Morire dentro e
fuori
Mi sono
svegliato presto stamattina. La figura di una persona non molto alta e dai
capelli folti e ricci mi passeggiava nei sogni e mi guardava con sguardo
colpevole, tanto che mi sono sentito costretto a destarmi, perché non ero più
in grado di fissare quei suoi occhi così familiari, ma allo stesso tempo del
tutto sconosciuti.
Ho il
cellulare in mano ed è da un quarto d’ora che fisso il display, in cerca di
parole adatte da inserire in un messaggio destinato a Blaine.
Ma no, qualunque parola sarebbe vana, vuota. Non avrebbe alcun significato. Non
posso scrivergli che mi manca, né che l’amo, e, magari, neanche che ci vedremo
nel giro di qualche giorno…E non posso nemmeno
piantarlo in asso, no che non posso, non sarebbe giusto, gli spezzerei il
cuore. Lo farei morire dentro e fuori.
Do
un’occhiata alla mia destra, ma subito distolgo lo sguardo, perché mi imbarazza
sempre guardare l’enorme schiena di Dave scoperta. Il
viso è rivolto al muro, e spero sia modellato in un’espressione serena, almeno
la sua.
Mentre
ripongo il cellulare, ormai spento, in un cassetto, mi accorgo che sul comodino,
la scorsa sera, ho abbandonato la mia
fede nuziale d’oro bianco accanto al portafoglio. La prendo e me la rigiro tra
le mani. Perché me la sono tolta? Mi dava fastidio? No, mai m’ha dato fastidio.
E la
memoria, automaticamente, mi riporta a parecchi anni prima, a quando io e Blaine eravamo ancora solo fidanzati e conviventi, e mi
accorgo che devo scavare davvero in profondità tra i ricordi.
Avevo
appena passato un’altra notte con Blaine
nell’accogliente appartamento che condividevamo da un po’ di mesi, non ricordo
esattamente quanti. Era stato piacevole, come sempre.
Da tempo,
la relazione tra me e Blaine si era ridotta a
qualcosa di abitudinario, i discorsi tra di noi erano sempre gli stessi, e si
ripetevano nel corso della giornata. Ma continuavano, comunque, ad essere
piacevoli. Non stimolanti, ma piacevoli. Insomma, sapeva tanto di famigliola
felice e serena aspettare il proprio fidanzato seduto al tavolo tondo, due
candele accese al centro e la cena pronta e fumante. Sapeva di favola
principesca trovare rose rosse sul banco di scuola –e, successivamente, sul
tavolo della sala da pranzo- il giorno di San Valentino. Sapevano di lieto fine
i suoi teneri sms mentre ero in boutique, quando mi scriveva che mi avrebbe
amato per sempre e che non si sarebbe mai sognato di lasciarmi. Perché se mai
ci fossimo lasciati, per lui sarebbe stato come morire, dentro e fuori.
Così mi
sentii in colpa quando mi ritrovai a leggere un messaggio che non apparteneva a
Blaine, il cui testo recitava: “Buona notte”. L’sms
risaliva a qualche mese prima, eppure non avevo ancora avuto il coraggio di
cancellarlo. Quelle due parole avevano riportato a galla qualcosa di
indefinibile, e se ci ripensavo, allora mi tornava in mente Blaine
che mi diceva che se mai l’avessi lasciato, lui sarebbe morto dentro e fuori.
Ma quelle
due parole mi avevano anche fatto infuriare. Perché no, una persona che è stata
–e forse è, non ne ho idea- il tuo più grande amore, la tua più grande
passione, e che poi puf!, è sparita così,
all’improvviso, senza dirti niente, senza salutarti, senza farsi più sentire
per anni, non può mandarti un
messaggio della buona notte come se nulla fosse, come se il tempo non fosse passato.
Allora pensai più volte che magari era stato un errore, capita a volte di
mandare un messaggio alla persona sbagliata. E la mia parte razionale sperò che
fosse così, mentre il mio cuore era come impazzito, e mi diceva che, grazie al
cielo, Dave non s’era dimenticato di me. Non del
tutto, almeno.
