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Autore: Dolcestellina21    17/05/2011    6 recensioni
Quante cose possono accadere se due persone si incontrano all’età di tre anni, senza essere stati influenzati da alcun pregiudizio, ma con la loro pura e semplice spontaneità? Il corso degli eventi potrebbe portarli persino a fare qualcosa di impensabile!
Storia classificata Quarta al contest "Il magico asilo" indetto da Gigettina sul Forum di EFP.
Genere: Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Rose Weasley, Scorpius Malfoy | Coppie: Rose/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Ricordo perfettamente, nonostante siano passati molti anni, il giorno che entrai all’asilo per giovani Maghi e Streghe. Avevo tre anni e tenevo ben stretta la mano di mamma, che mi aveva accompagnato. Da quando ero uscito da casa avevo ancora il pollice destro in bocca: era l’unico modo per evitare di iniziare a piangere.

Quando varcai il portone vidi una signorina venirci incontro: era molto alta, un po’ più della mia mamma e camminava molto velocemente. Si fermò vicino a noi e mi salutò, poi strinse la mano a mia madre e iniziarono a parlare. Notai che questa signorina aveva delle scarpe strane: la parte di dietro del piede, infatti non era poggiata per terra ma su una specie di bacchetta, corta e rossa. Non so perché, ma la cosa non mi rassicurò e infatti mi strinsi alla gamba della mamma, cercando di nascondermi.

Quando ebbero finito di parlare, la signorina si chinò per arrivare alla mia altezza e mi disse con un gran sorriso “Ciao Scorpius. Vuoi venire a conoscere gli altri bambini?” Io sporsi un po’ la testa da dietro le gambe di mia mamma e feci timidamente segno di si con il capo: sempre meglio qualcuno della mia età e della mia altezza, che lei… La signorina mi prese per mano e mi fece camminare verso una porta. Mi voltai indietro e vidi che la mia mamma era rimasta indietro. La guardai, sentendomi tradito, ma lei mi fece un occhiolino e un gran sorriso. Anche le mie labbra si aprirono in un sorriso, ricordandomi che lei voleva che fossi il suo “piccolo ometto coraggioso”. La salutai con la mano e continuai a trotterellare accanto alla signorina, tenendo stretta la sua mano.

Quando varcai la porta, vidi dei bambini. Tanti. Non aveva mai visto così tanti bambini tutti insieme e tutti della mia età… Erano divisi tutti in piccoli gruppetti e ognuno giocava con qualcosa di diverso: un gruppetto di bambini vicino alla finestra dall’altra parte della stanza stava provando delle scope giocattolo; un altro gruppetto in mezzo alla stanza stava colorando su un tavolino con degli strani colori che cambiavano di tonalità in ogni pochi secondi; altri tre o quattro bambini seduti per terra si divertivano con delle costruzioni che si muovevano da sole; un piccolo gruppetto di bambine giocava con delle bambole di pezza.

Rimasi incantato ad osservare tutti quegli esserini piccoli come me, ma quello che mi più mi colpì furono i bimbi che giocavano con le scope. Lasciai la mano della signorina e mi avviai lentamente verso di loro, attraversando la stanza con dei passi incerti.

Improvvisamente mi scontrai contro qualcuno e caddi all’indietro, privato del mio già precario equilibrio. Mi feci male al sedere, ma mi sforzai di non piangere: non volevo piangere il primo giorno d’asilo, così cercai di ricacciare indietro le lacrime. Tirai su col naso e sentii la voce di una bambina “Ciusa... Ti cei fatto maie?” Alzai la testa e la prima cosa che vidi fu una massa di capelli ricci e rossi raccolti in due trecce. La proprietaria di quelle trecce aveva degli enormi occhi azzurri, una bambola in mano e un espressione preoccupata.

“No…” Le risposi facendo svanire il mio broncio. Faticosamente e piuttosto lentamente, riuscii a mettermi in piedi e rivolsi lo sguardo di nuovo verso le scope e i bambini che le cavalcavano.

