Scrivere questa storia è stato IL parto per eccellenza: molte volte, durante la stesura, mi sono chiesta chi me l'avesse fatto fare.
Inoltre questa è stata la prima storia in assoluto che ho scritto per il fandom di Hp.
E' stato difficile, molto difficile incastrare tutto e cercare di far funzionare ogni elemento: il risultato finale, tuttavia, non mi convince molto. Per questo motivo sono rimasta incredibilmente sorpresa dal fatto che questa storia si sia classificata seconda al contest "Il mio miglior nemico/La mia miglior nemica" di Maeve_ e Mizar19 e all'"Unusual Characters Contest" di Andromeda Black.
Lascio i giudizi in fondo, come sempre.
Buona lettura!
Note
iniziali e disclaimer: Il titolo viene da Orazio, Carmina,
I, 3 e significa “metà della mia anima”.
Tutti i personaggi appartengono alla
santa e benedetta J.K. Rowling, tranne Asterope Gaunt, che ho ideato.
Le altre
note le metterò alla fine per non spoilerare!
Animae dimidium meae
Parte I
Il nemico osserva bene se un'anima è
grossolana oppure
delicata;
se
è delicata, fa in
modo da renderla delicata fino all'eccesso,
per
poi maggiormente
angosciarla e confonderla.
«Avanti,
reagisci, inutile sacco di fango! Crucio!»
urlò Orvoloson, brandendo la bacchetta e scagliandola contro
l’inerme Merope,
che cadde a terra senza nemmeno tentare di difendersi. La maledizione
la colpì
con inaudita violenza, causandole un grosso squarcio nella veste
informe e
grigiastra, dello stesso colore del suo volto, ormai pallido per il
terrore. Il
dolore s’impadronì della ragazza, debole per le
ripetute violenze a cui la
sottoponevano il fratello e il padre, gli unici membri rimasti in vita
del suo
nucleo famigliare. Sentì le giunture del suo corpo andare a
fuoco, come
penetrate da lame incandescenti e pugnali roventi. Pur giacendo sullo
sporco
pavimento di quella squallida catapecchia, non aveva mosso minimamente
la pietà
dei suoi cari.
Merope
Gaunt era l’ultima discendente femminile di Salazar
Serpeverde, uno dei maghi
più potenti di tutti i tempi, nonché uno dei
quattro fondatori della Scuola di
Magia e Stregoneria di Hogwarts. Per questo motivo il suo sangue era
considerato puro come una sorgente di montagna dal padre e dal
fratello, ma la
fanciulla vi vedeva soltanto le malattie e i disturbi di varia natura a
cui era
soggetto ogni membro della famiglia, a causa dei continui matrimoni tra
cugini.
La madre di Merope, Asterope, era
morta per un male che nessuno era riuscito a guarire quando la sua
unica figlia
femmina era ancora soltanto un’innocente bambina. Se
n’era andata in pochi
mesi, mentre Merope, benché fosse soltanto una bimba,
iniziava a capire che
avrebbe perso la sua unica amica.
Il padre di Merope, Orvoloson,
era impazzito per il dolore derivante dalla morte della moglie, una
strega
incredibilmente potente e dotata, come immaginava che sarebbe stata la
figliola
da lei tanto adorata. Il seme della violenza, che l’amore per
Asterope aveva temporaneamente
soffocato, si era di nuovo manifestato, in particolare per quanto
riguardava
l’unico, ultimo scopo della sua vita, ovvero la purificazione
del Mondo Magico
da Babbani e Maghinò, i suoi più grandi nemici.
Il fratello di Merope, Orfin,
non era molto dissimile dal padre: non aveva mai mostrato il minimo
segno
d’affetto per il ramo femminile della famiglia, mentre
venerava Orvoloson in
tutto e per tutto. Quest’ultimo, d’altro canto,
adorava il suo primogenito:
aveva grandi progetti per lui, sapendo che non avrebbe mai tradito le
sue
aspettative. La malattia di Asterope e, successivamente, la sua morte,
avevano rappresentato
la fine di un’esistenza che, seppur non si potesse definire felice, in quanto i Gaunt erano caduti
in miseria, disprezzati e accomunati a vagabondi, era sempre stata
perlomeno tranquilla.
Merope era rimasta ogni giorno
al suo capezzale, in quanto Orfin era ad Hogwarts ed Orvoloson
raramente era in
casa: spesso partiva senza lasciar detto niente, per poi tornare dopo
qualche
giorno in condizioni a dir poco pietose per l’abuso di Whisky
Incendiario.
Asterope era l’unica con la quale Merope si apriva,
l’unica alla quale offriva
le sue preziose confidenze di bimba.
