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Autore: F l a n    18/05/2011    3 recensioni
Mentre i portoni della Dalton si aprivano davanti a lui, Blaine sentiva che nessun posto poteva esser più adatto di quella scuola, da quel momento in poi.
Eleganza, luce, ordine, rispetto.
Quello era il suo posto ideale, lo sapeva.
[Blaine Anderson!Centric, Klaine sul finale]
NB: Questa fic è stata scritta a MARZO per cui non tiene conto degli avvenimenti della 2x20, o perlomeno delle dichiarazioni di Blaine riguardo al suo rapporto con il bullismo.
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: "It's my life"
Partecipante: al contest di EFP per cui bisognava scegliere una canzone cantata in Glee e trattare il tema del bullismo come base per la fic. (del contest non ho più avuto notizie, per cui dopo 2 mesi mi sono decisa comunque a pubblicarla.)
Personaggi/coppie: Blaine Anderson, (verso la fine Kurt Hummel coppia: Klaine accennata)
Canzone scelta: It's my life - Bon Jovi
Avvertimenti: What If? Violenza, Omofobia
Generi: Introspettivo, Malinconico
Wordcount: 4353 (FdP)
Betareader: [info]nessie_sun 
Note UTILI: Mmh, credo sia importante dure che ho provato a sviluppare una mia personale visione della vita di Blaine partendo dai pochi indizi che abbiamo di lui nella serie. In effetti non sappiamo molto di questo personggio, ma siamo certi che abbia avuto un passato travagliato al vecchio Liceo e che si sia trasferito alla Dalton per questioni di bullismo. Recentemente si è anche scoperto che non è in buoni rapporti con il padre e che non riesce a legare con lui. Ho immaginato che fosse ricco considerando che frequenta la Dalton e pare non aver avuto problemi a trasferirsi, come invece è stato per Kurt.
Ho rappresentato una linea temporale che lo riflette fin dall'infanzia arrivano alla attuale 2x16 (e sforando anche un po' oltre.)
Note Inutili (seghe mentali): NOn so davvero quanto possa esser riuscita, a volte credo che più impegno metto nelle fic, meno escano decenti. La verità è che io sono affezionata a questa fic... cioè voglio bene a Blaine, io mi sono creata il mio personaggio mentale ed è come se avessi costruito un legame con lui. *blatera* comunque sono cose che non v'interessano e quindi...vi lascio alla fic XD

“It's my life
It's now or never
I ain't gonna live forever
I just want to live while I'm a live
(It's my life) “

It’s my life – Bon Jovi



Mentre i portoni della Dalton si aprivano davanti a lui, Blaine sentiva che nessun posto poteva esser più adatto di quella scuola, da quel momento in poi.
Eleganza, luce, ordine, rispetto.
Quello era il suo posto ideale, lo sapeva.

*

Blaine Anderson era sempre stato un bambino taciturno ma con il sorriso sulle labbra.
Non era poi tanto differente dai suoi coetanei; gli piaceva il football, gli piacevano le macchinine, i Power Rangers e collezionare figurine di campioni sportivi.
Sotto ogni punto di vista, Blaine era un bambino di dieci anni come ogni altro suo coetaneo.
Beh, per la verità era ‘quasi’ come ogni altro.

Sua madre non riusciva a spiegarsi come mai il figlio avesse così tanta passione per lo shopping, sapeva soltanto che non appena lei usciva per dar una rinfrescata al proprio look lui si offriva di seguirla. Con occhioni incuriositi squadrava i manichini nelle vetrine delle strade principali e non appena notava un qualche capo che suscitasse un suo vago interesse invitava la madre ad entrare e provarselo.
La signora Anderson aveva sempre voluto una bambina e non aveva potuto nascondere una lieve delusione quando aveva saputo che il figlio che stava aspettando era un maschietto, ma vedendo come stava crescendo Blaine non poteva ritenersi più che soddisfatta di ciò che la vita le aveva dato. Non era cosa comune che ad un bambino della sua età - ma neanche più grande- piacessero quel genere di cose.
Così, mentre sua madre si sentiva gratificata da quell’attenzione per la moda da parte del figlio, suo padre rimaneva perplesso di giorno in giorno decidendo autonomamente che quel comportamento era fin troppo anomalo per un bambino.