Ma dovevo
smetterla, davvero. Con Blaine stavo bene, mi sentivo
al sicuro, protetto, amato. Profondamente amato. Una prova del suo amore
sincero fu la dolcissima proposta di matrimonio che m’aveva fatto due giorni prima
nella penombra di Central Park. Una proposta a cui non
avevo ancora risposto del tutto; avevo solo usato come scusa il fatto che mi
serviva del tempo per riprendermi dall’emozione.
E in
effetti, l’emozione c’era stata: un ritorcersi di budella, un calore
insopportabile sulle punte delle orecchie, un tremore compulsivo delle
ginocchia, il sudore che mi imperlava i palmi delle mani. Non capivo perché
fossi così agitato. In un certo senso, me l’aspettavo. S’era messo il suo abito
migliore, mi aveva portato in un ristorante da ricovero, m’aveva aperto la
portiera della macchina e regalato dei fiori alla fine della serata. E anche fatto
un discorso coi fiocchi, uno di quelli che si sentono solo nei film. Era
impossibile che non volesse farmi una qualche sorta di proposta.
Quando
s’era inginocchiato e m’aveva fatto la fatidica proposta, io ero scoppiato in
lacrime, lui m’aveva cinto la vita, e io avevo già accennato un sì con il capo.
Però non
avevo idea del perché non avessi risposto chiaramente e avessi chiesto a Blaine del tempo. O forse un’idea ce l’avevo, ma non volevo
accettarla, la spingevo nel dimenticatoio del mio cervello e quella,
prepotente, tornava a galla, e diventava il primo dei miei pensieri.
Ma in quel paio di giorni un po’ di chiarezza l’avevo fatta, ci avevo ragionato
su: avevo un bel lavoro, anche ben retribuito, una casa piccola ma calda e
accogliente, arredata ovviamente da me stesso; avevo accanto un fidanzato
fantastico, che non mi faceva mancare nulla, che mi amava per quello che era, e me lo diceva giorno e
notte, e ogni suo abbraccio era un nuovo conforto, mi sentivo a casa, stavo
bene. E adesso mi chiedeva di sposarlo, assicurandomi un futuro roseo e pieno
di aspettative. Sarei stato un pazzo se non l’avessi sposato. Così avevo deciso
che sì, avrei accettato la proposta di Blaine. E per
creare un testimone di questa decisione che sembrava ormai irremovibile, ne
parlai con mio fratello.
«
Sono così contento per voi due!
» disse Finn
abbracciandomi. « Congratulazioni! »
« Non ci siamo ancora sposati, Finn. » dissi sorridendo e
cercando di allontanarmi da quella montagna di ragazzo che avviluppava le sue
lunghissime braccia attorno alle mie spalle.
«
Beh, ma…è fico. Assisterò per la prima volta a un
matrimonio gay!
» esclamò quello, con la sua solita faccia da
dolce ebete.
«
Se ti entusiasma tanto… »
dissi scuotendo la testa. Poi mi guardai intorno, sbirciai in cucina e diedi
un’occhiata sulle scale. « Dov’è papà? »
« Perché lo cerchi? »
« Come perché? Ogni due domeniche
andiamo a fare una scampagnata fuori, ricordi? »
gli dissi, ma lui sembrava non aver colto il senso della mia ultima frase. Ci
pensò un po’, poi alzò un dito.
«
Oh, oggi niente scampagnata.
» fece infine con enfasi.
« E perché mai? » sbottai, tutto impettito.
« Aspetto una persona, viene in
vacanza qui e lo ospito per un paio di giorni. »
Io
lo guardai stranito, quasi avesse parlato in Na’vi.
« Chi è che viene in vacanza a
Lima?! » feci, del tutto incredulo.
« Non ci crederai mai se te lo
dicessi. Ma dovrebbe essere qui fra poco, perciò lo vedrai di perso… »
Neanche
finì la frase, che il campanello suonò, e Finn mi
spinse senza sforzo alcuno verso la porta.
« Ecco, vai ad aprire. » mi esortò. « Sono curioso di vedere la tua faccia.
