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Autore: Mirokia    14/05/2011    9 recensioni
« Allora non mi hai dimenticato. » dissi ancora, le orecchie tremendamente bollenti.
« Come se potessi farlo. » scese dal muretto per sgranchirsi le gambe. « Stai per sposarti, e tu pensi ancora a me. » aggiunse senza guardarmi.
« Sì. Io amo Blaine. »
« Ma non ami me. »
« Non più. E’ passato troppo tempo, Dave. » dissi pacatamente.

[ Spin-off di "Non posso esistere" di LeiaBennet ]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dave Karofsky, Finn Hudson, Kurt Hummel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Morire dentro e fuori

 

 

 

 

 

 

 

Mi sono svegliato presto stamattina. La figura di una persona non molto alta e dai capelli folti e ricci mi passeggiava nei sogni e mi guardava con sguardo colpevole, tanto che mi sono sentito costretto a destarmi, perché non ero più in grado di fissare quei suoi occhi così familiari, ma allo stesso tempo del tutto sconosciuti.

Ho il cellulare in mano ed è da un quarto d’ora che fisso il display, in cerca di parole adatte da inserire in un messaggio destinato a Blaine. Ma no, qualunque parola sarebbe vana, vuota. Non avrebbe alcun significato. Non posso scrivergli che mi manca, né che l’amo, e, magari, neanche che ci vedremo nel giro di qualche giorno…E non posso nemmeno piantarlo in asso, no che non posso, non sarebbe giusto, gli spezzerei il cuore. Lo farei morire dentro e fuori.

Do un’occhiata alla mia destra, ma subito distolgo lo sguardo, perché mi imbarazza sempre guardare l’enorme schiena di Dave scoperta. Il viso è rivolto al muro, e spero sia modellato in un’espressione serena, almeno la sua.

Mentre ripongo il cellulare, ormai spento, in un cassetto, mi accorgo che sul comodino, la  scorsa sera, ho abbandonato la mia fede nuziale d’oro bianco accanto al portafoglio. La prendo e me la rigiro tra le mani. Perché me la sono tolta? Mi dava fastidio? No, mai m’ha dato fastidio.

E la memoria, automaticamente, mi riporta a parecchi anni prima, a quando io e Blaine eravamo ancora solo fidanzati e conviventi, e mi accorgo che devo scavare davvero in profondità tra i ricordi.

 

 

 

 

Avevo appena passato un’altra notte con Blaine nell’accogliente appartamento che condividevamo da un po’ di mesi, non ricordo esattamente quanti. Era stato piacevole, come sempre.

Da tempo, la relazione tra me e Blaine si era ridotta a qualcosa di abitudinario, i discorsi tra di noi erano sempre gli stessi, e si ripetevano nel corso della giornata. Ma continuavano, comunque, ad essere piacevoli. Non stimolanti, ma piacevoli. Insomma, sapeva tanto di famigliola felice e serena aspettare il proprio fidanzato seduto al tavolo tondo, due candele accese al centro e la cena pronta e fumante. Sapeva di favola principesca trovare rose rosse sul banco di scuola –e, successivamente, sul tavolo della sala da pranzo- il giorno di San Valentino. Sapevano di lieto fine i suoi teneri sms mentre ero in boutique, quando mi scriveva che mi avrebbe amato per sempre e che non si sarebbe mai sognato di lasciarmi. Perché se mai ci fossimo lasciati, per lui sarebbe stato come morire, dentro e fuori.

Così mi sentii in colpa quando mi ritrovai a leggere un messaggio che non apparteneva a Blaine, il cui testo recitava: “Buona notte”. L’sms risaliva a qualche mese prima, eppure non avevo ancora avuto il coraggio di cancellarlo. Quelle due parole avevano riportato a galla qualcosa di indefinibile, e se ci ripensavo, allora mi tornava in mente Blaine che mi diceva che se mai l’avessi lasciato, lui sarebbe morto dentro e fuori.

