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Autore: cabol    11/05/2011    1 recensioni
Il salvataggio di una fanciulla in difficoltà scaraventa due viandanti nel cuore di un sanguinoso mistero.
Perché terrificanti ululati si levano dai boschi?
Perché sono scomparse alcune persone?
Cosa sparge il terrore in una tranquilla campagna?
Quale perversa oscurità sta avvolgendo la rocca di Luna Splendente?
Mille e mille sono le leggende che i bardi raccontano, sull’isola di Ainamar. Innumerevoli gli eroi, carichi della gloria di imprese epiche. Eppure, in molti cantano anche le imprese di un personaggio insolito, che mosse guerra al suo mondo per amore di giustizia.
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I misteri di Ainamar'
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Capitolo 9: in trappola

Un mattino radioso successe alla notte ma la sua calda luce non riuscì ad alleviare il senso di oppressione che incombeva sulla rocca. Le guardie si aggiravano nel cortile e sugli spalti con passo cadenzato e ossessivo. Solo il canto degli uccelli rompeva il silenzio ritmato dalla ronda ma senza poter dissipare la sensazione di attesa angosciosa. Con il crescere della luce, le quotidiane attività ripresero senza alcuna vivacità, quasi oppresse dai drammatici eventi delle ore precedenti.

Robert sgattaiolò fuori dalla stanza alle prime luci dell’alba, stremato dalla notte insonne e dai cupi pensieri che lo tormentavano riguardo alla sorte della soave ancella dagli occhi azzurri. Doveva sapere dov’era e come stava. Non riusciva a darsi pace.

Raggiunse la cucina, dove un’affranta Frida cercava di organizzare il primo pasto del mattino, fra sospiri e piagnucolii, aiutata da un August più cupo e taciturno del solito. Non vide Lucy in giro e, solo dopo molte insistenze, riuscì a sapere da Frida che la ragazza era chiusa nella sua stanza, davanti alla quale stazionava una guardia.

Uscì nel cortile, cercando conforto nella luce del mattino e levando, sommessamente, una preghiera a Sergaries perché proteggesse l'ancella. Nel suo vagare assorto, finì per trovarsi di fronte alle stalle, dalle quali stavano uscendo dama Lavinia e il sacerdote di Fenesbrand. Parlavano concitatamente e ignorarono il giovane servitore quando gli passarono accanto. A volte, la superbia dei potenti nei confronti dei sottoposti diventa una loro debolezza, sicché Robert poté raccogliere qualche frase.

«… tutto questo mi sembra incredibile. Dove ha trovato il coraggio, quella stupidella?».

«Figliola, quella ragazza ha beffato sir Mordred per almeno un anno. Non la definirei stupida. Piuttosto, spero che tuo fratello sia di parola, così che Fenesbrand riceva qualche anima nei prossimi giorni».

«Temo proprio di sì, venerabile. Forse stasera stessa … però ... mi rovinerà la festa!».

Robert avvampò nell'udire quelle parole. Confermavano le sue paure per la dolce Lucy e le aggravavano con la superficialità con la quale erano state pronunciate. Per il sacerdote, la morte dei prigionieri era solo gloria per il suo dio, per la dama, un noioso inconveniente. Sentì la rabbia pervadere le sue membra. La mano corse all'impugnatura della spada.

«Buongiorno signor Robert, volete controllare le vostre bestie?».

La voce monotona dello stalliere riscosse il giovane maggiordomo, evitandogli di compiere una follia.

***

Lucy non aveva chiuso occhio. La luce del mattino era stata solo un cambiamento che una parte remota della sua mente aveva registrato e immediatamente archiviato. Sdraiata sul letto, ancora vestita come nella sua spedizione notturna, guardava il soffitto della stanza, senza quasi battere le ciglia. L'angoscia l'aveva sopraffatta oltre misura. Non riusciva neppure a piangere. Forse le avrebbe fatto bene ma non ci riusciva.

