Film > The Phantom of the Opera
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Autore: kenjina    15/05/2011    1 recensioni
[Dal prologo] Quanto tempo era passato da quel giorno? Non lo ricordava, ma sentiva che era troppo poco, insufficiente per sbiadire il dolore che ancora provava forte e vivido, ogni istante, come se fosse accaduto solo pochi attimi prima. [...] Ma perché rimaneva ancora così attaccato alla vita? Aveva per caso qualche ragione per cui valesse la pena continuare a nascondersi per tenersi stretta l’unica cosa che odiava con tutto se stesso? I fantasmi continuano a vagare per il mondo dei vivi finché non risolvono le loro questioni in sospeso... Forse anche lui ne aveva una? Non lo sapeva, non voleva saperlo.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Bonjour

La Vita Nova.

 

Capitolo XX - Parte II

 

 

Guardò Christine richiudersi la porta alle spalle e sorrise, intimamente divertito. Sapeva di essere intrattabile in quei giorni e sapeva anche che non avrebbe dovuto prendersela con quell’angelo di donna che, con una pazienza infinita, ingoiava il rospo e cercava in tutti i modi di tranquillizzarlo e di obbligarlo a mangiare e a farsi medicare. In un certo senso, però, considerava quella strana situazione una rivincita su quel damerino del Visconte, che si vedeva sottratta la fidanzata per ore intere anziché trascorrere del tempo con lui. Quanto buono era il sapore della vendetta!

Erik se ne stava seduto sul letto, con la schiena contro la testiera in legno a rigirarsi tra le dita la maschera bianca che Christine gli aveva sequestrato e nascosto in un cassetto del comodino mentre dormiva, ma lui, ovviamente, l’aveva trovata subito. Alzò lo sguardo dal suo nuovo passatempo quando la porta si aprì ancora una volta, ma al posto dei boccoli castani della cantante trovò una testa rossa che lui conosceva bene. Rimase a fissarla immobile, come se stentasse a credere che lei fosse lì, per lui. Non era possibile, del resto. Lei lo odiava, non era venuta a trovarlo neanche una volta nel corso della sua degenza. Perché sarebbe dovuta comparire proprio in quel momento?

«Erik...»

Il suono della sua voce, quella voce che aveva sognato di risentire ogni notte e ogni giorno, ebbe il potere di togliergli tutte le forze che gli erano lentamente tornate. Ogni possibile pensiero sul farla finita svanì nello stesso istante in cui lei gli si gettò tra le braccia, facendolo gemere dal dolore, sebbene poco gli importasse ora che lei era tornata. Inspirò profondamente il profumo di quei capelli indiavolati e lasciò cadere la maschera dalle mani, per ricambiare quell’abbraccio tanto agognato che sapeva di agrodolce. Le era mancata Dio solo, o chi per lui, sapeva quanto e glielo fece capire stringendola più che poteva, senza curarsi delle sue ferite che lentamente guarivano. Non gli importava altro che lei.

«Erik, ho avuto così tanta paura di perderti.», gli disse con la voce soffocata dalla stoffa della camicia da notte di lui e da un principio di pianto.

«Sono qui, mon ange, sono qui.», le sussurrò in un orecchio, facendola rabbrividire.

«Mi dispiace, Erik, mi dispiace tanto! Non sarei dovuta scappare quel giorno, magari non sarebbe successo niente!»

«No, Phénix, ti prego, non parlare come se la colpa di tutto fosse tua.» Le accarezzò i capelli ritirati nella consueta treccia e le baciò il capo, cullandola tra le braccia. «Avrei dovuto dirti tutto dall’inizio, anche se non so a quest’ora dove saremmo andati a finire. Probabilmente mi avresti odiato davvero.»

«Erik, non potrei mai odiarti, non ne sarei capace.» Phénix si scostò il tanto giusto per guardarlo negli occhi e gli accarezzò la guancia piagata, facendolo sospirare. «Non lo pensavo veramente quando te l’ho detto. Ma capiscimi, ero arrabbiata e delusa...»

«Lo so... e non basterebbero cento anni per cancellare i miei sensi di colpa, Phénix.»