Ma quelle due parole mi avevano anche fatto infuriare. Perché no, una persona che è stata –e forse è, non ne ho idea- il tuo più grande amore, la tua più grande passione, e che poi puf!, è sparita così, all’improvviso, senza dirti niente, senza salutarti, senza farsi più sentire per anni, non può mandarti un messaggio della buona notte come se nulla fosse, come se il tempo non fosse passato. Allora pensai più volte che magari era stato un errore, capita a volte di mandare un messaggio alla persona sbagliata. E la mia parte razionale sperò che fosse così, mentre il mio cuore era come impazzito, e mi diceva che, grazie al cielo, Dave non s’era dimenticato di me. Non del tutto, almeno.

Ma dovevo smetterla, davvero. Con Blaine stavo bene, mi sentivo al sicuro, protetto, amato. Profondamente amato. Una prova del suo amore sincero fu la dolcissima proposta di matrimonio che m’aveva fatto due giorni prima nella penombra di Central Park. Una proposta a cui non avevo ancora risposto del tutto; avevo solo usato come scusa il fatto che mi serviva del tempo per riprendermi dall’emozione.

E in effetti, l’emozione c’era stata: un ritorcersi di budella, un calore insopportabile sulle punte delle orecchie, un tremore compulsivo delle ginocchia, il sudore che mi imperlava i palmi delle mani. Non capivo perché fossi così agitato. In un certo senso, me l’aspettavo. S’era messo il suo abito migliore, mi aveva portato in un ristorante da ricovero, m’aveva aperto la portiera della macchina e regalato dei fiori alla fine della serata. E anche fatto un discorso coi fiocchi, uno di quelli che si sentono solo nei film. Era impossibile che non volesse farmi una qualche sorta di proposta.

Quando s’era inginocchiato e m’aveva fatto la fatidica proposta, io ero scoppiato in lacrime, lui m’aveva cinto la vita, e io avevo già accennato un sì con il capo.

Però non avevo idea del perché non avessi risposto chiaramente e avessi chiesto a Blaine del tempo. O forse un’idea ce l’avevo, ma non volevo accettarla, la spingevo nel dimenticatoio del mio cervello e quella, prepotente, tornava a galla, e diventava il primo dei miei pensieri.
Ma in quel paio di giorni un po’ di chiarezza l’avevo fatta, ci avevo ragionato su: avevo un bel lavoro, anche ben retribuito, una casa piccola ma calda e accogliente, arredata ovviamente da me stesso; avevo accanto un fidanzato fantastico, che non mi faceva mancare nulla, che mi amava per  quello che era, e me lo diceva giorno e notte, e ogni suo abbraccio era un nuovo conforto, mi sentivo a casa, stavo bene. E adesso mi chiedeva di sposarlo, assicurandomi un futuro roseo e pieno di aspettative. Sarei stato un pazzo se non l’avessi sposato. Così avevo deciso che sì, avrei accettato la proposta di Blaine. E per creare un testimone di questa decisione che sembrava ormai irremovibile, ne parlai con mio fratello.

 

« Sono così contento per voi due! » disse Finn abbracciandomi. « Congratulazioni! »

 

« Non ci siamo ancora sposati, Finn. » dissi sorridendo e cercando di allontanarmi da quella montagna di ragazzo che avviluppava le sue lunghissime braccia attorno alle mie spalle.

 

« Beh, ma…è fico. Assisterò per la prima volta a un matrimonio gay! » esclamò quello, con la sua solita faccia da dolce ebete.

 

« Se ti entusiasma tanto… » dissi scuotendo la testa. Poi mi guardai intorno, sbirciai in cucina e diedi un’occhiata sulle scale. « Dov’è papà? »

 

« Perché lo cerchi? »

 

« Come perché? Ogni due domeniche andiamo a fare una scampagnata fuori, ricordi? » gli dissi, ma lui sembrava non aver colto il senso della mia ultima frase. Ci pensò un po’, poi  alzò un dito.

 

« Oh, oggi niente scampagnata. » fece infine con enfasi.

 

« E perché mai? » sbottai, tutto impettito.

 

« Aspetto una persona, viene in vacanza qui e lo ospito per un paio di giorni. »

Io lo guardai stranito, quasi avesse parlato in Na’vi.

 

« Chi è che viene in vacanza a Lima?! » feci, del tutto incredulo.