“Ome ti chiami?” Era stata di nuovo quella bambina rossa a parlare. Abbassai lo sguardo e provai a rispondere “So… Cor… Spiu… Scoppius” Il mio nome mi risultava molto difficile da pronunciare e mi vergognavo della mia incapacità. La bambina arricciò la fronte, poi fece un gran sorriso e mi disse molto solennemente “Io mi chiamo Rose!”

Rimasi abbagliato dal sorriso di quella strana bambina, che sembrava felice per il semplice fatto di essersi presentata. Dopo poco più di un istante mi domandò “Scop vuoi venie a pendere i the commè?” e senza aspettare una risposta mi prese per mano e si diresse verso un angolino della stanza. Guardai indietro verso i bambini e le scope: volevo andare a giocare con loro, ma la presa di Rose era molto forte per avere solo tre anni ed essere una femminuccia.

Mi fece sedere su una piccola sediolina davanti a un tavolo, dicendomi “Appetta un attimo!” e si diresse verso un’altra parte della stanza. Ritornò pochi minuti dopo trascinando una sediolina rosa con le gambe corte e una cesta gialla piena fino all’orlo e, a quanto pareva, molto pesante. Mi alzai dalla seggiola per andare ad aiutarla, ma lei mi raggelò con uno sguardo “Esta jì!” Sbuffando per la fatica, continuò a trascinare il tutto verso di me. Arrivata, felice per avercela fatta, sistemò la sedia di fronte alla mia e iniziò a tirare fuori dalla cesta una serie di oggetti che depositava immediatamente sul tavolo: due piattini, due tazzine, una zuccheriera, una teiera, dei cucchiaini, un’alzatina, dei dolci finti e un piccolo vasetto che, non appena venne poggiato sul tavolo si riempì all’istante di fiori freschi e profumati. Quando ebbe finito, Rose si sedette e aspettò pazientemente guardando la tavola imbandita. Subito vidi la teiera alzarsi a mezz’aria e versare un liquido dorato nella sua tazzina, il cucchiaino della zuccheriera sollevarsi e far cadere un velo di zucchero al suo interno e un finto pasticcino poggiarsi vicino alla sua mano destra. Con grande stupore notai che anche a me era capitata la stessa cosa.

Alzai lo sguardo verso la mia piccola nuova amica e la vidi sorridere prima di prendere la tazzina e, con il mignolino alzato, sorseggiare lentamente il suo contenuto. Presi a mia volta la mia tazza e bevvi un piccolo sorso attentamente misurato. Rimasi meravigliato: era succo di frutta alla pesca, il mio preferito! Sorrisi a Rose e lei fece altrettanto, prima di dare un piccolo morso al suo finto pasticcino. Deglutì, si pulì il viso con un tovagliolino e mi chiese “Che sapoe ha il tuo ciucco?”
“Pecca! E i tuo?” le chiesi a mia volta.
“Aia pea! È buonissimo, veo?”

“Ti!” e accompagnai la mia risposta con un movimento della testa, che però si rivelò essere, troppo tardi, un po’ violento: sbattei la testa sul tavolino e caddi lateralmente dalla sedia tenendomi le mani sulla fronte. Sentii i miei occhi riempirsi di lacrime e mormorai “Ahi…” Rose mi fu subito vicino, mi si inginocchiò davanti e mi toccò con delicatezza la fronte “Ti fa tanto maie?”

Per tutta risposta tirai su col naso e una minuscola lacrima sfuggì dai miei occhi per colare lungo la guancia. Rose mi guardò seriamente, poi si alzò e corse al suo posto. Per un attimo temetti che volesse lasciarmi da solo. Ma lei prese semplicemente il suo tovagliolino e mi tornò vicino. Passò quel piccolo pezzetto di stoffa sulla mia guancia per asciugarmi la guancia. Quando finì, mi si avvicinò e mi stampò un bacio sulla fronte, proprio dove mi ero fatto male.