Vedeva solamente i volti affranti dei suoi genitori, di Ian e Georg, di Robert. Si vedeva sulla terrazza della massiccia torre, con un cappio al collo, pronta a essere scaraventata giù, verso la morte. Avrebbe dovuto essere di monito agli altri. A tutti coloro che avevano osato disobbedire a sir Mordred.

Poi sarebbe toccato ai due profughi. Poi a tutti gli altri. Forse anche suo padre e sua madre sarebbero stati condannati, certamente cacciati dalla rocca. Avrebbe voluto… morire? Sorrise con amarezza. L'avrebbero accontentata presto, per la gioia di quel pazzo furioso del sacerdote. Si era sempre chiesta cosa diavolo ci facesse quel tipo alla rocca. Ufficialmente, si diceva che si occupasse dell'anima di sir Ernest. Ma Lucy dubitava che l'avesse visto per più di un paio di volte l'anno. Sir Ernest… strano… non riusciva a pensare a lui come facevano tutti, come a un ubriacone senza speranza. Le venivano in mente i suoi occhi che la guardavano sempre con simpatia, quasi con tenerezza. C'era altro, oltre all'alcool e all'amarezza, in quegli occhi. Si sentì in colpa anche verso di lui. Stranamente, era convinta che il gentiluomo avrebbe sofferto per la sua sorte. Un moto di sconforto. Quanti avrebbero sofferto per causa sua?

Lucy realizzò con stupore che la sua angoscia era soprattutto dovuta all'idea del dolore altrui. Non aveva paura di quanto le sarebbe accaduto, solo tanto dolore per la sofferenza che avrebbe cagionato a chi la amava. Sentiva che Sergaries le era vicina e lo sarebbe stata fino alla fine.

***

Gli occhi verdi del gentiluomo vagavano lungo il cortile della rocca. Aveva dormito poco ma si sentiva pervaso da un'energia infinita. La battaglia si stava approssimando e lui sarebbe stato pronto. Da un momento all'altro, sarebbe arrivato lo squillo di tromba che avrebbe dato il via allo scontro. Si era già vestito di tutto punto, con impeccabile eleganza e, al suo fianco, aveva assicurato lo splendido stocco. Distrattamente, senza perdere mai di vista l'ampio cortile e il possente portone d'ingresso, ripose i suoi bagagli nelle sacche da viaggio. Intendeva essere pronto a qualsiasi evenienza.

Improvvisamente, si udì squillare una tromba e il portone si spalancò.

Sir Mordred irruppe nel cortile con il volto alterato, pallido, sconvolto. La barba incolta faceva supporre che non avesse chiuso occhio tutta la notte. Gli occhi fiammeggianti parevano voler incenerire tutto ciò su cui si posavano. Era seguito da un Sandy Bond particolarmente avvilito e un paio di armati evidentemente esausti. Il cavallo sudato e ansante testimoniava la furiosa galoppata che l'aveva condotto alla rocca. Nel vedere Lavinia col sacerdote, cercò di assumere un aspetto più tranquillo ma la sua voce tremava mentre si rivolgeva alla sorella.

«Lavinia, i ladri sono entrati nella villa. Ci hanno attirati fuori con l'inganno. E quest'idiota... ». Indicò il pallido e tremante sceriffo che lo guardava fra il terrorizzato e l'implorante.

Dama Lavinia impallidì.

«Come? Che cosa hanno rubato?».

«Non sembra che abbiano toccato nulla ma c’era questa lettera nel mio studio. Che razza d’impudenza!». Balzò giù da cavallo, estrasse un foglio dalla giacca e lo porse alla sorella.

La bella dama prese con mano incerta la lettera vergata con una calligrafia elegante e sicura. La scorse rapidamente e sgranò gli occhi. Il sacerdote s'impadronì del foglio e cominciò a leggerlo con la sua voce stentorea e gracchiante che attirò immediatamente l'attenzione di tutti. Perfino Robert e Jack uscirono dalla stalla.

La confusione nel cortile riuscì anche ad attirare Lucy alla finestra.