Blaine era anche un ragazzino molto, molto diligente. Arrivava a scuola sempre in ordine, con i compiti completi e senza alcuna sbavatura. Prendeva gli appunti e li riportava in bella subito dopo, in modo da averli sempre archiviati al meglio. Le insegnanti erano molto fiere di lui, così come i suoi parenti.
Peccato che i compagni non la pensassero allo stesso modo; erano tutti abbastanza gelosi del suo successo e tutti abbastanza straniti dalla sua tranquillità. Era solare, certo, ma non abbastanza ‘attivo’ per avere dieci anni. In altre parole? Agli occhi dei coetanei era soltanto un misero secchione.
Un giorno rientrò a casa in lacrime, tenendo stretto il nuovo zainetto che sua madre gli aveva comprato giusto il giorno prima e che, ormai, era già da buttare imbrattato com’era da scritte volgari – fin troppo volgari, a tal punto che ci si poteva chiedere se davvero dei bambini di dieci anni erano in grado di essere tanto crudeli – fatte con pennarelli indelebili e bianchetto.
Sua madre l’abbracciò e lo strinse forte, promettendogli che gli avrebbe comprato uno zainetto nuovo.
Ma c’era molto di più del dolore per quel semplice zaino dietro alle lacrime di Blaine.

*

Blaine Anderson era stato, tuttavia, sempre abbastanza forte. Aveva affrontato quell’atto di ‘bullismo’ a testa alta –ferito certo, ma senza sentirsi troppo scalfito – e aveva finito le elementari in quella classe. Anche se naturalmente altri atti di disprezzo nei suoi confronti non erano mancati.
Ogni tanto arrivava a chiedersi perché mai la bravura doveva essere un delitto. Non era un ‘secchione’ o un super intelligente, semplicemente sapeva applicarsi nella giusta maniera.

*

Blaine era sempre stato attirato dallo sport quanto dalle copertine delle riviste di moda. Suo padre sembrava esser piuttosto contento di questa sua prima passione, non molto della seconda.
Inizialmente pensava fosse soltanto una fase; Blaine trascorreva molto tempo con sua madre e poteva essere quasi naturale questo atteggiamento, ma man mano che il bambino cresceva la sua strana passione per quella roba da donne si stava intensificando e suo padre non riusciva davvero a comprenderne il perché. Non che lo avesse mai chiesto.

*

La domenica Blaine guardava le partite di football in tv sul divano accanto a suo padre con la convinzione che questo potesse avvicinarli in un qualunque modo, ma l’uomo era piuttosto taciturno e non aveva mai preso sul serio il tentativo del figlio di trovare un approccio con lui. Così, Blaine finiva per passare la giornata con le mani riunite sul grembo, le gambe strette e le spalle un po’ curve, intimorito dal silenzio del padre e dai rumori della partita che seguiva con non troppo interesse.

Blaine non riusciva a capire cosa avesse fatto di male per esser trattato così da suo padre, lui ci provava davvero a stringere un legame, ma non vi era ritorno. Ad undici anni qualunque figlio si aspetta un qualunque insegnamento da parte di un genitore, ma per lui ciò arrivava solo dalla madre. Sua madre si prendeva cura di lui, lo accompagnava a scuola, lo accompagnava in giro per i negozi – quelli che piacevano tanto a lui – e lo trattava come un piccolo principe. Lui adorava sua madre, davvero. La adorava tanto.