La ragazza lo zittì con un bacio disperato ed urgente, come se tutta la sua vita fosse dipesa da quel gesto. Erik non impiegò troppo tempo a ricambiare, stringendola contro il suo petto e baciando quelle labbra che erano state l’inizio della sua dolce rovina e, ne era sicuro, sarebbero state anche la fine.

«Ti amo così tanto da far male, bambina mia.», le sussurrò contro la bocca, provocandole l’ennesimo tuffo al cuore della giornata. «Sei arrivata come una tempesta, mi hai stordito e soggiogato, Phénix. E sono talmente innamorato di te che potrei morire come un’onda quando manca il vento.»

«Non mi lascerai mai, Erik?», gli chiese, con le lacrime agli occhi. «Neanche dopo “La Vita Nova”?»

Lui s’irrigidì subito, spaesato. «Come lo sai?»

«Madame Giry mi ha fatto leggere la tua lettera.»

Erik fece una smorfia. «Quella donna... deve ancora imparare a comportarsi.»

Phénix strinse gli occhi verdi, puntandoli in quelli acquamarina di lui. «Non dare le colpe a lei! Quando avevi intenzione di dirmelo?»

«Diciamo che contavo sull’effetto sorpresa a fine spettacolo...»

«Erik!», strillò lei, mettendosi a sedere e distanziandosi da lui. «Non azzardarti più a pensare una cosa orribile come quella! Sono troppo innamorata di te per perderti.»

«Dillo ancora.», mormorò, accarezzandole il mento con un dito.

Lei raggiunse la sua mano con la propria e se la portò contro una guancia, sorridendo. «Ti amo, Erik.»

«Sei tu la mia nuova vita, Phénix.» L’attirò a sé senza troppe cerimonie e la baciò ancora con desiderio, per rendersi conto che lei era lì e lo amava, per imprimersi al meglio quella piacevolissima sensazione che aveva il terrore di perdere ancora una volta.

Le fece spazio in quel letto troppo grande per ospitare una sola persona e Phénix si accoccolò meglio contro di lui, ricordandosi solo in quel momento della sua ferita sul fianco.

«Erik, scusami! Ti ho fatto male?», chiese preoccupata, indicando le bende.

Scosse il capo, avvicinandosela contro e baciandole la fronte. «Non è niente, sto guarendo ormai.»

Phénix alzò il capo, poggiato contro la sua spalla, e rimase a fissarlo in silenzio, con un delizioso sorriso sulle labbra.

Erik si sentì spogliato da quello sguardo, come sempre accadeva, non ancora abituato ad essere osservato senza la protezione della maschera. «A cosa pensi?»

«Penso che sei bellissimo

«Sì, un bellissimo relitto.», borbottò, sarcastico.

«Ora non fare il narcisista, sai benissimo che è così e non te lo ripeterò ancora una volta solo per compiacerti.»

Erik scoppiò in una sana risata, come non faceva da tempo, e a lui si unì anche la ragazza, che in realtà sarebbe voluta apparire più seria di quanto non fosse, ma venne contagiata dal buon umore del compagno. Era così bello vederlo ridere come un bambino!

Vennero interrotti da qualcuno che bussò alla porta, così Phénix fece appena in tempo a mettersi seduta sul letto che Faucon entrò in camera, seguito da Raoul. Il medico salutò entrambi con cordialità, soffermando la sua attenzione sulle mani ancora intrecciate dei due. «Mademoiselle, sono contento di rivedervi in forma.»

«Grazie, anche io son felice che non vi sia accaduto niente di male.» La ragazza gli sorrise apertamente e tirò una gomitata all’uomo sdraiato sul letto, continuando a sorridere. «E vorremmo entrambi ringraziare sia voi che Raoul per quello che avete fatto e che state facendo.»

Erik si lamentò per il colpo, soprattutto avendo capito cosa quella pestifera gli stava intimando di fare. Alzò gli occhi al cielo e si lasciò sfuggire uno sbuffo. «Sì, bel lavoro.», disse tra i denti.

«Erik...»

Faucon non fece molto caso ai modi burberi di quell’uomo che non conosceva per poterlo giudicare come faceva il cugino, che, invece, corrugò la fronte contrariato. «Mi fa piacere vedere quanto sia immensa la vostra gratitudine per avervi salvato la vita.»