 

Egregio Signore,

durante il mio sopralluogo della scorsa notte, ho rilevato la presenza, nella vostra villa, di alcuni quadri di notevole pregio, di scuola Ardoriana. In particolare, un "Trionfo di Mirpas" che credo proprio sia stato realizzato dal maestro Leonard di Gaergond. Oltre a questo, sono decisamente di mio gusto gli arazzi del Formensiar che ornano il vostro studio. La vostra collezione di porcellane ariaken è, mi addolora molto dirvelo, decisamente falsa, dunque non mi interessa.

Dal momento che sono un uomo molto occupato, vi pregherei di avere la compiacenza di farmi trovare il tutto già imballato questo pomeriggio presso il vecchio mulino, quello dove siete stato a caccia d’immigrati. Se per il tramonto la merce non sarà stata recapitata, provvederò io stesso a prelevarla una di queste notti.

Cordialmente,

Blackwind


«Ma questa cosa è… è… di un'impudenza inaudita! Mordred… non permetterai che questo… pazzo delinquente… faccia quel che vuole in casa nostra?».

«Stai tranquilla, Lavinia. Quel bastardo ha perso la sua unica occasione. D'ora in poi la villa sarà impenetrabile. Ho anche mandato un messaggero a quell'id… ehm… a lord Cardekon, uniremo le nostre forze, una volta tanto, e cattureremo quel figlio di una lurida cagna. Ci ha fatto correre per una notte ma non ne sprecherò un'altra».

«Mio signore… però… questa notte abbiamo anche catturato due profughi e… scoperto chi era il loro informatore». Patrick Gordaukon, insolitamente untuoso, si avvicinò all'esasperato castellano.

«Cosa?». Il volto del gentiluomo si accigliò ancora di più. «Prete, non ho voglia di sentire stupidaggini».

«È vero, Mordred, il venerabile Patrick è stato molto abile».

«Sono rinchiusi nel vecchio tempio… qui non ci sono segrete… solo cantine. Culto di Sergaries, cosa vi aspettavate? E la ragazza è chiusa nella sua camera».

«Lo so bene che non ci sono segrete… ragazza? Quale ragazza?». Sir Mordred sembrava veramente sconcertato. La sorella gli si avvicinò sorridendo e gli pose una mano sul braccio, inducendolo a voltarsi verso di lei.

«Lucy, mio caro. L'angelica e innocente Lucy era la spia che informava i profughi… se la faceva con loro quando noi davamo da mangiare alla sua famiglia. Vieni, ti porto da lei».

***

Robert guardò preoccupato il volto tondo e inespressivo dello stalliere. C'era una strana luce in quegli occhi porcini, per un attimo, un brevissimo istante, il giovane maggiordomo intravide un lampo d'intelligenza.

«Jack, voi siete amico di Lucy, vero?».

«Jack è amico di tutti ma si occupa solo di cavalli… e voi non siete che un semplice maggiordomo… fareste meglio a occuparvi del vostro signore». Robert ebbe la sensazione di intravedere ancora quel lampo.

«Ma come possiamo lasciare che la ammazzino? Non avete sentito?».

«Jack sente benissimo… ma non capisce nulla… è solo un povero idiota che si occupa di governare cavalli».

«Jack, tu non sei affatto un idiota, ora lo vedo chiaramente! Chi sei, dunque?». Robert aveva sguainato la spada la cui punta si era fermata a pochi centimetri dalla gola dell’uomo. Gli occhi porcini si fissarono in quelli del giovane e un largo sorriso illuminò il volto dello stalliere.

«Nemmeno tu sei chi dici di essere. E tantomeno il tuo padrone. Riponi quell’arma e parliamo. Per un po’ nessuno si farà vedere ma è meglio essere prudenti». L’esterrefatto maggiordomo ringuainò la spada mentre lo stalliere chiudeva la porta e la finestra. Solo la pallida luce di una lampada a olio permetteva di vedere qualcosa.