*

Blaine aveva tredici anni quando comprese di essere gay.
A quell’età Blaine aveva cominciato a prendere lezioni di canto grazie a sua madre; quest’ultima era profondamente convinta che il figlio avesse un alto potenziale e lui, naturalmente, era d’accordo. Amava cantare, lo faceva sentire diverso e speciale, in qualche modo… più vivo.
Suo padre, anche quella volta, non era totalmente d’accordo ma non intralciò la sua strada; lasciò che il figlio facesse ciò che più preferiva senza proferir parola. L’ultima volta che aveva tentato di iscriverlo ad una squadra di football non era andata poi tanto bene, visto il suo fisico comunque poco possente.
Comunque, Blaine si era preso una cotta pazzesca per il suo insegnante di canto. O almeno lui pensava fosse una cotta o un sentimento d’ammirazione… non era sicuro di poterlo definire in qualche modo, in verità.
Era un ragazzo ai suoi occhi davvero bellissimo, con capelli biondo cenere e occhi castani intensi, ma la cosa ancor più bella di lui era la voce; Blaine sarebbe rimasto ad ascoltarlo per ore e ore senza mai stancarsi. Aveva una tonalità calda, profonda e oh, lui amava quella voce.
Blaine aveva capito che qualcosa non andava quando il maestro gli aveva messo la mano su una gamba e lui provò un brivido percorrerlo da capo a piedi. In quel momento mise assieme tanti tasselli della sua vita e si sorprese nel vedere con quanta praticità conducevano ad un unico pensiero: a lui piacevano i maschi.

Quel pensiero non gli diede pace per lungo tempo. Era sempre spiazzante conoscere qualcosa in più di sé stessi, specialmente se si parlava di una cosa del genere. Non era stato facile distinguere se quel sentimento fosse veramente quel che pensava che fosse o se non che una mera illusione.
Si rese conto, tuttavia, che guardare i propri compagni di classe negli spogliatoi durante l’ora di ginnastica era totalmente una grande idea; ne osservava i muscoletti appena accennati sulle braccia e sulle gambe, il petto con quelle linee infantili ma sempre più vicine alla maturità; osservava quei fisici non poi così distanti dal suo, ma invece di provare una sensazione di familiarità, provava una curiosità immensa.

Di che sapevano le labbra dei ragazzi?
Quella domanda attraversò la sua mente veloce come un fulmine e, decisamente, da lì non fu più la stessa cosa.

*

Blaine era un ragazzino molto sveglio ed anche molto pratico. Non faceva mai troppe domande ai genitori, ci pensava da solo a soddisfare le proprie curiosità. Un po’ per i rapporti troppo freddi col padre, un po’ perché ci sono domande che non si vogliono fare alla propria madre – specie se si è maschi. –
Aveva imparato ad usare il computer da lì poco tempo prima e aveva scoperto con sua ‘sorpresa’ che poteva essere una grande risorsa. Aveva esattamente il tipo d’informazioni di cui aveva bisogno.
In realtà era alquanto imbarazzante chiudersi nella propria camera alla ricerca di qualche risposta in più sul proprio ‘essere’, tuttavia non vedeva altri modi se non quello; i dubbi che lo assillavano ultimamente erano fin troppo estenuanti e lui aveva bisogno di sapere.

*

Il liceo sembrava un posto indubbiamente migliore delle scuole medie. Blaine pensò ingenuamente che non ci fossero tutte le dispute e le cattiverie che si facevano tra ‘ragazzini’, in fondo si era più grandi, magari un poco più maturi e tolleranti.
Purtroppo per lui, le sue speranze si vanificarono fin troppo presto.
Non si era trovato male nella sua classe e in generale era accettato, anche perché non avendo mai fatto luce sul suo vero essere – e non dandolo a vedere così poi facilmente – nessuno aveva avuto un particolare motivo per prenderlo di mira; era un ragazzo solare e molto gentile, ma con interessi comuni per quelli della sua età – e quelli un po’ meno comuni si prendeva la premura di non metterli in luce –.
Passò un discreto anno tranquillo al suo Liceo, facendo amicizia con più o meno tutti ma astenendosi dal praticare qualunque sport troppo ‘violento’; quello fu il primo dei tanti segnali che insospettirono suoi compagni di classe.

