto proprio niente!”- la voce di Damon lasciava trapelare lo shock emotivo che stava vivendo, mentre allargava le braccia e spalancava gli occhi, sentendosi attaccato e non avendo idea del perché.

“A no?”- Georgiana gli si avvicinò, ben più aggressiva di quanto ci si potesse immaginare potesse diventare e gli pungolò il petto con l’indice destro, decisa a mandare a quel paese la sua bella facciata pacata ed eterea. Il suo protetto era un osso duro. “ Ti sei fatto abbindolare da Katherine, hai rinunciato alla tua vita e poi, come se non bastasse, mi hai scacciata, quasi fossi una malattia, un virus da eliminare, e mi hai rinchiusa in una parte di te così profonda, dalla quale eri certo non sarei più potuta uscire! Ti sembra poco?”- lei continuava a fissare la sua spalla destra, dimenticandosi di quanto fosse alto e rendendo quella scena ancora più stravagante.

Ma Damon fu costretto ad ammettere che, in effetti, Georgie conosceva diverse cose di lui e che la sua versione sembrava avvalorarsi, man mano che la discussione andava avanti.

“Stammi a sentire, Fata Madrina”- ruggì in risposta il vampiro, sovrastando la voce argentina dell’Umanità e afferrandole entrambi i polsi con una mano, allontanandola da lui di qualche passo - “Comincio a credere di aver fatto davvero bene a rinchiuderti e, credimi, mi dispiace che tu ne sia comunque uscita, perché, ti giuro, sono a tanto così dal metterti a tacere per sempre!”

Lei lo colpì con il suo vecchio bastone da passeggio, costringendolo a piegarsi su entrambe le ginocchia, digrignando i denti e trattenendo un latrato di dolore.

“Credevo fossi tu quella buona!”- sibilò, mentre riacquistava sensibilità alla gamba lesa.

“C’è un limite anche alla mia pazienza!”- rispose l’Umanità, riassumendo l’atteggiamento calmo e pacato di poco prima. “Io non sono mai uscita da lì, Damon. Sono ancora rinchiusa da qualche parte dentro di te e attendo, ogni giorno con più forza, di poter tornare ad occuparmi dei tuoi sentimenti.”

“Me li so gestire da solo, grazie lo stesso.”- sibilò lui, tentando di risollevarsi da terra e domandandosi perché quella semplice bastonata lo avesse fatto vacillare così fortemente.

“A me non sembra.”-constatò lei, regalandogli una nuova bastonata e facendolo nuovamente crollare in ginocchio.

Questa volta, Damon si lasciò sfuggire un’imprecazione, avvertendo il dolore percorrergli le vene, invadergli il cervello.

“Fa male, la Coscienza, vero?”- sorrise l’Umanità, accarezzando dolcemente il bastone da passeggio, vecchio e logoro, capace di creare così tanto dolore.

Bene: quindi Damon si ritrovava davanti ad una ragazza che diceva di essere la sua Umanità e che lo percuoteva con un bastone di ferro che rappresentava la sua Coscienza.

Decisamente, dovevano avergli corretto i drink con qualcosa di estremamente forte.

“Fammi capire bene: intendi prendermi a sprangate finché non ti accontenterò?”- soffiò Damon, riprendendosi da quell’ennesima scarica di dolore che lo aveva invaso, alterandogli le percezioni dello spazio.

“Non mi lasci molte alternative, mi sembra.”

“Ma perché? Io sto bene così come sto. Commuovermi quando guardo Orgoglio e Pregiudizio o quando vedo un gattino ferito, non mi servirà mai a niente!”- protestò il vampiro, rialzandosi da terra, fulminando con lo sguardo l’oggetto nelle mani di Georgie e ripromettendosi di farlo investire da un camion, quanto prima.

“Credi davvero che l’Umanità ti serva solo a questo?”

“Forse?”- domandò lui titubante, inarcando un sopracciglio, dubbioso.

“Io ti concedo la possibilità di amare veramente. E di essere amato, Damon.”- disse con dolcezza Georgiana, avvicinandoglisi - “So bene perché non hai confessato i tuoi sentimenti ad Helena fino ad ora. Sapevi, in cuor tuo, di non amarla ancora realmente, di non poterla ancora amare come vorresti. Beh, io posso aiutarti, voglio aiutarti.”- gli accarezzò uno zigomo, sotto il suo sguardo sconvolto - “Ma tu devi aiutare me.”

“E come …”- Damon non sapeva cosa dire, ma osservava l’Umanità racchiusa in quel corpicino esile e fragile e non poteva non domandarsi come lei sarebbe riuscita a fare quello che gli prometteva. E come lui avrebbe potuto aiutarla.

Ma se davvero poteva fare qualcosa per conquistare l’amore di Helena, l’avrebbe fatto.

“ Prometti di non tentare mai più di nascondermi?”

“Lo prometto”-rispose lui incerto, mentre la vedeva sorridere raggiante.

“Che mi rispetterai?”

“Lo prometto.”

“Che lascerai che io ti aiuti?”

“Lo prometto.”

“Per tutti i secoli che esisterai?”

“Ci stiamo sposando?”- domandò interdetto il vampiro, strappandole una piacevole risata di assoluta pacatezza.

“Ti piacerebbe”- ghignò l’Umanità, dandogli una pacca sulla spalla, sciogliendosi dalla rigida postura nella quale si era sempre presentata. “Ora scusami, ma c’è un’ultima cosa che devo fare.”

Lui la seguì con lo sguardo, guardandola allontanarsi di qualche passo, impugnare il suo bastone, prendere la rincorsa … STONK!

Un ultima botta di Coscienza e il vampiro perse i sensi, crollando a terra con un tonfo sordo.

*

 

Damon Salvatore si alzò di scatto dal divano, rovesciandosi addosso il bicchiere di scotch che teneva ancora fra le dita intorpidite dal sonno. Sbuffò, constatando di aver rovinato la sua camicia preferita, con un umido alone in pieno petto.

E preso da un nuovo lampo di consapevolezza, si rese conto di aver sognato, immaginato Georgiana ed il suo odioso corpo contundente. Possibile?

Eppure gli era sembrata così incredibilmente reale, per quanto lo potesse essere la reincarnazione della propria Umanità. Eppure sentiva ancora le fitte al ginocchio, provocategli da quella Coscienza di ferro arrugginito.

“Ehi, tutto bene?”

A parlare era stata la sua Musa, la donna per la quale avrebbe preso centinaia di sprangate da quelle due maledette Qualità, la ragazza dai grandi occhi d’ebano che lo osservavano preoccupati, dalla poltrona accanto.

“Non … Non esattamente”- ammise Damon con una smorfia confusa, guardandosi intorno con fare circospetto, augurandosi che Qualcosa non lo colpisse all’improvviso.

“C’è qualcosa di cui vuoi parlare?”

“Forse”- le rispose lui, accomodandosi davanti a lei, continuando ad attendersi da un momento all’altro una batosta. “Ok, si, c’è qualcosa.”

Helena si sporse verso di lui, incuriosita.

Il vampiro esitò. Lo fece perché una parte di sé non voleva che la sua bocca pronunciasse quelle parole che lo avrebbero reso vulnerabile.

Ma una parte più forte, quella più umana prese il controllo: aveva bisogno di liberarsi di quel peso che per troppo tempo l‘aveva tenuta prigioniera, lo avrebbe fatto, perché era stanca di sentirsi oppressa dal mostro e voleva rivendicare il suo diritto ad esistere e manifestarsi.

“Helena, io … sono innamorato di te.”

   
 
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