«Io sono Jack Minaeo e mio padre è il capo dei profughi. Sono arrivato qua un paio d’anni prima dei miei parenti e mi sono reso subito conto del razzismo diffuso fra questa gente … per mia fortuna sono stato un attore, in gioventù, e ho imitato bene l’accento di questi luoghi. Pare che me la cavi ancora bene, visto che tutti mi credono un perfetto imbecille. Scrissi a mio fratello che questi luoghi erano tutt’altro che ospitali ma lui sperava che col tempo sarebbe riuscito a superare l’ostilità della gente. In realtà ci sarebbe riuscito ma chi ha in mano il potere non vede di buon occhio l’arrivo di altra gente povera. I poveri sono i loro nemici. E sanno che, se sono tanti, possono costituire una minaccia».

«Ma allora … sei tu che informavi i tuoi…».

«All’inizio sì. Poi Lucy mi scoprì… è una ragazza di straordinaria intelligenza e acume… e si offrì di aiutarmi… mi sento responsabile di quanto sta accadendo. Ma sono più ottimista, ora che ci sei anche tu… e il tuo padrone… a proposito, chi siete?».

«Posso solo dirti che lui è una persona straordinaria, capace di imprese eccezionali. Ma non è onnipotente».

«Solo gli dei lo sono. Ma sono certo che siete due validi spadaccini e potremo tentare un colpo di mano. Qui le guardie sono poche e male addestrate. E lo sceriffo è un buono a niente. Possiamo sopraffarle facilmente, se agiremo con sufficiente decisione. La mia ascia è un po’ arrugginita ma sono certo di poter spaccare un bel po’ di queste teste».

«E dopo un bel bagno di sangue, credi che questi saranno luoghi migliori?».

Sir Raoul Velmont comparve improvvisamente dietro lo stalliere.

***

«Parla sgualdrina! Dicci i nomi dei tuoi complici o stasera penzolerai dai merli della torre! Dove sono quei porci immigrati? Parla, maledizione!». Uno schiaffo violento scaraventò Lucy sul letto. Sir Mordred sganciò la frusta dalla cintura e la fece schioccare rumorosamente. La ragazza vide l’arma e gli occhi le si velarono di lacrime.

Uno, due, tre violente sferzate strapparono brandelli della semplice veste della giovane ancella, scoprendone le carni bianche e tornite. Dama Lavinia guardava con maligna soddisfazione la bellezza della giovane violata dalle ecchimosi del viso.

«Vuoi fare l’eroina? Allora faremo sul serio. Lavinia, esci. Non sarà uno spettacolo per dame, questo. Ora vedremo se non parlerai, puttana!».

«Mio adorato, sai che amo vederti così… fiero». La nobildonna si accomodò su una poltrona, come per gustarsi lo spettacolo. Il sacerdote, invece, si fece pallido e uscì dalla stanza, chiudendo la porta dietro di sé.

La frusta schioccò ancora, strappando altri lembi di stoffa e scoprendo il seno virginale. Lo sguardo del castellano si fece avido mentre, con un colpo preciso, avvolgeva la frusta a una gamba della ragazza facendola cadere all’indietro. Dama Lavinia sorrise e si passò voluttuosamente la lingua sulle labbra.

Lucy scoppiò a piangere, vedendo sir Mordred slacciarsi la cintura.

***

Sir Raoul entrò nel palazzo, raggiungendo silenziosamente la cucina. Aprì la porta senza far rumore e verificò che il maggiordomo e la cuoca fossero nella stanza. Entrò e salutò gravemente l’anziano servitore il cui volto severo appariva rigato di lacrime.

«Perdonatemi se entro così August, anche voi, Frida. Possiamo parlare da soli?».

«Siamo a vostra disposizione, sir. Non dimenticherò mai che voi e quel bravo ragazzo avete rischiato la vita per proteggere la mia Lucy … anche se ormai…». Un singhiozzo scosse il suo petto.

« C’è in voi qualcosa di più di quel che volete mostrare, August. So che soffrite ma ora dobbiamo lottare. Perdonatemi se sarò troppo diretto ma non abbiamo tempo da perdere, Lucy corre un gravissimo pericolo. Sono certo che non si lasceranno sfuggire l’occasione per ucciderla. Volete rispondere a qualche domanda?».