*

L’errore più grande di tutti di Blaine fu provare a chiedere di uscire ad un ragazzo.
Non sapeva come lo avesse sfiorato anche solo l’idea di provarci, ma ad ogni modo lo aveva fatto. Forse si era lasciato abbindolare dalla sua apparente indole un po’ femminea e dai suoi lineamenti così poco mascolini.
Ad ogni modo ricevette un rifiuto in piena regola che non ammetteva fraintendimenti.
Blaine tornò a casa alquanto distrutto quel giorno e quando suo padre lo chiamò in garage per aiutarlo con chissà quale lavoro meccanico non rispose nemmeno; chiuse a chiave la porta di camera e si accoccolò sul proprio letto, pensando a ciò che aveva fatto: si era scavato la fossa da solo.

*

Blaine era convinto che sua madre si fosse accorta di qualcosa in quell’ultimo periodo; il sospetto derivava dalle domande che la donna gli poneva, sempre più mirate e sempre meno generiche, come se avesse intuito che qualcosa non andava.
Ed in effetti aveva ragione.
A scuola, come prevedibile, si era diffusa una voce sulla sua presunta omosessualità; la tolleranza non era certo la parola chiave del suo liceo ed i bulli della squadra di football regnavano sovrani, là dentro.
Alcuni già lo prendevano in giro perché invece di fare un qualunque sport, andava a cantare a destra e manca come se fosse stato un povero finocchio.
*

Quando si ritrovò schiantato contro un muro per la prima volta da un branco di ragazzi corpulenti, Blaine desiderò di morire seduta stante. Aveva letto spesso su internet – o aveva sentito al telegiornale – delle barbarie che venivano compiute sugli omosessuali; le intolleranze erano brutte bestie e dio, quelli erano l’incarnazione dell’intolleranza.
Lo avevano preso di forza chiamandolo ‘frocio’ – quella parola lo colpì nel profondo, era la prima volta che veniva chiamato così – e lo avevano sbattuto contro le mattonelle del bagno dei maschi. Provò un dolore alla schiena tale che pensò di essersela rotta.
Scivolò a terra come un manichino senza vita e senza alcuna voglia di alzarsi, mentre i bulli uscivano dal bagno ridendo.
Udiva solo lo scroscio dell’acqua dello sciacquone e lo trovava tremendamente rilassante.

Sua madre lo vide tornare a casa con meno gioia del solito, lo sguardo spento e una camminata piuttosto lenta e curva.
“Tesoro?”
“Mh?”
“Ultimamente non ti vedo molto in forma, c’è qualcosa che devi dirmi, Blaine?”
Il ragazzino scosse la testa e finì di salire le scale; non voleva farla preoccupare, voleva soltanto chiudersi in camera. E poi seriamente, come poteva parlarne o a sua madre o ancor peggio, a suo padre?
Era totalmente fuori discussione.

*

Il peggio arrivò quando la notizia si diffuse davvero in tutta la scuola. Fare coming out non sarebbe servito, ormai tutti già sapevano la verità e tutto per quello stupido invito; la sua reputazione – non che ne avesse mai avuta una – era finita e vivere sarebbe stato difficile, da quel momento in poi.
Non aveva mai compreso davvero le dinamiche del razzismo contro gli omosessuali, ma per qualche assurda ragione il mondo sembrava essergli avverso, neanche fosse stato lì a spiare negli spogliatoi le parti intime di qualcuno.
Blaine arrivava a scuola distrutto psicologicamente ogni santa mattina con la paura in gola e il cuore a mille, le mani strette alla sua cartella e, naturalmente, una banda di bulli ad aspettarlo all’ingresso di scuola.
Ormai c’era abituato, ma era doloroso ogni volta; alcune volte lo sbattevano semplicemente contro il muro, altre lo picchiavano nel vero senso della parola ed altre ancora gli strappavano le cose o rubavano soldi. L’unica cosa che riusciva a fare, poi, era entrare nell’aula nelle peggiori condizioni del mondo e rassegnarsi ad ascoltare senza un vero interesse le lezioni della giornata, mentre voci dietro di lui attanagliavano il suo morale.
Blaine non poteva parlare a nessuno di quella situazione senza che lo scoprissero, di conseguenza, i suoi genitori. Doveva scegliere tra la sua incolumità ed il segreto che stava tenendo loro; sapeva che parlarne con qualche insegnante o col preside sicuramente avrebbero implicato un avviso ai suoi e non avrebbe aiutato la situazione.
Era realmente in un tunnel senza uscita.