«A me non fa piacere sapere che ho messo la mia vita in mano ad un ragazzino come te.», ringhiò, lanciando un’occhiataccia a Phénix che lo guardava arrabbiata.

La ragazza si voltò verso il Visconte, agitando le mani. «Perdonatelo, a volte è più delicato un masso di lui

«Vedo.», borbottò Raoul, passandosi una mano tra i capelli. «Allora vi farà meno piacere sapere che è grazie a me che siete un uomo libero.»

«Come se avessi avuto il bisogno del tuo aiuto, per questo.»

«Erik!», esclamò la ragazza, mettendosi le mani sui fianchi.

Lui alzò le sopracciglia, facendo finta di non capire. «Phénix, guarda che ho capito che conosci il mio nome.»

La zingara chiuse gli occhi, prendendo un bel respiro profondo e contando fino a dieci per non scoppiare. Sorrideva come un bambino, si comportava come un bambino. Perfetto.

«Forse avrei fatto meglio ad ucciderlo, quel giorno.», bofonchiò Raoul, mentre se ne andava.

«Sono sempre disposto ad un duello, ragazzino!»

«Vi ricordo che l’ultima volta che abbiamo duellato non ero io quello in terra con una spada puntata contro.»

«Maledetto insolente...»

Faucon, nel frattempo, fece scivolare lo sguardo dai due uomini alla ragazza dall’altra parte del letto, e iniziò seriamente a preoccuparsi per la sua salute: quei respiri profondi che stava prendendo da qualche secondo non promettevano niente di buono. Forse avrebbe fatto bene a dare una dose di tranquillanti un po’ a tutti, quel chiasso stava iniziando a fargli venire un mal di testa con i fiocchi.

 

Erik venne lasciato andare quasi due settimane dopo, per sua gioia e per quella del padrone di casa. Se non fosse stato per le amorevoli cure di Christine e le visite di Phénix avrebbe preferito andare in gattabuia, pur di dover avere a che fare con il Visconte. Tornò alla sua Dimora sul lago, nonostante Christine gliel’avesse caldamente sconsigliato; dopo tutto il caos che era successo qualche soldato avrebbe anche potuto arrischiare una visita sotto il Teatro, ma Erik, su quel punto, rimase irremovibile. Non avrebbe lasciato la sua casa, non nel momento più delicato di tutta la sua esistenza: doveva controllare che i lavori di restauro stessero procedendo nel migliore dei modi, doveva essere il supervisore che avrebbe scelto ogni singolo componente della nuova orchestra, ogni cantante, ogni attore. No, l’idea di vivere in un luogo che non fosse l’Opera neanche l’aveva presa in considerazione, per lo meno non per il momento.

Respirò a fondo l’aria umida che impregnava la grotta per la sua lunga assenza e, accese un po’ di candele, tornò a sedersi al suo organo ed accarezzò con riverenza quei tasti ingialliti che aveva premuto così tante volte nel corso degli anni. Era incredibile come un paio di settimane potessero essere così pesanti da trascorrere senza il suono grave di quello strumento che lui amava come se si fosse trattato di pane quotidiano.

La musica s’infranse fragorosa contro la pietra nuda e continuò per ore intere prima che Erik decidesse di smettere. Suonare la sua musica fu il penultimo gradino di una scala ripida e quasi infinita e poté finalmente dire di essere arrivato al culmine della salita. Mancava solo un’ultima cosa prima di sentirsi totalmente realizzato: la Prima dell’Opera. Sarebbe stato un successo, già immaginava gli spettatori in piedi sulla platea e sui palchetti, commossi fino alle lacrime, mentre lui gonfiava il petto, orgoglioso. Era già tutto scritto nella sua mente, doveva solo tramutarlo in realtà, pensò con un sorriso.

«Neanche settimane di fermo hanno saputo intaccare la tua bravura, eh?»

Erik si voltò di scatto nel sentire l’eco di quella voce che riusciva a scaldargli il cuore ogni volta e rimase fermo a guardarla, come se fosse una visione. «Da quanto sei qui?»

Phénix fece spallucce, avvicinandosi piano alla sua postazione regale. «Non so... il tempo non passa mai quando arrivo qui. Soprattutto se tu stai suonando.», aggiunse, sorridendogli.

