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Autore: Jules_    12/05/2011    2 recensioni
Storia per un contest. Mi fa quasi schifo, adesso.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Ringo Starr
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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20 Gennaio 1963. Liverpool. Mattina.
 
Il freddo gelo dell'inverno aveva avvolto la città come una coperta. In strada non si vedeva tanta gente, ma quelle poche persone parevano, se viste dall'alto, tante piccole fromiche che correvano di qua e di là. C'erano ragazzi che cercavano un pub per dove saltare scuola, bambini che scorrazzavano giocando con quella poca neve caduta il giorno prima, vecchie signore in pelliccia e il naso all'ins' e anziani che se ne stavano seduti sulle panchine a raccontarsi dei ''vecchi tempi''. Era tutto un vociare, urletti, strepitii dei bambini, le battutine dei ragazzi del College e il rumore delle poche macchine che giravano a quell'ora. Intanto tutto questo veniva osservato da una finestra, la finestra di quella casa a due piani, da un ragazzo ormai ventitreenne troppo eccitato per dormire e troppo pigro per uscire in strada. Decise bene di starsere a letto, con quegli occhia zzurri incollati su un libro e quel giradischi di sottofondo, in una apatia assoluta, sperando che accadesse qualcosa. Qualsiasi cosa.
Strano. Eppure non andavo matto per Elvis. Pero', quel disco che mi aveva prestato John era fantastico. A proposito, chissa' dov'era adesso quello lì e gli altri due. Beh, devo ammetere che non mi importava piu' di tanto. Preferivo starmene a letto con una copia di Macbeth che andare a cercare quei tre ubriaconi per tutta Liverpool. Tutti i suoni e i rumori della citta e dell'esterno sembravano ovattati per me. L'unici suono chiaro e nitido era quello del giradischi e della voce di quel mito che mi riempiva le orecchie. 
E John voleva che noi, i Beatles, quel gruppo al quale mi ero unito da neanche un anno, diventasse meglio di lui? Mi sembrava quasi impossibile.
Improvvisamente mi lasciai travolgere da quella musica e cominciai a tenere il tempo con il piede sinistro, lasciando fluire le parole di Shakespeare nella mia testa come se non avessero senso.
-Diamine, ho perso il segno!- esclamai quando arrivai a metà pagina senza aver capito un accidente. Questa era una cosa che mi faceva veramente innervosire. Così chiusi il libro e lo lasciai cadere rumorosamente sul comodino, producendo un suono sordo e potente da diffondersi in tutta la casa ormai vuota. Anche il giradischi si fermò di colpo e rimasi impietrito.
-Ma che caz..?-. 
Mi alzai e mi avvicinai ad esso, un po' impaurito da quello che mi sembrava un evento "paranormale", ma tirai un sospiro di sollievo quando mi accorsi che era solo finito il Lato A. Mentre stavo per voltare e dirigermi al piano di sotto (mi era venuta un po' di fame) il mio sguardo cadde sulla strada grigia. Gente che andava di qua e di là, senza tregua, ragazzi che mi ricordavano me alla loro età.  Ok, non ero vecchio, ma mi sarebbe piaciuto tornare ad avere 17 anni. 
Sospirando, scesi le scale facendo un rumore bestiale. Quelle scale scricchiolavano e mi davano un fastidio della madonna. E come se non bastasse John e George  lasciavano segni del loro passaggio ovunque, vestiti sullo scorrimano, sacchetti di patatine a terra, cravatte dappertutto e c'era anche una cicca sulla lampada.
"Tanto ci pensa Paul a rimettere in ordine" pensai facendo spallucce e mi diressi in cucina per prepararmi qualcosa. Passai di fronte ad uno specchio e mi fermai a fissare la mia immagine riflessa: cavoli, mi riconoscevo a stento. Basso, indossavo un maglione rosso scuro troppo largo, dei pantavoli di cotone beige e avevo sempre quella faccia. Anzi, piu' che altro, quel naso. Quel naso abnorme che praticamente tutti prendevano di mira, e quegli occhi TROPPO azzurri e TROPPO appariscenti. I capelli erano un disastro, andavano di qua e di là ed era da un po' che non mi facevo la barba. Ma non mi importava.