*

La goccia che fece traboccare il vaso arrivò quando si ritrovò contro le mattonelle del bagno per l’ennesima volta in quell’anno scolastico, ma stavolta con qualche goccia di sangue in più e livido di troppo. Quella volta c’erano andati giù pesante e non tanto per dire, pesante davvero.
Lo avevano preso di forza e gli avevano calato i pantaloni, con la chiara intenzione di umiliarlo. Poi solo colpi, colpi che erano talmente lancinanti da non farsi ricordare. Lo avevano ricoperto di insulti chiamandolo con ogni sinonimo possibile inimmaginabile del termine ‘gay’, ‘finocchio di merda’, ‘frocio del cazzo’, ‘ti piace prenderlo nel culo troietta?’
In verità c’erano stati così tanti insulti che riusciva nemmeno voleva ricordarli tutti, forse.
La sua coscienza si risvegliò soltanto quando vide arrivare due professori ed un medico chini su di lui.
I suoi occhi si chiusero di nuovo e da lì, soltanto buio.

*

Spiegare come mai fosse successo tutto quello ormai era inevitabile e Blaine non era del tutto sicuro di volerlo fare, ma non aveva altra scelta. Si era messo l’animo in pace quando si era risvegliato nel letto di casa sua con sua madre china su di lui e la sua mano stretta alla propria.
“Blaine…” gli sussurrò, con voce calda. Amava la voce di sua madre, lo faceva sentire protetto.
“Mamma…”
“Come stai? Ti senti meglio?”
Blaine si tirò su a fatica massaggiandosi la fronte ed aggrottando le sopracciglia.
“Mi sembra di sì, cioè, non lo so. Penso che mi faccia ancora male dentro…”
Vide sua madre mordersi le labbra dopo quell’affermazione e gli lasciò la mano, rivolgendogli uno sguardo seriamente dispiaciuto.
“Da quanto ti importunavano, Blaine, e perché? Sei un bravo ragazzo, non pensavo ti potessi fare delle inimicizie.”
Il ragazzo chinò lo sguardo, sapeva che non poteva più mentire né più far finta di niente. Avrebbe dovuto spiegarle ogni singolo dettaglio di quella vicenda che aveva costudito per tutto quel tempo – quasi un anno.-

Blaine non dimenticherà mai la faccia di sua madre alla rivelazione della propria omosessualità; era un argomento delicato e lui stesso aveva esitato nel dirglielo, ma era piuttosto sicuro che fosse così. Lui era gay e sarebbe stato gay per il resto della sua vita, difficile o non difficile, avrebbero dovuto accettarlo per quello che era. Mentre raccontava a sua madre l’accaduto e come lui si era reso conto di essere omosessuale, dentro di sé ripeteva insistentemente quelle parole quasi come se fossero un’opera di autoconvincimento, come se solo così potesse essere apposto con la sua coscienza.
“Mi accetteranno per quello che sono, in fondo sono loro figlio.”