Erik allungò una mano per cercare quella della ragazza, e l’attirò a sé, tra le sue gambe, per imprigionarla in un caldo abbraccio. «Sei tornata, alla fine.»

«E dove sarei dovuta andare?»

«Non saprei... lontano da me, magari.»

«Erik...» Gli accarezzò la guancia libera dalla mezza maschera, che fece volare via subito dopo infastidita, e avvicinò le labbra a quella pelle martoriata che lui disprezzava tanto ma che lei amava, perché era il segno di un uomo unico, unico al mondo. Un po’ egoisticamente, forse, ringraziò Dio o chi per lui per aver messo al mondo una creatura così, perché altrimenti Erik non sarebbe diventato l’uomo che era: geniale, passionale, dolce, malinconico, ma nonostante tutto forte. Era un’alchimia vivente, e lei lo amava per questo. Perché era diverso.

Erik chiuse gli occhi, stringendo la presa sui suoi fianchi e tra i suoi capelli, godendosi fino in fondo i brividi che quegli innocenti baci gli stavano provocando. Poteva una sola donna avere questo potere su di lui? Poteva una sola donna scombussolargli l’anima ed il corpo con la sua sola presenza?

Le loro labbra s’incontrarono in un bacio rovente ancora una volta e, dopo settimane, mesi, anni, i pensieri, di qualsiasi tipo fossero, vennero lasciati lontani, chiusi da qualche parte. Niente li avrebbe disturbati, quella notte, non un ricordo, non il passato. C’erano solo loro ed il presente in quella grotta che ora sembrava troppo calda per i gusti di entrambi.

Phénix si allontanò un poco, per contemplarlo come non faceva da tempo. Lo guardò chiudere gli occhi e sorridere finalmente sereno, come un bambino. Lo prese per mano, tirandolo gentilmente verso di sé per intimargli di alzarsi e seguirla.

E lui sì che la seguì, docile e totalmente rapito da quella donna che l’aveva stregato dal primo momento in cui aveva incontrato quegli occhi verdi. Catturò ancora le sue labbra tra le proprie, quasi fosse l’ossigeno che lo teneva in vita. La prese in braccio, portandola nella nicchia che ospitava il fastoso letto a forma di cigno e la fece sdraiare sulle lenzuola rosse come il sangue, rosse come la libidine. Lui la seguì subito dopo, sdraiandosi accanto a lei e chinandosi a baciarla ovunque l’abito lo permettesse, sulle guance, sulla gola, sul decolté. Quando alzò lo sguardo per guardarla trattenne il respiro: la vide con le labbra dischiuse per reclamare quanto più ossigeno possibile, gli occhi chiusi e il capo piegato contro il cuscino, per permettergli di baciarla meglio. Era incantevole.

«Erik...»

Dio, quanto gli piaceva il suo nome sulle sue labbra. Quelle stesse labbra che riprese a baciare con infinita dolcezza, per gustarle meglio, per imprimersi ogni singolo istante di quel momento che avrebbe voluto continuasse in eterno.

Phénix gli passò le mani tra i capelli, facendole scivolare poi su quel viso martoriato, ma ora illuminato da un’espressione di contentezza ed incredulità che mai avrebbe pensato di vedergli. Le sue dita sottili scesero verso l’ampio petto dell’uomo, coperto solo da una camicia color panna, di quelle che lui amava tanto indossare nei suoi momenti di solitudine. Slacciò gli unici tre bottoni che la tenevano chiusa e la fece cadere da qualche parte giù dal letto. Aveva sempre e solo potuto immaginare il corpo di Erik sotto quegli abiti eleganti che lo facevano sembrare ancora più imponente; ma ora, poter vedere e sfiorare quelle spalle larghe, quelle braccia che tante volte l’avevano stretta con forza, quel torace che l’aveva accolta come un cuscino quando era giù di morale... ora si sentiva mancare.

Erik abbassò lo sguardo, quasi imbarazzato, verso il corpetto che le stringeva la vita già troppo sottile di per sé e giocò con uno dei tanti fiocchetti. Tornò a guardarla, le labbra socchiuse a volerle dire qualcosa.

Phénix sorrise e gli baciò dolcemente la punta del naso. «Cosa ti preoccupa, Erik?»