«Dite pure, signore». Gli occhi severi del vecchio si fissarono in quelli profondi del giovane. Gli occhi vivaci della moglie si fissarono in quelli di sir Raoul, pieni di speranza.

«Parlate signore. Siamo a vostra completa disposizione».

«Lucy non è vostra figlia, vero, August?».

Il maggiordomo spalancò gli occhi, colmo di stupore. Scrutò attentamente il volto del gentiluomo, cercando un segno che lo rassicurasse. Evidentemente dovette trovarlo, dal momento che, dopo qualche istante, annuì gravemente. Lanciò uno sguardo alla moglie che gli sorrideva con fiducia.

«Da giovane facevo il cacciatore. Una notte, stavo tornando al villaggio dopo una battuta che non aveva fruttato che tre tordi. Ricordo benissimo la meravigliosa luna che illuminava il sentiero, quella sera. A un tratto, vidi davanti a me un cervo meraviglioso. Prudentemente, senza far rumore, incoccai l’arco e mi preparai a tirare. Il cervo pareva guardarmi, non sembrava spaventato e io esitai. Tirai ma senza troppa convinzione e il cervo scappò fra i cespugli. Arrabbiato per l’errore, lo inseguii, sperando di portare a casa una preda degna di tal nome. Il cervo non si era allontanato troppo e io mi avvicinai con prudenza. Eppure, si accorse di me, perché scappò ancora, addentrandosi sempre più nella foresta. Lo seguii ancora, fino a una piccola radura immersa nell’oscurità, illuminata dalla luce della luna solo in un angolo. Immaginatevi la mia sorpresa quando, proprio in quell’angolo, in piena luce, vidi una neonata addormentata su una grossa pietra, come su un altare, in attesa di un sacrificio. Mi resi immediatamente conto che non avrei potuto lasciarla lì, sicché abbandonai la caccia e tornai al villaggio con quel fagottino che mi guardava con i suoi occhioni incantevoli. La chiamai Lucy, perché fu la luce della luna a farmela scoprire.

Passarono circa quindici anni, quando mi accorsi che i miei occhi e i miei riflessi non mi permettevano più di vivere di caccia. Mi giunse all’orecchio che la servitù della rocca aveva lasciato il servizio, così decidemmo di farci assumere dai signori di Luna Splendente. La paga non è eccellente ma è una professione onorevole e ci permette di vivere con dignità e sperare di raccogliere una dote per la nostra Lucy… ma ora… è stato tutto inutile».

«Libereremo Lucy. August, credetemi. Stanotte sarà tutto finito. Ma ho assolutamente bisogno del vostro aiuto».

***

«Porco schifoso non la toccare!».

Sir Mordred si voltò stupefatto nell’udire la porta spalancarsi violentemente e quella voce tuonare alle sue spalle. Sir Ernest, pallido in volto, era comparso sulla soglia. Nonostante l’abbrutimento degli ultimi anni, il cavaliere aveva mantenuto tutta la sua imponenza, forse addirittura accresciuta dal tragico colorito del volto e dai capelli grigi.

Il suo cognato era rimasto impietrito, con la frusta in mano e un’espressione confusa nel volto. Questa e i pantaloni calati alle ginocchia che lasciavano le parti intime scoperte lo rendevano più ridicolo che minaccioso.

«E-ernest? M-ma co-cosa ci fai qui?».

Il gentiluomo avanzò minacciosamente nella stanza.

«Questa è ancora casa mia. Tienilo a mente, Mordred». Si fermò davanti alla moglie, anch’essa sgomenta, immobile sulla poltrona. «Mi meraviglio di te, Lavinia. Sei la dama di Luna Splendente. Vattene nelle tue stanze, ora. Mi renderai conto di questo vergognoso contegno. E di molto altro». La possente spada del cavaliere fuoriuscì minacciosamente dal fodero. La dama avvampò in volto ma lo sguardo gelido del marito la fece volgere rapidamente in ritirata.