*

Se la reazione della madre fu quantomeno misurata, non si poteva dire lo stesso di suo padre.
Blaine non aveva grandi rapporti con lui già da molto tempo, non sapeva per quale motivo ma non erano mai riusciti a legare; forse perché lui era sempre fuori per lavoro, forse perché nonostante i loro interessi molte volte coincidessero tanti altri differivano totalmente. Purtroppo il signor Anderson pareva non aver mai accettato le passioni principali di suo figlio – come ad esempio cantare – forse proprio per l’eccessiva categorizzazione che dava ad esse. Era chiaro che si aspettasse da lui qualcosa di totalmente virile, virile come era lui ma non come si sentiva Blaine.
Suo padre era uno di quei tipici uomini da birra con gli amici la domenica di fronte ad una tv, oppure al campetto da calcetto lì vicino; era uno di quegli uomini virili con passioni… da uomo, insomma.
A lui invece non piaceva sudare; gli piaceva veder i giocatori sul campo, ma non provava l’irrefrenabile voglia di unirsi a loro a rincorrere un misero pallone.
Ciò lo rendeva diverso a priori agli occhi di suo padre. Anche la sua perspicacia era totalmente diversa da quella che il signor Anderson si aspettava di vedere in un suo futuro figlio. Blaine tutto sommato non era molto timido.
Anzi, diversamente da lui, tendeva ad essere solare ed espansivo, tutte cose che lui non era… o perlomeno non era con suo figlio – con gli amici, invece, sembrava trasformarsi. Forse per dimostrare la sua ‘virilità’?
Comunque, suo padre quel giorno era seduto a tavola e stava finendo di mangiare la sua rosticciana in completo silenzio, come sempre. A tavola non c’era mai un gran dialogo, ma quella volta decise di iniziare lui il discorso.
“Com’è successo?”
Blaine tremò un attimo, sapeva che sarebbe arrivato anche quel momento; diede un’occhiata sfuggente a sua madre, la quale gli rivolse un lieve sorriso incoraggiante.
“A scuola… dei bulli…” esitò Blaine.
“Perché?”
Blaine odiava quella freddezza, la odiava tantissimo.
“Perché sono diverso da loro, papà,” Blaine posò la forchetta nel piatto e lo guardò dritto negli occhi, con il cuore stretto e la mano di sua madre sul braccio, quasi in segno di sostegno “perché io… sono gay.”
L’aria si raggelò come se ci fossero stati meno di zero gradi e lo sguardo di suo padre parlò più di ogni altra cosa; i suoi occhi, così dannatamente simili ai propri, si riempirono di emozioni negative. Blaine riuscì ad intravederle e gli sembrò che quello sguardo fosse eterno; era chiaramente deluso. Deluso da suo figlio, deluso dalla sua sessualità e, forse, anche deluso da sé stesso perché non aveva saputo crescerlo etero.
Come se essere etero fosse una cosa che si può imparare.
“Ah. Quando pensavi di dircelo?”
“Non lo so.”
“E perché non lo sai?”
A Blaine tremarono le mani.
“Perché non ne ero sicuro.”
“Magari scopri che ti sbagli. A quest’età siamo tutti incerti.”
“Mh, magari sì.”
“Comunque la prossima volta evita di spargere voci false in giro. Dopo vedi che succede?”
La mano di sua madre si strinse sul proprio braccio: la sentì come una presa ferrea e salda, ma nonostante ne fosse quasi confortato, la voglia di piangere non se ne andava da lì.
Scostò la sedia e si alzò da tavola senza finire il pranzo.
Aveva bisogno di stare da solo.