«Non mi piacciono i serpenti»
aveva
piagnucolato un giorno la piccola Merope, aggrappandosi alle sottane
materne.
Asterope non poteva saperlo, ma quello che stava vivendo sarebbe stato
l’ultimo
pomeriggio della sua vita: senza una vera e propria ragione aveva
deciso di
Smaterializzarsi al di fuori della propria abitazione in un campo di
grano non
distante, per trascorrere qualche ora all’aria aperta con la
figlia.
«Tesoro, non dovresti averne
paura» la tranquillizzò la madre con affetto.
«Vedi, prova a prenderlo in mano,
non ti farà nulla. Puoi parlargli, se vuoi. Anzi, provo
prima io. Su, fatti accarezzare dalla mia
stellina»
Alle ultime parole si sostituì un sibilo, che Merope non
faticò a comprendere.
In quanto discendente di Serpeverde, Merope aveva
l’abilità di parlare con i
rettili e di capire il loro linguaggio; allo stesso modo, sua madre,
cugina
di primo grado di Orvoloson, aveva acquisito sin da bambina la medesima
capacità.
Merope afferrò con le grassocce
manine la vipera, la quale si acciambellò su di lei,
avvolgendosi intorno al
suo braccio senza tentare di morderla.
«Hai visto? I
serpenti sono tuoi amici, potrai sempre fidarti di loro»
mormorò
Asterope soavemente, lambendo il capo del rettile e stringendo la
figlia in un
forte abbraccio, nonostante la malattia l’avesse debilitata.
«Perché non ti
difendi?» le
gridò il padre, lanciandole la bacchetta magica, uno dei
pochi segni di
appartenenza a quel mondo che la rifiutava. «Non sei degna di
essere mia
figlia, non sai fare niente, lurida Maganò! Serpensortia!»
Così dicendo, con un complicato movimento del braccio,
Orvoloson Gaunt scagliò
contro l’indifesa Merope un enorme serpente, che
iniziò ad attaccarla seguendo
i sibili del Rettilofono.
«La gamba,
mordile la gamba!» biascicò. Merope non
distingueva bene
le parole, riusciva soltanto a capirne qualche stralcio. Tuttavia, gli
ordini
che Orvoloson aveva rivolto al serpente erano inequivocabili: la
ragazza si
girò su un fianco, rotolando per tentare di nascondersi
sotto il tavolo. La
stanza, già di dimensioni ridotte, era diventata minuscola
per Merope, che
sentiva le dozzinali suppellettili tremare e i mobili mal ridotti
venire verso
di lei, opprimendola e schiacciandola con il loro peso di oggetti
legati ad
un’antica tradizione, ormai ridotta a pochi cenci.
Era sola, completamente
abbandonata a se stessa. Per qualche momento si chiese se Orfin avrebbe
potuto
aiutarla, ma quel pensiero se ne andò con la stessa
rapidità con cui si era
affacciato alla sua mente, stanca come il corpo martoriato dalle
torture: il
fratello maggiore condivideva le medesime idee del padre riguardo la
purezza
del sangue ed il diritto dei maghi di dominare il mondo. Allo stesso
modo
riteneva Merope una vergogna per il nome dei Gaunt e spartiva con il
genitore
la ferma convinzione di nasconderla, in quanto Maganò.
Addirittura, molte volte
partecipava alle violenze che Orvoloson perpetuava alla figlia: sebbene
non ne
fosse mai il promotore, seguiva sempre il padre nelle sevizie fisiche e
psicologiche a cui era sottoposta l’innocente sorella minore.
Il rettile la raggiunse,
strisciando con inaudita rapidità e attaccandole il
polpaccio sinistro. Merope
urlò di dolore, non tanto per il morso, quanto per lo
spasimo di sofferenza che
le aveva indotto il movimento improvviso che aveva compiuto per
staccare la
gamba dalle grinfie della serpe. Sentiva il veleno diffondersi nel
corpo ad una
velocità incalzante: ovviamente non avrebbe avuto nessun
effetto permanente, ma
le avrebbe causato indolenzimento e torpore per qualche giorno, il che
indicava
che non avrebbe nemmeno potuto difendersi dal mero punto di vista
fisico, senza
l’uso della bacchetta, che le era diventato impossibile dalla
morte della
madre. Per l’appunto, la ragazza aveva mostrato
abilità magiche, in particolare
nella più tenera età: un episodio che
l’aveva vista palesare i propri poteri si
era verificato all’età di cinque anni, durante una
delle numerose gite in
campagna con la madre, quando Merope si era sporta per raccogliere dei
fiori in
un fossato ed aveva rischiato di cadere. Asterope si era
momentaneamente
allontanata: la piccola aveva cominciato ad urlare, quando
improvvisamente
levitò fino a tornare al sicuro, lontano dal fosso. La
madre, ebbra di
contentezza, aveva iniziato a stringerla tra le braccia lanciandola in
aria,
per poi riprenderla subito con sé. Il rapporto tra Merope e
Asterope non era una
semplice relazione madre-figlia: era il rapporto più simile
all’amicizia
che
entrambe avessero mai vissuto, in quanto Asterope, figlia unica, era
sempre
vissuta in solitudine, circondata unicamente da bambole e giocattoli
magici,
mentre Merope era isolata sia dal mondo magico che babbano, inferiore
al
fratello nel cuore del padre per la perdita delle sue
abilità magiche.