La guardai stupito e arrossii di botto: mi sentivo le guance in fiamme.

“Adesso non fa più maie, veo?” mi chiese con un gran sorriso. Scossi la testa un po’ imbarazzato e mi rialzai tremante. Rose mi prese la mano e vi depose un piccolo ciondolo che raffigurava due stelle, una sopra l’altra, attaccate ad una catenella molto sottile: era quel genere di cose che si trovavano nei Biscotti Stellati. Rimasi a bocca aperta, ma lei sorridendomi mi portò dal gruppo di bambini che ancora giocavano con le scope giocattolo…



Tredici anni dopo.



Scesi dalla mia Firebolt 3000 scavalcandola non appena fui alla giusta altezza. Vidi da lontano risplendere il suo rosso ramato illuminato dai raggi del sole che splendeva sul campo da Quidditch “Scoooop!!” richiamò la mia attenzione sbracciandosi da un gradino degli spalti. Le sorrisi e la invitai a scendere dalle gradinate per raggiungermi. Si precipitò correndo e incespicando giù per gli scalini. Inciampò male proprio sull’ultimo e perse l’equilibrio. Fortunatamente i miei riflessi da Cacciatore mi aiutarono a riprenderla all’ultimo secondo “Tesoro ma possibile che ogni volta che mi vedi sei così ansiosa di venire da me da cadermi letteralmente tra le braccia?” la presi in giro.

“Oh si, Scop! Sai spero che un giorno il mio peso-non-proprio-piuma stenda definitivamente questo tuo enorme ego!” mi rispose a tono. Notai che mi chiamava ancora Scop, come il primo giorno che ci conoscemmo: non ci siamo mai più allontanati da allora!

Ci incamminammo fuori dal campo, attraversando il giardino, con gli occhi di tutti gli spettatori degli allenamenti dei Serpeverde, che ci seguivano invidiosi. Tutti quelli che ci guardavano camminare insieme erano gelosi di noi, del nostro affiatamento, della nostra sintonia, del nostro amore.

La condussi all’ombra del nostro albero preferito, lontano da sguardi indiscreti e la osservai per un istante. Merlino, quanto era bella! Sarei stato per ore ad ammirare i suoi occhi e a lasciarmi scivolare dentro… “Scop cosa…?” Senza lasciarle finire la frase la baciai. La bacia dolcemente, con passione, senza riguardi, delicato, entusiasta, ansioso, felice, innamorato. Mi staccai dopo quel piccolo ma intenso bacio e, senza darle il tempo di realizzare, mi inginocchiai dinnanzi a lei e presi una scatolina dalla tasca dei pantaloni della mia divisa. Rimase senza fiato quando vide che gliela stavo porgendo nello stesso modo che lei aveva sempre visto solo nei film babbani che le piacevano tanto.

“Scorpius… Ma cosa stai…?” Mi chiese balbettando. Non era da lei e questo dimostrava quanto fosse nervosa e agitata. Aprii quel piccolo pacchetto rivelando un piccolo giondolo formato da due stelline sovrapposte, identiche a quelle che lei mi regalò anni fa. Glielo porsi e Rose, con dita tremanti, raccolse quel semplice oggettino. Al vederlo le brillarono gli occhi dall’incredulità e dalla felicità. Mi feci coraggio e le dissi “Rose Weasley” lei alzò gli occhi verso di me “Mi vuoi sposare?”

Rose mi osservò senza dire niente. Per un attimo temetti che mi avrebbe risposto di no o che mi avrebbe urlato contro o, peggio ancora, che se ne sarebbe andata. Ma lei non fece niente di tutto questo. Urlò “Si!” prima di buttar misi addosso e farci rotolare entrambi nell’erba “Si! Si! Si!! Lo voglio Scop, lo voglio!” Urlò mentre rideva e piangeva e gridava e mi abbracciava e mi baciava. Le sorrisi, contento come non mai. La bacia e le misi al collo quel semplice ciondolo, gemello più prezioso, ma non meno importante, del mio.

   
 
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