Fanfic su artisti musicali > Mötley Crüe
Ricorda la storia  |      
Autore: Jaded_Mars    16/05/2011    3 recensioni
Cronaca di un desiderato ritorno a casa.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

--Se volete, mettete in sottofondo Home Sweet Home mentre leggete, io l’ho scritta con quelle note e parole in loop nelle orecchie. Grazie in anticipo a chi legge e commenta. Grazie anche solo a chi legge. Grazie a Lau. Grazie alla musica. (sbrodolo un po’ pubblicamente la mia gratitudine :) ) --

Vento. Vento fresco che scorre tra i capelli, li scompiglia, li ingarbuglia, li libera dalla piega. Il vestito, troppo leggero, che danza allegro sospinto dall’aria scoprendo le lunghe gambe snelle. La moto corre rapida sull’asfalto, una velocità sconosciuta, la strada che costeggia campi di erba bruciata dal sole. Una risata che sgorga spontanea, colma di adrenalina, che si sostituisce al timore di uno schianto, e culmina in un gesto di incoscienza: liberare la presa dal corpo del ragazzo alla guida per alzare le braccia , palmi aperti verso il cielo, in un gesto di liberazione, lanciare un urlo di gioia e lasciarsi abbandonare completamente, assaporando l’odore dell’aria estiva, guardandoil cielo completamente blu. Anche lui scoppia in una risata, contagiato dall’allegria della ragazza, e cambia marcia alla sua Harley, accelera, sempre più veloce, per portare all’estremo quel momento di libertà.  Stacca le mani dal manubrio e grida, quel grido pieno  di emozione e delizia di una persona che sta commettendo un’avventatezza, “Wo-hoooooo”. 

La moto sbanda leggermente, lui rapido, riprende sicuro la presa mentre immediatamente la ragazza si riaggancia stretta al suo petto, il cuore che batte all’impazzata per la paura. “Tommy ma sei cretino?! Non farlo più, ho avuto una paura folle!” gli aveva urlato nell’orecchio per farsi sentire a quella velocità. Rideva ancora, era troppa l’esaltazione che aveva in circolo per potere essere seriamente preoccupata. “Eddai Charlie, scommetto che ti è piaciuto un sacco!A me ha fatto impazzire” le fece lui esultante come un bambino. Ed era vero, non aveva sbagliato, le era piaciuto un sacco, ma non lo avrebbe mai ammesso. Invece di rispondergli, fece un po’ di pressione sui piedi per spingersi in avanti, posandogli un bacio leggero sulla guancia ed appoggiando il mento sulla sua spalla nodosa, continuando a guardare la campagna che si muoveva intorno a loro.

Abbandonarono l’Harley sul prato, in un punto indefinito lungo quella anonima strada infinita. Si fecero strada in mezzo all’erba gialla, alta, spruzzata qua e là da vivaci papaveri, Tommy davanti per liberare il passaggio. L’obiettivo era un grande albero le cui fronde verdi si allungavano per metri, proiettando una grande ombra fresca. Doveva essere centenario, il tronco era enorme, tanto che poterono starvi entrambi appoggiati, fianco a fianco, mano nella mano.  Non parlarono. Erano troppo presi a godersi la magia del momento, l’aria calda che respiravano, il profumo di fiori, la solitudine, lo stare bene insieme. Il ragazzo raccolse un papavero e lo strusciò sul volto di Charlie, accarezzandolo con i morbidi petali rossi. La ragazza sorrise, distogliendo il viso per evitare i fastidiosi pistilli, ma non riuscì a sfuggire all’attacco di Tommy che iniziò a farle il solletico. In un niente si trovarono a terra, i capelli di Charlie sparsi sul prato come una corona dorata, i suoi occhi azzurri uncinati a quelli neri del ragazzo. Così vicini, corpo contro corpo, il loro respiro si accorciò, sempre più breve e intenso. Tommy passò delicatamente l’indice della sua grande mano sul profilo della ragazza: fronte, nasino all’insù, si soffermò sulle sue belle labbra rosa come un bocciolo per poi ripartire lungo il collo, verso il seno, più giù. Le loro bocche finalmente si incontrarono, avide e desiderose. In quel momento a Charlie arrivò uno scappellotto in testa che la strappò bruscamente dai suoi ricordi come una secchiata d’acqua fredda al mattino. “Ahi!”