 

« Non ci crederai mai se te lo dicessi. Ma dovrebbe essere qui fra poco, perciò lo vedrai di perso… »

 

Neanche finì la frase, che il campanello suonò, e Finn mi spinse senza sforzo alcuno verso la porta.

 

« Ecco, vai ad aprire. » mi esortò. « Sono curioso di vedere la tua faccia. » aggiunse sussurrando, quasi non volesse farmi sentire.

Quando aprii la porta, pensai di stare per svenire. Anzi, non è che lo pensai: lo feci davvero. Guardai per qualche secondo l’individuo davanti a me, lui ricambiò il mio sguardo decisamente terrorizzato –sì, terrorizzato era la parola giusta-, poi rotolai gli occhi all’indietro, e l’immagine sfocata di Dave Karofsky e poi del cielo azzurro mutarono in un deprimente nero pece.

 

 

 

Quando ripresi conoscenza, ero disteso sul divano e poggiavo il capo su qualcosa di morbido ma spigoloso al tempo stesso, e Finn mi stava facendo vento con un volantino. Riconobbi la palese preoccupazione nei suoi occhi, e lo vidi mentre muoveva la bocca per parlare, quasi al rallentatore. Forse erano i miei sensi che tardavano a risvegliarsi.

 

« Non mi aspettavo una reazione tanto esagerata! »

 

« E io non mi aspettavo di trovarlo a casa. Pensavo vivesse con quello della Dalton. »

 

Una voce più grave si fece spazio nelle mie orecchie, ma non riuscivo a capire da dove provenisse. Sapevo benissimo chi era il proprietario, quella voce l’avrei riconosciuta tra mille. Ma proprio mi sfuggiva la sua fonte.

 

« E infatti, ma ho appena scoperto che la domenica è la giornata delle scampagnate in famiglia. »

 

« Lo sai che non avrei voluto vederlo… »

L’espressione di Finn s’era fatta più minacciosa, come anche il suo tono di voce.

 

« Ehi, amico, cos’hai ancora contro Kurt? »

 

Dave non rispose, ma respirò forte col naso, e l’aria che espirava mi finiva dritta in fronte. Spalancai gli occhi e mi accorsi di avere la testa sulle gambe di Karofsky, che mi guardava dall’alto assieme a Finn.

Subito, mi rialzai vedendo l’ambiente attorno a me vorticare e, a causa della violenza con cui mi ero sollevato e l’equilibrio che decisamente mi mancava, caddi rovinosamente col sedere a terra. Non feci proprio una bella figura.

Karofsky fu il primo ad alzarsi e a venirmi incontro.

 

« Dai, alzati. » disse serio più che mai, e mi porse una delle sue due grandi mani. Io guardai prima la mano e poi il suo proprietario, col cuore che non riusciva più a stare in petto, che batteva forsennatamente e mi metteva addosso un’ansia provata rarissime volte.

Quel gesto di porgermi la mano…mi ricordava qualcosa.

 

 

 

 

« Ehi, signorina! Stai andando a biologia? » qualcuno si stava rivolgendo a me con tono derisorio, e non ci volle molto perché quel qualcuno mi raggiungesse e mi indirizzasse una potente spallata.

Ero stato preso alla sprovvista; in quegli ultimi giorni non ero stato degnato di uno sguardo dai bulli della scuola, e pensai che avessero iniziato ad accettare il fatto che fossi gay e che loro non ci potessero fare niente.

Guardai il mio aggressore: era Scott Cooper della squadra di Hockey. Era magrolino, ma lo stesso era riuscito a farmi crollare per terra e a farmi finire lo spesso libro di biologia sui piedi.

 

« Sai com’è, ne ho approfittato adesso che né quell’idiota di Karofsky, né quella poco di buono della Lopez sono in giro. » continuò il ragazzo sghignazzando. Mi rivolse un’espressione disgustata e disgustosa, poi voltò l’angolo e continuò a camminare come se nulla fosse stato.

Raccolsi il tomo e me lo portai al petto, ma proprio non ce la facevo ad alzarmi, non sul momento almeno.

 

« Dai, alzati. »

Una grande mano mi si parò davanti, e non ci misi molto a riconoscerla, era inconfondibile. Alzai lo sguardo e sorrisi a Dave, per poi accettare il suo aiuto e finalmente tornare in piedi.

