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Autore: Ele_libera    09/05/2011    8 recensioni
“Ragazzo,al villaggio non ti hanno insegnato che non si mira a persone e animali?”
“Io infatti puntavo al cappello” “avresti potuto sbagliare”
“no. Piccolo Falco non sbaglia mai”

Il primo incontro fra Tex e il giovane figlio Kit dopo gli anni di lontananaza seguiti alla morte di Lilith. Un innata complicità fra i due preannuncia le avventure che padre e figlio affronteranno insieme.
Si rigrazia per il contributo alla stesura della storia Pepe :)
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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All'inifinitamente scapestrato Kit e al suo padre snatuato Tex che con anni di avventure allietano le mie giornate facendomi viaggiare insieme a loro fra interminabili deserti e sinistri villaggi del vecchio west. Grazie. Si ringrazia per la revisione (e per la pazienza XD) 9Pepe4

La calura del giorno cominciava ad attenuarsi e il sole ormai prossimo al tramonto lanciava i primi bagliori rossastri che proiettavano ombre lunghissime sul terreno polveroso ancora rovente.
Un uomo sedeva all'ombra del suo robusto cavallo che calmo si stava rinfrescando sulle sponde del San Juan.
Prese l'ultimo sorso d'acqua che restava nella borraccia e, calcatosi il cappello sugli occhi, si alzò in piedi. Mosse qualche passo verso l'orizzonte dove il sole ormai si era trasformato in una sfera infuocata. Gli pareva già di sentire il brusio delle voci del villaggio Navajo da cui era stato lontano tanti anni. Tornò indietro e, radunate le sue cose nella bisaccia, montò a cavallo. “Vamos Dinamite”.


Mentre entrava nel villaggio riaffiorò dolorosamente il ricordo del motivo che l'aveva spinto lì l'ultima volta: la morte di Lilit.
“Ti attendevamo, Aquila della Notte”. Un indiano gli andò incontro e lo invitò a scendere da cavallo.
“Sono qui per vedere mio figlio”.

Se ne stava seduto sulla collina che dava a strapiombo sulla strada che fiancheggiava la riserva, completamente solo.
Di fianco a lui, appoggiati sul terreno rovente, c'erano un arco in legno chiaro nascosto da un mucchietto di frecce nere.
Il ragazzo ne aveva una fra le mani e ne stava rifinendo la punta con una pietra. Il viso, leggermente corrucciato per la concentrazione, aveva lineamenti tipici dei primi mutamenti adolescenziali, pur conservando la dolcezza infantile. La carnagione leggermente olivastra, i capelli neri e mossi gli ricadevano a grandi ciuffi sulla fronte umida e si raggruppavano più su in una fascia indiana a cui era ancorata un piuma grigia. Indossava pantaloni e giacchetto di camoscio con frange, abiti tipici degli indiani Navajo, ma alcuni piccoli accorgimenti facevano intendere la sue educazione americana come la cintura di cuoio nero che gli cingeva la vita e la bandana rossa al collo.
Il ragazzo posò a terra la pietra, afferrò l'arco con mano ferma, mirò alla strada e scoccò. Dal basso della vallata si udì un urlo. Preoccupato, il ragazzo corse a vedere e scorse sulla strada un uomo a cavallo che, imprecando, stava raccogliendo il cappello centrato in pieno dalla freccia.
“Ragazzo, al villaggio non ti hanno insegnato che non si mira a persone e animali?”
“Io infatti puntavo al cappello”.
“Avresti potuto sbagliare”.
“No. Piccolo Falco non sbaglia mai” rispose il ragazzino con un sorriso di soddisfazione e si mise a fissare l'uomo che gli stava davanti.
Lo guardava come se lo conoscesse, ma non riuscisse a ricordare la sua identità.
“Piccolo Falco” disse l’uomo, pensieroso. “Dunque... sei il figlio di Lilit”. La voce gli si spezzò quando pronunciò quel nome.
“Sì, esatto”.
“Ricordi qualcosa di lei?”
“No, signore, ma mi hanno detto che era bella”.
A questa affermazione l'uomo sorrise tristemente e trattenendo le lacrime rispose: “Sì, era molto bella. E aveva i capelli neri, proprio come i tuoi”.
Gli si avvicinò, gli posò affettuosamente una mano sulla testa e lo trasse a sé. Kit non oppose resistenza: non riusciva spiegarsi il motivo, però si fidava ciecamente di quello straniero. “Hai una buona mira, Kit. Hai mai tirato con una pistola?”
“No, signore”.
L'uomo estrasse una colt 45 dalla cintura e gliela mise in mano lentamente. Il ragazzo la afferrò e la rigirò fra le mani con gli occhi lucidi dall'emozione.
“Adesso mira a quel sasso laggiù”.
Kit raddrizzò la pistola. Tremante, prese la mira e sparò, mancando di poco il bersaglio.
“Non male per essere il tuo primo colpo... ma ci vuole mano ferma”. Passò dietro al ragazzo, gli cinse il fianco e afferrò saldamente la sua mano che impugnava la pistola. Con delicatezza lo mise in posizione, avvicinò la bocca al suo orecchio e sussurrò: “Mano ferma, Piccolo Falco. Mano ferma”.
Il ragazzo sparò e fece centro. Si voltò verso l'uomo che gli stava dietro e lo abbracciò, premendo la testa contro il suo petto e stringendolo forte.
L’uomo rimase immobile per un istante, poi ricambiò silenziosamente quel gesto spontaneo.
All’orizzonte, il cielo era d’arancio e vermiglio.
“Quella puoi tenerla ragazzo. La prossima volta che passerò a trovarti voglio che tu sia diventato un pistolero eccellente.”
“Quando tornerai?”
“Appena potrò... appena le cose si saranno sistemate. Buona fortuna, Kit.”
L'uomo montò a cavallo e, data la schiena al ragazzo, si allontanò.
Piccolo Falco lo fissò allontanarsi e sparire dietro l'orizzonte. Continuava a rigirare fra le mani la colt lucente.
“Buona fortuna anche a te”.
  
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