» aggiunse sussurrando, quasi non volesse farmi
sentire.
Quando
aprii la porta, pensai di stare per svenire. Anzi, non è che lo pensai: lo feci
davvero. Guardai per qualche secondo l’individuo davanti a me, lui ricambiò il
mio sguardo decisamente terrorizzato –sì, terrorizzato era la parola giusta-,
poi rotolai gli occhi all’indietro, e l’immagine sfocata di Dave
Karofsky e poi del cielo azzurro mutarono in un
deprimente nero pece.
Quando
ripresi conoscenza, ero disteso sul divano e poggiavo il capo su qualcosa di
morbido ma spigoloso al tempo stesso, e Finn mi stava
facendo vento con un volantino. Riconobbi la palese preoccupazione nei suoi
occhi, e lo vidi mentre muoveva la bocca per parlare, quasi al rallentatore.
Forse erano i miei sensi che tardavano a risvegliarsi.
«
Non mi aspettavo una reazione tanto esagerata! »
«
E io non mi aspettavo di trovarlo a casa. Pensavo vivesse con quello della
Dalton. »
Una
voce più grave si fece spazio nelle mie orecchie, ma non riuscivo a capire da
dove provenisse. Sapevo benissimo chi era il proprietario, quella voce l’avrei
riconosciuta tra mille. Ma proprio mi sfuggiva la sua fonte.
« E infatti, ma ho appena scoperto
che la domenica è la giornata delle scampagnate in famiglia. »
«
Lo sai che non avrei voluto vederlo… »
L’espressione
di Finn s’era fatta più minacciosa, come anche il suo
tono di voce.
« Ehi, amico, cos’hai ancora contro
Kurt? »
Dave non
rispose, ma respirò forte col naso, e l’aria che espirava mi finiva dritta in
fronte. Spalancai gli occhi e mi accorsi di avere la testa sulle gambe di Karofsky, che mi guardava dall’alto assieme a Finn.
Subito,
mi rialzai vedendo l’ambiente attorno a me vorticare e, a causa della violenza con
cui mi ero sollevato e l’equilibrio che decisamente mi mancava, caddi
rovinosamente col sedere a terra. Non feci proprio una bella figura.
Karofsky fu
il primo ad alzarsi e a venirmi incontro.
«
Dai, alzati. » disse serio più che mai, e mi porse una delle sue due grandi
mani. Io guardai prima la mano e poi il suo proprietario, col cuore che non
riusciva più a stare in petto, che batteva forsennatamente e mi metteva addosso
un’ansia provata rarissime volte.
Quel
gesto di porgermi la mano…mi ricordava qualcosa.
« Ehi, signorina!
Stai andando a biologia? » qualcuno si stava rivolgendo a me con tono
derisorio, e non ci volle molto perché quel qualcuno mi raggiungesse e mi
indirizzasse una potente spallata.
Ero stato preso alla
sprovvista; in quegli ultimi giorni non ero stato degnato di uno sguardo dai
bulli della scuola, e pensai che avessero iniziato ad accettare il fatto che
fossi gay e che loro non ci potessero fare niente.
Guardai il mio
aggressore: era Scott Cooper della squadra di Hockey. Era magrolino, ma lo
stesso era riuscito a farmi crollare per terra e a farmi finire lo spesso libro
di biologia sui piedi.
« Sai com’è, ne ho
approfittato adesso che né quell’idiota di Karofsky,
né quella poco di buono della Lopez sono in giro. » continuò il ragazzo
sghignazzando. Mi rivolse un’espressione disgustata e disgustosa, poi voltò
l’angolo e continuò a camminare come se nulla fosse stato.
Raccolsi il tomo e
me lo portai al petto, ma proprio non ce la facevo ad alzarmi, non sul momento
almeno.
« Dai, alzati. »
Una grande mano mi
si parò davanti, e non ci misi molto a riconoscerla, era inconfondibile. Alzai
lo sguardo e sorrisi a Dave, per poi accettare il suo
aiuto e finalmente tornare in piedi.