Sapeva di essere un peso per i
suoi famigliari rimasti in vita: cercavano in tutti in modi di farle
tornare i
poteri magici, ma quella specie di gioco, iniziato con innocenza
(spesso Orfin
provava a farle riparare oggetti rotti con l’uso della
bacchetta), si era
trasformata in una vera e propria serie di sevizie. Orvoloson aveva
cominciato a
farle violenza fisica: disperato, si augurava che almeno
quest’estrema forma di
sopruso riuscisse a risvegliare i suoi poteri sopiti. Tuttavia, con
questo
gesto aveva sortito un effetto totalmente opposto e contrario: infatti
Merope
era sempre più terrorizzata dal padre, e non riusciva
nemmeno più a tenere in
mano la bacchetta di Asterope senza che si rivoltasse contro di lei,
disobbedendo persino agli ordini più semplici.
Il padre voleva sistemarla.
Sapeva che Merope non era
altro che un legno storto[1],
sospesa tra le grandi potenzialità del purissimo sangue che
le scorreva tra le
vene ed il suo inconscio rifiuto per il Mondo Magico nella sua
totalità, dopo
la morte della madre.
Orvoloson Gaunt voleva correggere
la propria figlia,
raddrizzare quel legno attraverso il proprio, quindici pollici di legno
di
frassino con cuore di drago.
Parte II
Il modo migliore per difendersi da
un
nemico
è non
comportarsi come lui.
(Marco Aurelio)
«Non basta nemmeno questo? Crucio,
crucio, crucio!» Merope fu
sollevata da terra; la testa picchiò contro il tavolo sotto
il quale era
rannicchiata, causandole un ampio edema sulla fronte e un taglio dietro
l’orecchio, mentre cadeva di nuovo sul pavimento ormai sporco
del suo purissimo sangue. La
ragazza cercò di
muoversi avanti carponi ma il tentativo fu vano, poiché
mentre l’enorme
serpente continuava ad attaccarla alle gambe, un’altra
sferzata della bacchetta
del padre causò l’urto del gomito di Merope con un
ceppo incandescente.
La ragazza urlò.
Le fiamme le circondarono il braccio
destro, avvolgendosi come le spire del rettile che tormentavano la
parte
inferiore del suo corpo, ma fortunatamente, in un attimo di coraggio,
Merope
riuscì ad afferrare una coperta, gettandosela sul polso,
dove il fuoco si era
nel frattempo propagato. L’ennesimo colpo la fece vacillare
ma non cadere. Pur
avendo perso l’equilibrio sulla gamba destra era stata in
grado di sostenersi
sul tavolo facendo perno sull’avambraccio sinistro.
Merope stava resistendo.
Nel trambusto, la bacchetta di
Asterope era stata scagliata in aria, finendo sulla mensola del camino,
di
fronte ad Orvoloson, il quale, ammutolito, fece cessare
l’effetto della
Maledizione Cruciatus. Era la prima volta in cui sua figlia era
riuscita ad
opporsi, annullandone parzialmente l’effetto. Ci volevano
anni ed un lungo
allenamento, prima di imparare a contrastare le Maledizioni Senza
Perdono che
non causavano una morte istantanea.
Erano accadute molte cose dal
primo di quelli che Orvoloson chiamava allenamenti.
Egli, infatti, riteneva che Merope dovesse sapersi difendere. Almeno
nei primi
tempi voleva soltanto essere suo amico.
Nella sua visione distorta del mondo la stava proteggendo dai Babbani
che
avrebbero potuto attaccarla, o peggio, dai Mezzosangue che a suo parere
continuavano ad infestare il Mondo Magico e a dissolvere il sangue puro
in
unioni con i non-maghi.
«Vedi, piccola Merope» le
diceva
sin da quando era bambina «il mondo dovrebbe essere un
meraviglioso giardino,
pieno di fiori belli come te. Invece è un prato ricoperto da
erbacce come
Babbani, Mezzosangue e Maghinò, che infestano la nostra
Terra come fango.»