 

« L’ho visto quel bastardo. Non farà più lo spiritoso una volta che gli avrò tirato un bel… »

 

« Dai, Dave, lascia stare. » gli dissi io, divertito dal suo spirito guerriero.

 

« Lascia stare? Adesso che ho un lavoro vorrei anche farlo per bene! »

 

Lo guardai un po’ scettico, e provocandogli un rossore sulle guance, non so se per l’imbarazzo o per la rabbia che ancora gli cresceva dentro.

 

« E poi, non vorrai mica che io mi faccia male. » aggiunsi io, quasi stessi completando la sua frase.

 

« Infatti! » esclamò lui, inconsapevolmente, e io risi. Tutti i dolori della caduta sembravano essere svaniti.

Mi scortò sino alla classe di biologia, e mi disse che sarebbe venuto a prendermi l’ora dopo per portarmi in mensa.

 

« Mi aspetterai, vero? » chiese, come ormai faceva d’abitudine.

 

« Certo, come sempre. » risposi con un sorriso rassicurante.

 

L’ora era passata in fretta e appena la campanella suonò, mi fiondai fuori dalla classe. Inaspettatamente, Dave era già lì ad aspettarmi. Con un “Andiamo” imbarazzato mi portò sino in mensa poi, anche se in teoria il suo lavoro era finito lì, si permise di sedersi di fronte a me, sottraendomi anche qualche grissino senza chiedere il permesso.

 

« Ho deciso che oggi parlerò a mio padre. » disse distrattamente con la bocca piena.

 

« Riguardo a cosa? »

 

« Riguardo al fatto che…insomma… »

 

« Che sei gay? »

 

« Che potrei essere gay, sì. » mi corresse quello, adesso guardando altrove. Era adorabile il modo in cui tentava sempre di nascondere i suoi sentimenti nei miei confronti.

 

« E ti senti pronto? » chiesi dopo qualche attimo di silenzio.

 

« Per essere pronto sono pronto, è solo che… »

 

« Hai paura. » era più un’affermazione che una domanda.

 

« Parecchia. » rispose lui, permettendosi poi di guardarmi in faccia. « Non sono mai stato così agitato. »

 

« Hai paura che reagirà male? »

 

« No, ho paura che reagirà bene. Ma che domande sono?! » sbottò, adesso davvero nervoso. Si capiva da come si mangiucchiava le unghie, già parecchio corte.

 

« Ti sbatterà fuori di casa? »

 

« No, probabilmente mi farà fuori. » rispose Dave, e non sembrava stesse scherzando.

 

« Oh, non farne una tragedia! »

 

« Da che pulpito viene la predica. Dalla regina del dramma! »

 

« Ecco, appunto, lascialo a me quel ruolo. » dissi, poi cercai le mani di Karofsky che, assicurandosi che non fosse osservato da nessuno, se le lasciò afferrare. « Qualunque cosa succederà, il nostro amore sarà più forte e supererà le avversità. » mormorai poi, con un sorrisetto di scherno.

 

« E questa roba da che telenovela l’hai tirata fuori? »

 

« Kurt Hummel & Dave  Karofsky: ispirata a una storia vera. »

 

« Buffone. »

 

« Mai quanto te. »

 

Ci guardammo per un po’ e poi scoppiammo a ridere. Lui sembrava finalmente più sereno.

 

« Allora domani mi dici com’è andata, d’accordo? » ripresi accarezzandogli il dorso della mano.

 

Lui annuì piano. « Mi aspetti fuori dall’aula di francese? »

 

« Certo, come sempre. »

 

Ma quella volta, Dave non si presentò all’appuntamento e non mi disse mai com’era andata la chiacchierata con suo padre. Rimase in un muto silenzio per tutto il giorno.

 

 

 

 

Tornai alla realtà piuttosto bruscamente, e adesso mi ritrovavo vicino al viso anche la mano di Finn, che mi esortava ad alzarmi. Guardai Dave con un’espressione arrabbiata e presi di proposito la mano di mio fratello per poi rimettermi in piedi.

 

« Cosa fa lui qui? » chiesi, quando finalmente mi fui ripreso.