-Buon giorno Ringo!-. Dissi parlando allo specchio e mettendomi le mani sulle guance. -Saluta il tuo naso! Ciao Naso!-. Ok. Non stavo bene. Ero stanco e avevo delle occhiaie gigantesce per cui decisi che era meglio farmi un caffe', che almeno mi avrebbe svegliato un poco. Fortunatamente, ce n'era rimasto un goccio dalla sera prima e, dato che non avevo nessuna voglia di farmelo da solo, ne presi un po' da quella moca e mi sedetti al tavolo ad osservare ancora una volta fuori dalla finestra. Iniziai a sorseggiarlo piano piano, così assorto nei miei pensieri da non accorgermi che aveva iniziato a nevigare, e anche fitto, direi. Intanto pensavo. Pensavo a tutto. Al mio futuro, alla mia vita, se quel sogno di diventare un famoso batterista si sarebbe mai realizzato, se le cose sarebbero andate come avrei voluto. La verità è che avevo paura. Tanta paura.
Tutti questi pensieri, pero', furonointerrotti da qualcosa. Non so se fosse stato frutto della mia mente o che altro, ma imprvvisamente, tra quei focchi candidi ma ipetuosi, vidi una sagoma, la sagoma di una donna. Non vedevo il suo volto ed era gia' tanto se riuscivo a distinguere i contorni, ma riuscii a notare i suoi lunghi capelli scuri e camminava sul marciapiede come se ci danzasse sopra. Rimasi rapito da quella visione quasi angelica, fatale, e a momenti non lasciavo cadere il caffe'.
Poi bussarono alla porta.
Sbattei di colpo le palpebre, evitando che la tazzina si rovesciasse. Guardai di colpo in direzione della porta e quando mi alzai per andare a vedere chi fosse, tremando, mi accorsi che fuori non c'era piu' nessuno. Che fosse stato frutto della mia testa?
Quando aprii la porta mi ritrovai John, George e Paul, tutti brilli e infreddoliti, che mi guardavano e ridevano.
-Ehi, Rings!- disse John scoppiando dalle risate -Sei tutto bianco! Che hai visto? Un fantasma!?-.
 
 
20 Gennaio 1964. Londra.
 
Le porte della metro' si chiusero velocemente alle mie spalle, lasciando fuori un po' di ragazze che, riconoscendo il mio travestimente, mi avevano inseguito fino a costringermi a prendere un treno qualsiasi al volo.
Tirai un sospiro di sollievo e, alzando il colletto del giaccone marrone che avevo addosso, mi guardai attorno. Per ora sembrava che nessuno si fosse accorto che IO ero IO.
La metrò partì, ma era piena e quindi non trovai posto a sedere pero', in compenso, era molto caldo e si stava bene. Mi calai il cappello sul viso e mi aggrappai a un appiglio qualsiasi, pronto a scendere quando la carrozza si fosse svuotata.
Dopo circa dieci minuti mi ero gia' annoiato e il calore tiepido dell'inizio era diventato un caldo insopportabile, ma non avevo il coraggio di aprire il cappotto o di togliere il cappelllo. Cercai nuovamente un posto con lo sguardo ma sis tava così appiccicati che non riuscivo a vedere niente. L'unica cosa che notai fu lei. Lei e i suoi capelli lunghi. Quando la vidi rabbrividii. Rimasi con gli occhi sbarrati di fronte a lei. Era reale? Sembrava proprio di si.
Se en stava in piedi dall'altrrea parte della carrozza e potrei giurare che era colei che avevo visto l'anno prima. Aveva la pelle chiara, molto piu' chiara di quella che gli inglesi hanno solitamente, sembrava color del latte. I capelli lisci e color nocciola erano ancora piu' lughi di quelli che mi ricordavo e le incorniciavano il viso in un modo tale che non avevo mai visto prima, perfetto.  Gli occhi si guardavano timidamente attorno, quegli occhi di un verde così chiaro che non credo avrei piu' rivisto. Aveva la bocca socchiusa ed era così piccola che sembrava un bocciolo di rosa. Ricordava vagamente quella di McCartney ma in quel momento non volevo che Paul si intromettesse nelle mie fantasie su di lei. 