L’aveva amata. Aveva amato in
lei gli scuri occhi di Asterope, ma Asterope non c’era
più, se n’era andata
dopo poco tempo, come i fiori più belli e rari.
Dopo la sua morte Merope aveva
iniziato ad avvizzire e a marcire. Era consapevole che si stava
trasformando in
un’erbaccia e, in quanto
tale suo
padre, doveva estirpare il fango dentro di lei.
Merope era diventata, infine, la
sua unica, vera nemica,
l’essere più
instabile da lui generato, ma allo stesso tempo un essere che non
poteva fare a
meno di lui, ormai divenuto metà della sua anima.
A differenza di Orfin, il quale
non perdeva mai occasione per affatturare qualche Babbano nel villaggio
di
Little Hangleton, Orvoloson si era chiuso nel misero tugurio che
costituiva la
sua abitazione ignorando il mondo che lo circondava. La sua unica
valvola di
sfogo era la figlia: aveva vissuto un’intera esistenza in cui
aveva imparato
che l’unica soluzione che avrebbe sempre risolto tutto era la
violenza, ma in
questo caso non aveva fatto altro che fallire. L’amore che
provava nei
confronti di Asterope e della figlia con lei generata si era
trasformato in
odio, un odio puro per la purissima Merope, il catalizzatore delle sue
reazioni
vitali.
Non aveva rimorsi: sapeva che
ciò a cui la assoggettava era giusto, necessario,
inevitabile. Era tuttavia
consapevole che era completamente vano, così come riteneva
la figlia, vana ed
inutile.
Per questo motivo, quando Merope
non cadde, a finire a terra fu la sua bacchetta. Orvoloson si
chinò a
raccoglierla: la maledizione aveva cessato il suo effetto e
l’enorme serpente
si era dissolto nel nulla. C’era sua figlia, ritta dinanzi a
lui, con il
coraggio accumulato dopo anni di abusi e sevizie.
Aveva trovato la forza. Ci era
riuscita.
Merope afferrò la bacchetta
della madre: sapeva che ciò che avrebbe compiuto le avrebbe
cambiato la vita
per sempre, e probabilmente ne avrebbe dovuto pagare le conseguenze a
lungo.
Aveva letto con avidità i libri
contenuti nella stanza di Orfin, senza che quest’ultimo se ne
accorgesse,
impegnato com’era nelle sue scorribande. Era sicura, come le
aveva detto la
madre quand’era una bambina, che vi era
della
magia al suo interno, nel profondo del suo cuore: era solo questione di
incanalarla e indirizzare il proprio potere verso qualcosa di grande.
Un getto di luce rossa sarebbe
stato sufficiente per rivoluzionare la sua vita.
Una sola parola.
«Stupeficium!»
sussurrò Merope, con la voce rotta. Il suo
incantesimo ovviamente non ebbe alcun effetto consistente sul padre, se
non
quello di farlo barcollare leggermente. Ciononostante, l’uomo
aveva avuto
successo, nel suo intento.
Da quel giorno, Orvoloson Gaunt non
aveva più alzato né le mani né la
bacchetta sulla figlia.
Parte III
Non c'è nemico più temibile
di
quello di cui
nessuno ha più paura.
Merope Gaunt aveva cominciato ad
occuparsi di magia quando aveva incontrato per la prima volta Tom
Riddle, un
Babbano dai lineamenti eleganti, figlio del signorotto locale. Tom era
affascinante come un gatto dal passo sinuoso, aggraziato come un fiore
di campo,
raffinato come una rondine in volo: era tutto ciò che Merope
non era mai stata
e tutto ciò che aveva sempre desiderato essere.
Perché si trattava di desiderio,
come avrebbe capito negli
anni a venire, non di amore.
Era proprio quel desiderio che
provava nei suoi confronti che l’aveva portata a tentare il
tutto per tutto,
pur di sfuggire alla miseria della sua esistenza. Aveva scoperto che
c’erano
vari modi per controllare la mente altrui: quello più
efficace implicava l’uso
della prima delle tre Maledizioni Senza Perdono, ovvero la Maledizione
Imperius. Bisognava volerlo davvero, voler controllare il corpo e la
mente di
una persona, e Merope non ne sarebbe stata affatto in grado: era ancora
integra
nell’animo, nonostante il padre avesse iniziato a
distruggerla dall’esterno.
La seconda soluzione, con più
margine di errore ma più semplice da realizzare, era una
pozione. L’Amortentia
non poteva creare veramente l’amore, ma tuttavia era in grado
di provocare una
potente infatuazione od ossessione.[2]
Era indubbiamente pericolosa, i suoi effetti potevano essere
devastanti.