*

Non tornò al liceo per circa tre giorni ed in quegli stessi tre giorni evitò come la peste suo padre. C’era rimasto male, davvero. Non si aspettava una reazione migliore di quella che aveva avuto, ma non si aspettava neanche che gli dicesse ‘magari ti sbagli’. O forse sì, ma in ogni caso faceva male.
Sua madre ogni tanto lo andava a trovare in camera, gli diceva che pian piano se ne sarebbe fatto una ragione, che non era arrabbiato, ma soltanto un po’ amareggiato e gli sarebbe passata presto.
“In fondo ti vuole bene, sei pur sempre suo figlio,” già, come no. Blaine non riusciva a considerare questa opzione.
Sua madre gli accarezzò il volto e quel gesto gli parve molto affettuoso, era bello saperla dalla sua parte ed era bello sentirla vicina. Magari non avrebbero parlato mai approfonditamente della sua sessualità, ma almeno non lo discriminava e questa era una gran cosa.
“Usciamo. Andiamo a fare un po’ di shopping ti va? Ci sono i saldi, magari compriamo degli abiti nuovi anche per te,” propose sua madre, avvicinandosi alla porta di camera.
“Certo. Mi preparo e andiamo.”
“Ottimo, allora ti aspetto giù.”
La donna aprì la porta.
“Ah, mamma… grazie.”
Scomparì al di là di essa dopo un breve cenno col capo.

Quel giorno fecero effettivamente molte spese e Blaine si sentì una persona nuova. A lui piaceva comprare vestiti, gli piacevano i cardigan soprattutto e sua madre gliene aveva comprati di vari colori.
Lei invece amava vestirsi elegante, era una donna di lusso in effetti. Non avevano problemi finanziari, per cui potevano permettersi qualcosa di più ‘costoso’.
Mentre tornavano a casa, Blaine confessò a sua madre che era felice di sentirla vicina, ma che lui non si sentiva più a suo agio a scuola e voleva cambiare. Non poteva più sopportare la permanenza in un luogo in cui si sentiva come un uccellino in gabbia con le ali spezzate. La donna, ovviamente, non poté biasimarlo e gli promise che ne avrebbe parlato con suo padre.
Blaine si augurò che lo facesse veramente.

*

Ed in effetti così fu, perché un giorno entrambi lo chiamarono in sala e gli mostrarono due brochure su una certa ‘Accademia Dalton’, un’accademia rinomata ed interamente maschile. Ovviamente la faccia di suo padre non era delle più felici nel leggere ‘solo per studenti di sesso maschile’ convinto com’era che ciò lo avrebbe fatto diventare ancora più gay, tuttavia come al solito sua madre ebbe una buona influenza su di lui.
“È costosa ma possiamo permettercela. Migliorerà il tuo piano di studi e pare non ci siano problemi d’intolleranza.”
Blaine lanciò un’occhiata al prezzo e diamine, era veramente troppo alto.
“Ma non voglio farvi spendere tutti questi soldi…”
“No figliolo, non importa. La tua salvaguardia è più importante di tutto il resto ed inoltre sia io che tuo padre ci teniamo ad una formazione completa. In quella scuola non c’erano neanche buoni insegnanti e col potenziale che hai tu meriti di studiare in un luogo più colto ed appropriato. Andremo a visitare la Dalton domani mattina se sei d’accordo.”
Blaine annuì e concentrò lo sguardo sulla ‘D’ rossa che decorava il volantino. Sarebbe stato davvero lì il suo futuro?

*
Blaine non dovette aspettare troppo per rispondere alla sua domanda; nel momento in cui varcò per la prima volta la soglia della Dalton, sentì di essere a casa. Era un ambiente molto formale ed anche molto diverso da quello che era abituato a frequentare di solito; non c’erano ragazze con la gonna supercorta, non c’erano ragazzi con i pantaloni sotto il sedere, non c’erano omaccioni con la tuta da football e non c’erano professori in giro ovunque o puzza di sudore.
Era tutto l’opposto; tutti i ragazzi portavano una divisa ordinata, blu con le rifiniture rosse e con la ‘D’ della sigla Dalton ricamata sul petto; avevano anche una cravatta intonata e quasi tutti in spalla portavano una borsa di pelle marrone o nera, naturalmente firmata. Era tutto così bello, tutto così pulito che si sentì bene per la prima volta dopo mesi, ma forse ancor più probabilmente dopo anni.
Il preside della scuola gli mostrò le aule, gli fecero salire una maestosa scalinata a semichiocciola con i gradini in marmo. Sembrava di essere in un tempo degli dei, la luce filtrava calorosa dalle finestre ed illuminava ogni cosa.
“Ti piace Blaine?” chiese premurosamente tenendolo per le spalle, il ragazzo annuì senza fiato.
Gli piaceva eccome, gli piaceva tutto di quel luogo.
Mentre il preside parlava, lui guardava i ragazzi sfrecciare da un’aula all’altra e poté giurare di aver sentito cantare alcuni di loro. Avevano delle voci bellissime e per questa ragione sentì implodergli nel petto una sensazione di gioia inaudita. Avrebbe cominciato anche subito.
“Allora ti vuoi iscrivere,Blaine?”
Il ragazzo non ebbe nemmeno bisogno di pensarci due volte, quel ‘sì’ gli uscì con tale gioia che non aveva bisogno di altri indugi.

