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Autore: underground    16/05/2011    0 recensioni
Il volo di un piccolo passero e di uno stormo di albatri attraverso terre ignote e desolate, che attraverso drammatiche riflessioni e visioni ingannevoli porterà alla salvezza o alla morte.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Albatri silenziosi volavano lungo la scia del nero fiume, portandosi appresso nient'altro che desolata solitudine. 
Il fuoco ardeva negli occhi del passero ch'era con loro, così come nelle accoglienti abitazioni dei pescatori lungo il molo, al quale gli ambiziosi volatili s'apprestavano ad arrivare per trovare finalmente un po' di pace.
Il piccolo passero non sopportava l'oppressione di quei luoghi isolati, e tanto insistette a suo tempo, che i grandi albatri non poterono rifiutare la sua compagnia. Ma ora, a più di cinque giorni di volo ininterrotto, ben poco rimaneva di quella piccola ma ostinata creatura alle soglie della giovinezza.
Finalmente capiva, il piccolo passero, cosa significava per lui quel viaggio, ed ebbe quasi paura di arrivare a quella destinazione tanto ambita negli anni della sua infanzia; ma non si tirò indietro. Come i suoi compagni che volavano sicuri e decisi, lui pure cercò in sé tracce di un coraggio che gli era ormai venuto meno da molto tempo.
L'eco di un'oscura risata si fece largo tra le valli, e il passero immaginava, lasciava che la sua mente andasse alla deriva in un mare senza tempo o luogo, aggrappandosi a scarni riflessi di ciò che un tempo furono le sue illusioni. Un uomo senza volto e con le vesti inzuppate di un'acqua dall'odore piovoso camminava strascicando i piedi, sul sentiero che dal versante del monte arrivava alla vicina cittadina. 
Tutto in quella scena meditava una penosa sofferenza, l'unica verità in quel sogno ad occhi aperti che il passero ormai scambiava per realtà.
Una donna si avvicinò a quella strana figura, chiedendo se avesse bisogno d'aiuto. L'uomo sorrise e s'accasciò a terra, la mente persa in risate di un'amara vecchiaia, o innocenti vagiti infantili; che in altre condizioni avrebbero ispirato ben altro che la purezza compassionevole degli abitanti, in quella valle solitaria e in quel paese dimenticato dal tempo.
Negli echi di quell'incontrollabile risata viaggiavano la paura e la desolazione dalle quali il passero, con quel viaggio, stava finalmente allontanandosi.
Ma era stanco, ormai, nel corpo e nella mente, e più non poteva sopportare la morsa dello sfinimento che lo attirava a sé, con la prospettiva di un'apparente felicità infinita.
Gli albatri se ne accorsero, ma decisero, senza accordarsi, che se il suo orgoglio avesse voluto ucciderlo certo loro non si sarebbero opposti. Già tre di essi avevano rinunciato al sogno lontano e si erano rifugiati in alberi scarni e cespugli ombrosi sulla riva di quel fiume che, nonostante lo sforzo degli uccelli, sembrava prendersene gioco scorrendo a tratti più rapido di loro.
Il passero guardava convinto davanti a sé, niente e nessuno avrebbe potuto fermarlo, nemmeno la sua stessa volontà.
Dalle montagne lontane qualcuno forse ammirava il volo dei grandi albatri bianchi e, magari, si soffermò ad indicare quella macchiolina nera che si staccava, di colpo, dal gruppo, cadendo in basso verso un'illusione più forte di quella dei suoi compagni.
Le luci del molo si facevano più vicine ormai; non molto tempo dopo gli stanchi albatri, fermi sul molo a riposare, non riuscivano a reprimere dentro di essi l'angoscia di un presentimento tanto atroce quanto i loro sentimenti. Nessuno chiamò il loro giovane amico. Bastava guardarsi negli occhi per penetrare in un dolore comune ma solitario, che forse essi scambiarono per rimorso.
  
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