La preparazione di quella
pozione e la scelta di un modo per somministrarla a Tom erano state
l’unica
ancora di salvezza che aveva tenuto Merope in vita dopo
l’arresto del padre e
del fratello. Pensava che non ci fosse niente di più
terribile che essere
continuamente sottoposta alle continue torture di Orvoloson: ebbene, si
sbagliava. Il suo corpo sicuramente ringraziava il provvidenziale
intervento di
Bob Ogden, ma la sua anima doveva ancora abituarsi a quella solitudine.
La
piccola abitazione di Little Hangleton era piena dei fantasmi del
passato e
Merope aveva la forte tentazione di andarsene da quella baracca una
volta per
tutte, per congiungersi con l’uomo che credeva di amare.
Come il padre riteneva che la
violenza avrebbe risolto i propri problemi, sua figlia era fermamente
convinta
che l’amore sarebbe stato ciò che le avrebbe
cambiato la vita. Quello che
Merope non aveva ancora capito era che quell’amore in cui
sperava tanto
l’avrebbe invece distrutta.
La ragazza passava le giornate
alla finestra, sperando di vedere l’uomo che tanto occupava i
suoi pensieri e
la visitava in sogno. Almeno sotto questo aspetto Tom non la deludeva
mai: ogni
giorno, proprio come un cavaliere d’altri tempi, attraversava
il sentiero che
conduceva alla casa dei Gaunt. Merope era convinta che una volta
l’avesse
vista, mentre, cercando di isolare alcuni ricordi felici del passato,
visitava
i campi nei quali aveva trascorso indimenticabili momenti con la madre.
Si era
nascosta dietro l’erba più alta, ma aveva udito
una voce che l’aveva raggelata.
«Ma quel vagabondo, Tom… non
aveva una figlia?» aveva trillato l’affascinante
ragazza che accompagnava
spesso il Babbano nelle passeggiate a cavallo.
«Non ne ho idea, cara» le aveva
risposto Tom, con lo squillare argentino tipico del suo modo di parlare.
«L’ho vista una volta,
affacciata alla finestra… aveva un aspetto orribile,
amore!»
Merope aveva saputo che l’interlocutrice
di Tom si chiamava Cecilia; ogni lettera di quel nome non faceva altro
che
infastidirla. Era perfettamente a conoscenza del fatto che proprio Cecilia fosse la ragazza perfetta per
Tom, con il suo fascino e la sua grazia, ma nel profondo del suo cuore
non
riusciva a non immaginarsi al suo fianco.
Per questo motivo, prima di aggiogare
Riddle a sé con l’Amortentia, Merope aveva ancora
un’ultima missione da portare
a termine: doveva eliminare Cecilia, la sua peggior nemica.
Così come sapeva che a Tom piaceva
cavalcare nei prati circostanti la radura che delimitava la sua
abitazione,
Merope era perfettamente a conoscenza dei luoghi in cui
l’amica di Tom amava
passeggiare in solitudine. La vedeva nei fine settimana, con il suo
abitino ricco
di pizzi e trine e quel disgustoso ombrellino parasole, che proteggeva
i bei
riccioli biondi i quali ricadevano con grazia sulle rosee gote.
Quanto la odiava, quanto
desiderava che soffrisse, quanto voleva vederla morta.
Cecilia era l’unico ostacolo
alla sua felicità, ma Merope non aveva il coraggio di
ucciderla, annientandola
definitivamente: si rendeva conto della nomea che si aggirava intorno
alla sua
famiglia, e sarebbe stata facilmente additata come colpevole dagli
abitanti del
villaggio.
Si sarebbe limitata a spaventarla.
Quello che stava per
compiere era il secondo atto di coraggio della sua vita, grazie al
quale
avrebbe potuto cambiare le cose attraverso la sua bacchetta magica. La
bacchetta di Asterope, infatti, che Merope sfoderava con ardimento, le
infondeva tutto il vigore e il potere della madre. Per un momento si
chiese se
la madre avrebbe approvato questo suo gesto; probabilmente si sarebbe
limitata
a scuotere la testa, abbracciandola e ricordandole che il mondo era
pieno di
ragazzi ben più meritevoli delle sue attenzioni di uno
sporco Babbano. La
stessa domanda le venne alla mente, pensando a quale sarebbe stata la
reazione
del padre, il quale detestava Riddle con tutta la sua anima guastata
dalle
nefandezze che aveva compiuto, ma per certi versi avrebbe approvato il
fatto
che Merope aveva imparato a difendersi dagli squallidi non-maghi.
E Merope si sentì potente, per
la prima volta in tutta la sua vita sentì davvero il sangue
di Salazar
scorrerle nelle vene, come un antico talismano, che l’avrebbe
protetta nelle
avversità. Sentiva la forza di Asterope e la
crudeltà di Orvoloson mentre
pronunciava quell’unico termine che già
l’aveva salvata.