“Ancora sogni ad occhi aperti Charlize? Dai che dobbiamo andare all’aeroporto, sennò a casa non ci arriviamo più!” James, il suo collega, aveva ragione, era arrivato il momento di andare via da New York e tornare finalmente a casa. Carta d’identità, presa. Biglietto aereo, preso. Borsa e bagagli, pronti. Charlie fece un giro di controllo per verificare di non avere dimenticato niente in quell’anonima camera d’albergo di lusso e diede un ultimo sguardo allo skyline della città: cielo plumbeo, grattacieli grigi e pioggia pesante. Ecco perché era finita a pensare a quel giorno passato con Tommy, era stata un’evasione bella e buona dalla realtà uggiosa che aveva davanti a sé. Si sentì sollevata al pensiero che presto avrebbe rimesso piede nella soleggiata California e l’avrebbe potuto riabbracciare. Le mancava decisamente troppo. Sistemò il cappotto, alzò il bavero per schermarsi dall’aria, si mise in spalla la borsa, praticamente pronta. Prima di uscire, però, sollevò il ricevitore del telefono e compose il numero di casa. Rispose la voce di Tommy, baldanzosa e burlona, ma era la segreteria telefonica. Lei disse semplicemente “I’m on my way…”. Riagganciò, contenta di lasciare la città, ed uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle.

 ***

Sprofondata nel sedile del grande Boeing, Charlie era assorta ad osservare le acrobazie delle goccioline che si inseguivano rapide sul finestrino. Aveva già la cintura di sicurezza allacciata, anche se non erano ancora decollati. James era al suo fianco pronto per immergersi nella lettura del New York Times fresco di stampa posizionato accuratamente sul tavolino di fronte. Lei guardò in grembo la sua copia consunta di Orgoglio e Pregiudizio. L’aveva letto ripetutamente nel corso degli anni, sin da quando era ragazzina, e vederla ancora adesso che era una donna con quel libro ingiallito tra le mani l’aveva resa soggetto delle battute di Tommy, che la prendeva in giro bonariamente ogni volta che lo trovava abbandonato in qualche angolo della casa, segno che era ritornato oggetto delle sue letture serali. Eppure lei non si era ancora stancata di immergersi in quelle pagine, di rivivere  la storia di Elizabeth Bennet e di Mr. Darcy, di perdersi nelle avventure provocate dal loro orgoglio e pregiudizio. Queste due caratteristiche sono come una buccia grezza che avvolge una persona e la rende sorda e cieca di fronte al prossimo, incapace di scoprirlo, o di farsi scoprire. Solo una volta che viene levata, allora si capisce  realmente la natura di una persona, si è pronti a conoscerla per come è veramente e non per come appare o per come la vediamo filtrata attraverso quelle lenti. L’aveva sperimentato in prima persona con Tommy, quando si erano appena conosciuti, era piena di dubbi sul suo conto, dettati dai pregiudizi creatisi sulla base delle voci che aveva sentito circolare. Era una rockstar e non delle più docili e pulite al mondo. Uno sfasato, un puttaniere, drogato e debosciato, dicevano. Non si fidava, aveva paura di restare bruciata al contatto con lui, la sua energia e il suo mondo. Eppure frequentandolo, aveva scelto di lasciare cadere quei preconcetti, dandogli la possibilità di mostrarsi nella sua interezza. Ed era felice di avere preso quella decisione, perché le aveva mostrato di essere molto più di quello che si sarebbe mai aspettata. Non solo era esuberante, scherzoso, alla mano e anche un po’ cazzone, come la sua fama raccontava, ma dietro quella scorza da party man celava un animo estremamente sensibile, romantico ed eterno bambino, sempre pronto a sorprenderla pur di vederla felice. “You know,           I'm a dreamer, but my heart's of gold…”. Quella frase lo descriveva alla perfezione. Se entrava in fase sentimentale, era saccarina allo stato puro, come quando aveva cosparso la casa di candele e una scia di petali di rosa conducevanoalla loro stanza, su, fino al letto sopra il quale disegnavano un grande cuore rosso. Il suo Tommy… L’aereo iniziò a muoversi lentamente per poi accelerare, stava abbandonando il suolo e la ragazza rilassò la testa sul sedile, scivolando rapidamente in un sonno profondo.