« L’ho visto quel
bastardo. Non farà più lo spiritoso una volta che gli avrò tirato un bel… »
« Dai, Dave, lascia stare. » gli dissi io, divertito dal suo
spirito guerriero.
« Lascia stare?
Adesso che ho un lavoro vorrei anche farlo per bene! »
Lo guardai un po’
scettico, e provocandogli un rossore sulle guance, non so se per l’imbarazzo o
per la rabbia che ancora gli cresceva dentro.
« E poi, non vorrai
mica che io mi faccia male. » aggiunsi io, quasi stessi completando la sua
frase.
« Infatti! » esclamò
lui, inconsapevolmente, e io risi. Tutti i dolori della caduta sembravano
essere svaniti.
Mi scortò sino alla
classe di biologia, e mi disse che sarebbe venuto a prendermi l’ora dopo per portarmi
in mensa.
« Mi aspetterai,
vero? » chiese, come ormai faceva d’abitudine.
« Certo, come
sempre. » risposi con un sorriso rassicurante.
L’ora era passata in
fretta e appena la campanella suonò, mi fiondai fuori dalla classe.
Inaspettatamente, Dave era già lì ad aspettarmi. Con
un “Andiamo” imbarazzato mi portò sino in mensa poi, anche se in teoria il suo lavoro
era finito lì, si permise di sedersi di fronte a me, sottraendomi anche qualche
grissino senza chiedere il permesso.
« Ho deciso che oggi
parlerò a mio padre. » disse distrattamente con la bocca piena.
« Riguardo a cosa? »
« Riguardo al fatto che…insomma… »
« Che sei gay? »
« Che potrei essere gay, sì. » mi corresse quello,
adesso guardando altrove. Era adorabile il modo in cui tentava sempre di
nascondere i suoi sentimenti nei miei confronti.
« E ti senti pronto?
» chiesi dopo qualche attimo di silenzio.
« Per essere pronto
sono pronto, è solo che… »
« Hai paura. » era
più un’affermazione che una domanda.
« Parecchia. »
rispose lui, permettendosi poi di guardarmi in faccia. « Non sono mai stato
così agitato. »
« Hai paura che
reagirà male? »
« No, ho paura che
reagirà bene. Ma che domande sono?! » sbottò, adesso davvero nervoso. Si capiva
da come si mangiucchiava le unghie, già parecchio corte.
« Ti sbatterà fuori
di casa? »
« No, probabilmente
mi farà fuori. » rispose Dave, e non sembrava stesse
scherzando.
« Oh, non farne una
tragedia! »
« Da che pulpito
viene la predica. Dalla regina del dramma! »
« Ecco, appunto,
lascialo a me quel ruolo. » dissi, poi cercai le mani di Karofsky
che, assicurandosi che non fosse osservato da nessuno, se le lasciò afferrare.
« Qualunque cosa succederà, il nostro amore sarà più forte e supererà le
avversità. » mormorai poi, con un sorrisetto di scherno.
« E questa roba da
che telenovela l’hai tirata fuori? »
« Kurt Hummel & Dave Karofsky: ispirata
a una storia vera. »
« Buffone. »
« Mai quanto te. »
Ci guardammo per un
po’ e poi scoppiammo a ridere. Lui sembrava finalmente più sereno.
« Allora domani mi
dici com’è andata, d’accordo? » ripresi accarezzandogli il dorso della mano.
Lui annuì piano. «
Mi aspetti fuori dall’aula di francese? »
« Certo, come
sempre. »
Ma quella volta, Dave non si presentò all’appuntamento e non mi disse mai
com’era andata la chiacchierata con suo padre. Rimase in un muto silenzio per
tutto il giorno.
Tornai
alla realtà piuttosto bruscamente, e adesso mi ritrovavo vicino al viso anche
la mano di Finn, che mi esortava ad alzarmi. Guardai Dave con un’espressione arrabbiata e presi di proposito la
mano di mio fratello per poi rimettermi in piedi.
«
Cosa fa lui qui? » chiesi, quando finalmente mi fui ripreso.