 

« Te l’ho già detto, è venuto in vacanza qui. Era da un po’ che non ci vedevamo, riuscivamo solo a sentirci su Skype. »

 

Io rivolsi immediatamente un’occhiata sconvolta e accusatoria a Finn, chiedendogli mentalmente perché diavolo non me l’avesse mai detto. Ma quello come faceva a sapere che volevo avere notizie di Karofsky, il famigerato bullo che mi aveva rovinato la vita?

 

« Non lo voglio in casa. » dissi con le braccia conserte.

 

« Pensavo che tu saresti stato con Blaine per tutto il resto della settimana! » si discolpò Finn, e io feci di nuovo una faccia scandalizzata.

 

« Cioè, pensavate di fare tutto a mia insaputa?! »

 

« Perché avrebbe dovuto interessarti? » fece Finn, e finalmente, Dave mi rivolse uno sguardo sofferente, sguardo che riuscii a sostenere per ben pochi secondi. Comportandomi così stavo dando l’impressione che mi importava davvero qualcosa di Dave. E non volevo che Finn se ne accorgesse, né tantomeno Karofsky.

Cadde un silenzio disumano, Dave che continuava a fissarmi come se qualcosa lo stesse divorando da dentro, io che cercavo di ignorarlo, ma strani e vecchi e ormai dimenticati –ma forse anche no- sentimenti stavano lentamente venendo a galla nel mio animo.

 

« Ti prendo un’aranciata? » chiese Finn per rompere il ghiaccio. Dave finalmente gli rivolse l’attenzione e annuì col capo, permettendogli di scappare in cucina.

Io tenevo ancora le braccia conserte e mi permisi di piantare lo sguardo in quelle iridi chiare e incredibilmente tristi.

 

« E’ uno scherzo? » chiesi a denti stretti.

 

« Perché dovrebbe esserlo? »

 

« Perché?! Mi riappari davanti dopo anni che non ti fai sentire, e non hai neanche una motivazione valida per questo tuo gesto? »

Dave indurì lo sguardo e strinse le labbra.

 

« Sono venuto perché mi mancava Lima. Tutto qui. »

 

« Ah, tutto qui? » chiesi sdegnato.

 

« Sì. Ti ho dimenticato da tempo, Kurt. Non pensare che tutto il mondo giri attorno a te. »

 

Quelle parole mi ferirono più di un coltello. Non risposi sulle prime, ero rimasto scandalizzato, e mi sentivo preso a pugni, preso in giro, umiliato, sbattuto per terra e preso anche a calci. Mi sentivo male, malissimo. Perché, se lui mi aveva dimenticato, io invece non avevo fatto altro che pensare a lui, per tutto quel tempo.

Senza che me ne accorgessi, una lacrima mi solcò il volto e io non feci niente per pulirla via. Sperai che lo facesse Dave, in una sorta di disperazione acuta, ma sapevo che non si sarebbe mosso.

« …Mi fa piacere. » riuscii a dire, anche se era palese che stessi mentendo.

Dave mi guardò e mi sembrò che si stesse commuovendo in qualche modo.

 

« Dimmi che mi pensi ancora. » disse improvvisamente.

 

« Così ti metterai a ridere? »

Un’altra lacrima lasciò i miei occhi. L’altro non rispose, perché sapeva che quella domanda stava a significare che sì, io pensavo ancora a lui.

 

« Tu hai quel damerino della Dalton. » mi ricordò, facendomi quasi venire un colpo. E’ vero. Io avevo Blaine. E me ne ero quasi dimenticato.

 

« Lo so. »

 

« Non puoi fare il doppio gioco. »

 

« Lo so. »

 

Finn interruppe la nostra conversazione entrando in sala con un vassoio pieno di cibarie e di bicchieri con bevande. Dave andò ad aiutarlo piantandomi in asso.

 

« Ehi, a proposito, la sai l’ultima? » fece Finn, tutto contento. « Kurt e Blaine si sposano! »

Dave diresse il suo sguardo sconvolto verso di me, ma io ero già andato via.