Appena il suo sguardo si posò su di me vedendo che la stavo fissando  con costanza e una faccia da ebete, si strinse nel suo cappotto color mattone con una fantasia scozzese e mi rivolse un timido sorriso prima di girarsi ed avvicinarsi allo sportello per passare alla carrozza successiva. Quel sorrivo fu così letale che un brivido caldo mi percose lungo tutta la schiena.
Senza nemmeno accorgermene, la mia mano aveva gia' lasciato la barra che stringeva poco prima e mi ritrovai a rincorlerla, rapito da quel modo così angelico che aveva di muoversi.
-Ahi!
-Ehi, stai più attento!-
-Giovanotto, ma che fai!?-
Erano i commenti degli atri passeggeri che urtavo, ma io avevi gli occhi solo per lei, che aveva appena sttraversato la porta ed era passata al vagone successivo. La rincorsi e, entrando nell'altra carrozza, per un momento la persi di vsta. Rimasi spaesato e la cercai con lo sguardo. Il treno si fermo' e la vidi davanti alle porte, in procinto di scendere. Ero così attratto da lei. Sembrava che ci fosse qualcosa che mi dicesse che dovevo seguirla. E così feci.
Mi precipitai fuori dal vagone appena in tempo. Lei accellero' il passo, anzi, stava quasi correndo, e così feci anche io. Non m'importava dove fossi. Volevo sapere chi era. Sembrava la ragazza perfetta. Senza neanche accorgermene mi ero messo a correre e anche lei stava facendo lo stesso. Ci ritrovammo a correre in una stazione della metrò sembrando due pazzi. Improvvisamente la vidi nascondersi dietro ad una colonna. Sorrisi e, raggiungendola, mi mi si davanti a lei che si schiacciò contro il muro, intrappolata dalle mie braccia che le sfioravano le spalle. Lei strinse forte gli occhi, come impaurita, e si portò una mano alla bocca tremando. Era bellissima. Il mio cappello cadde a terra e lì fui riportato alla realta'.
"Che diamine sto facendo!?". Mezzo spaesato cercai di fare qualcosa.
-Ti prego. Non...non gridare!- dissi sussurrandole all'orecchio.
Tutto d'un tratto smise di tremare e rivelo' i suoi splendidi occhi color dell'edera. Lei non rispose e quindi cominciai ad agitarmi. Che diamine, dovevo dire qualcosa!
-Ehm...scusami se ti ho spaventata. Non volevo...- balbettai mettendomi una mano dietro la nuca, imbarazzatissimo. Lì mi accorsi di non avere piu' il cappello e mi girai a cercarlo, preoccupato. Lei, vedendomi così indaffarato, iniziò a sorridere e, quando finalmente trovai il capello, non lontano da lei, parlò.
-Ma scusi, perchè se ne va in giro vestito così?- e scoppiò in una fragorosa risata. Rimasi incantato: non avevo mai conosciuto qualcuno che ridesse in una maniera così soave. Quando mi ripresi mi resi conto della sua domanda e sbarrai gli occhi.
-Dammi del tu. E poi... Come perchè? Per non farmi riconoscere!- e risi come se fosse la cosa più ovvia di questo mondo. Lei, però, di risposta inclinò la testa con un'espressione enigmatica in volto.
-Eheh, io sono Ringo Starr!- dissi sorridendole e spalancando le braccia.
Lei mi ride in faccia.
-Ringo! Che nome buffo!-
Io incrociai le braccia, facendo il finto offeso. -Non c'è niente da ridere. E poi... Non è il mio vero nome. Piacere, sono Richard Starkey- e, sfoggiando il mio sorriso migliore, le strinsi la mano. Lei sorrise a sua volta. 