«Rivestiti, Mordred, mi fai schifo. Signorina Lucy, questo porco vi ha oltraggiata?».

«No, mio signore… siete giunto appena in tempo».

«Ma vi ha maltrattata ingiustamente. Siete stata processata? Qualcuno vi ha contestato qualcosa?».

«No».

«Allora, caro cognato, la signorina è libera».

«Non credo, sir Ernest. Io posso testimoniare che Lucy ha tradito la fiducia di tutti noi. Dunque, chiedo che venga giudicata e trattenuta al sicuro fino ad allora». La voce stonata ma suadente del sacerdote di Fenesbrand risuonò alle spalle del gentiluomo. Questi si voltò con uno sguardo terribile ma Patrick Gordaukon non abbassò gli occhi né parve impressionato. Alzò una mano e la sua voce assunse un tono di comando al quale non si poteva resistere.

«Lo chiedo! Sia giudicata».

Sir Ernest parve investito da un fulmine. Un tremito violento lo scosse, facendogli abbassare le braccia e costringendolo a chinare il capo.

«Sia giudicata». Sospirò con un filo di voce.

***

L’ingresso alla rocca di lord Philip Thersil Cardekon fu assai poco trionfale. La guardia alla porta si affrettò ad aprire i battenti ma nessuno giunse ad accogliere il gentiluomo con il suo seguito. Accigliato, il nobile percorse il cortile della rocca fino al portone del palazzo, senza incontrare anima viva. Attese qualche istante, poi, spazientito, smontò da cavallo e irruppe nella residenza, travolgendo un trafelato Sandy Bond che si era precipitato a ricevere l’illustre ospite, sperando di compiacere il suo signore.

«Chi diavolo siete? Ah, lo sceriffo! Ma dove sono capitato? Si accolgono così gli ospiti in questa casa?».

«S-sir Mordred è… è impegnato… sono corso io appena vi ho visto…».

«Impegnato? Mi convoca qui con la massima urgenza ed è impegnato? Sceriffo, trovatemi il vostro padrone e portatemelo qui o me ne vado immediatamente».

«S-sì, milord. Lo chi-chiamo subito». Bond sgattaiolò sullo scalone alla massima velocità consentitagli dalle sue corte gambe e dal suo peso.

Lord Cardekon dovette misurare parecchie volte il salone a grandi passi, sempre più nervosi, finché non vide comparire un sir Mordred pallido e dall’aria sconvolta.

«Ebbene?». Chiese squadrando con aria disgustata il padrone di casa. «Avevate fretta di vedermi e mi fate attendere? Senza nemmeno mandare qualcuno a ricevermi? Credo che, se foste un mio pari, dovrei prendermi la soddisfazione di insegnarvi un po’ di buone maniere, signore».

Il tono arrogante, l’espressione e la voce odiosa del nobiluomo ebbero l’effetto di una doccia ghiacciata su sir Mordred che recuperò d’un colpo tutto il suo autocontrollo.

«Abbiamo nemici comuni, milord. Se ci muoviamo in fretta, avrete ben altra soddisfazione, credetemi. Blackwind è ancora in questi paraggi e ho scoperto dove sono gli immigrati».

«Degli immigrati m’interessa ben poco, signore. Quanto a Blackwind… bene, potrei addirittura perdonarvi se quanto affermate corrispondesse a verità e se riuscissimo a mettergli le mani addosso».

«Guardate, dunque». Sir Mordred porse la lettera di Blackwind all’accigliato nobiluomo che la scorse prima svogliatamente, poi con interesse crescente.

«Divertente. Degno della sua impudenza. Posso dunque credere che quel bandito si aggiri ancora da queste parti. Ma come possiamo catturarlo?».

«Circondando il vecchio mulino, questo pomeriggio. Se uniamo le nostre forze abbiamo la possibilità di accerchiarlo senza possibilità di scampo».

Il nobiluomo lo guardò con aria di sufficienza.