 

 

 

 

« Sapevo saresti tornato. » la voce di Dave mi sembrava cambiata, era più adulta, e anche il suo aspetto fisico era leggermente diverso. Forse era dimagrito, o magari aveva i capelli più lunghi e sistemati. O semplicemente non era vestito con quella sua giacca dei Titans.

Mi sedetti sul muretto di casa mia accanto a lui e guardai per un po’ il cielo.

 

« Ho fatto l’amore con Blaine stanotte. » dissi di getto. Lui mi guardò con gli occhi velati di un sentimento indescrivibile.

 

« E…? »

 

« E pensavo a te. »

 

Lui stette in silenzio e si guardò le mani.

 

« Non sarebbe la prima volta. » disse poi, degnandomi di uno sguardo.

 

« No, infatti. »

 

Ancora un’altra sessione abbondante di silenzio, poi fui io ad aprir bocca per primo.

 

« Hai ancora intenzione di diventare regista? »

 

« Sì, ci sto studiando su. » rispose. « E tu, di diventare una stella di Broadway? »

 

« Mi sono accontentato di aprire una boutique. »

 

« Ah. Come vanno gli affari? »

 

« A gonfie vele. »

 

La nostra conversazione stava generando sempre più imbarazzo. Non ci parlavano da anni, come potevamo riprendere quel bellissimo rapporto che avevamo ai tempi del liceo? Era impossibile.

 

« Un paio di mesi fa ho ricevuto un messaggio della buonanotte. Da te. »

 

« Speravo che tu avresti passato una notte migliore della mia. » rispose Dave torcendosi le mani.

 

« Allora pensavi a me, quella sera. »

 

« Quella sera sì. »

 

« E tutte quelle precedenti? »

 

« Anche. »

 

« E tutte quelle dopo? »

 

« …Anche. »

 

Mi ritrovai a sorridere, non so esattamente perché. Dave mi era mancato, e mi sarebbe mancato anche dopo quella sera, perché nel giro di poche ore avrebbe preso l’aereo e sarebbe tornato ovunque egli abitasse in quel periodo. Non gli avevo chiesto niente del luogo in cui stava, mi sarebbe solo venuta voglia di raggiungerlo.

 

« Allora non mi hai dimenticato. » dissi ancora, le orecchie tremendamente bollenti.

 

« Come se potessi farlo. » scese dal muretto per sgranchirsi le gambe. « Stai per sposarti, e tu pensi ancora a me. » aggiunse senza guardarmi.

 

« Sì. Io amo Blaine. »

 

« Ma non ami me. »

 

« Non più. E’ passato troppo tempo, Dave. » dissi pacatamente.

 

« Lo penso anch’io. » si pulì le mani sui pantaloni –gesto che faceva spesso anche al liceo- e si allontanò senza aggiungere altro. Prima di voltare l’angolo, però, si girò ancora verso di me.

 

« Se fossi rimasto, avresti sposato me? »

 

Io lo guardai, mentre il vento mi scompigliava i capelli e me li gettava sul viso, rendendomi la sua figura meno visibile.

 

« Non lo so. »

 

« Sei troppo indeciso, femminuccia. Io l’avrei fatto senza ripensamenti. » affermò. Poi affondò le mani nelle tasche dei pantaloni e mi lasciò solo.

 

Non vidi, né sentii Dave Karofsky per altri dieci anni.

 

 

 

 

 

E adesso, guardarlo sonnecchiare nel mio stesso letto, nell’enorme casa di Mercedes e Abram, a Londra, mi mette addosso la medesima confusione di tanti anni fa.

Un dubbio, però, me lo sono tolto del tutto. Io amo Dave Karofsky. Lo amo alla follia. E morirei dentro e fuori, se dovesse lasciarmi un’altra volta.

 

 

 

 

§

 

 

 

 

 

 

Ho deciso di scrivere questo Spin-Off di “Non posso esistere” –ovviamente con il consenso della talentuosa scrittrice LeiaBennet-, perché sono profondamente innamorata di questa storia. E ho voluto immaginare un temporaneo ritorno di Dave a Lima e le battute accennate tra lui e Kurt.

 Spero di aver reso bene i riferimenti alla storia e di non aver combinato un pasticcio >-< Possa perdonarmi la scrittrice, in tal caso!

Grazie di aver letto!

 

 

Mirokia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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