*

Un anno dopo Blaine era diventato a tutti gli effetti uno studente modello della Dalton, un Warblers – nome del gruppo di canto della scuola – ed anche un potenziale leader canoro. Lo sceglievano per fare assoli e lui si sentiva dannatamente onorato di questo.
I ritmi della Dalton erano duri a livello di studio, ma tutto sommato passabili. Riusciva comunque a tenere il passo e tutti gli studenti si erano sempre mostrati ben disponibili ad aiutarlo.
Per quanto assurdo, per quanto le frecciate di suo padre arrivassero spesso ben evidenti alle sue orecchie, Blaine alla Dalton non aveva ancora trovato un potenziale ragazzo, non si era ancora innamorato veramente di qualcuno. Aveva semplicemente deciso di ricominciare a vivere la sua vita da zero, accantonando per un po’ il discorso sentimenti e sessualità. E doveva dirlo, per la prima volta in vita sua stava davvero bene come non mai; non c’erano persone a discriminarlo, ad additarlo per quello che era, non c’era nessuno da temere, nessuno che lo picchiasse.
Nonostante qualche volta sentisse la sua coscienza gridargli ‘sei fuggito senza affrontare chi ti ha fatto del male’, sapeva di aver comunque fatto la scelta giusta.

*

Quando vide per la prima volta Kurt, provò un senso di protezione mai sentito. Era come se quel ragazzo fosse il riflesso di sé stesso qualche mese prima. Nei suoi occhi c’era un’implorante richiesta di aiuto e Blaine sentiva il bisogno di darglielo, quell’aiuto. Quello che lui non aveva ricevuto.
Per questo gli prese la mano e lo condusse lungo i corridoi della Dalton e per questo sentì, in quella stretta, qualcosa di speciale, qualcosa che lo collegava a lui.

*

Neanche Blaine riusciva a spiegarsi com’era arrivato a quel punto; nella sua vita aveva attraversato vari processi. La paura di essere gay, l’accettazione nell’esserlo, la paura dell’ammetterlo ai suoi genitori, il tentativo di rendere felice suo padre provando a cambiare, il dubbio di essere bisessuale ed infine l’unica e vera certezza: quella di non poter cambiare ciò che era. Lui era omosessuale, felice di esserlo. Ciò non avrebbe aiutato il rapporto con suo padre; sicuramente camminare mano nella mano con il suo ragazzo di fronte a lui non avrebbe giovato, in effetti, ma non gli importava.
Amava Kurt, ma soprattutto aveva imparato ad amare sé stesso. Si era fatto coraggio, si era rimesso in piedi da solo e con una buona dose di volontà aveva imparato ciò che lui non gli aveva mai insegnato.
Per la prima volta, quando Blaine portò a casa sua Kurt, non ebbe paura dell’espressione di suo padre, non ebbe paura neanche di essere menato a morte mentre girava per le strade dell’Ohio con lui.
Si sentiva sicuro, sentiva che finalmente aveva preso a vivere la sua vita come meglio desiderava. E non importava se suo padre non approvava, se gli faceva sporcare le mani per farlo diventare più uomo, più etero.
Lui era felice così.
Per la prima volta era felice davvero.


 
 
   
 
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