«Stupeficium!»
urlò, all’apparire di Cecilia nel suo
campo visivo. Quest’ultima
strillò e cadde con grazia sullo spiazzo erboso, giacendo
inerte in posizione
supina.
Ora rimaneva soltanto a Merope
la scelta del giorno in cui avrebbe ingannato Tom. Si
svegliò in un giorno di
giugno, non eccessivamente afoso. Gli uccellini che abitavano la radura
che
circondava la misera catapecchia in cui viveva avevano iniziato a
cinguettare:
proprio dopo che Orvoloson e Orfin erano stati arrestati, la natura
aveva
ricominciato a manifestarsi in tutte le sue forme, e intorno
all’abitazione di
Merope non vi erano soltanto più serpenti sibilanti, ma
anche altri piccoli
animaletti che erano riapparsi, ora che finalmente non erano
più vittime dei
malvagi scherzi di Orfin e dei rettili che controllava.
La ragazza era uscita di casa indossando
il suo abito migliore, sempre che si potesse considerare abito
il meno consunto tra gli stracci che portava. Portava un
abito viola scuro, con un corto mantello ad esso abbinato: era ben
consapevole
di non essere graziosa, ma si era sforzata di apparire al meglio delle
sue
qualità. La vita di Merope aveva iniziato a ruotare nel
verso giusto: ora che
ruotava intorno all’uomo che l’ultima discendente
dei Gaunt considerava giusto
aveva iniziato a sentirsi quasi contenta e lo spettro della solitudine
aveva
smesso di aleggiarle intorno.
Aveva portato un cestino,
contenente una coperta: si sarebbe seduta nel prato e avrebbe aspettato
l’arrivo di Tom, sicuramente stanco e accaldato, a cui
avrebbe offerto ciò che
lui avrebbe creduto essere acqua, ma che in realtà era il
filtro d’amore per
cui Merope aveva instancabilmente lavorato nelle ultime settimane. Quel
giorno,
tuttavia, Tom sembrava non arrivare. Probabilmente era stato trattenuto
da
qualche impegno mondano, in cui avrebbe incontrato amici degni di lui
e,
magari, graziose ragazze Babbane
che
avrebbero attirato la sua attenzione, riuscendo dove Merope aveva
sempre
fallito. Rimase seduta ad aspettarlo fino all’imbrunire, fino
a quando
l’oggetto del suo desiderio non apparve
all’improvviso.
Tom Riddle era bello come il
sole che se ne stava andando per lasciare posto alla luna. E proprio
come il
sole, anche la parte peggiore della vita di Merope stava per finire,
lasciando
posto alla notte, in cui avrebbe potuto finalmente brillare come la
stella di
cui portava il nome.
I due ragazzi si avvicinarono,
Tom era incuriosito e per certi versi sospettoso dinanzi alla bevanda
offertagli da Merope, ma il caldo, la stanchezza e la sete vinsero i
suoi
dubbi.
Al primo sorso non accadde nulla.
Al secondo sorso, lo sguardo di
Tom iniziò a prendere una piega strana. Parve sorpreso di
trovarsi così vicino
alla ragazza, ma la sua sorpresa non era velata di disgusto, come
Merope si sarebbe
aspettata.
Al terzo sorso, nei suoi occhi
Merope vide interesse e desiderio.
Poche gocce di quel liquido le avevano permesso di ottenere la
felicità pura,
che in quel momento aveva il volto ed il nome di Tom Riddle, il quale
si sporse
verso di lei e le diede un lungo bacio, mentre le stelle in lontananza
cominciavano le loro danze notturne.
Parte IV
Grazie al nemico la vita,
questo
sinistro
accidente,
si
trasforma in
epopea.
«Hai visto, Severus?»
mormorò
Lord Voldemort, congiungendo le punte delle dita in un modo che Severus
Piton
aveva visto tante volte compiere da parte di Albus Silente.
«Quella sciocca di
mia madre ha abbandonato la sua famiglia per un Babbano. Quando sono
andato a
cercare la catapecchia in cui vivevano ho trovato una lettera
d’addio, rivolta
a suo padre. Patetico, vero?»
Così dicendo prese un foglio
stropicciato ed iniziò a leggere con tono di scherno:
Padre,
al
vostro ritorno non mi troverete. Ho finalmente ottenuto quello che
volevo: ho
legato a me attraverso la magia un uomo che avete dimostrato di non
approvare,
il Babbano Tom Riddle. Ho preparato una pozione che
continuerò a fargli bere in
modo che non mi abbandoni mai. Vivremo per sempre insieme, felici e
contenti.