***

“Come non ci sono voli per Los Angeles fino a dopodomani?!?” Charlie sbottò impaziente verso l’hostess al desk delle prenotazioni, che la guardava impassibile. “Devo tornare a casa! Ce ne deve essere uno!Per forza…” finendo quasi supplicando. Ma la risposta, invariata, era sempre quella: ‘Nessun volo per Los Angeles fino a dopodomani, causa sciopero.’ Nella sua testa stavano passando i più biechi insulti verso ignoti per tutta quella situazione. Prima l’aereo che deve atterrare improvvisamente a Phoenix per un problema tecnico ed ora anche la beffa di restare bloccata lì in quell’aeroporto per un giorno perché gli operatori di volo scioperavano. Se gliene fosse passato vicino uno l’avrebbe preso per il collo. In realtà avrebbe tirato un calcio anche a quella stronza della receptionist per il modo scortese in cui l’aveva trattata. Niente, oramai era rassegnata a non mettere piede in California con l’aereo. Si diresse verso il terminal bus della Greyhound per prendere un biglietto, non sarebbe certo rimasta lì ad aspettare, era stanca, stufa di stare in giro, il lavoro l’aveva strappata per due mesi dagli amici, da Tommy. Per fortuna c’erano ancora posti sul pullman, che non sarebbe partito prima di un’ora. Entrò in una cabina telefonica, voleva avvisare Tom del casino che era successo, non voleva che andasse a prenderla inutilmente al LAX e diventasse ansioso, non trovandola. Era affaticata, non solo fisicamente, ma nauseata di essere lontana da casa. Le mancava la routine quotidiana a cui era abituata, la colazione con Tommy, discutere dei progetti che avevano per il futuro, le chiacchiere abbracciati sul divano mentre su HBO programmavano un film di cui spesso non riuscivano a vedere la fine. Questa volta fu proprio lui a rispondere, con la sua voce profonda e calda che la fece sentire subito meglio. Riuscì, anche  in quella situazione, a strapparle un paio di risate, grazie a quelle battute idiote che spesso raccontava improvvisando un esagerato accento greco. Una volta fatta la telefonata, per ingannare l’attesa, Charlie andò in un bar dietro l’angolo, dalle cui vetrate si poteva monitorare il traffico di quegli enormi bestioni d’alluminio argentato. Il mitico Greyhound, potevi trovarci chiunque accomodato tra le file dei sedili, dal ragazzo giovane e squattrinato che parte verso l’avventura e l’ignoto, come era stata lei anni prima quando aveva lasciato Grand Rapids, all’uomo d’affari che aveva paura di volare e sceglieva di viaggiare via terra, passando per famiglie, immigrati e altre categorie di persone, ognuna con la propria storia alle spalle, ma che, come obiettivo comune, avevano quello di arrivare a destinazione attraversando l’America. Nel locale in cui era entrata, come immaginava, c’erano molti ragazzi giovani, alcuni dei quali sarebbero stati suoi compagni di viaggio a giudicare dai discorsi che stavano facendo su Hollywood e dintorni. L’ingenuità che dimostravano le suscitò tenerezza, non sarebbe stato poi così facile sopravvivere a Los Angeles, non era affatto tutta rose e fiori come volevano le leggende metropolitane, ma d’altronde come potevano saperlo quei ragazzi che si basavano solo su ciò che ascoltavano in TV e che non avevano mai visto altro se non le loro piccole cittadine. Ci aveva creduto anche lei quando evase dalla realtà troppo stretta di quella città industriale di 200,000 abitanti del Michigan in cui aveva sempre vissuto, che non le prospettava nulla se non un monotono futuro da impiegata in una delle tante aziende di mobili della zona. Il confronto violento con quella giungla metropolitana che davvero era la città degli angeli sostituì immediatamente la maggior parte delle credenze della ragazza. Ma col tempo quel posto era riuscito ad entrarle nel cuore, non avrebbe saputo immaginare vivere altrove. Non ci sarebbe stato alcun posto da chiamare casa, senza Tommy. Charlie si sistemò su uno sgabello davanti al bancone di zinco non troppo pulito e ordinò un caffè. La televisione appesa al muro era sintonizzata su MTV e stavano passando, ironia della sorte, un’intervista ai Motley Crue. Non c’era l’audio purtroppo, ma le importava relativamente, perché si era messa ad ascoltare i commenti a voce alta dei ragazzini vicini a lei, i maschi che esprimevano tutta l’ammirazione per quella band  utilizzando un linguaggio colorito, e le femmine che per lo più sbavavano sulla figaggine dei membri del gruppo. Era divertita, quasi abituata a sentirli parlare in quel modo, con entusiasmo ed affetto. Non le dava nemmeno troppo fastidio che quelle ragazzine parlassero di Tommy come se fosse loro, o con malizia, sapeva che erano innocue, e d’altronde aveva fatto anche lei quei discorsi, prima di loro, con altri eroi della musica. E poi erano di un altro genere le donne che rappresentavano un potenziale problema per la sua relazione, ma scacciò quei pensieri dalla sua mente come se si trattassero di un insetto fastidioso. Versò un po’ di latte nel caffè nero bollente, niente zucchero.