-Lieta di conoscerti, Richard. Io sono Mary Lightman-.
 
 
-E quindi sei il batterista di una band, dico bene? Aspetta, come hai deto che vi chiamate...?-
-I Beatles-. Mi sembrava così strano parlare con una persona che non ci conoscesse. Non che mi dispiacesse. Anzi, stavo parlando con una ragazza e le stavo per di piu' offrendo il pranzo senza essermi ritrovato nel mezzo di una rissa di fan esaltate: miracolo!
-Beh, io ti ho raccontato un po' di me, ora è il tuo turno!- dissi cercando di sembrare il meno indiscreto possibile e mi sistemai il collo del giaccone: eravamo in un pub, in un angolo appartato ma c'era comunque il pericolo che qualcuno mi riconoscesse. Anzi, che riconoscessero il mio naso.
Lei sorrise. Con quel sorriso mi illuminava ogni volta. Prese la sua tazza di caffe' e bagnò leggermente le sue labbra, appoggiando delicatamente la ceramica sulla bocca e continuando a guardarmi. Aveva uno sguardo angelico ed era la prima volta volta che mi sentivo così in imbarazzo. Poi, finalmente, iniziò a parlare.
-Cosa dire di me? Sono una ragazza normale. Credo. Vengo dall'America, sono ui da poco e lavoro come commessa in un negozio d'intimo a Piccadilly Circus. Amo la musica classica e suono il piano e il violino. E poi...boh, non saprei! e terminò con una risata imbarazzta.
Poi, il silenzio.
Nessuno dei due sapeva cosa dire. O forse lei lo sapeva ma non lo diceca. Io ero rosso, o almeno così mi sembrava dato che non avevo mai sentito un calore simile in viso. Lei se ne stava con gli occhi abbassati, sorseggiando il suo caffe' e cercando di farlo durare il più a lungo possibile. Diamine, dovevo dire qualcosa. E quella frase mi uscì d'istinto.
-Io ti ho già vista-. Lei alzò lo sguardo e mi guardò con aria enigmatica.
-Si, può essere, prendo spesso questa linea, ma...-
-No, non qui. Non in questo tempo e non in questo luogo. E' stato precisamente un anno fa. Tra la neve, a Liverpool. E' sciocco ma, sono sicuro che fossi tu-.
Mi avvicinai e la guardai come per cercare una qualsiasi risposta ma lei non rispose. Si limitò a guardare la tazzina e restò in silenzio.
-Devo scappare! disse come se non avesse ascoltato quello che le avevo appena detto. -E' tardi!-.
-Oh, ok. Certo- feci, alzandomi.
-Sei un tipo simpatico, Richard. Sei ok. Potremmo vederci domani, se ti va. Magari sempre qui, verso le tre. Va bene?-. Come potevo resistere a quel sorriso?
Accettai e li mi stampò un bacio sulla guancia, prima di scomparire definitivamente, confondendosi con l'altra gente.
 
I giorni passarono ed io ed Mary ci incontravamo quasi tutti i giorni. Con lei stavo benissimo. Ogni volta mi insegnava qualcosa di nuovo e con lei provavo un qualcosa che non avevo mai sentito prima. Ero felice ogni qual volta che sorrideva, che inarcava il sopracciglio e come i suoi occhi brillavano nel vedere qualcosa che l'attirava, Ogni volta tornavo a casa con un sorriso stampato sul volto e i ragazzi mi chiedevano se fossi stato conb qualcuno alludendo a chissà cosa ma alla fine non indagavano più di tanto. Però io morivo per lei. Mi logorava per lei ed ogni volta mi distendevo a guardare il soffitto pensando a che cosa mi stesse succedendo. Io. L'amavo, per caso? Erano passati due mesi circa e mi ricordo ancora la data in cui successe. Quel giorno in cui mi vidi crollare il mondo addosso.