«
Te l’ho già detto, è venuto in vacanza qui. Era da un po’ che non ci vedevamo,
riuscivamo solo a sentirci su Skype. »
Io
rivolsi immediatamente un’occhiata sconvolta e accusatoria a Finn, chiedendogli mentalmente perché diavolo non me
l’avesse mai detto. Ma quello come faceva a sapere che volevo avere notizie di Karofsky, il famigerato bullo che mi aveva rovinato la
vita?
«
Non lo voglio in casa. » dissi con le braccia conserte.
«
Pensavo che tu saresti stato con Blaine per tutto il
resto della settimana! » si discolpò Finn, e io feci
di nuovo una faccia scandalizzata.
«
Cioè, pensavate di fare tutto a mia insaputa?! »
«
Perché avrebbe dovuto interessarti? » fece Finn, e
finalmente, Dave mi rivolse uno sguardo sofferente,
sguardo che riuscii a sostenere per ben pochi secondi. Comportandomi così stavo
dando l’impressione che mi importava davvero qualcosa di Dave.
E non volevo che Finn se ne accorgesse, né tantomeno Karofsky.
Cadde
un silenzio disumano, Dave che continuava a fissarmi
come se qualcosa lo stesse divorando da dentro, io che cercavo di ignorarlo, ma
strani e vecchi e ormai dimenticati –ma forse anche no- sentimenti stavano
lentamente venendo a galla nel mio animo.
«
Ti prendo un’aranciata? » chiese Finn per rompere il
ghiaccio. Dave finalmente gli rivolse l’attenzione e
annuì col capo, permettendogli di scappare in cucina.
Io
tenevo ancora le braccia conserte e mi permisi di piantare lo sguardo in quelle
iridi chiare e incredibilmente tristi.
«
E’ uno scherzo? » chiesi a denti stretti.
«
Perché dovrebbe esserlo? »
«
Perché?! Mi riappari davanti dopo
anni che non ti fai sentire, e non hai neanche una motivazione valida per
questo tuo gesto? »
Dave
indurì lo sguardo e strinse le labbra.
«
Sono venuto perché mi mancava Lima. Tutto qui. »
«
Ah, tutto qui? » chiesi sdegnato.
«
Sì. Ti ho dimenticato da tempo, Kurt. Non pensare che tutto il mondo giri
attorno a te. »
Quelle
parole mi ferirono più di un coltello. Non risposi sulle prime, ero rimasto
scandalizzato, e mi sentivo preso a pugni, preso in giro, umiliato, sbattuto
per terra e preso anche a calci. Mi sentivo male, malissimo. Perché, se lui mi
aveva dimenticato, io invece non avevo fatto altro che pensare a lui, per tutto
quel tempo.
Senza
che me ne accorgessi, una lacrima mi solcò il volto e io non feci niente per
pulirla via. Sperai che lo facesse Dave, in una sorta
di disperazione acuta, ma sapevo che non si sarebbe mosso.
«
…Mi fa piacere. » riuscii a dire, anche se era palese
che stessi mentendo.
Dave mi
guardò e mi sembrò che si stesse commuovendo in qualche modo.
«
Dimmi che mi pensi ancora. » disse improvvisamente.
«
Così ti metterai a ridere? »
Un’altra
lacrima lasciò i miei occhi. L’altro non rispose, perché sapeva che quella
domanda stava a significare che sì, io pensavo ancora a lui.
«
Tu hai quel damerino della Dalton. » mi ricordò, facendomi quasi venire un
colpo. E’ vero. Io avevo Blaine. E me ne ero quasi
dimenticato.
«
Lo so. »
«
Non puoi fare il doppio gioco. »
«
Lo so. »
Finn
interruppe la nostra conversazione entrando in sala con un vassoio pieno di
cibarie e di bicchieri con bevande. Dave andò ad
aiutarlo piantandomi in asso.
«
Ehi, a proposito, la sai l’ultima? » fece Finn, tutto
contento. « Kurt e Blaine si sposano! »
Dave
diresse il suo sguardo sconvolto verso di me, ma io ero già andato via.
«
Sapevo saresti tornato. » la voce di Dave mi sembrava
cambiata, era più adulta, e anche il suo aspetto fisico era leggermente
diverso. Forse era dimagrito, o magari aveva i capelli più lunghi e sistemati.