“Hey guarda che figo atomico è Tommy Lee con quel costume!”

“Chissà che cela lì sotto, vorrei potere dare una controllatina”

 “Secondo me riserva grandi sorprese, deve essere un drago a letto.”

“Eccome se lo é …” si sorprese a rispondere Charlie, ad alta voce, più a se stessa che a quelle ragazzine che si voltarono a guardarla ad occhi sgranati per qualche secondo, come se si trattasse di un’aliena, prima di ritornare alle loro chiacchiere. Fu assalita da un’improvvisa voglia del suo ragazzo, una intensa notte di sesso, e non solo, con lui. Ah eccome se la voleva, Tommy era praticamente un’artista in certe cose, come quando muoveva la sua bocca lungo la sua schiena,  usava abilmente le mani sulla sua pelle. Avvampò leggermente e arrossì, come le scene a cui stava pensando fossero stato trasmesse pubblicamente, poi rise silenziosamente per la sua stupidità, nessuno aveva visto o sentito niente di quello su cui aveva fantasticato. Svuotata la sua tazza, pagò il conto e uscì dal bar dirigendosi verso bus per caricare la sua valigia.

***

Appena salì a bordo, per Charlie fu come essere catapultata nel passato, un dejà-vu di quando per la prima volta aveva messo piede su un Greyhound a diciott’anni per andare a Los Angeles all’università. Stessa scena, visi di passeggeri già accomodati che le rivolsero un fugace sguardo, per tornare immediatamente ai propri affari, altri che la scrutavano e avrebbero continuato fino a che non si fosse seduta, alcuni che non la videro nemmeno. Solo che allora si stava imbarcando verso l’ignoto, piena di sogni e aspettative, ora invece stava tornando verso casa e alcuni di quei sogni non si erano mai avverati, ma poco importava perché erano marginali rispetto a ciò che aveva adesso. Quasi istintivamente, prese posto nella stessa posizione di quel lontano viaggio, nelle ultime file vicino al finestrino, per potere guardare il paesaggio. Era già buio fuori, e faceva piuttosto freddo, oramai l’inverno stava per arrivare anche lì in Arizona. Quando il pullman fu al completo, le porte si chiusero con un rumore sordo, lasciando al di fuori il resto del mondo, creando un microcosmo in cui le vite di quelle persone si intersecavano per qualche ora, volti momentaneamente familiari destinati a diventare solo degli indistinti fantasmi persi nei ricordi del passato. La visione del caotico aeroporto di Phoenix illuminato a giorno, brulicante di viaggiatori, divenne presto solo un punto lontano all’orizzonte. Charlie aveva le cuffie del Walkman in testa, pronte all’uso, per immergersi nel suo mondo. Stava armeggiando nella borsa per trovare la cassetta che si era preparata con le sue canzoni preferite, quando sentì parole familiari provenire dalla radio del bus, le sembrava Steven Tyler. Forse… Tolse gli auricolari per sentire meglio. Sì, era proprio Angel degli Aerosmith. Si chiese se non ci fosse un piano segreto per ricordarle lentamente che stava tornando da Tommy, visto che era da quella mattina man mano che si avvicinava alla California che c’erano segnali sparsi che riconducevano a lui.

“Baby, you're my angel 
Come and save me tonight 
You're my angel 
Come and make it all right”

