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Autore: Ghevurah    17/05/2011    5 recensioni
Cosa poteva fare una bambola?
Ubbidire agli ordini della sua padrona, nutrirsi delle sue bugie fingendo di credere che fossero verità. Sorridere, sorridere sempre.

Ty Lee guarda Azula cadere, conscia che in quegli istanti tutto arriverà a una fine.
Genere: Generale, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Azula, Ty Lee
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fanfiction partecipante al contest "Che la sorte sia con te", indetto da Shizue Asahi













Mentre ti guardo cadere








Non aveva mai creduto di poter fare una cosa simile.
Eppure era successo, giusto un istante prima. Meno di un respiro, poco più di un battito di ciglia.
Il suo corpo si era proteso in avanti, come calamitato da qualcosa. Poi aveva sentito le dita conficcarsi nei muscoli tesi di lei. Il respiro incastrarsi in gola, mentre le loro ombre diventavano una.
Ed era stato un istante anche quello.
Sarebbe rimasta scottata altrimenti, da quelle fiamme invisibili che in un modo o nell’altro c’erano sempre. Attorno a lei, dentro di lei, ovunque lei fosse.
Fuoco e rabbia. O disperazione. Non lo aveva mai capito, in realtà.
Mentre la guardava cadere, però, pensò a Ember Island.
Alla notte sulla spiaggia passata attorno al falò. La notte in cui lei aveva parlato di sua madre.
Tra i riflessi incandescenti che le separavano, aveva visto il suo volto farsi scuro, come se il buio lì attorno stesse rimodellando i suoi tratti. E per la prima volta le era sembrata veramente umana. Lontana dalla perfezione statuaria di cui era solita fregiarsi, ma per questo ancora più meravigliosa.
Aveva creduto che oltre le apparenze, quella fosse la vera lei.
Farò di tutto perché possa ricordarselo un giorno, si era detta. Perché possa chiudere gli occhi e lasciarsi ogni cosa alle spalle e essere se stessa, almeno con me.
Ci aveva sperato fino alla fine, ma non era andata così.
D’altronde cosa poteva fare una bambola?
Ubbidire agli ordini della sua padrona, nutrirsi delle sue bugie, fingendo di credere che fossero verità. Sorridere, sorridere sempre.
Non c’era altro che potesse fare, una bambola. Proprio per questo, in quell’istante, aveva deciso di diventare umana.
L’aria sapeva di zolfo e il sole pesava sul capo come un macigno. C’era Mai alle sue spalle e le guardie attorno a loro, e il vulcano e il principe Zuko scappato con i compagni dell’Avatar. Mentre la guardava cadere, però, era come se non ci fosse più niente.
Vide i suoi occhi d’oro sgranarsi, sorpresi, e improvvisamente un urlo le esplose nell’anima. Pensò di gettarsi in vanti e sorreggerla. E chiederle perdono e abbracciarla.
Ma ormai era troppo tardi.
Il suo corpo raggiunse terra con un tonfo sordo. Un altro istante, ancora. Poi la sua voce rabbiosa spazzò via il resto.




Ty Lee toccò la superficie della porta, tracciando cerchi con le dita. Doveva essere una porta molto antica e pesante, fatta con un qualche legname di alta qualità.
Deglutì ancora e guardò l’architrave sopra la sua testa. Si torturò le mani, quasi volesse strapparsele: erano sudate e appiccicose.
Fece una smorfia e le strofinò sulla stoffa dei pantaloni. Doveva essere in ordine, prima di entrare. A posto, perfetta.
Prese un nuovo sospiro, allineò i piedi, raddrizzò la schiena. Poi si scostò qualche ciocca dal viso, e strinse il nastro che le teneva i capelli legati.
Allora, signorina, non entri?
Una voce la fece sobbalzare. Si voltò di scatto, per incrociare lo sguardo annoiato di una guardia. Se ne stava appoggiato al muro, con la visiera dell’elmo alzata sopra la fronte.
Sì, sì adesso entro, disse lei, indirizzandogli un sorriso un po’ incerto.
Beh, datti una mossa. Sono dieci minuti che te ne stai qui davanti.
Ty Lee si morse il labbro inferiore e giocherellò con il laccio della casacca. Non si preoccupi, adesso entro. Solo, dovevo essere pronta.
La guardia inclinò il capo da un lato, sembrò far scorrere lo sguardo su di lei più attentamente.
Ora lo sei? Chiese scettico.
Le loro ombre si proiettavano tra le colonne, allungate e flebili come fiammelle. Era il tramonto e Ty Lee si accorse che tutto si stava tingendo d’arancio.
Non lo so, disse in un sospiro, abbandonando le braccia lungo il corpo.
La guardia si sistemò meglio contro il muro e spostò lo sguardo verso il fondo del corridoio.
Sai signorina, non sei stata l’unica a stare così a lungo lì davanti.
No?
No. Che resti fra noi, ma il nostro Signore è rimasto a fissare i cardini di quella porta per quasi venti minuti.
Ty Lee sgranò gli occhi. Zuko è stato qui davanti tutto quel tempo?
La guardia inarcò un sopracciglio, come infastidito dal nome che la ragazza aveva utilizzato. Sì, il Signore del Fuoco, puntualizzò, è rimasto un bel po’.
E poi? Quand'è entrato?
Ci fu attimo di silenzio. Solo il rumore lieve di due respiri e di un terzo, da qualche parte, oltre la porta.
Non è entrato, disse infine la guardia.
Le striature aranciate del tramonto iniziavano a perdersi oltre le sagome scure delle colline. Ty Lee abbassò il capo.
Ancora silenzio, mentre il sole scivolava via, lungo il pendio in lontananza.







   
 
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