Ora Tom non può fare a meno di me, è diventato
metà della mia anima.
Addio
per sempre,
Vostra
Merope.
«Lei non lo amava, e lui non
amava lei. L’amore è per i deboli, ti umilia.[3]
Mia madre desiderava Riddle e se l’è preso, ma non
aveva il coraggio di
mantenere la loro relazione, per cui ha smesso di stregarlo. Lui
l’ha
abbandonata e lei è morta dandomi alla luce. Siamo molto
simili io e te,
Severus. Le nostre madri erano potenti ma stolte, hanno scelto uomini
indegni
di loro e per questo hanno subito le conseguenze che si
meritavano.» La voce
dell’Oscuro Signore cullava Severus, mentre si abbandonava ai
propri ricordi.
«Davvero la desideri? Davvero
vuoi che la risparmi? Sai… questo tuo odio per Potter ha
tirato fuori la parte
migliore di te… se sarai al mio fianco potrai avere lei tutta per te, se proprio la
desideri.»
«Così sia, allora.»
sussurrò
Severus, finalmente convinto, mentre una scia di fuoco usciva dalla
bacchetta
di Lord Voldemort, formando un serpente sul braccio sinistro di Severus
Piton e
trasformandolo nel suo più fedele Mangiamorte.
Note
finali
·
So
che è un punto controverso per cui volevo specificare bene.
Merope è una
Maganò, o almeno sappiamo che non è in grado di
usare i propri poteri fin
quando è oppressa dal fratello e dal padre. Avendo io
indicato la morte di
Asterope prima che la ragazza raggiungesse l’età
necessaria per andare a
Hogwarts e quindi possedere una bacchetta propria, ho deciso di
attribuirle la
bacchetta della madre. Questo può essere un ulteriore motivo
per cui alcuni
incantesimi che pronuncia non hanno effetto.
·
Asterope
è un’altra stella della costellazione delle
Pleiadi. Non negherò che l’idea per
il nome mi sia venuta da Gabriele d’Annunzio e dai titoli
delle sue Laudi del cielo, del mare, della
terra e
degli eroi.
·
L’ultima
parte può apparire nonsense ma
in
realtà c’è un motivo preciso per cui
l’ho inserita: solo in questo modo,
secondo me, Voldemort è riuscito a coinvolgere
definitivamente Piton, promettendogli
Lily.
[1] Purtroppo questa bella metafora non è mia, bensì di Immanuel Kant, che definisce l’uomo un “legno storto”, ossia una miscela di bene e di male da cui non è dato pronosticare un esito della storia o totalmente positivo o totalmente negativo.
[2] Frase tratta da “Harry Potter ed il Principe Mezzosangue”, con leggerissime modifiche per adattarla al contesto.
[3] Citazione da “White Oleander”
Questa storia partecipa alla "100 prompts challenge" con il prompt 10. Opposti
Ecco i giudizi:
Andromeda Black - Unusual Characters Contest
Grammatica:
9.5 punti
La tua grammatica è perfetta, non ho trovato forme verbali
errate e nemmeno errori di battitura. Ti ho tolto mezzo punto,
però, per un unico errore: nel quarto capoverso della prima
parte hai inserito una virgola tra il soggetto e il verbo.
Forma e stile: 10 punti
Hai uno stile meraviglioso! Elaborato ma di facile comprensione, con
qualche parola più ricercata qua e là che danno
il giusto tono alla storia.
Caratterizzazione del personaggio: 10 punti
Merope è molto ben descritta, l’hai fortemente
caratterizzata dandole un buono spessore.
La vita di Merope, la sue paure, sembrano reali, così come
il suo desiderio nei confronti di Tom. Nonostante la Rowling ci dica
poco di questo personaggio, mi è davvero piaciuto come
l’hai resa! Brava!
Originalità: 10 punti
Storia davvero molto originale. Quando si pensa a Merope in genere
è solo per via della sua relazione con Tom. Qui, invece,
è molto forte il suo legame familiare, con la madre ma anche
con il padre. Nonostante non sia un buon rapporto alla fine anche
Orvoloson riesce ad aiutare Merope, anche se un po’ a modo
suo, rivelando in fondo un po’ di umanità.
Cambio personaggio: 1 punto
Gradimento personale: 4.5 punti
Hai scritto davvero una bella storia. Ho apprezzato in particolare il
rapporto Merope-Asterope, rapporto che dona dolcezza alla storia.
Non ho trovato molto inserita, invece, l’ultima parte.
Più che altro non trovo il collegamento Merope-Lily.
Sicuramente Voldemort ha convinto Piton grazie a lei, ma non mi
convince con questa storia. Per tutto il resto, l’ho adorata!