Come se fosse ieri, durante il loro primo appuntamento, eccoli loro due, stretti che ballano quella canzone sul molo di Santa Monica, al luna park davanti alle giostre, dimentichi di essere in mezzo a bambini accompagnati dai genitori e ai teen-agers, ignorando la gente curiosa che si fermava ad osservare quei due giovani così belli, che ancora quasi non si conoscevano. Anche se, tecnicamente, quello non era il loro primo appuntamento. Si erano già visti una volta, ma non era possibile definirla un’uscita di piacere, visto che erano finiti al pronto soccorso dopo che Tommy con la sua moto aveva quasi investito Charlie. In uno di quei momenti di esibizionismo che a volte lo gli offuscavano la ragione, si era lanciato a raffica sul Sunset Boulevard, e non aveva visto che lei stava attraversando la strada. Era andato vicinissimo a perdere l’occasione di conoscerla. Per fortuna, invece, non le era successo niente di grave, solo uno strappo sui jeans e una sbucciatura al ginocchio sinistro procuratasi cadendo per evitare l’impatto. Dopo lo shock iniziale, la ragazza sbottò di rabbia, rovesciandogli contro una valanga di insulti. Non voleva assolutamente che l’aiutasse o  la toccasse, aveva anche provato a picchiarlo, prima che lui la bloccasse per tranquillizzarla. Nonostante questa reazione piuttosto violenta (che Tommy non si aspettava per niente, considerato che ingenuamente credeva che una volta  riconosciutolo, si sarebbe sciolta in adorazione) lui aveva insistito pesantemente per accompagnarla a farsi controllare, forse con l’intento di passare un po’ di tempo con lei, dopo avere visto che era molto carina, e avere realizzato la cazzata che aveva appena commesso. Considerati i tempi di attesa dell’UCLA Medical Center, trascorsero praticamente l’intero pomeriggio in sala d’attesa sperduti tra pratiche burocratiche e chiacchiere. C’era stato subito feeling tra di loro, si piacevano sarebbe stato da ipocriti negarlo, ma Charlie era diffidente. Tommy invece partì subito all’attacco, s’era preso all’istante una bella scuffia per quella biondina di carattere ma piuttosto fredda e distante. Si sapeva, lui aveva una gran passione per poche cose, le sfide e le ragazze bionde con gli occhi azzurri rientravano tra quelle. L’aveva riaccompagnata a casa dopo la visita ed con il pretesto dell’incidente era riuscito ad ottenere il suo numero di telefono, procurandosi entrambi i contatti della ragazza in un colpo solo. Dal pomeriggio seguente iniziò a tormentarla con chiamate più volte al giorno sfoderando ogni scusa plausibile  per poterla vedere di nuovo. A volte rispondeva lei, altre faceva fare le sue veci alla segreteria, ma il contenuto dei messaggi era sempre lo stesso. Aveva persino iniziato a spedirle a casa fiori, una marea di mazzi diversi ogni giorno per capire quali fossero i suoi preferiti. Alla fine, Charlie cedette, per esasperazione, ma soprattutto per curiosità. Voleva conoscerlo un po’ meglio questo batterista folle, sapere un po’ di lui, dei retroscena che costellavano la sua vita. A pensarci ora, seduta su quel sedile di consunto velluto blu del bus, Charlie ringraziò il suo sesto senso per non averla fatta bloccare all’apparenza , per non averle fatto credere alla cattiva fama del ragazzo, per non averle fatto perdere l’occasione di intrecciare la propria vita a quella di lui.