Lui si chinò sulle sue spalle, nascondendovi il capo. «Ho paura che tutto questo possa finire.»

«Non pensare, Erik. Ti prego, non pensare ora.», lo supplicò, stringendolo contro di sé con necessità. «Non pensiamo al domani.»

Erik sospirò profondamente e quando iniziò a baciarle il collo metà dei fiocchi del corpetto erano già stati sciolti. Le accarezzò languidamente un fianco, fino a fermarsi rovente sulla coscia. Un istante dopo il vestito della ragazza giaceva per terra, accanto alla sua camicia.

Phénix si morsicò un labbro quando Erik si distese completamente su di lei, una volta che anche i suoi pantaloni vennero gettati via. Lo guardò intensamente in quegli splendidi occhi acquamarina, ora completamente velati dalla cieca passione che stava conoscendo, e lo abbracciò, reclamando ancora una volta il suo posto tra quelle braccia calde.

Erik le baciò la guancia arrossata e, sussurrandole in un orecchio quanto l’amasse, unì i loro corpi con una spinta decisa ed urgente. Non riusciva ad immaginare che una persona, per di più lui, potesse provare una tale felicità e un tale senso di completezza. Credeva che sarebbe scoppiato dalla gioia in quel preciso istante. Iniziò a muoversi su di lei con desiderio, baciandola e facendo intrecciare le loro mani, mentre i loro sospiri di piacere si perdevano per tutta la grotta, unica testimone di quell’amore nato con lentezza, di nascosto, ma ora talmente travolgente che se l’avessero represso sarebbero impazziti entrambi.

Raggiunsero l’apice del piacere una tra le braccia dell’altro e così rimasero per qualche altro istante, a guardarsi negli occhi, ad accarezzarsi e scambiarsi dolci e languidi baci.

«Dio, cosa mi hai fatto...», le sussurrò, stringendosi a lei. «Dimmi la verità, si tratta di qualche sortilegio...»

«Ebbene sì, mi hai scoperta.», rispose lei, scoppiando a ridere quando lo vide ghignare, divertito.

Poi una mano di Erik le scivolò lungo il fianco per fermarsi sul suo ventre, e rabbrividì nel rendersi conto di cosa quel gesto volesse dire. «Tu... vuoi sapere, vero?», gli domandò, raggiungendo la mano di lui con la propria. «Ne hai diritto.»

Erik si morsicò un labbro. «Non sei obbligata a farlo. È parte del passato.»

«No, non per me. Io lo volevo veramente quel figlio, anche se avesse significato crescerlo da sola.» Gli accarezzò il viso, la parte martoriata, e gli baciò le labbra, dolcemente. «Ma il mio corpo non avrebbe retto e io ho sempre avuto una paura dannata della morte, lo sai.»

«Hai interrotto la gravidanza...»

Lei annuì, gli occhi lucidi per il ricordo di quei giorni. «Non mi perdonerò mai per quello che ho fatto.», sussurrò, contro le sue labbra. «Amami, Erik, amami ancora e lava via ogni brutto pensiero, ora.», lo pregò, stringendosi al suo corpo. «Se mai un giorno capiterà ancora so che ci sarai tu accanto a me, e a nostro figlio.»

La baciò con rinnovata passione, incapace di contenere la gioia e il desiderio che quella piccola donna era in grado di provocargli. Lui e lei, insieme, con dei figli, una famiglia... Era un pensiero così splendido per essere vero che a stento riusciva a capacitarsene. Forse anche lui avrebbe finalmente avuto una vita normale?

Si amarono per tutta la notte, mai sazi dei loro sospiri, dei loro baci, delle loro unioni.

Il Fantasma e la Strega ormai erano lontani, per lasciar spazio ad un uomo, una donna ed il loro amore.

 

 

 

Continua...

 

 

Alla prossima settimana con l'epilogo!

Marta.

 

PS: vi ricordo che potete trovarmi su il mio account di Facebook che utilizzerò per gli aggiornamenti e le novità di EFP, chiunque voglia aggiungermi è liberissimo di farlo. (: E ora è arrivato anche il gruppo per ricevere notizie, spoiler e anteprime! Lo potete trovare qui. :)

 

   
 
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