Per un totale di 45 punti.
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Giudizio di Mizar19
- Grammatica, lessico e sintassi: 9.5/10
- Stile: 9.5/10
- Caratterizzazione dei personaggi: 10/10
- Originalità: 14/15
- Punti bonus: 5/5
- Giudizio personale: 5/5
Totale: 52
Mi pare piuttosto ovvio che ora tu possa placare la tua ansia da
risultati. Dunque, mi lancio subito nelle cose che non mi sono piaciute
molto o che comunque non mi hanno convinta (per la serie, togliamoci il
dente: mi ha lasciata decisamente perplessa la questione della "nemica"
perché questa donna, per quanto il sentimento di Merope sia
reale e forte, pare un po', come dire, "piovuta dal cielo"; capisco che
sia un ostacolo piuttosto solido al coronamento del loro sogno d'amore,
ma viene liquidata troppo rapidamente, è come un battito di
ciglia nella vita sfortunata di Merope. Ed eccoci alla seconda mia
perplessità: a questo punto, è il padre il
miglior nemico di Merope? Pare di sì perché
è grazie alle sue violenze che lei trova la forza di
riprendere in mano la bacchetta e scagliare incantesimi. Chiarisci
solamente questo punto, perché per il resto non ho nulla da
obiettare: la grammatica è corretta, solo in due punti avrei
disposto la punteggiatura diversamente (se vuoi delucidazioni, fammi
sapere). Un’ultima nota sul finale: anche Piton ha un
“miglior nemico”, a quanto pare, e questo crea un
po’ di confusione puramente a livello di rispetto del bando
(a mio parere), ma non ho tolto nulla al punteggio come puoi notare. Su
quella cosa, l’esca usata dal Signore Oscuro per irretire
Piton, sono abbastanza d’accordo con te.
Infine, ho apprezzato molto l’uso di quelle citazioni e la
stessa impostazione della storia (che fa sempre la sua porca figura).
Giudizio di Maeve_
Grammatica, lessico e sintassi: 10/10
Stile: 9/10
Originalità: 14/15
Caratterizzazione: 9/10
Gradimento personale: 4/5
Punti bonus: 5
Totale: 51/55
Non ho davvero nulla da ridire su quanto concerne la voce
‘Grammatica, lessico e sintassi’. Chapeau! Lo stile
è molto curato, elegante, raffinato: nulla è
lasciato al caso, dalla più piccola citazione
all’uso delle metafore e dei riferimenti letterari. Si
può dire che è uno stile molto ricercato, che in
alcuni punti sfiora la ridondanza: proprio per quest’ultimo
motivo ti ho tolto un solo punto sotto questa voce. E’ una
considerazione prettamente personale, che infatti influisce ben poco
sul punteggio: in alcuni punti ho trovato i periodi un po’
troppo pesanti, pur essendo corretti dal punto di vista grammaticale.
Diciamo che una lunga frase ricca di subordinate e pregna di concetti
è bella da vedere ma pesante da leggere.
La trama è piuttosto originale, ricca di ottimi spunti per
riflessioni individuali. Hai curato la storia in ogni suo
più piccolo dettaglio, e questo ti va riconosciuto. Anche la
caratterizzazione è molto buona, sebbene si possa
considerare Merope un personaggio OC per le poche notizie che abbiamo
sul suo conto. La psiche della protagonista è pienamente
approfondita e il personaggio mi è sembrato piuttosto
“coerente” con le scarse notizie che la Rowling ci
ha dato. Anche Orvoloson e Orfin, sebbene quest’ultimo sia
solamente citato, appaiono ben caratterizzati; l’unico
appunto che mi sento di farti è che non mi ha convinto
appieno l’amore infinito di Orvoloson verso Asterope, ma di
nuovo siamo su un piano soggettivo. L’unica vera nota dolente
per quel che mi riguarda è Piton: ho perfettamente compreso
i motivi per cui hai inserito quel finale, ma non sei riuscita a
convincermi appieno, per questo ti ho penalizzata lievemente. Spero si
sia capito che la storia mi è piaciuta moltissimo
– sarà perché adoro tutto
ciò che è malinconico e introspettivo?
– e che si vede che ci hai messo molto della tua passione
nello scriverla. Non ti ho dato il punteggio pieno per il semplice
motivo che non ho pienamente apprezzato le scene iniziali di violenza
su Merope: ripeto che sei stata bravissima a rendere tutto questo
terribilmente reale, ma forse proprio per questo motivo a pelle mi
risulta difficile la lettura delle violenze perpetrate su Merope.
Questo però è solo un parere, nel complesso sei
stata bravissima!
Punteggio totale: 51.5/55