«Voi pensate che Blackwind sia così stupido? Cosa vi fa credere che cadrebbe in un inganno tanto banale? Anche se portaste davvero quei beni laggiù, siete certo che lui non fiuterebbe la trappola? Ma davvero pensate che uno che ha menato per il naso la Guardia di Elos per anni caschi in una tagliola per volpi?».

Sir Mordred arrossì. Avrebbe volentieri strozzato quel presuntuoso arrogante.

«Davvero? Allora ditemi voi cosa fareste».

«Questa lettera è una sfida. Vi dice che vi svaligerà la casa. Dunque è chiaro che intende farlo per davvero. Potete essere certo che una di queste sere, forse stasera stessa, quel furfante s’introdurrà in casa vostra».

«E allora? Vuol dire che…». Il castellano si stava rapidamente esasperando.

«…che basterà fargli credere che stasera la villa sarà semideserta e mal sorvegliata e Blackwind tenterà il colpo».

I due maggiorenti si voltarono di scatto sentendo l’allegra voce di sir Raoul alle loro spalle.

«Perdonate se m’intrometto, Lord Cardekon, i miei rispetti».

L’aristocratico guardò con sospetto il giovane gentiluomo.

«Chi diavolo si… ah, sì, ora ricordo sir Vermont… o qualcosa del genere».

«Sir Raoul Velmont, milord, è un onore incontrarvi».

Sir Mordred, visibilmente imbarazzato, si affrettò a presentare il suo ospite.

«Sir Raoul è un gentiluomo di Lumbar, ha salvato una mia serva. Purtroppo una serva infedele… ma il suo gesto resta nobile ed è mio gradito ospite».

«Una serva infedele? Cosa mi dite, sir Mordred?». Il giovane gentiluomo pareva genuinamente sorpreso.

«Questa notte, Lucy è stata sorpresa con due immigrati. È colpevole di tradimento. Sarà giudicata questa sera stessa. Mi dispiace, sir Raoul, sarà una festa di genere diverso da quella cui vi aveva invitato mia moglie ma forse… più avvincente».

Lord Cardekon intervenne nervosamente.

«Bene, sir Mordred, vi allevate le vipere in casa? Comincio a dubitare di stare perdendo il mio tempo». Il nobile pareva sempre più disgustato. «Comunque, prendo atto che non avete uno straccio d’idea per catturare quel ladro».

«Ma milord, se è qui lo cattureremo… se tentasse d’introdursi alla villa».

«Si è già introdotto alla villa, signore. Si è pure divertito a sfidarvi. Però… sir Raoul, cosa stavate dicendo?».

«Stavo dicendo…». Sir Raoul pareva pensieroso. «Stavo dicendo che, se il ladro pensasse che tutte le vostre guardie fossero qui, per esempio, stasera, potrebbe tentare il colpo… ma se alla villa trovasse, invece, le guardie di lord Cardekon…».

«… potrebbe essere intrappolato… può essere un’idea… vale la pena di pensarci». Lord Cardekon osservava attentamente il giovane gentiluomo, assumendo un aspetto ancor più ferino del solito.

«Sono contento che Vostra Signoria apprezzi il mio spunto».

«Lo sto apprezzando davvero tanto… mi dite che provenite da Lumbar, vero? Come sta Lord Karnak? È tanto che non lo vedo».

«Sta benissimo, milord. Ho avuto l’onore di cenare a casa sua una settimana prima di partire per queste terre».

«Sì, immagino che stia benissimo. Sceriffo Bond!».

Il paffuto tutore della legge comparve immediatamente con la solita espressione servile stampata sul volto.

«Ai vostri ordini eccellenza».

«Caro sceriffo, vi si offre un’occasione irripetibile per diventare famoso. Arresterete Blackwind. Questo bravo giovane mi ha dato un’idea eccezionale».

«Ne sono veramente lieto, milord». Sir Raoul s’inchinò davanti all’arcigno aristocratico.

«Dubito che lo sarete ancora per molto, egregio Blackwind. Sceriffo, arrestatelo! Lord Karnak è morto un mese fa a Krünhand. Siete un impostore, signore».

  
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