27 Marzo 1964.
 
Io ed Mary ci eravamo dati appuntamento alla stazione dove ci eravamo incontrati la prima volta. Avevamo passato una giornata bellissima e lei stava per andare a prendere e tornare a casa. E lì mi baciò.
Ful il più bel bacio della mia vita. Si avvicinò lentamente e appoggiò le sue labbra delle mie trementi, unendosi in un bacio tiepido e caldo. Misi le mie mani sulla sua vita e lei mi mise le braccia al collo. Sentivo il suo respiro e percepivo ogni singola sensazione che il suo corpo emanava. Il suo profumo mi enebriava. Era un profumo naturale, di quelli che hanno poche persone, e il suo era buonissimo. I suoi capelli, legati in una treccia e le cadevano tutti a sinistra del suo candido collo, toccandole il seno e separandomi dal tepore del suo corpo angelico, quasi puro. Quando ci staccammo i suoi occhi verdi si incrociarono con i miei. Non avevo bisogno di parole. Loro parlavano per me e per lei. E spero tanto di non aver sbagliato a capire quello che volessero dirmi. 
-Devo andare, Rich- fece lei allontanandosi di qualche passo.
-Certamente- sorrisi. -Vai pure! Ma...vorrei rivederti! Quando?-. Ok, forse ero sembrato troppo impertinente, ma volevo rivederla. Io ne avevo biosogno.
-Mi dispiace, Richard, ma dovrò lavorare molto, per un po'. Non ti preoccupare, ci rivedremo-.
Lei continuava a sorridere e io non capivo.
Perchè diceva così? Decisi di non farci caso e la salutai. 
La osservai avviarsi lontano verso, i binari e rimasi a guardarla finchè non si girà un ultima volta e mi sorrise.  L'ultima immagine di lei. Io ricambiai e mi voltai, con il cuore a mille e felice come una Pasqua. Poi il suono di un treno in arrivo. Il rumore stridulo dei freni. Un urlo mostruoco si dilagò per tutta la stazione. Mi fermai impietrito a guardare il nulla. Un pensiero orribile trafisse la mia mente come un dardo. Non volevo voltarmi. Non volevo scoprire se quell'idea, quell'immagine agghiacciante nella mia testa fosse diventata realtà. Alla fine, però, mi girai e nel farlo rimasi impietrito ed incredulo. Era vero.
Una marea di gente era accorsa sui binari, chi urlava, chi sveniva, il conducente del treno era sceso e stava cercando di far allontanare la calca. Io non mi avvicinai. Avevo capito quel che era successo e l'unica cosa che volevo era urlare, piangere, gridare, dimenarmi e accasciarmi al suolo ma non potevo. Mi avrebbero riconosciuto e sarei stato ancora di più nella merda. Non potevo fare quello che volevo. Ero imprigionato in 'Ringo', quella parte di me che conoscevano tutti e che suonava la batteria, ma non potevo essere 'Richard'. Me stesso.
E mi sentivo così male.
Andai a casa e mi chiusi in casa per giorni. Non facevo entrare nessuno, George era l'unico che riuscivo a vedere, l'unico che lasciavo venir dentro ma non parlavamo. Se ne stava in silenzio e poi se ne usciva con una faccia avvilita. Mi dispiaceva per lui, ma non avevo la forza di parlare.
Guardavo fuori dalla finestra e vedevo i fiori primaverili spuntare dai balconi. Mary Lightman. Feci delle ricerche in seguito e scoprii che a Londra, con quel nome, non c'era nessuno e ben che meno che lavorasse a Piccadilly Circus. Nessuno avave mai parlato con lei e nessuno l'aveva mai vista se non quando, ormai, era un corpo senz'anima. Solo io.
Che me la fossi immaginata? Era stata frutto della mia fantasia o lei c'era stata sul serio? Poco importa. Fu l'unica che io abbia mai amato.

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Notes from Penny Lane
Ok, questa stupida fic è nata come concorrente al contes di DazedAndConfused. Spero che a qualcuno piaccia anche se mi rendo conto che faccia un po' schifo. xD 
Grazie a tutti.
Jules
  
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