O semplicemente non era vestito con quella sua giacca dei Titans.
Mi
sedetti sul muretto di casa mia accanto a lui e guardai per un po’ il cielo.
«
Ho fatto l’amore con Blaine stanotte. » dissi di
getto. Lui mi guardò con gli occhi velati di un sentimento indescrivibile.
«
E…? »
«
E pensavo a te. »
Lui
stette in silenzio e si guardò le mani.
«
Non sarebbe la prima volta. » disse poi, degnandomi di uno sguardo.
«
No, infatti. »
Ancora
un’altra sessione abbondante di silenzio, poi fui io ad aprir bocca per primo.
«
Hai ancora intenzione di diventare regista? »
«
Sì, ci sto studiando su. » rispose. « E tu, di diventare una stella di
Broadway? »
«
Mi sono accontentato di aprire una boutique. »
«
Ah. Come vanno gli affari? »
«
A gonfie vele. »
La
nostra conversazione stava generando sempre più imbarazzo. Non ci parlavano da
anni, come potevamo riprendere quel bellissimo rapporto che avevamo ai tempi
del liceo? Era impossibile.
«
Un paio di mesi fa ho ricevuto un messaggio della buonanotte. Da te. »
«
Speravo che tu avresti passato una notte migliore della mia. » rispose Dave torcendosi le mani.
«
Allora pensavi a me, quella sera. »
«
Quella sera sì. »
«
E tutte quelle precedenti? »
«
Anche. »
«
E tutte quelle dopo? »
«
…Anche. »
Mi
ritrovai a sorridere, non so esattamente perché. Dave
mi era mancato, e mi sarebbe mancato anche dopo quella sera, perché nel giro di
poche ore avrebbe preso l’aereo e sarebbe tornato ovunque egli abitasse in quel
periodo. Non gli avevo chiesto niente del luogo in cui stava, mi sarebbe solo
venuta voglia di raggiungerlo.
«
Allora non mi hai dimenticato. » dissi ancora, le orecchie tremendamente
bollenti.
«
Come se potessi farlo. » scese dal muretto per sgranchirsi le gambe. « Stai per
sposarti, e tu pensi ancora a me. » aggiunse senza guardarmi.
«
Sì. Io amo Blaine. »
«
Ma non ami me. »
«
Non più. E’ passato troppo tempo, Dave. » dissi
pacatamente.
«
Lo penso anch’io. » si pulì le mani sui pantaloni –gesto che faceva spesso
anche al liceo- e si allontanò senza aggiungere altro. Prima di voltare
l’angolo, però, si girò ancora verso di me.
«
Se fossi rimasto, avresti sposato me? »
Io
lo guardai, mentre il vento mi scompigliava i capelli e me li gettava sul viso,
rendendomi la sua figura meno visibile.
«
Non lo so. »
«
Sei troppo indeciso, femminuccia. Io l’avrei fatto senza ripensamenti. »
affermò. Poi affondò le mani nelle tasche dei pantaloni e mi lasciò solo.
Non
vidi, né sentii Dave Karofsky
per altri dieci anni.
E
adesso, guardarlo sonnecchiare nel mio stesso letto, nell’enorme casa di
Mercedes e Abram, a Londra, mi mette addosso la
medesima confusione di tanti anni fa.
Un
dubbio, però, me lo sono tolto del tutto. Io amo Dave
Karofsky. Lo amo alla follia. E morirei dentro e
fuori, se dovesse lasciarmi un’altra volta.
§
Ho deciso di scrivere questo Spin-Off di “Non posso esistere” –ovviamente con il consenso della talentuosa
scrittrice LeiaBennet-,
perché sono profondamente innamorata di questa storia. E ho voluto immaginare
un temporaneo ritorno di Dave a Lima e le battute
accennate tra lui e Kurt.
Spero di aver reso bene i riferimenti alla
storia e di non aver combinato un pasticcio >-< Possa perdonarmi la
scrittrice, in tal caso!
Grazie di aver letto!
Mirokia