***

La terra del vialetto emanava un aroma muschiato di bagnato, umido e fresco che pizzicava le narici. Mentre camminava sicura verso la porta d’ingresso, Charlie si strinse nel cappotto, aveva qualche brivido per il freddo. La casa appariva buia e silenziosa. Tutto taceva profondamente, sicuramente Tommy si era addormentato su in camera, era notte fonda. Girò le chiavi nella toppa ed entrò il più silenziosamente possibile, poggiando la valigia all’ingresso insieme alle scarpe. L’orologio segnava le tre e mezza. Stava già salendo le scale che portavano alla loro stanza, togliendosi il maglione, quando il suono delle note di un pianoforte la fermarono. “E’ sveglio?”. Fece immediatamente marcia indietro, attraversò lo spazioso salone bianco, passando accanto al tavolo di cristallo su cui era posato un enorme vaso di fresche gardenie profumate. Costeggiò le grandi vetrate che si affacciavano sulla piscina in  giardino, verso lo studio di Tommy. Lì, in quello spazio enorme, teneva tutti i suoi strumenti musicali e poteva sbizzarrirsi a provare, riprovare, sperimentare senza sosta. La porta era spalancata, come se la stesse aspettando. Lei si appoggiò allo stipite, a braccia incrociate e rimase ad ammirarlo mentre suonava il grande piano a coda nel centro della stanza. Posati a terra c’erano una tazza con i mozziconi ancora fumanti delle immancabili sigarette e una bottiglia mezza piena di birra. Le stava dando le spalle, i folti capelli neri raccolti disordinatamente in una coda improvvisata, la t-shirt slabbrata di Mickey Mouse che usava in inverno per dormire, i boxer. Era scalzo. Quando lui componeva, Charlie amava passare intere ore seduta sul pavimento a gambe incrociate, solamente osservandolo, mentre le sue melodie la trasportavano lontano. Le piaceva quando il suo ragazzo era al  pianoforte, quello strumento lasciava trasparire tutto il suo lato dolce ed intimo, mettendo in secondo piano l’animale da palcoscenico che diventava quando si sedeva dietro la batteria. Fece qualche passo verso di lui, lentamente, per non disturbarlo, e semplicemente gli si sedette di fianco in silenzio, sfiorandogli con le sue lunghe dita affusolate un braccio tatuato. Tommy la guardò coi occhi sorridenti prima di darle un bacio carico d’amore, non smettendo mai di suonare. “Finalmente, home sweet home” gli sussurrò lei all’orecchio, abbracciando il  corpo caldo del ragazzo, chiudendo gli occhi, cullata da quella musica dolce. 

   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Mötley Crüe / Vai alla pagina dell'autore: Jaded_Mars